L’Uomo e i suoi simboli
Carl Gustav Jung
Carl Gustav Jung
(e Marie-Louise von Franz, Joseph L. Henderson, J. Jacobi, A. Jaffé)
Longanesi, Milano 1980 (ed. orig. 1967)
Joseph L. Henderson
Miti antichi e uomo moderno
I simboli eterni
L'antica storia dell'uomo viene significativamente
riscoperta ai nostri giorni attraverso le immagini simboliche e i miti
che sono sopravvissuti all'uomo dell'antichità. Via via che gli
archeologi scavano profondamente nelle viscere del passato, non sono gli
eventi del tempo storico ciò di cui impariamo a far tesoro, bensì le
statue, i disegni, i templi e le lingue che ci comunicano le antiche
credenze. Altri simboli ci sono rivelati dai filologi e dagli storici
delle religioni, che sanno tradurre queste credenze in concetti moderni e
intelligibili. Questi, a loro volta, prendono vita attraverso gli studi
degli antropologi culturali, che dimostrano come gli stessi modelli
simbolici siano reperibili nei rituali o nei miti di piccole società
tribali tuttora esistenti ai margini della civiltà, senza aver
conosciuto alcun mutamento nei secoli.
Tutte queste ricerche hanno contribuito a correggere
sensibilmente l'atteggiamento unilaterale di quei moderni secondo i
quali questi simboli apparterrebbero solo ai popoli dell'antichità o
alle moderne tribù “arretrate”, e quindi non presenterebbero alcun
interesse di fronte alle complessità della vita del nostro tempo.
Avviene così che a Londra o a New York ci si rifiuti di prendere in
considerazione i riti di fertilità dell'uomo neolitico, spacciandoli per
arcaiche superstizioni. Se qualcuno sostiene di avere avuto una visione
o di avere udito voci, egli non viene trattato come un santo o come un
oracolo: ci si limita a dire che è malato di mente. Leggiamo i miti
degli antichi Greci o le storie popolari degli Indiani d'America, ma non
riusciamo a scorgere alcuna connessione fra essi e i nostri
atteggiamenti verso gli “eroi” o gli avvenimenti drammatici del nostro
tempo.
Eppure le connessioni ci sono e i simboli che le
rappresentano non hanno perso la loro importanza per il genere umano.
Uno dei maggiori contributi contemporanei alla comprensione
e alla rivalutazione di questi simboli eterni è stato fornito dalla
scuola di psicologia analitica fondata dal dottor Jung. Essa ha
contribuito a eliminare l'arbitraria distinzione fra l'uomo primitivo,
al quale i simboli appaiono come un ingrediente naturale della vita di
tutti i giorni, e l'uomo moderno, per il quale essi sono senz'altro
privi di ogni significato e interesse.
Come il dottor Jung ha messo in evidenza nelle pagine
precedenti, la mente dell'uomo possiede una sua storia particolare e la
psiche conserva molte tracce residue degli stadi anteriori del suo
sviluppo. In più, i contenuti dell'inconscio esercitano una influenza
formativa sulla psiche. Consciamente noi possiamo anche ignorarli, ma
inconsciamente rispondiamo a essi e alle forme simboliche - ivi compresi
i sogni - attraverso le quali si vengono esprimendo.
All'individuo può sembrare che i sogni siano spontanei e
privi di qualunque connessione. Ma in un lungo arco di tempo l'analista
arriva a osservare tutta una serie di immagini oniriche e a notare che
esse presentano una struttura significativa: se il paziente riesce a
comprenderla egli potrà eventualmente acquistare un nuovo atteggiamento
verso la vita. Alcuni simboli di questi sogni derivano da ciò che il
dottor Jung ha definito “l'inconscio collettivo” - cioè quella parte
della psiche che trattiene e trasmette l'eredità psicologica comune
all'intero genere umano. Questi simboli sono così antichi e poco
familiari all'uomo moderno che egli non riesce a comprenderli
direttamente o ad assimilarli.
È in questo senso che può essere utile l'analista. Il
paziente deve essere possibilmente liberato dall'ingombro dei simboli
che siano diventati decrepiti e inadeguati, oppure deve essere assistito
a scoprire il persistente valore di qualche antico simbolo che, lungi
dall'essersi esaurito, anela ad essere fatto rivivere in forma moderna.
Prima che l'analista possa accingersi a esplorare
efficacemente il significato dei simboli di un paziente, è necessario
che acquisti personalmente una più larga conoscenza delle loro origini e
del loro significato. Infatti le analogie fra i miti antichi e le
storie che appaiono nei sogni dei pazienti del nostro tempo non sono né
banali né accidentali. Esse sono reali poiché la mente inconscia
dell'uomo moderno conserva tuttora quella capacità simboleggiatrice che
un tempo trovava espressione nelle credenze e nei rituali primitivi; e
tale capacità svolge ancora un ruolo di vitale importanza psichica. Noi
dipendiamo più di quanto non si pensi comunemente dai messaggi
trasportati da questi simboli, e sia i nostri atteggiamenti che il
nostro comportamento ne sono profondamente influenzati.
In tempo di guerra, per esempio, si registra un accresciuto
interesse per le opere di Omero, di Shakespeare o di Tolstoj e siamo
portati a leggere con occhi diversi quei passi che assegnano alla guerra
il suo significato perenne (o “archetipico”). Essi evocano in noi una
risposta molto più profonda di quella che può essere eventualmente
suscitata in qualcuno che non abbia mai vissuto l'intensa esperienza
emotiva della guerra. Le battaglie combattute nella pianura di Troia non hanno, in sé, niente a che fare con quelle di Agincourt o
di Borodino, ma i grandi scrittori sono capaci di trascendere le
differenze di spazio e di tempo e di esprimersi in temi universali. Noi
rispondiamo proprio perché questi temi sono fondamentalmente simbolici.
Un esempio ancor più significativo deve essere familiare a
ognuno che sia stato educato in una società di tipo cristiano. A Natale
noi possiamo esprimere il nostro sentimento interiore per la nascita
mitologica di un fanciullo semidivino anche se non crediamo nella
dottrina della verginità della madre di Cristo o non possediamo alcuna
fede religiosa cosciente. Senza saperlo, ci siamo imbattuti nel
simbolismo della rinascita. Si tratta della sopravvivenza di
un'antichissima festa solstiziale, recante la speranza che le terre
intristite dall'inverno dell'emisfero settentrionale tornino a
rinnovarsi. Così il nostro gusto sofisticato trova soddisfazione in
questa festa simbolica, allo stesso modo che per Pasqua ci uniamo ai
nostri figli nel festoso rituale delle uova e dei conigli pasquali.
Ma ci rendiamo veramente conto di ciò che facciamo, e siamo
consapevoli della connessione fra la storia della nascita, morte e
resurrezione di Cristo e il popolare simbolismo pasquale? Di solito non
ci diamo neppure la preoccupazione di considerare da un punto di vista
razionale tutte queste usanze.
Eppure esse sono reciprocamente complementari. La
crocifissione di Cristo nel venerdì santo sembra appartenere a prima
vista al medesimo tipo di simbolismo della fertilità che ci è dato
rinvenire nei rituali di altri “salvatori” come Osiride, Tammuz, Orfeo e
Balder. Anch'essi erano tutti di nascita divina o semidivina, vissero
un'esistenza singolare, furono uccisi e quindi rinacquero. Essi
appartengono, di fatto, a religioni di tipo ciclico nelle quali la morte
e la rinascita del re-dio costituiscono un mito eternamente ricorrente.
Tuttavia la resurrezione di Cristo nel sabato santo è molto
meno soddisfacente, da un punto di vista rituale, di quanto non lo sia
invece il simbolismo delle religioni cicliche. Infatti Cristo ascende
alla destra di Dio Padre: la sua resurrezione avviene una volta per
tutte.
È questa finalità del concetto cristiano di resurrezione
(l'idea cristiana di Giudizio finale presenta un tema “chiuso” simile a
questo) a distinguere il cristianesimo dagli altri miti fondati sulla
figura del re-dio. Il rituale si limita a commemorare ciò che è avvenuto
una volta sola. Tuttavia questo senso finalistico rappresenta
probabilmente la ragione per la quale i primi Cristiani, tuttora
sensibili alle influenze delle tradizioni precristiane, pensavano che il Cristianesimo
dovesse essere completato con l'aggiunta di alcuni elementi di un più
antico rituale della fertilità. Essi sentivano il bisogno della
ricorrente promessa della rinascita: in ciò consiste appunto il
significato della simbologia pasquale dell'uovo e del coniglio.1
Sono ricorso a due esempi completamente diversi per
mostrare come l'uomo moderno continui a rispondere a profonde influenze
psichiche che tuttavia egli, consciamente, rifiuta di prendere in
considerazione, come se si trattasse di poco più che di storie ingenue
di popoli superstiziosi e incivili. Ma è necessario spingere ancora più a
fondo le nostre osservazioni. Quanto più da vicino si analizzano la
storia del simbolismo e il ruolo che i simboli hanno avuto nella vita di
numerose differenti culture, tanto più ci si rende conto che in questi
simboli è implicito anche un significato ricreativo.
Alcuni simboli si riferiscono all'infanzia e al passaggio
all'adolescenza, altri alla maturità, altri ancora all'esperienza della
vecchiaia, quando l'uomo si viene preparando all'inevitabilità della
morte. Il dottor Jung ha descritto il modo in cui i sogni di una bambina
di otto anni contenevano già quei simboli che normalmente si è soliti
associare alla vecchiaia. I sogni della bambina presentavano aspetti di
iniziazione alla vita di un tale carattere che sembravano appartenere
alla medesima struttura archetipica dell'iniziazione alla morte. È
evidente perciò che questa progressione di idee simboliche può
manifestarsi nell'ambito della mente conscia dell'uomo moderno nello
stesso modo in cui essa era solita esprimersi nei rituali delle antiche
società.
Questa connessione cruciale fra i miti arcaici o primitivi e
i simboli prodotti dall'inconscio è di immensa importanza pratica per
l'analista. Essa gli consente di identificare e di interpretare questi
simboli in un contesto che conferisce loro prospettiva storica non meno
che significato psicologico. Prenderò ora in esame alcuni dei più
importanti miti dell'antichità e mostrerò come - e per quale scopo -
essi sono analoghi al materiale simbolico in cui ci imbattiamo di solito
nei nostri sogni.
Eroi e costruttori di eroi
Il mito dell'eroe è quello più comune e meglio conosciuto.
Lo troviamo nella mitologia classica della Grecia e di Roma, nel
Medioevo, nell'Estremo Oriente e fra le tribù primitive contemporanee.
Esso compare anche nei nostri sogni e possiede una immediata attrattiva
drammatica unita a una meno diretta, anche se profonda, importanza
psicologica.
Questi miti eroici variano enormemente nei particolari, ma
quanto più da vicino li esaminiamo, tanto più ci rendiamo conto che essi
sono strutturalmente molto simili. Essi posseggono, per così dire, una
struttura universale, anche se di fatto si sono venuti sviluppando in
gruppi o in individui estranei a ogni possibile contatto reciproco,
come, per esempio, le tribù africane, quelle degli Indiani del
Nordamerica, i Greci o gli Incas del Perù. In tutti i casi ci si trova
invariabilmente di fronte a un racconto che descrive la nascita
miracolosa ma umile dell'eroe, le sue prime prove di potenza sovrumana,
la rapida ascesa a posizioni di preminenza e di autorità, la sua lotta
trionfante contro le forze del male, la sua fallibilità di fronte al
peccato di orgoglio (hybris), e infine la sua caduta a seguito di un
tradimento o di un “eroico” sacrificio che culmina nella morte.
Spiegherò in seguito più particolareggiatamente le ragioni
per le quali ritengo che questa struttura abbia significato psicologico
non solo per l'individuo che si sforza di scoprire e di affermare la
propria personalità, ma anche per una intera società, che possiede una
esigenza uguale di definire la propria identità collettiva. Tuttavia c'è
un'altra importante caratteristica del mito dell'eroe che fornisce un
appiglio alla comprensione del fenomeno. In molte di queste storie la
primitiva debolezza dell'eroe viene compensata dalla comparsa di forti
personaggi “tutelari” - o guardiani - che gli consentono di portare a
termine le imprese sovrumane che senza aiuto egli non sarebbe in grado
di realizzare. Fra gli eroi greci Teseo aveva come sua divinità tutelare
Poseidone, dio del mare, Perseo aveva Athena, e Achille Chirone, il
saggio centauro.
Questi personaggi dalle caratteristiche divine di fatto non
simboleggiano altro che l'intera psiche, cioè quella più ampia e più
comprensiva identità che è capace di fornire la forza di cui l'ego
personale è privo. Il loro ruolo particolare suggerisce il fatto che la
funzione essenziale del mito dell'eroe è costituita dallo sviluppo della
coscienza individuale dell'ego - della consapevolezza, cioè, della sua
forza e della sua debolezza insieme - in modo tale da fornirgli gli
strumenti adatti per far fronte agli ardui compiti che la vita gli
presenta. Una volta che l'individuo abbia superato la prova iniziale e
sia entrato nella fase matura della vita, il mito dell'eroe perde ogni
vitalità. La morte simbolica dell'eroe diventa, per così dire, il segno
del raggiungimento di questa maturità.
Finora mi sono riferito al mito dell'eroe nel suo
complesso, in cui viene elaboratamente descritto l'intero ciclo dalla
nascita alla morte. Tuttavia è essenziale osservare come in ogni singola
fase del ciclo compaiano forme speciali della storia dell'eroe che si
adeguano alla situazione particolare raggiunta dall'individuo nel
processo di sviluppo della propria coscienza dell'ego e al problema
specifico che egli si trova di fronte in quel particolare momento. Ciò
equivale a dire che l'immagine dell'eroe si evolve in guise che
riflettono ogni singola fase dell'evoluzione della personalità umana.
Questo concetto risulterà più facilmente comprensibile se
lo presenterò nei termini di un diagramma. Ricavo l'esempio dalla
sconosciuta tribù nordamericana degli Indiani Winnebago, poiché esso
rivela assai chiaramente quattro distinte fasi in questa evoluzione
dell'eroe. Attraverso le storie (pubblicate nel 1948 dal dottor Paul
Radin sotto il titolo Hero Cycles of the Winnebago) possiamo assistere a
una netta progressione dal concetto più primitivo a quello più
elaborato dell'eroe. Tale progressione è caratteristica anche di altri
cicli eroici. Benché i personaggi simbolici abbiano in essi naturalmente
nomi differenti, i loro ruoli sono simili, e riusciremo a capirli
meglio quando avremo colto il significato dell'esempio in questione.
Il dottor Radin notò quattro cicli distinti nell'evoluzione
del mito dell'eroe. Egli li intitolò rispettivamente: ciclo del-
l'Imbroglione, ciclo della Lepre, ciclo di Corno Rosso e ciclo dei
Gemelli. Non gli sfuggì il preciso significato psicologico di questa
evoluzione e osservò: “Essa rappresenta i nostri sforzi per far fronte
al problema della nostra maturazione negli anni, aiutandoci con
l'illusione di una finzione eterna”.2
Il ciclo dell'Imbroglione corrisponde al primo e meno
sviluppato periodo della vita. L'Imbroglione è un personaggio il cui
comportamento è interamente dominato dagli appetiti fisici: la sua
mentalità è quella di un bambino. Privo di ogni altro scopo che non sia
quello della gratificazione dei suoi bisogni elementari, egli è crudele,
cinico e spietato. (Le nostre storie di Fratel Coniglietto o di Comare
Volpe conservano gli elementi essenziali del mito dell'Imbroglione.)
Questo personaggio, che all'inizio ha la forma di un animale, passa da
una impresa malvagia all'altra e così facendo muta successivamente di
aspetto. Alla fine delle sue continue scellerataggini comincia ad
assumere le sembianze fisiche di un uomo adulto.
La seconda figura è quella della Lepre. Anch'essa, come
l'Imbroglione (i cui tratti animali sono spesso rappresentati da un
coyote presso gli Indiani d'America), appare all'inizio sotto la forma
di animale. Essa non ha ancora raggiunto la statura dell'uomo maturo, ma
ciò nonostante si presenta come il fondatore della civiltà umana: il
Trasformatore. Gli Indiani Winnebago credono che, donando loro il famoso
Rito magico, egli sia diventato il loro salvatore e il loro eroe
nazionale. Questo mito era così potente, nota il dottor Radin, che i
seguaci del rito Peyote furono riluttanti a rinunciare all'adorazione
della Lepre, allorché il Cristianesimo cominciò a penetrare nella tribù.
Essa finì per essere assorbita nella figura di Cristo, ma alcuni di
loro continuarono a sostenere che non avevano alcun bisogno di Cristo
dal momento che avevano già la Lepre. Questa figura archetipica
rappresenta un netto passo avanti rispetto a quella dell'Imbroglione:
essa comincia a diventare un essere socializzato, che viene correggendo
gli impulsi meramente istintuali e infantili caratteristici del ciclo
dell'Imbroglione.3
Corvo Rosso, la terza figura eroica di questa serie, è un
personaggio ambiguo, detto il minore dei dieci fratelli. Egli soddisfa a
tutti i requisiti di un eroe archetipico superando vittoriosamente
prove come corse e battaglie. La sua sovrumana potenza si mostra nella
capacità di sconfiggere giganti per mezzo dell'astuzia (in un gioco di
dadi) o della forza (in un incontro di lotta). Egli possiede un potente
alleato in un uccello del tuono, chiamato Storms-as-he-walks, la cui
forza interviene sempre a compensare ogni eventuale debolezza di Corvo
Rosso. Con quest'ultimo abbiamo ormai raggiunto il mondo dell'uomo,
anche se si tratta di un mondo ancora primordiale in cui l'aiuto di
potenze soprannaturali o di divinità tutelari è indispensabile per
assicurare all'uomo la vittoria sulle forze del male che lo stringono
d'assedio. Verso la fine della storia l'eroe divino se ne va, lasciando
Corno Rosso e i suoi figli sulla terra. A questo punto è l'uomo stesso a
diventare responsabile dei pericoli cui possono andare incontro la sua
felicità e la sua sicurezza.
Questo tema fondamentale (che si ripete anche nell'ultimo
ciclo, quello dei Gemelli), solleva la seguente questione vitale: fino a
che punto gli esseri umani possono riuscire vittoriosi senza cadere
vittime del loro orgoglio o, in termini mitologici, della gelosia degli
dèi?
Benché si dica che i Gemelli sono i figli del Sole, essi
sono essenzialmente umani e costituiscono insieme una singola persona.
Originariamente uniti nel grembo materno, essi furono separati alla
nascita. Eppure essi si appartengono l'un l'altro ed è necessario -
anche se estremamente difficile - riunirli insieme. In questi due
fanciulli sono rappresentati i due aspetti fondamentali della natura
umana. L'uno è acquiescente, mite e senza iniziativa; l'altro è dinamico
e ribelle. In alcune storie di eroi gemelli, questi atteggiamenti
vengono precisati in modo così sottile che il primo rappresenta
l'introverso, la cui forza principale risiede nella capacità di
riflessione, e il secondo l'estroverso, cioè un uomo d'azione che riesce
a compiere grandi imprese.
Per lungo tempo questi due eroi sono invincibili: sia che
vengano rappresentati come due figure separate oppure come un'unica
personalità composita, essi non conoscono rivali. Ma alla fine, come gli
dèi guerrieri della mitologia degli Indiani Navaho,4 essi abusano della
loro potenza. Né in cielo né sulla terra è rimasto più alcun mostro da
abbattere e il selvaggio comportamento cui essi si abbandonano porta
fatalmente alla loro punizione. Gli Indiani Winnebago dicono che nulla,
alla fine, si salvava dai loro assalti - neppure i sostegni su cui è
poggiato il mondo. Quando i Gemelli uccisero uno dei quattro animali che
sostenevano la terra, essi superarono ogni limite e venne il momento di
por fine alle loro imprese: la sola punizione che si meritassero era la
morte.
In conclusione, sia nel ciclo di Corno Rosso sia in quello
dei Gemelli, troviamo il tema del sacrificio o della morte dell'eroe
come rimedio per la hybris, l'orgoglio che ha superato ogni limite.
Nelle società primitive il cui livello di cultura corrisponde a quello
rappresentato nel ciclo di Corno Rosso, questo rischio risulta a volte
prevenuto attraverso l'istituzione del sacrificio umano propiziatorio:
un tema, questo, che possiede un'immensa importanza simbolica e che
ricorre continuamente nella storia umana. Gli Indiani Winnebago, come
gli Irochesi e alcune tribù algonchine, probabilmente mangiavano la
carne umana come rituale totemico capace di attenuare i loro impulsi
individualistici e distruttivi.
Negli esempi del tradimento o della sconfitta dell'eroe
ricorrenti nella mitologia europea, il tema del sacrificio rituale viene
impiegato più specificamente come punizione per la hybris. Invece i
Winnebago, come i Navaho, non si spingono fino a tal punto. Benché i
Gemelli abbiano errato e benché la punizione dovesse essere, a rigore,
la morte, essi stessi si sono a tal punto spaventati della loro
irresponsabile potenza da sottomettersi a vivere in una condizione di
riposo permanente: gli elementi in conflitto della natura umana hanno
così ritrovato il proprio reciproco equilibrio.
Mi sono indugiato in questa descrizione dei quattro tipi di
eroi perché essa fornisce una chiara dimostrazione della struttura
ricorrente sia nei miti storici che nei sogni eroici dell'uomo
contemporaneo. Tenendo presente quanto abbiamo detto fin qui, esaminiamo
ora il sogno di un paziente di media età. L'interpretazione di questo
sogno mostra come lo psicologo analitico, grazie alla sua conoscenza
della mitologia, possa aiutare il paziente a trovare una risposta a
problemi che altrimenti risulterebbero insolubili enigmi. Quest'uomo
sognò di essere a teatro, nei panni di “uno spettatore importante la cui
opinione viene rispettata”. Durante un atto appariva una scimmia bianca
su un piedistallo e tutt'intorno aveva alcuni uomini. Nel raccontare il
sogno il paziente aggiungeva:
La guida mi spiega il tema: si tratta della terribile prova
cui è sottoposto un giovane marinaio, costretto a sopportare le
sferzate del vento e a essere contemporaneamente percosso. Io obietto
che la scimmia bianca non. è affatto un marinaio, ma proprio in quel
momento compare un giovane vestito in nero e allora penso che egli debba
essere il vero eroe. Ma un altro giovane, di bell'aspetto, si dirige a
grandi passi verso un altare e vi si distende sopra. Gli altri fanno dei
segni sul suo petto nudo, come rito preliminare prima di immolarlo
quale vittima umana sacrificale.
A questo punto mi ritrovo su una piattaforma con diverse
altre persone. Potremmo facilmente scendere a terra per mezzo di una
scala a pioli, ma io esito a farlo perché lì vicino ci sono due giovani
malviventi e penso che essi ci sbarreranno la via. Ma quando una donna
del gruppo riesce a scendere la scala senza venire molestata, capisco
che la via è libera e allora scendiamo tutti dietro a lei.
Un sogno di questo tipo non può essere interpretato in
quattro e quattr'otto o in termini semplicistici. Noi dobbiamo
districarlo accuratamente in modo da mettere in chiaro sia le sue
connessioni con la vita del sognante in particolare, sia le sue
implicazioni di carattere più generale. Il paziente che ne era stato
autore era un uomo ormai maturo fisicamente. Aveva percorso una carriera
brillante ed era apparentemente un perfetto padre e marito. Eppure era
psicologicamente ancora immaturo e non aveva superato la fase di
sviluppo giovanile. Era questa immaturità psichica a esprimersi nei
sogni sotto forma di aspetti differenti del mito eroico. Tali immagini
continuavano a esercitare una forte attrazione sulla sua immaginazione,
anche se non avevano- ormai più, da lungo tempo, alcun significato reale
per la vita attuale del paziente.
Con questo sogno, dunque, ci troviamo di fronte a una serie
di figure teatralmente presentate come aspetti diversi di un medesimo
personaggio che, secondo la continua aspettativa del sognante, dovrà
finire per rivelarsi come il vero eroe.
La prima di queste figure è una scimmia bianca, la seconda
un marinaio, la terza un giovane in nero e l'ultima un “giovane di
bell'aspetto”. Nella prima parte della rappresentazione, che si suppone
descriva la prova del marinaio, il sognante vede solo la scimmia bianca.
L'uomo in nero appare d'improvviso e altrettanto improvvisamente
scompare; è una figura nuova che dapprima contrasta con la scimmia
bianca e in seguito viene momentaneamente confusa con l'eroe vero e
proprio. (Questo tipo di confusione non è insolito nei sogni: il
sognante si vede presentare dall'inconscio immagini spesso tutt'altro
che chiare ed è quindi costretto a districare un qualche significato da
una catena di contrasti e di paradossi.)
Significativamente, queste figure appaiono nel corso di una
rappresentazione teatrale e tale contesto sembra rappresentare un
diretto riferimento del sognante al proprio trattamento per mezzo
dell'analisi: la “guida” da lui menzionata è probabilmente l'analista.
Tuttavia egli non si vede nei panni di un paziente sottoposto a un
trattamento medico, bensì nel ruolo di “uno spettatore importante la cui
opinione viene rispettata”. È questa la posizione di vantaggio dalla
quale egli vede certe figure che vengono da lui associate all'esperienza
della crescita. La scimmia bianca, per esempio, gli riporta alla mente
il comportamento giocoso e un po' sfrenato dei ragazzi fra i sette e i
dodici anni. Il marinaio simboleggia lo spirito avventuroso della prima
adolescenza, e insieme gli “scapaccioni” presi come punizione di qualche
azione irresponsabile. Il paziente non riusciva a realizzare alcuna
associazione per quanto riguardava il giovane vestito di nero, mentre il
giovane di bell'aspetto in procinto di essere sacrificato veniva da lui
considerato come un ricordo dell'idealistico atteggiamento di
autosacrificio caratteristico della tarda adolescenza.
A questo punto è possibile connettere insieme il materiale
storico (o le immagini eroiche archetipiche) e i dati ricavati
dall'esperienza personale del sognante per vedere in che misura essi si
corroborino, si contraddicano, ovvero si qualifichino a vicenda.
La prima conclusione, possibile è che la scimmia bianca
rappresenti l'Imbroglione - o almeno quei tratti della personalità che
gli Indiani Winnebago attribuiscono all'Imbroglione. Secondo me,
tuttavia, la scimmia simboleggia in più qualcosa che il sognante non ha
personalmente e adeguatamente sperimentato: egli afferma infatti di
essere stato nel sogno un semplice spettatore. Venni a scoprire che da
bambino egli era stato eccessivamente attaccato ai genitori e che era di
natura introspettiva. Per questi motivi non era mai riuscito a
sviluppare pienamente quel tipo di comportamento chiassoso che è
caratteristico dell'ultima infanzia, né si era mai associato ai giochi
dei compagni di scuola. Mai si era abbandonato a quelle burle e
monellerie che rendono il comportamento dei ragazzi tanto simile a
quello scherzoso delle scimmie. Questo è il senso vero dell'immagine: la
scimmia del sogno è di fatto nient'altro che l'Imbroglione tradotto in
forma simbolica.
Ma per quale ragione l'Imbroglione appariva come una
scimmia? E perché era bianca? Come ho già rivelato, il mito degli
Indiani Winnebago racconta che, verso la fine del ciclo, l'Imbroglione
comincia ad assumere il sembiante fisico di un uomo. Ebbene, qui, nel
sogno, esso assume l'aspetto di una scimmia - un animale, cioè, tanto
simile all'uomo da rappresentarne una caricatura ridicola e
nient'affatto pericolosa. Il paziente non riusciva a offrire alcuna
associazione personale per spiegare come mai la scimmia fosse bianca.
Però in base alla nostra conoscenza del simbolismo primitivo possiamo
congetturare che il colore bianco assegni uno speciale requisito di
“somiglianza divina” a una figura altrimenti del tutto banale. (L'albino
viene considerato sacro in molte comunità primitive.) Ciò si adegua
assai bene alle qualità semidivine o semimagiche dell'Imbroglione.5
In conclusione, a quanto sembra, la scimmia bianca
simboleggia per il sognante la positiva qualità della giocosità
infantile che egli non aveva sufficientemente accettato da bambino e che
ora gli si ripropone invece in termini di esaltazione. Come ci rivela
il sogno, egli la colloca “su un piedistallo”, dove essa diviene
qualcosa di più della perduta esperienza infantile pura e semplice. Essa
è ormai divenuta per l'uomo adulto un simbolo di sperimentalismo
creativo.
In seguito nasce la confusione intorno alla figura della
scimmia. Si tratta di una scimmia o di un marinaio costretto ad
affrontare le percosse? Le associazioni del sognante indicano da sole il
significato di questa trasformazione. In ogni caso la fase successiva
di sviluppo umano segna il passaggio dall'irresponsabilità dell'infanzia
a un periodo di socializzazione, e ciò comporta la sottomissione a una
gravosa disciplina. Si potrebbe così dire che il marinaio rappresenta
una versione più avanzata dell'Imbroglione, che si viene
progressivamente mutando in una persona socialmente responsabile
attraverso una prova di iniziazione. Rifacendoci alla storia del
simbolismo, possiamo supporre che il vento rappresenti gli elementi
naturali di questo processo e che le percosse indichino gli elementi di
derivazione umana.
A questo punto abbiamo, dunque, un diretto riferimento al
processo descritto dagli Indiani Winnebago nel ciclo della Lepre, in cui
l'eroe della stirpe è rappresentato come una figura debole eppure
pugnace, pronta a sacrificare la fanciullezza per consentire uno
sviluppo ulteriore. Ancora una volta, in questa fase del sogno, il
paziente viene riconoscendo la mancanza di una sua esperienza piena di
un aspetto importante della fanciullezza e della prima adolescenza. Egli
non conobbe la spensierata giocosità dei bambini e neppure le forme di
comportamento più irresponsabile dei giovani teenager ed è perciò che
egli va in cerca di quei modi in cui queste esperienze perdute e queste
qualità personali possono venire riabilitate.
Subito dopo si verifica un curioso cambiamento nel sogno:
compare il giovane vestito in nero e per un momento il sognante pensa
che questi sia il “vero eroe”. Ciò è tutto quello che sappiamo sul conto
dell'uomo in nero; tuttavia questa fugace apparizione introduce un tema
di profonda importanza - un tema che ricorre frequentemente nei sogni.
Si tratta del concetto dell'“ombra” che svolge un ruolo di
vitale importanza nella psicologia analitica. Il dottor Jung ha messo in
evidenza come l'ombra proiettata dalla mente conscia contenga gli
aspetti nascosti, rimossi e spiacevoli (o nefasti) della personalità.
Tuttavia questa oscurità non rappresenta semplicemente il contrario
dell'ego cosciente: infatti, come l'ego contiene atteggiamenti
spiacevoli e distruttivi, così l'ombra possiede a sua volta buone
qualità - istinti normali e impulsi creativi. Inoltre l'ego e l'ombra,
benché separati, sono inestricabilmente legati fra loro allo stesso modo
che il pensiero e il sentimento sono connessi l'un l'altro.
Ciò nonostante l'ego è in conflitto con l'ombra, in quella
che una volta il dottor Jung ha chiamato la “battaglia per la
liberazione”.6
Nella lotta ingaggiata dall'uomo primitivo per raggiungere la coscienza, tale conflitto viene espresso dal contrasto fra l'eroe archetipico e le potenze cosmiche del male, personificate da dragoni e da mostri di altro tipo. Nel processo di sviluppo della coscienza individuale, la figura dell'eroe simboleggia i mezzi coi quali l'ego emergente vince l'inerzia della mente inconscia, liberando così l'uomo maturo dal desiderio regressivo di tornare allo stato felice dell'infanzia in un mondo dominato dalla figura materna.
Nella lotta ingaggiata dall'uomo primitivo per raggiungere la coscienza, tale conflitto viene espresso dal contrasto fra l'eroe archetipico e le potenze cosmiche del male, personificate da dragoni e da mostri di altro tipo. Nel processo di sviluppo della coscienza individuale, la figura dell'eroe simboleggia i mezzi coi quali l'ego emergente vince l'inerzia della mente inconscia, liberando così l'uomo maturo dal desiderio regressivo di tornare allo stato felice dell'infanzia in un mondo dominato dalla figura materna.
Di solito, in mitologia, l'eroe vince la propria battaglia
contro il mostro. (Su questo punto mi soffermerò in seguito.) Tuttavia
ci sono altri miti eroici nei quali il protagonista viene sopraffatto
dal mostro. Un caso familiare è quello di Giona e della balena, in cui
l'eroe viene ingoiato da un mostro marino che lo trasporta, in un
viaggio notturno, da occidente ad oriente, simboleggiando in tal modo la
concezione comune dell'itinerario del sole dal tramonto all'alba.
L'eroe penetra nell'oscurità che rappresenta una specie di morte. Ho
ritrovato questo tema in vari sogni da me analizzati nel corso della mia
esperienza clinica.
La battaglia fra l'eroe e il dragone rappresenta la forma
più attiva di questo mito e quella che mostra più chiaramente il tema
archetipico del trionfo dell'ego sulle tendenze regressive. Per la
maggior parte delle persone il lato oscuro o negativo della personalità
rimane al livello inconscio. L'eroe, al contrario, deve rendersi conto
necessariamente che l'ombra esiste e che egli può avvantaggiarsene. Egli
deve venire a patti con le forze distruttive che essa racchiude se vuol
diventare terribile abbastanza da vincere il dragone. In altre parole,
prima che l'ego possa trionfare è necessario che esso riesca a dominare e
ad assimilare l'ombra.
Lo stesso tema è reperibile, incidentalmente, in una ben
nota figura letteraria di eroe: il personaggio goethiano di Faust.
Nell'accettare la scommessa di Mefistofele, Faust si mette in balìa del
potere di una figura “ombra”, che Goethe descrive come “parte di quella
potenza che, con il consenso del male, perviene al bene”. Nello stesso
modo del paziente di cui sono venuto discutendo il sogno, Faust si era
sottratto dal vivere pienamente una parte importante della sua vita
giovanile. Di conseguenza egli era un personaggio irreale o incompleto
perdutosi tutto nella inane ricerca di un fine metafisico che non si
sarebbe mai realizzato. Egli non si rassegnava ad accettare la sfida
della vita nella sua compresenza di bene e di male.
È a quest'aspetto dell'inconscio che sembra riferirsi la
figura del giovane in nero del sogno del mio paziente. Questo ricordo
del lato-ombra della propria personalità, del suo forte potenziale e del
suo ruolo nella preparazione dell'eroe alle future battaglie della
vita, costituisce una transizione essenziale dalle prime parti del sogno
al tema dell'eroe sacrificale: il giovane di bell'aspetto, cioè che si
distende sull'altare. Questa figura rappresenta quella forma di eroismo
che risulta comunemente associata al processo di costruzione dell'ego
della tarda adolescenza. È in questo periodo che l'uomo esprime i
principi ideali della propria vita, avvertendo la loro capacità sia di
trasformarlo personalmente, sia di imprimere una diversa direzione ai
suoi rapporti con gli altri. Egli si trova, per così dire, nel fiore
della giovinezza; è attraente, pieno di energia e di idealismo. Perché,
allora, si offre spontaneamente al sacrificio?
La ragione, presumibilmente, è la stessa per la quale i
Gemelli del mito Winnebago finiscono per rinunciare alla loro potenza,
pena il proprio annientamento. L'idealismo della giovinezza, che stimola
tanto a fondo, è in definitiva suscettibile di infondere una eccessiva
fiducia nelle nostre forze: l'ego dell'uomo può esaltarsi fino a
sperimentare attributi divini, ma solo al prezzo di spezzare le proprie
naturali barriere e di condannarsi alla fine. (Questo è il significato
della leggenda di Icaro, del giovane, cioè, che si innalza su nel cielo
spinto dalle fragili ali di fattura umana ma che, volando troppo vicino
al sole, precipita incontrando la morte.) Tuttavia l'ego giovanile deve
sempre correre questo rischio, poiché se un giovane non lotta per
conseguire uno scopo superiore a quello che gli è tranquillamente a
portata di mano, egli non sarà in grado di superare gli ostacoli che gli
si frappongono nel passaggio dall'adolescenza alla maturità.
Fino a questo punto sono venuto esponendo le conclusioni
che, al livello delle sue associazioni personali, il mio paziente era in
grado di ricavare dal proprio sogno. Però sussiste anche un livello
archetipico nel sogno - il mistero della profferta del sacrificio umano.
Proprio perché si tratta di un mistero, esso è espresso in un atto
rituale che, col suo simbolismo, ci riporta molto indietro nella storia
dell'uomo. Nella scena dell'uomo disteso su un altare troviamo il
riferimento a un atto ancor più primitivo di quelli compiuti sulla
pietra dell'altare del tempio di Stonehenge. Su di esso, come, del
resto, su molti altari primitivi, possiamo immaginarci facilmente la
scena della celebrazione di qualche primitivo rito solstiziale combinato
con la morte e la resurrezione di un eroe mitologico.
Il rituale reca con sé l'espressione di un dolore che è,
allo stesso tempo, una specie di gioia, un intimo riconoscimento del
fatto che la morte conduce anche a una nuova vita. Sia che esso venga
espresso nella prosa epica degli Indiani Winnebago, in un lamento per la
morte di Balder nelle saghe norvegesi, nelle poesie di Walt Whitman in
morte di Abraham Lincoln, oppure nel rituale onirico attraverso il quale
un uomo recupera i propri timori e le proprie speranze giovanili, si
tratta pur sempre dello stesso tema: il dramma di una nuova nascita
attraverso la morte.
L'ultima parte del sogno rivela un curioso epilogo, nel
corso del quale il sognante viene coinvolto direttamente nell'azione
rappresentata dal sogno. Egli si trova con altre persone su una
piattaforma dalla quale devono scendere. Egli non si arrischia lungo la
scala a pioli temendo il possibile intervento dei teppisti, ma una donna
lo incoraggia a credere che sia possibile scendere, e così avviene.
Poiché, come mi ero reso conto analizzando le sue associazioni, l'intera
rappresentazione alla quale egli aveva assistito faceva parte della sua
analisi - un processo di cambiamento interiore che il paziente stava
attualmente sperimentando - egli pensava presumibilmente alla difficoltà
di tornare ad affrontare la realtà di tutti i giorni. La sua paura dei
“malviventi”, come egli li chiama, suggerisce il suo timore che
l'Imbroglione archetipico possa apparire in una forma collettiva.
Gli elementi di salvezza indicati dal sogno sono la scala,
che qui probabilmente simboleggia la mente razionale, e la presenza
della donna, che incoraggia il sognante a farne uso. La sua apparizione
nella sequenza finale del sogno rivela la necessità psichica di
includere un principio femminile come complemento di tutta questa
attività eccessivamente maschile.
Da quanto sono venuto dicendo non si deduca che, per il
fatto di aver scelto il mito degli Indiani Winnebago per illustrare
questo sogno particolare, ci si debba attendere un parallelismo
integrale e meccanico fra ogni singolo sogno e i vari materiali che sono
reperibili nella storia della mitologia. Ciascun sogno si riferisce
individualmente al sognante, e la forma specifica da esso assunta è
determinata dalla particolare situazione nella quale il soggetto si
trova. Ciò che ho cercato di mostrare sono le guise in cui l'inconscio
attinge questo materiale archetipico e viene modificando le sue
strutture secondo le necessità del sognante. Perciò, nel caso di questo
sogno in particolare, non si deve cercare un riferimento diretto a ciò
che gli Indiani Winnebago descrivono nel ciclo di Corno Rosso o dei
Gemelli; il riferimento va cercato piuttosto con l'essenza di questi due
temi - con l'elemento sacrificale, cioè, in essi implicito.
Come regola generale si può dire che il bisogno di
ricorrere a simboli eroici nasce quando l'ego sente la necessità di
rafforzarsi - quando, in altre parole, la mente conscia ha bisogno di
assistenza nell'assolvimento di qualche compito che essa non è in
condizioni di eseguire senza aiuto o senza attingere a quelle sorgenti
di forza che risiedono nella mente inconscia. Nel sogno che sono venuto
discutendo, per esempio, non figurava alcun riferimento a uno dei più
importanti aspetti del mito dell'eroe tipico - alla sua capacità, cioè,
di salvare o di proteggere belle donne da terribili pericoli. (Quello
della fanciulla in pericolo era un mito ricorrente nell'Europa
medievale.) Questo è uno dei tanti modi in cui i miti o i sogni si
riferiscono all'anima - cioè all'elemento femminile della psiche
maschile che Goethe definì l'“eterno femminino”.
La natura e la funzione di questo elemento femminile
verranno discusse in seguito dalla dottoressa von Franz. Tuttavia il suo
rapporto con la figura dell'eroe può essere illustrato fin da ora per
mezzo di un sogno prodotto da un altro paziente, anch'egli di età
matura. Egli cominciò il suo lungo racconto dicendo:
Ero appena tornato da un lungo viaggio in India. Una donna
aveva provveduto a equipaggiare me e un mio amico per il viaggio e al
ritorno la rimproverai per non averci fornito dei cappelli da pioggia
neri, dicendole che per questa sua dimenticanza ci eravamo inzuppati di
pioggia.
In seguito emerse che questa introduzione al sogno si
riferiva a un periodo della giovinezza del paziente nel quale egli si
era dato a compiere gite “eroiche” in pericolose zone di montagna in
compagnia di un compagno di studi. (Poiché egli non era mai stato in
India, sulla base delle sue personali associazioni a questo sogno
conclusi che il viaggio indicato dal sogno significava l'esplorazione di
una regione sconosciuta - cioè, non un paese reale ma il mondo
dell'inconscio.)
Dal sogno si ricava che il paziente pensa che una donna -
presumibilmente una personificazione della propria anima - non abbia
provveduto a prepararlo adeguatamente per questa spedizione. La mancanza
di un copricapo adatto fa pensare che egli si senta mentalmente
indifeso, in una disagiata situazione prodotta dal confronto diretto con
esperienze nuove e per nulla piacevoli. Egli è del parere che la donna
avrebbe dovuto procurargli un copricapo, allo stesso modo che sua madre
gli forniva, da bambino, gli abiti con cui vestirsi. Questo episodio
ricorda i suoi vagabondaggi picareschi, allorché si sentiva sostenuto
dall'idea che la madre (l'immagine femminile originaria) lo avrebbe
protetto contro tutti i pericoli. Crescendo, si era reso conto che si
trattava di una semplice illusione infantile, e ora egli rimprovera la
propria sfortuna alla sua anima, non a sua madre.
Nella seconda parte del sogno il paziente dice di aver
partecipato a una gita con un gruppo di altre persone. A un certo punto
si sente stanco e allora ritorna a un ristorante all'aperto, dove si
trova l'impermeabile insieme al copricapo che precedentemente non era
riuscito ad avere. Si siede per riposare e, nel far così, nota un
manifesto su cui è scritto che un alunno della locale scuola media
recita la parte di Perseo in un'opera teatrale. Quindi appare il ragazzo
in questione - che si rivela però non come tale, bensì come un giovane
robusto. Indossa un abito grigio con un cappello nero e si siede a
parlare con un altro giovane vestito di nero. Immediatamente dopo avere
assistito a questa scena, il sognante avverte un nuovo vigore in tutta
la persona e si rende conto di essere in grado di ricongiungersi al
resto della comitiva. Tutti insieme allora salgono su una collina
vicina; di lassù il paziente scorge la destinazione del gruppo: una
bella città portuale. Egli si sente rincuorato e ringiovanito da questa
scoperta.
Qui, al contrario del primo episodio in cui è rappresentato
un viaggio logorante, scomodo e solitario, il sognante si trova in un
gruppo di persone. Il contrasto segna il cambiamento da una struttura
primitiva di isolamento e di protesta giovanile all'influenza
socializzatrice di un rapporto con altre persone. Poiché ciò implica
corrispondentemente una capacità nuova di contrarre rapporti sociali, si
deduce che l'anima del paziente deve funzionare meglio che nel passato -
elemento, questo, simboleggiato dal ritrovamento del cappello mancante
che la figura rappresentativa dell'anima non aveva provveduto a
fornirgli in precedenza.
Tuttavia il sognante è stanco e la scena al ristorante
riflette il bisogno che egli avverte di considerare i suoi atteggiamenti
precedenti in una luce nuova, con la speranza di rinnovare, per mezzo
di tale regressione, la propria energia. E così avviene. La prima cosa
che egli vede è un manifesto che annuncia l'interpretazione del ruolo di
un eroe giovanile in un'opera teatrale: quella di un alunno di scuola
media che recita nei panni di Perseo. Successivamente egli vede il
ragazzo, ora trasformato in uomo, in compagnia di un amico che,
all'aspetto, contrasta nettamente con lui. Il primo è vestito di grigio
chiaro, il secondo di nero: entrambi possono essere considerati, per
quanto sono venuto dicendo precedentemente, come una versione dei
Gemelli. Essi sono figure eroiche rappresentative del contrasto fra ego e
alter-ego, qui descritti, tuttavia, come solidali in una relazione
reciproca armonica e unitaria.
Le associazioni elaborate dal paziente portarono alla
conferma di questo punto rilevando, in particolare, come la figura in
grigio rappresenti un atteggiamento esistenziale mondano e bene
adattato, mentre la figura in nero rappresenta la vita spirituale, con
riferimento al fatto che i preti vestono di nero. Il fatto, poi, che
portassero il cappello (e anche il sognante, a questo punto, era
riuscito a trovare il proprio) indica che essi avevano ormai raggiunto
una identità relativamente matura - identità di cui il sognante aveva
sentito profondamente la mancanza nei primi anni dell'adolescenza,
allorché le qualità tipiche dell'Imbroglione erano ancora radicate alla
sua natura, nonostante che egli tendesse a considerarsi idealisticamente
come un cercatore di saggezza.
La sua associazione all'eroe greco Perseo era singolare e
si rivelò particolarmente significativa poiché denunciava una evidente
inesattezza. Risultò infatti che il paziente pensava a Perseo come
all'uccisione del Minotauro e al salvatore di Arianna dal labirinto di
Creta. Mentre scriveva il nome scoprì il suo errore - che, cioè, era
stato Teseo, non Perseo, a uccidere il Minotauro - e tale errore divenne
subito significativo perché, come avviene sovente con questo tipo di
sviste, fece risaltare al paziente ciò che i due eroi avevano in comune.
Essi avevano dovuto entrambi vincere la loro paura di inconsce forze
demoniache materne e liberare da esse una giovane donna.
Perseo dovette tagliare la testa della Medusa, il mostro
dall'aspetto terrificante, con serpenti al posto dei capelli, che
trasformava in pietra chiunque rivolgesse loro lo sguardo, e
successivamente uccise il drago che teneva prigioniera Andromeda. Teseo
rappresentava il giovane spirito patriarcale di Atene che dovette
affrontare i terribili pericoli del labirinto cretese con il suo ospite
mostruoso, il Minotauro, probabilmente il simbolo della profonda
decadenza in cui era piombata la civiltà matriarcale di Creta.7
(In tutte le civiltà il labirinto sta a rappresentare in una guisa contorta e confusa il mondo della coscienza matriarcale; esso può essere penetrato solo da coloro che siano preparati a ricevere una speciale iniziazione al mondo misterioso dell'inconscio collettivo.) 8
Dopo aver superata questa prova rischiosa, Teseo portò in salvo Arianna, una fanciulla in pericolo. Questo salvataggio simboleggia la liberazione della figura dell'anima dall'aspetto divorante dell'immagine materna. Finché essa non si è realizzata l'uomo è incapace di entrare positivamente in rapporto con le altre donne. Il fatto che il paziente non fosse riuscito a separare adeguatamente l'anima dalla madre viene messo in evidenza da un altro sogno in cui egli si trovò di fronte a un drago, cioè all'immagine simbolica dell'aspetto “divorante” del suo attaccamento alla madre. Il drago si era messo a inseguirlo e poiché non aveva alcuna arma per difendersi il sognante cominciava ad avere la peggio.
(In tutte le civiltà il labirinto sta a rappresentare in una guisa contorta e confusa il mondo della coscienza matriarcale; esso può essere penetrato solo da coloro che siano preparati a ricevere una speciale iniziazione al mondo misterioso dell'inconscio collettivo.) 8
Dopo aver superata questa prova rischiosa, Teseo portò in salvo Arianna, una fanciulla in pericolo. Questo salvataggio simboleggia la liberazione della figura dell'anima dall'aspetto divorante dell'immagine materna. Finché essa non si è realizzata l'uomo è incapace di entrare positivamente in rapporto con le altre donne. Il fatto che il paziente non fosse riuscito a separare adeguatamente l'anima dalla madre viene messo in evidenza da un altro sogno in cui egli si trovò di fronte a un drago, cioè all'immagine simbolica dell'aspetto “divorante” del suo attaccamento alla madre. Il drago si era messo a inseguirlo e poiché non aveva alcuna arma per difendersi il sognante cominciava ad avere la peggio.
Significativamente, tuttavia, a questo punto del sogno
apparve la moglie e la sua semplice presenza fece diventare il drago più
piccolo e meno minaccioso. Ciò significa che, attraverso il matrimonio,
il sognante aveva cominciato a vincere, sia pure tardivamente, il
proprio attaccamento verso la madre. In altre parole, egli doveva
trovare il modo di liberare l'energia psichica associata al rapporto
madre-figlio allo scopo di entrare in un più maturo rapporto con le
altre donne e con la società adulta nel suo complesso. La battaglia fra
l'eroe e il drago costituiva l'espressione simbolica di questo processo
di “crescita”.
Però l'impresa dell'eroe ha uno scopo che va al di là del
riferimento con l'aggiustamento biologico e maritale puro e semplice: si
tratta, cioè, di liberare l'anima, intesa come quella componente
interiore della psiche che è necessaria per ogni vera operazione
creativa. Nel caso di questo paziente, noi dobbiamo però limitarci a
congetturare semplicemente tale evenienza, poiché essa non è
direttamente precisata nel sogno del viaggio in India. Tuttavia sono
certo che il paziente confermerebbe la mia ipotesi secondo la quale la
gita sulla collina e la vista di una tranquilla città portuale come
destinazione contenevano la ricca promessa della scoperta dell'autentica
funzione della sua anima. Ciò porta alla scomparsa del suo risentimento
per non avere ricevuto dalla donna adeguata protezione (il cappello)
per il viaggio in India. (Nei sogni le immagini di città situate in
regioni significative possono essere spesso simboli dell'anima.)
L'uomo trova così quel senso di sicurezza promesso dal
sogno per mezzo del contatto con l'autentica figura archetipica
dell'eroe, e assume un nuovo atteggiamento, cooperativo e socievole,
verso il gruppo. Da ciò deriva naturalmente la sua sensazione di
ringiovanimento. Il sognante ha attinto alla profonda sorgente di forza
rappresentata dall'archetipo dell'eroe; è venuto chiarificando e
sviluppando quella parte di sé che è simboleggiata dalla donna; infine,
grazie all'atto eroico del proprio ego, egli si è affrancato dalla
madre.
Questo e molti altri esempi della presenza del mito eroico
nei sogni moderni mostrano che l'ego, in quanto eroe, è sempre
essenzialmente un produttore di civiltà piuttosto che un semplice
esibizionista egocentrico. Perfino l'Imbroglione, col procedere confuso e
casuale che gli è caratteristico, collabora all'organizzazione del
cosmo, così come lo concepisce l'uomo primitivo. Nella mitologia degli
Indiani Navaho dove è raffigurato come coyote, esso compie un atto di
creazione, quello di scagliare le stelle nel cielo, inventa la
necessaria contingenza della morte e nel mito dell'apparizione aiuta gli
uomini a fuggire per mezzo di una canna forata da un mondo a un altro
più elevato, dove sono finalmente liberi dalla minaccia
dell'inondazione.9
Abbiamo qui un riferimento a quella forma di evoluzione
creatrice che evidentemente si avvia a un livello infantile, preconscio o
animale di esistenza. Il passaggio dell'ego a effettive azioni
coscienti si presenta chiaramente nel caso dell'eroe fondatore di
civiltà. Nello stesso modo l'ego infantile o adolescente si libera
progressivamente dall'oppressione delle speranze parentali e diventa
individuale. In questo processo di ascesa verso la coscienza la
battaglia fra eroe e drago può anche dover essere combattuta più volte
allo scopo di liberare l'energia necessaria per tutta quella moltitudine
di imprese umane che, sole, possono organizzare dal caos la struttura
di una civiltà.10
Quando la battaglia riesce definitivamente vittoriosa,
vediamo emergere a tutto rilievo l'immagine dell'eroe intesa come quel
particolare grado di forza dell'ego (o, se parliamo in termini
collettivi, di identità tribale) che non ha più avversari né fra mostri
né fra giganti. Si è giunti, cioè, al punto in cui tutte queste forze
oscure possono essere personalizzate. L'“elemento femminile” non appare
più nei sogni sotto le spoglie di un drago ma in quelle di una donna;
analogamente, il lato “ombra” della personalità cessa di presentarsi in
una forma troppo minacciosa.
Ciò è bene illustrato nel sogno di un uomo di circa
cinquant’anni. Per tutta la vita egli aveva sofferto di periodici
attacchi di ansietà associati alla paura di fallire in tutte le sue
attività. (Questa paura gli era stata originariamente insinuata dalla
madre, una donna piena di insicurezza.) Eppure la sua posizione attuale,
sia in campo professionale sia sul piano delle relazioni personali, era
nettamente superiore alla media. In sogno gli era apparso il figlio di
nove mesi: aveva l'aspetto di un giovane di diciotto o diciannove anni e
indossava la lucente armatura di un cavaliere medievale. Il giovane
dovrebbe lottare contro una fitta schiera di uomini vestiti di nero e in
un primo tempo sembra prepararsi allo scontro. Ma, improvvisamente, si
toglie l'elmo e sorride al condottiero della schiera nemica: è chiaro
che non verranno a battaglia fra di loro e che anzi diventeranno amici.
In questo sogno il bambino rappresenta l'ego giovanile del
paziente, che si era sentito frequentemente minacciato dall'ombra sotto
forma di dubbi sulle proprie capacità. In un certo senso, si può dire
che quest'uomo avesse intrapreso una vittoriosa crociata contro tale
nemico negli anni della sua maturità. A questo punto, in parte
attraverso il positivo incoraggiamento che gli deriva dal vedere il
proprio figliolo crescere senza tali insicurezze, in parte, soprattutto,
formandosi un'immagine adeguata dell'eroe secondo i requisiti della
struttura ambientale in cui vive attualmente, il paziente non vede più
la necessità di combattere l'ombra e l'accetta semplicemente. Ciò è
quanto viene simboleggiato nel gesto di amicizia. Quest'uomo non si
sente più spinto a una lotta competitiva per l'affermazione della
supremazia individuale, ma anzi si adegua al compito civile di creare
una comunità di tipo democratico. Una conclusione di questo tipo,
raggiunta nella pienezza della vita, supera il significato puro e
semplice dell'impresa eroica e porta l'individuo ad assumere un
atteggiamento positivamente maturo.
Questo cambiamento, tuttavia, non avviene automaticamente:
esso richiede un periodo di transizione che si esprime nelle varie forme
dell'archetipo d'iniziazione.
L'archetipo d'iniziazione
Dal punto di vista psicologico l'immagine dell'eroe non
deve essere considerata identica all'ego vero e proprio. Essa può essere
più appropriatamente descritta come il mezzo simbolico tramite il quale
l'ego si viene separando dagli archetipi evocati dalle immagini
parentali nella prima infanzia. Il dottor Jung ha affermato che ogni
essere umano possiede originariamente un sentimento di integralità, un
senso pieno e potente del Sé; e dal Sé - la totalità della psiche - vien
emergendo la coscienza individualizzata dell'ego via via che
l'individuo cresce.
Negli ultimi anni alcuni seguaci di Jung hanno cominciato a
documentare, nelle loro opere, tutta la serie di eventi attraverso i
quali l'ego individuale viene emergendo nel periodo di transizione che
va dalla prima infanzia fino alle soglie dell'adolescenza. Questa
separazione porta sempre con sé una grave frattura del sentimento
originario di integralità. Perciò l'ego deve continuamente tornare a
ristabilire il proprio rapporto con il Sé per garantire il livello di
salute psichica.
Da quando sono venuto dicendo finora dovrebbe risultare
chiaro che il mito dell'eroe costituisce il primo stadio nel processo di
differenziazione della psiche. Ho indicato come tale processo sembri
svolgersi lungo un quadruplice ciclo attraverso il quale l'ego cerca di
raggiungere una relativa autonomia rispetto all'originaria condizione
d'integralità. Se questa autonomia, in un grado o nell'altro, non viene
conseguita, l'individuo è incapace di adeguarsi al proprio ambiente
adulto. Tuttavia il mito dell'eroe non garantisce in modo assoluto
questa liberazione: esso si limita solo a mostrare che è possibile e che
grazie a essa l'ego può raggiungere la coscienza. Resta, a questo
punto, il problema di conservare e di sviluppare la coscienza in guise
significative, in modo che l'individuo possa vivere una vita utile e
raggiungere nella società quel senso di autodistinzione che è
indispensabile.
La storia dell'antichità e i rituali delle società
primitive contemporanee ci hanno fornito una grande quantità di
materiale sui miti e sui riti d'iniziazione, per mezzo dei quali i
giovani di entrambi i sessi vengono sottratti alla tutela dei genitori e
resi definitivamente membri del loro clan o della loro tribù. Ma
provocando questa rottura col mondo dell'infanzia, l'archetipo parentale
originario subisce un danno che deve essere compensato attraverso un
salutare processo di assimilazione alla vita di gruppo. (L'identità del
gruppo e dell'individuo viene spesso simboleggiata da un totem animale.)
In tal modo il gruppo ripara il danno subito dall'archetipo e diventa
una specie di secondo genitore cui i giovani vengono dapprima
sacrificati simbolicamente per poi rinascere a una nuova vita.
In questa “drastica cerimonia, che assomiglia molto a un
sacrificio propiziatorio verso quelle forze che potrebbero riportare il
giovane al suo stato originario”, come ha detto il dottor Jung, possiamo
renderci conto di come la potenza dell'archetipo originario non possa
mai essere debellata definitivamente, nel modo raffigurato nella
battaglia fra l'eroe e il drago, senza che si avverta un mutilante senso
di alienazione dalle benefiche forze dell'inconscio. Nel mito dei
Gemelli abbiamo visto come la loro hybris, indicativa di una eccessiva
separazione fra ego e Sé, abbia infine trovato un correttivo nella paura
delle conseguenze, che reintroduce i Gemelli in una armonica relazione
ego-Sé.
Nelle società tribali il rito d'iniziazione serve a
risolvere in modo molto efficace questo problema. Il rituale riconduce
il novizio al più basso livello di identità originaria madre- bambino o
ego-Sé, costringendolo così a sperimentare una morte simbolica. In altre
parole, la sua identità viene temporaneamente smembrata o dissolta
nell'inconscio collettivo. Da questo stato egli viene in seguito
riscattato attraverso il rito della nuova nascita. Questo è il primo
atto di un consolidamento sociale genuino dell'ego nell'ambito più vasto
del gruppo, espresso da un totem, un clan, una tribù o le tre cose
insieme.
Il rituale, nei gruppi tribali come nelle società a
struttura più complessa, insiste invariabilmente su questo rito della
morte e della rinascita, che permette al novizio il “passaggio” da una
fase all'altra della vita, sia che si tratti di quello dalla prima
all'ultima fase dell'infanzia, di quello corrispondente dell'adolescenza
oppure di quello che segna il trapasso dall'adolescenza alla maturità."
I processi d'iniziazione non riguardano, naturalmente, solo
la psicologia giovanile. Ogni singola fase nuova di sviluppo della vita
di un individuo è associata alla ripetizione del conflitto originario
fra le esigenze del Sé e quelle dell'ego. Di fatto, questo conflitto si
esprime in termini più acuti nel periodo di transizione fra la prima
maturità e l'età media (fra i 35 e i 40 anni nella nostra società), che
non nelle altre fasi della vita. Anche la transizione dall'età media
alla vecchiaia ripropone la necessità di affermare la differenza fra
l'ego e la totalità della psiche: in questa occasione l'eroe riceve
l'ultimo appello all'azione in difesa della coscienza dell'ego contro
l'imminente dissoluzione della vita nella morte.
In tutti questi periodi critici l'archetipo di iniziazione
viene fortemente attivato per garantire una transizione significativa,
capace di offrire qualcosa di spiritualmente più soddisfacente dei riti
dell'adolescenza con la loro impronta secolare. Le strutture
archetipiche di iniziazione con questo significato religioso - esse sono
note fin dall'antichità come “i misteri” - presentano caratteristiche
affini a quelle di tutti i rituali ecclesiastici richiedenti un tipo
speciale di culto per la nascita, il matrimonio, la morte.
Come nel nostro studio del mito dell'eroe, così in quello
dell' iniziazione dobbiamo andare in cerca di esempi nel campo delle
esperienze soggettive degli uomini moderni e in particolare di coloro
che si sono sottoposti all'analisi. Non è cosa che debba sorprendere, il
rinvenire nell'inconscio di qualcuno che si sia rivolto per aiuto a un
medico specializzato in disordini psichici, immagini perfettamente
simili ai principali modelli d'iniziazione che ci sono noti attraverso
la storia.
Forse il tema più comune fra questi, che è dato rinvenire
nei giovani, è quello della prova di forza. Esso sembrerebbe identico a
quelli da noi già messi in evidenza nel presentare alcuni esempi di
sogni moderni che illustrano il mito dell'eroe: quali, ad esempio, il
caso del marinaio che si sottopone alla sferza del vento e alle
percosse, o quello dell'uomo che intraprende senza cappello un lungo
viaggio in India per dare una prova di capacità. Potremmo scorgere un
esempio di questo tema della sofferenza fìsica, portato alle sue estreme
conseguenze logiche, nel primo sogno da me discusso, quello, cioè, in
cui il giovane di bell'aspetto diventa figura umana sacrificale
sull'altare. Questo sacrificio fa venire alla mente la prima fase di un
rito d'iniziazione ma la sua conclusione non è chiara. Per un momento
sembrava che derogasse dallo schema del ciclo eroico e che introducesse
un tema nuovo.
Eppure c'è una profonda differenza fra il mito dell'eroe e
il rito d'iniziazione. Le figure tipiche di eroi esauriscono i loro
sforzi nell'ottenere soddisfazione alle loro ambizioni: in breve, essi
riescono vittoriosi anche se subito dopo vengono puniti o uccisi per la
loro hybris. Al contrario, il novizio che affronta l'iniziazione deve
rinunciare a ogni desiderio e ambizione e sottomettersi alla prova. Egli
deve essere disposto ad affrontarla senza alcuna speranza di successo.
Di fatto, egli deve essere pronto a morire; e benché quanto gli viene
richiesto per superare la prova possa essere non eccessivamente gravoso
(un periodo di digiuno, l'estirpazione di un dente o un tatuaggio)
oppure particolarmente doloroso (circoncisione, subincisione o altre
mutilazioni), lo scopo rimane sempre lo stesso: quello di creare
simbolicamente lo stato d'animo della morte dal quale possa scaturire lo
stato d'animo opposto, cioè della rinascita.
Un giovane di venticinque anni sognò di scalare una
montagna sulla cui cima c'era una specie di altare. Vicino all'altare
egli scorge un sarcofago e su di esso, distesa, la propria statua.
Quindi si avvicina un sacerdote velato, recante un bastone in cima al
quale brilla, dardeggiante, il disco del sole. (In seguito, discutendo
il sogno, il giovane disse che la scalata di una montagna gli ricordava
lo stesso sforzo da lui sostenuto durante l'analisi per raggiungere una
piena padronanza di sé.) Con sua grande sorpresa egli si ritrova morto e
invece di un senso di appagamento egli prova vuoto e paura. Appena
viene investito dai caldi raggi del disco solare, egli avverte un senso
di forza e di ringiovanimento.
Questo sogno mostra molto succintamente la distinzione che è
necessario fare tra rito di iniziazione e mito eroico. L'atto di
scalare la montagna sembra suggerire una prova di forza: si tratta della
volontà di raggiungere la coscienza dell'ego nella fase eroica dello
sviluppo dell'adolescenza. Evidentemente il paziente aveva pensato che
sottoporsi alla terapia equivalesse ad affrontare altre prove
tipicamente virili che egli aveva sostenuto nella stessa maniera
competitiva caratteristica dei giovani della nostra società. Ma la scena
dell'altare era intervenuta a correggere questa falsa opinione,
mostrando al sognante che il suo compito era piuttosto quello di
sottomettersi a una potenza più grande di lui. Egli deve considerarsi
come morto e sepolto in una forma simbolica (il sarcofago), che richiama
alla mente la madre archetipica contenitrice di tutta la vita. Solo
attraverso questo atto di sottomissione egli potrà vivere l'esperienza
della rinascita. Un rituale di rinvigorimento lo riporta alla vita nello
stesso modo del figlio simbolico del Padre Sole.
Anche qui potremmo confondere questa simbologia con quella
di un ciclo eroico - quello dei Gemelli, detti i “figli del Sole”. Ma in
questo caso non abbiamo alcuna indicazione che ci permetta di pensare
che l'iniziato finirà per superare se stesso. Al contrario egli apprende
una lezione di umiltà sperimentando un rito di morte e di rinascita che
segna il passaggio dalla sua giovinezza alla maturità.
Secondo la sua effettiva età cronologica egli avrebbe già
dovuto compiere questo passaggio, ma nella sua vita precedente c'è un
lungo periodo di arresto dello sviluppo. Questo ritardo lo aveva fatto
piombare in una nevrosi per guarire della quale era ricorso al
trattamento, e il sogno gli aveva fornito lo stesso saggio consiglio che
avrebbe potuto essergli dato da qualunque abile stregone di tribù -
quello, cioè, di rinunciare a scalare montagne per dare prova della sua
forza e di sottomettersi al rituale significativo di un cambiamento
iniziatorio che lo avrebbe posto in condizione di affrontare le nuove
responsabilità morali della virilità.
Il tema della sottomissione intesa come atteggiamento
essenziale per promuovere un utile rito d'iniziazione è evidentissimo
nel caso di ragazze o di donne.12 In esse il rito del passaggio tende
inizialmente a porre in risalto la loro fondamentale passività, e ciò
viene rafforzato dalla limitazione fisiologica della loro autonomia
imposta dal ciclo mestruale.
È stato detto che il ciclo mestruale può rappresentare, dal
punto di vista femminile, l'elemento essenziale del processo
d'iniziazione, poiché esso ha la capacità di svegliare il più profondo
senso di obbedienza verso la potenza creatrice della vita che domina la
donna. Di conseguenza essa si dedica volontariamente alle proprie
funzioni femminili, così come l'uomo si dedica all'assolvimento del
ruolo che gli spetta nella vita comunitaria del gruppo a cui appartiene.
D'altra parte, la donna presenta, non meno dell'uomo, la
tendenza a compiere quelle prime prove di forza che la condurranno al
sacrificio finale per la volontà di sperimentare una nuova nascita. Tale
sacrificio consente alla donna di liberarsi dall'impaccio delle
relazioni personali e la mette in condizione di svolgere un ruolo più
consapevole come individuo di pieno diritto. Al contrario, il sacrificio
dell'uomo è una resa del suo sacro spirito d'indipendenza: in seguito a
esso egli si lega in maniera più consapevole alla donna.
A questo punto bisogna prendere in considerazione
quell'aspetto dell'iniziazione che pone in rapporto l'uomo con la donna e
viceversa in termini tali da correggere ogni specie di originaria
opposizione maschio-femmina. La conoscenza maschile (Logos) incontra la
capacità di rapporto femminile (Eros) e la loro unione è rappresentata
nel rituale simbolico di un matrimonio sacro, che è stato al centro dei
riti d'iniziazione fin dalle sue origini nelle religioni misteriche
dell'antichità. Tuttavia si tratta di un punto che l'uomo moderno
comprende con difficoltà e spesso comporta una crisi particolare nella
sua vita quando egli viene indotto a coglierne il senso.
Diversi pazienti sono venuti a raccontarmi sogni nei quali
il motivo del sacrificio è combinato con quello del matrimonio sacro.
Uno di questi apparteneva a un giovane che si era innamorato, ma che
esitava a sposarsi per timore che il matrimonio si trasformasse per lui
in una specie di prigione governata da una dispotica figura materna. La
madre aveva esercitato una profonda influenza sulla sua infanzia, e la
futura suocera presentava una personalità altrettanto minacciosa. Non
poteva darsi che la futura moglie riuscisse a dominarlo nello stesso
modo che queste madri erano riuscite a dominare i propri figli?
Nel sogno egli si vedeva impegnato in una danza rituale
alla quale partecipavano un uomo e altre due donne, una delle quali era
la sua fidanzata. Gli altri due erano una coppia di coniugi più anziani,
che impressionarono il sognante poiché, nonostante il loro stretto
rapporto reciproco, sembravano poter manifestare le loro rispettive
differenze individuali e non apparivano possessivi. Essi, perciò,
rappresentavano per il sognante una situazione coniugale che non
imponeva alcuna indebita restrizione allo sviluppo della natura
individuale dei due sposi. Solo a patto di ritrovarsi in una condizione
come questa, egli avrebbe preso in considerazione il matrimonio come una
soluzione adatta per lui.
Nella danza rituale ciascuno degli uomini stava di fronte
alla rispettiva donna, e tutti e quattro occupavano singolarmente un
angolo di un recinto da ballo quadrato. Mentre danzavano risultò
evidente che si trattava di una specie di danza delle spade. Ognuno di
loro aveva in mano una piccola spada con la quale doveva compiere
difficili arabeschi, muovendo le braccia e le gambe in una serie di
movimenti che suggerivano impulsi alterni di aggressione e di
sottomissione reciproca. Nella scena finale tutti e quattro i danzatori
dovevano trafiggersi il petto con la spada e morire. Solo il sognante
rifiutò di compiere il suicidio finale e rimase l'unico in piedi mentre
tutti gli altri erano ormai stesi al suolo.
A questo punto egli provò una profonda vergogna per non essersi sentito disposto a sacrificarsi con gli altri.Il sogno fece capire al mio paziente che egli era tutt'altro che disposto a cambiare il proprio atteggiamento di vita. Era sempre stato un egocentrico, tutto proteso a cercare la salvezza illusoria dell'indipendenza personale, mentre intimamente continuava a essere dominato dai timori provocati dalla sua soggezione infantile alla madre. Egli sentiva il bisogno di una sfida alla propria virilità che gli dimostrasse come, non sacrificando la propria mentalità infantile, sarebbe rimasto in un vergognoso isolamento.
Il sogno e la successiva analisi del suo significato dispersero ogni suo dubbio.
Egli era passato attraverso il rito simbolico per mezzo del quale ogni giovane rinuncia alla propria esclusiva autonomia e accetta di dividere la propria vita in una forma associata, non così eroica come nel passato. Così egli si sposò e trovò un adeguato aggiustamento nei suoi rapporti con la moglie. Lungi dal pregiudicare la sua efficienza sociale, il matrimonio gliela potenziò.
A questo punto egli provò una profonda vergogna per non essersi sentito disposto a sacrificarsi con gli altri.Il sogno fece capire al mio paziente che egli era tutt'altro che disposto a cambiare il proprio atteggiamento di vita. Era sempre stato un egocentrico, tutto proteso a cercare la salvezza illusoria dell'indipendenza personale, mentre intimamente continuava a essere dominato dai timori provocati dalla sua soggezione infantile alla madre. Egli sentiva il bisogno di una sfida alla propria virilità che gli dimostrasse come, non sacrificando la propria mentalità infantile, sarebbe rimasto in un vergognoso isolamento.
Il sogno e la successiva analisi del suo significato dispersero ogni suo dubbio.
Egli era passato attraverso il rito simbolico per mezzo del quale ogni giovane rinuncia alla propria esclusiva autonomia e accetta di dividere la propria vita in una forma associata, non così eroica come nel passato. Così egli si sposò e trovò un adeguato aggiustamento nei suoi rapporti con la moglie. Lungi dal pregiudicare la sua efficienza sociale, il matrimonio gliela potenziò.
A prescindere dalle paure nevrotiche che madri e padri
invisibili si celino dietro il velo nuziale, anche il giovane normale ha
buone ragioni per sentirsi timoroso nei riguardi del rituale
matrimoniale. Si tratta in sostanza di nient'altro che di un rito
d'iniziazione della donna, in cui l'uomo può sentirsi di tutto meno che
un eroe conquistatore. Perciò non ci meraviglia il fatto di trovare,
presso le società tribali, rituali come quello dell'abduzione o del
ratto della sposa, che tendono a controbilanciare queste fobie. Essi
permettono all'uomo di attingere al fondo quanto resta del suo ruolo
eroico proprio nel momento in cui deve sottomettersi alla moglie e
assumersi le responsabilità del matrimonio.
Tuttavia il tema del matrimonio è un'immagine di tale
universalità che è possibile cogliervi anche un significato più
profondo. Esso rappresenta simbolicamente la scoperta positiva, e
persino necessaria, della componente femminile nella psiche maschile,
negli stessi termini reali in cui rappresenta l'acquisto di una moglie
in carne e ossa. Di conseguenza è possibile rinvenire questo archetipo
in uomini di tutte le età in risposta a uno stimolo appropriato.
Tuttavia, non tutte le donne reagiscono con fiducia allo
stato coniugale. Una paziente con aspirazioni inappagate di carriera,
cui aveva dovuto rinunciare per un matrimonio difficile e di breve
durata, sognò di trovarsi in ginocchio di fronte a un uomo anch'egli in
ginocchio. Questi aveva in mano un anello e si preparava a infilarglielo
al dito, ma essa aveva proteso con energia l'anulare della mano destra,
dimostrando palesemente di opporsi a questo rituale di unione maritale.
Fu facile rilevare il suo significativo errore. Invece di
offrire l'anulare della mano sinistra (con il quale avrebbe accettato
una relazione equilibrata e naturale con il principio maschile) essa
aveva erroneamente pensato di dover porre la propria identità conscia
(cioè quella rappresentata dal lato destro) interamente al servizio
dell'uomo. In realtà, il matrimonio richiedeva solo che essa
partecipasse con lui la parte subliminale, naturale di sé (cioè quella
rappresentata dal lato sinistro), e in ciò il principio del matrimonio
avrebbe avuto un significato simbolico, non letterale o assoluto. La sua
paura era quella di una donna che tema di perdere la propria identità
in un tipo di matrimonio a forte impronta patriarcale, contro il quale
la paziente aveva buone ragioni di resistere.
Ciò nonostante, il matrimonio sacro nella sua accezione
archetipica possiede un significato di particolare importanza per la
psicologia femminile, un significato per il quale le ragazze vengono
preparate durante l'adolescenza attraverso molti eventi preliminari di
carattere iniziatorio.
La Bella e la Bestia
Le ragazze della nostra società rientrano nel fenomeno
della mitizzazione eroica, tradizionalmente pertinente solo ai maschi,
poiché anch'esse, alla pari dei ragazzi, devono sviluppare una
soddisfacente identità dell'ego e acquistare una educazione. Però nei
loro sentimenti affiora un antico strato mentale che tende pur sempre a
svilupparle in donne, non a trasformarle a imitazione degli uomini.
Quando questo antico contenuto della psiche comincia ad apparire, la
giovane moderna può giungere a rimuoverlo, in quanto minaccia di
tagliarla fuori dalla emancipata parità dell'amicizia e dalla
opportunità di competere con gli uomini, che sono diventate entrambe
suoi attuali privilegi.
La rimozione può riuscire e per un po' di tempo essa
conserverà una identificazione con le aspirazioni intellettuali maschili
che ha appreso a scuola o all'università. Anche se si sposa conserverà
qualche illusione di libertà, malgrado il suo evidente atto di
sottomissione all'archetipo di matrimonio - con l'implicita ingiunzione,
in esso contenuta, di diventare madre. Può anche avvenire, come si
riscontra frequentemente oggigiorno, che alla fine si ridesti quel
conflitto che costringe la donna a riscoprire la propria sepolta
femminilità in modo penoso (anche se, in ultima analisi, compensatorio).
Ho trovato un esempio di ciò in una giovane sposata che non
aveva ancora avuto bambini ma che intendeva averne almeno uno o due,
perché così ci si aspettava da lei. Nel frattempo la sua risposta
sessuale non era soddisfacente. Ciò angustiava sia lei che suo marito,
benché nessuno di loro fosse in grado di darne una spiegazione. Si era
diplomata brillantemente presso un buon college femminile e aveva
vissuto una vita di amicizie intellettuali insieme a suo marito e ad
altri uomini. Benché questo lato della sua esistenza si mantenesse
sempre soddisfacente, essa andava soggetta a esplosioni di collera
occasionali e il suo modo aggressivo di parlare in queste circostanze le
alienava gli amici e le faceva provare un sentimento intollerabile di
insoddisfazione verso se stessa.
In questo periodo aveva avuto un sogno che le era sembrato
così importante da richiedere il parere di un medico professionista che
ne aiutasse la comprensione. Essa aveva sognato di trovarsi in una fila
insieme con altri giovani donne simili a lei, e quando si era sporta a
guardare dove stavano dirigendosi aveva veduto che ciascuna di loro,
appena arrivata in cima alla fila, veniva decapitata da una
ghigliottina. Senza provare alcun sentimento di paura, la sognante era
rimasta al suo posto, presumibilmente perché disposta senz'altro a
sottoporsi allo stesso trattamento quando fosse arrivato il proprio
turno.
Le spiegai che ciò significava che essa era matura per
rinunciare all'abitudine di “vivere solo con la testa”; essa doveva
imparare a far scoprire al proprio corpo le sue naturali risposte
sessuali e l'assolvimento del suo ruolo biologico attraverso la
maternità. Il sogno aveva espresso tutto ciò come bisogno di operare un
cambiamento drastico: essa doveva sacrificare il proprio ruolo eroico
“maschile”.
Come è facile pensare, questa donna colta non ebbe alcuna
difficoltà ad accettare tale interpretazione al livello intellettuale e
intraprese effettivamente il tentativo di trasformarsi in un tipo di
donna più sottomesso. Pertanto incrementò la propria vita amorosa e
divenne madre di due bambini. Quanto più imparava a conoscere se stessa
tanto meglio comprendeva che mentre per l'uomo (o per la mente delle
donne educata con impronta maschile) la vita è qualcosa che va presa
d'assalto, in un atto di volontà eroica, per la donna, a pensarci bene,
la vita deve costituire un processo di risveglio.
Un mito universale che esprime proprio questo tipo di
risveglio è rappresentato dalla novella della Bella e la Bestia.13
Secondo la versione più nota di questo racconto, la Bella, la minore di
quattro figlie, diventa la prediletta del padre a motivo della sua bontà
disinteressata. Allorché essa chiede al padre solo una rosa bianca, al
posto dei più ricchi regali richiesti dalle altre sorelle, in lei c'è
solo la consapevolezza della propria assoluta sincerità di sentimento.
Essa non sa che corre il rischio di mettere a repentaglio la vita del
padre e la sua relazione ideale con lui. Egli, infatti, ruba la rosa
bianca dal giardino incantato della Bestia e questi, adirato per il
furto, gli impone di tornare entro tre mesi per ricevere la punizione,
presumibilmente mortale. (Nel fare al padre questa concessione di
tornare a casa per consegnare il dono, la Bestia si comporta in
contraddizione col proprio genuino carattere, soprattutto quando arriva a
offrirsi d'inviargli uno scrigno pieno d'oro non appena fosse giunto a
casa. Come commenta il padre della Bella, la Bestia si rivela
contemporaneamente crudele e gentile.)
La Bella insiste per scontare personalmente la punizione
inflitta al padre e dopo tre mesi si reca al castello incantato. Qui le
viene assegnata una bella stanza dove vive indisturbata e senza alcunché
da temere tranne le visite occasionali della Bestia che si reca da lei
ripetutamente per chiederle se un giorno sarà disposta a sposarlo. Essa
rifiuta sempre. Dopo qualche tempo, avendo veduta in uno specchio magico
l'immagine del padre ammalato, essa supplica la Bestia di lasciarla
andare a confortarlo, promettendogli di tornare entro una settimana. La
Bestia risponde che morirà se lei lo abbandona, ma le concede il
permesso di una settimana.
Giunta a casa, la sua radiosa presenza rasserena il padre e
suscita l'invidia delle sorelle, che tramano di trattenerla più a lungo
del tempo consentitole. Alla fine essa sogna che la Bestia muore dalla
disperazione e, accortasi di avere indugiato troppo a lungo, torna dalla
Bestia per salvarne la vita.
Dimenticandosi della sua bruttezza, la Bella lo accudisce.
Egli le dice che era incapace di vivere senza di lei e che ora morirà
contento perché è ritornata. A questo punto la Bella capisce di non
poter vivere a sua volta senza la Bestia e si rende conto di essersene
innamorata. Gli dice tutto questo e gli promette di sposarlo se guarirà.
In quel momento il castello si riempie di luce vividissima e
di musica, e la Bestia scompare. Al suo posto c'è ora un bel principe
che racconta alla Bella di essere stato stregato e trasformato nella
Bestia. L'incantesimo sarebbe durato fino a che una bella fanciulla non
avesse amato la Bestia solo per la sua bontà.
Sciogliendo il simbolismo di questa novella, possiamo dire
che la Bella rappresenta tutte quelle ragazze o donne che sono
prigioniere di un legame emotivo con il proprio padre, legame che non è
meno vincolante per il fatto di essere semplicemente spirituale. La
bontà della Bella è simboleggiata dalla richiesta di una rosa bianca, ma
con una significativa implicazione la sua intenzione inconscia pone il
padre e lei stessa in balia di un principio che esprime non bontà pura e
semplice, ma crudeltà e gentilezza fra loro combinate. È come se essa
desiderasse di venir liberata da un amore che la costringe a tenere un
atteggiamento esclusivamente virtuoso e irreale.
Imparando ad amare la Bestia essa si desta alla potenza
dell'amore umano concepito nella sua forma animale (e perciò imperfetta)
ma genuinamente erotica. Ciò rappresenta presumibilmente il risveglio
della sua vera capacità di rapporto ed esso la mette in condizione di
accettare la componente erotica del suo desiderio originale, che aveva
dovuto essere rimosso per timore d'incesto. Per abbandonare il padre
essa aveva dovuto accettare, diciamo così, la paura dell'incesto,
permettere a se stessa di vivere nella fantasia in presenza di tale
paura, fino a che non fosse riuscita a conoscere l'uomo nella sua
accezione animale e non avesse scoperto come donna la propria risposta
genuina nei suoi riguardi.
In tal modo essa riscatta se stessa e la propria immagine
maschile dalle forze della rimozione, innalzando al livello della
coscienza la sua capacità di credere all'amore come a qualcosa che
combina in sé spirito e natura, nel senso migliore dei termini.
Un sogno prodotto da una mia paziente - una donna
emancipata - rappresentava bene questo bisogno di rimuovere la paura
dell'incesto, una paura estremamente reale dovuta al morboso
attaccamento del padre verso di lei dopo la morte della moglie. In sogno
si era vista inseguita da un toro furioso: dapprima aveva cercato di
fuggire, ma poi si era resa conto che non serviva a nulla. Poi era
caduta e il toro le era stato sopra. L'unica speranza era di cantare per
cercare di ammansire l'animale: così aveva fatto, sia pure con voce
tremante, e il toro, placata la propria furia, si era messo a leccarle
una mano con la lingua. L'interpretazione mostrò che essa ora poteva
cominciare a trattare gli uomini con un atteggiamento femminile più
fiducioso - non solo sessualmente, ma anche dal punto di vista erotico,
nel senso più ampio di capacità di rapporto al livello della propria
identità conscia.
Nel caso di donne più anziane, il tema della Bestia può non
indicare il bisogno di trovare risposta a un complesso paterno o di
sciogliere una inibizione sessuale, può, insomma, non fare riferimento a
tutti quegli elementi che da un'analisi psicanalitica razionale possono
risultare dal mito. Esso può rappresentare, di fatto, l'espressione di
una particolare forma di iniziazione della donna, che può essere
altrettanto significativa all'inizio della menopausa che nel colmo
dell'adolescenza; ma può rivelarsi in ogni età, tutte le volte che
l'unione fra spirito e natura si sia incrinata.
Una donna nel periodo della menopausa mi raccontò questo sogno:
Mi trovo insieme a diverse donne anonime che non mi sembra
di conoscere. Scendiamo al pianterreno di una strana casa e d'improvviso
ci troviamo di fronte ad alcuni grotteschi “uomini-scimmia”
dall'aspetto terribile, vestiti di pelli a strisce grige e nere, con la
coda, con lo sguardo torvo e minaccioso. Siamo completamente in loro
balia, ma a un tratto sento che l'unico modo per salvarci non è quello
di farci prendere dal panico e di fuggire o lottare, ma quello di
trattare queste creature con umanità inducendole a prendere coscienza
del lato migliore della loro natura. Così uno di questi uomini-scimmia
viene verso di me, io lo accolgo come un cavaliere che mi inviti alla
danza e insieme cominciamo a ballare.
Successivamente sogno di essere dotata di poteri di
guarigione soprannaturali e c'è un uomo in punto di morte. Ho una specie
di penna o piuttosto di becco d'uccello, attraverso il quale soffio
aria nelle narici dell'uomo ed egli riprende a respirare.
Negli anni del matrimonio e dell'allevamento dei figli la
paziente aveva dovuto trascurare le sue doti creative con le quali si
era fatta un tempo una piccola ma genuina reputazione di scrittrice. Nel
periodo in cui ebbe questo sogno essa cercava di indursi a riprendere
la vecchia attività, pur criticandosi duramente, allo stesso tempo, per
non essere una moglie, amica e madre migliore. Il sogno le aveva
proposto il suo problema alla luce dell'esperienza di altre donne che,
come lei, potevano sperimentare una situazione di passaggio,
discendendo, come risulta dall'immagine del sogno, al pianterreno di una
strana casa da un troppo alto livello di coscienza. Possiamo
congetturare che ciò rappresenti l'introduzione a qualche significativo
aspetto dell'inconscio collettivo, con la sfida ad accettare il
principio maschile nelle vesti di un uomo-animale, quella stessa figura
eroica, pagliaccesca, d'Imbroglione che abbiamo incontrato all'inizio
dei cicli eroici primitivi.
Per la paziente riferirsi a questo uomo-scimmia e
umanizzarlo valorizzando gli aspetti positivi della sua natura,
significava la necessità di accettare qualche elemento imprevedibile del
suo naturale spirito creativo. Con ciò essa avrebbe potuto oltrepassare
i confini convenzionali della propria vita e imparare a scrivere in una
forma nuova, più appropriata alla fase da lei attualmente vissuta.
Il fatto che questo impulso sia riferito al principio
creativo maschile risulta dalla seconda scena, in cui essa risuscita un
uomo insufflandogli aria nel naso per mezzo di una specie di becco
d'uccello. Questo procedimento pneumatico indica il bisogno di far
rivivere lo spirito piuttosto che il principio del calore erotico. È un
simbolismo conosciuto in tutto il mondo: l'atto rituale trasmette il
soffio vitale creatore a ogni nuova impresa.
Il sogno prodotto da un'altra donna sottolinea l'aspetto “naturale” della vicenda della Bella e la Bestia:
Qualcosa di simile a un grosso insetto, giallo e nero, con
zampe a spirale roteanti, vola o viene scagliato in casa attraverso la
finestra. Qui si trasforma in un bizzarro animale a strisce gialle e
nere, simile a una tigre, con delle zampe quasi umane, da orso, e un
muso aguzzo, da lupo. Penso che, sciolto com'è, può far del male ai
bambini. È un pomeriggio di domenica e vedo una bambina tutta vestita di
bianco che va a lezione di catechismo. Devo chiamare in aiuto la
polizia.
Ma a questo punto mi accorgo che quella creatura è
diventata mezzo donna e mezzo animale. Mi gira attorno facendomi le
feste e mostra di voler fare all'amore. Penso che si tratti di una
situazione fiabesca, o di un sogno, e che solo con la gentilezza
riuscirò a trasformare quella creatura. Cerco di abbracciarla
affettuosamente, ma non so resistere e la respingo da me. Ma sento che
devo tenerla vicino e familiarizzare con lei: può darsi che un giorno io
sia capace di baciarla.
Questa è una situazione diversa da quella precedente. La
donna si era distolta troppo intensamente dalla funzione creativa
maschile, che era diventata una preoccupazione coercitiva, mentale
(cioè, “aerotrasportata”). Di conseguenza non era riuscita a sviluppare
in modo naturale la propria funzione femminile, coniugale. (In
associazione al sogno la paziente aggiunse: “Quando mio marito torna a
casa, il mio lato creativo viene meno e mi trasformo in
un'affaccendatis- sima massaia”.) Il sogno finisce inaspettatamente per
trasformare il suo spirito diseducato in una figura di donna che essa
deve accettare e coltivare dentro di sé: in tal modo essa può
armonizzare i propri interessi intellettuali creativi con gli istinti
che le consentono di entrare in un rapporto affettuoso con gli altri.
Ciò implica u'na nuova accettazione del principio duale
tipico della vita della natura, di ciò che è crudele ma, allo stesso
tempo, gentile oppure, nel caso della paziente, aspramente avventuroso
ma anche umilmente e creativamente domestico. Questi opposti,
ovviamente, sono conciliabili solo a un livello psicologico di
consapevolezza estremamente avvertito e sarebbero senz'altro pericolosi
per quell'innocente bambina che va a lezione di catechismo con l'abito
della festa.
L'interpretazione che può esser data al sogno di questa
donna è che essa aveva bisogno di superare un'immagine di sé
eccessivamente ingenua. Essa doveva esser disposta ad accettare
integralmente la polarità dei propri sentimenti - allo stesso modo che
la Bella aveva dovuto rinunciare all'innocente fiducia in un padre che
non poteva regalarle la casta rosa bianca del suo sentimento senza
svegliare la furia benefica della Bestia.
Orfeo e il Figlio dell'Uomo
“La Bella e la Bestia” è una novella che possiede le stesse
qualità di un fiore di campo: esso ci appare in modo così inatteso e
crea in noi un tale senso naturale di meraviglia che, lì per lì, non ci
rendiamo conto che anche esso appartiene a una classe, a un genere e a
una specie ben definiti di piante. Al tipo di mistero implicito in una
novella come questa è data un'applicazione universale non soltanto nei
termini più generali di un mito storico ma anche nei rituali per mezzo
dei quali il mito si esprime o dai quali può derivare.
Il tipo di rituale e di mito che più appropriatamente
esprime questo genere di esperienza psicologica è esemplificato nella
religione dionisiaca greco-romana e in quella orfica, succeduta alla
prima. Entrambe queste religioni fornivano un tipo significativo
d'iniziazione noto come “misteri”. I loro simboli erano associati alla
figura di un uomo-dio dalle caratteristiche androgine, cui veniva
attribuita una intima capacità di conoscenza del mondo animale o di
quello vegetale e la prerogativa dell'iniziazione nei loro rispettivi
segreti.
La religione dionisiaca conteneva riti orgiastici che
inducevano l'iniziato ad abbandonarsi totalmente alla propria natura
animale e a sperimentare in pieno la potenza fertilizzante della Madre
Terra. L'agente d'iniziazione a questo rito dionisiaco di passaggio era
il vino. Si supponeva che esso producesse l'abbassamento simbolico della
coscienza necessario per introdurre il novizio nei gelosi segreti della
natura, la cui essenza era espressa da un simbolo di appagamento
erotico: l'unione del dio Dioniso con Arianna, sua consorte, in una
sacra cerimonia matrimoniale.
Ben presto i riti dionisiaci persero la loro potenza
religiosa emotiva. Si affermò un desiderio tutto orientale di
liberazione dalla loro preoccupazione esclusiva per i simboli puramente
naturali della vita e dell'amore. La religione dionisiaca, con il suo
continuo passare dal piano spirituale a quello fisico e viceversa, si
dimostrò probabilmente troppo rozza e turbolenta per alcune personalità
più ascetiche, che finirono per vivere le loro estasi religiose solo
interiormente, nel culto di Orfeo.14
Orfeo fu probabilmente una persona reale: cantore, profeta e
maestro, subì il martirio e la sua tomba si trasformò in tempio. Non
stupisce che i primi Cristiani vedessero in Orfeo un prototipo di
Cristo. Tutte e due queste religioni recarono al mondo tardo-ellenistico
la promessa di una futura vita divina. Essendo uomini, ma
contemporaneamente mediatori della divinità, essi trasmisero alle
moltitudini della civiltà greca morente, al tempo dell'Impero romano, la
tanto desiderata speranza di una vita futura.
Tuttavia c'è una differenza importante fra la religione di
Orfeo e quella di Cristo. Benché sublimati in forma mistica, i misteri
orfici conservavano le tracce dell'antica religione dionisiaca. L'impeto
spirituale derivava da un semidio in cui si perpetuava la più
significativa qualità di una religione radicata nell'arte
dell'agricoltura, cioè l'antico modello degli dèi della fertilità che
comparivano solo in una determinata stagione - in altre parole, l'eterno
ciclo ricorrente di nascita, crescita, maturazione e decadenza.
Il Cristianesimo, d'altra parte, disperse la pratica dei
misteri. Cristo era il prodotto e il riformatore di una religione
patriarcale, nomade e pastorale, i cui profeti rappresentavano il Messia
come un essere di origine assolutamente divina. Il Figlio dell'Uomo,
benché nato da una vergine umana, aveva avuto la sua origine in cielo,
da dove era sceso, per un atto di divina incarnazione, nell'uomo. Dopo
la morte era tornato in cielo - ma una volta per tutte, per regnare alla
destra di Dio fino alla Seconda Venuta, “quando i morti si leveranno”.
Naturalmente l'ascetismo di cui era impregnato il
Cristianesimo primitivo non durò a lungo. L'esempio dei misteri ciclici
era talmente vivo e attraente agli occhi dei suoi seguaci che la Chiesa
finì per dovere incorporare nei propri rituali molte pratiche desunte
dalla precedente tradizione pagana. Le più significative fra queste sono
ricostruibili attraverso le antiche descrizioni delle cerimonie
compiute nel Sabato Santo e nella domenica di Pasqua per celebrare la
resurrezione di Cristo - per esempio il servizio battesimale che la
Chiesa medievale tradusse adeguatamente in un rito d'iniziazione di
profondo significato. Tuttavia questo rituale è scarsamente
sopravvissuto nell'età moderna ed è completamente assente nel
Protestantesimo.
Il rituale che è meglio sopravvissuto e che tuttora
contiene per il devoto il significato di un fondamentale mistero di
iniziazione, è la pratica cattolica dell'elevazione del calice. Essa è
stata così descritta dal dottor Jung nel suo studio Il simbolismo della
trasformazione nella messa:
L'elevazione del calice prepara la spiritualizzazione [...]
del vino. Ciò è confermato dall'invocazione dello Spirito Santo che
segue subito dopo [...]. L'invocazione serve a infondere il sacro
spirito nel vino, poiché è lo Spirito Santo che genera, esaudisce e
trasforma [...]. Dopo l'elevazione il calice veniva posto, anticamente,
alla destra dell'ostia consacrata per rappresentare il sangue che era
sgorgato dal fianco destro di Cristo.15
Il rituale della comunione è ovunque il medesimo, sia che
venga espresso dalla libagione nel calice dionisiaco, oppure nel sacro
calice cristiano; tuttavia il livello di consapevolezza che esso apporta
ai partecipanti al rito è diverso. Il seguace di Dioniso guarda
all'origine delle cose, alla “nascita tempestosa” del dio che viene
esploso dal ventre resistente della Madre Terra. Negli affreschi della
Villa dei Misteri di Pompei, nella raffigurazione del rito in atto, il
dio viene evocato facendo riflettere una maschera del terrore nella
coppa di Dioniso offerta dal sacerdote all'iniziato. In seguito troviamo
la raffigurazione del canestro, ricolmo dei frutti preziosi della
terra, e del fallo come simboli creativi della manifestazione del dio,
quale principio della generazione e della crescita.
In contrasto con questa prospettiva a ritroso, in cui
l'accento principale viene posto sull'eterno ciclo naturale della
nascita e della morte, il mistero cristiano mira direttamente alla
speranza finale dell'iniziato nell'unione con un dio trascendente. Madre
Natura, con tutti i suoi mirabili cambiamenti stagionali, è stata messa
in disparte e la figura centrale del cristianesimo offre una certezza
spirituale poiché egli è il Figlio di Dio in cielo.
Eppure entrambe queste figure si fondono, in un certo
senso, in quella di Orfeo, il dio che ricorda Dioniso e insieme
preannuncia Cristo. Il senso psicologico di questa figura intermediaria è
stato descritto dalla studiosa svizzera Linda Fierz-David, nella sua
interpretazione del rito orfico raffigurato nella Villa dei Misteri:16
Orfeo insegnava mentre cantava e suonava la lira, e il suo
cantare era tanto potente che dominava tutta la natura; quando cantava
accompagnandosi con la lira gli uccelli gli svolazzavano intorno e i
pesci abbandonavano le acque per schizzare ai suoi piedi. Il vento e il
mare si arrestavano e i fiumi invertivano il loro corso per
raggiungerlo; cessavano la neve e la grandine e gli alberi e le pietre
andavano dietro a Orfeo; la tigre e il leone stavano accucciati vicino a
lui insieme alla pecora, e il lupo insieme al cervo e al capriolo. Qual
è il significato di tutto questo? Evidentemente che in una intuizione
divina del significato degli eventi naturali [...] questi esprimono un
armonico ordine interiore. Tutto diventa luce e ogni creatura si
ammansisce quando il mediatore, nell'atto di adorazione, viene a
rappresentare la luce della natura. Orfeo è una personificazione della
devozione e della pietà; egli simboleggia l'atteggiamento religioso che
risolve tutti i conflitti, poiché per suo tramite l'anima viene
totalmente orientata verso ciò che sta al di là di ogni conflitto [...].
E quando ottiene questi risultati egli è veramente Orfeo, cioè un buon
pastore, secondo la sua personificazione primitiva [...].
Nel suo ruolo di buon pastore e di mediatore Orfeo
compendia elementi della religione dionisiaca e di quella cristiana, in
quanto sia Dioniso che Cristo presentano caratteristiche simili anche
se, come ho già detto, diversamente orientate nel tempo e nello spazio -
la prima essendo una religione ciclica del mondo inferiore, l'altra
invece una religione celeste ed escatologica o finale. Questa serie di
eventi d'iniziazione, ricavati dal contesto della storia delle
religioni, si ripropone incessantemente e con ogni possibile
complicazione individuale di significato nei sogni e nelle fantasie
degli uomini moderni.
Una donna in preda a una grave forma di esaurimento e di
depressione produsse in situazione analitica questa fantasia:
Sono seduta a un lungo tavolo stretto, in una stanza senza
finestre con un alto soffitto a volta. Il mio corpo è incurvato e
rattrappito. Sono coperta solo da una veste bianca di lino, che mi copre
dalle spalle ai piedi. Mi è accaduto qualcosa di grave. Non mi resta
molto da vivere. Mi appaiono delle croci rosse su dischi d'oro. Mi viene
in mente di aver contratto tanto tempo fa un impegno e, ovunque mi
trovi attualmente, si deve trattare di qualcosa connesso a ciò. Resto
seduta a lungo.
Ora apro lentamente gli occhi e mi vedo seduto accanto un
uomo che è lì per guarirmi. Egli mi parla con naturalezza e accento
gentile, ma non sento ciò che dice. Sembra essere al corrente di tutta
la mia situazione. So di essere molto brutta e intorno a me deve esserci
un odore di morte. Mi domando se egli proverà repulsione nei miei
riguardi. Lo guardo a lungo, fissamente. Non se ne va. Respiro con più
facilità.
A questo punto sento come un soffio d'aria fresca o un
getto di acqua fresca scorrermi sul corpo. Mi avvolgo nella veste di
lino e mi preparo a un sonno naturale. Le mani risanatrici dell'uomo
sono posate sulle mie spalle. Mi ricordo vagamente che un tempo lì
c'erano delle ferite, ma la pressione delle sue mani sembra restituirmi
forza e salute.
La paziente si era sentita assalita, tempo addietro, da
dubbi sulla propria posizione religiosa. Era stata allevata in un clima
di devozione cattolica tradizionale, ma fin da giovane aveva cercato di
combattere contro le convenzioni religiose formalistiche seguite dalla
famiglia. Ciò nonostante gli elementi simbolici della sua educazione
religiosa e il senso della pienezza di significato che essa vi aveva
riconosciuto avevano seguitato ad accompagnarla lungo tutto il suo
processo di cambiamento psicologico, e nel corso dell'analisi trovai
molto utile la sua attiva conoscenza del simbolismo religioso.
Gli elementi significativi che la paziente scelse
all'interno del suo racconto furono: la veste bianca, da lei intesa come
una veste sacrificale; la stanza col soffitto a volta, da lei
considerata una tomba; e il particolare dell'impegno, a sua volta
associato all'esperienza di sottomissione vissuta dalla donna. Questo
impegno, come lei lo definiva, suggeriva un rituale d'iniziazione con
una perigliosa discesa nel mondo della morte simboleggiante il modo in
cui essa aveva abbandonato la Chiesa e la famiglia per vivere l'incontro
con Dio a modo suo. Essa aveva intrapreso una “imitazione di Cristo”
nel genuino senso simbolico dell'espressione, e al pari di lui aveva
patito le ferite precedenti la morte.
La veste sacrificale suggerisce l'immagine del lenzuolo o
sudario in cui venne avvolto il corpo crocifisso di Cristo prima di
essere deposto nella tomha. Verso la fine, la fantasia introduce la
figura del guaritore, da una parte tenuamen- te associata a me come
analista della paziente, dall'altra dotata di un suo ruolo autonomo
naturale e indicativa di un amico completamente al corrente
dell'esperienza della donna. Il guaritore le parla senza che essa possa
udire ciò che viene dicendo, ma le sue mani la rinvigoriscono donandole
un senso di salute riacquistata. Si avverte in questa figura il tocco e
la parola del buon pastore, Orfeo o Cristo che sia, inteso come
mediatore e, ovviamente, come risanatore. Egli sta dalla parte della
vita e deve convincere la donna che anche essa può risalire dal
sepolcro.
Daremo a tutto ciò il nome di rinascita o di resurrezione?
Probabilmente o tutti e due o nessuno. Il rito essenziale si rivela alla
fine della fantasia: il soffio d'aria fresca o il rivolo d'acqua che
passa sul corpo della paziente rappresenta l'atto primordiale di
purificazione del peccato mortale, cioè la sostanza del battesimo
genuino.
La stessa donna produsse un'altra fantasia, in cui immaginò
che il proprio compleanno cadesse nel giorno della resurrezione di
Cristo. (Per la paziente ciò era molto più significativo del ricordo
della madre, che non era mai riuscita a darle quel senso di sicurezza e
di rinnovamento di cui era tanto andata in cerca nei suoi compleanni da
bambina.) Ciò non significava, tuttavia, che essa si identificasse con
la figura di Cristo. La sua potenza e la sua gloria lo rendevano
inaccessibile: per quanto essa tentasse di raggiungerlo attraverso la
preghiera, egli e la sua croce si andavano innalzando sempre più nel
cielo, al di là delle sue capacità umane di seguirli.
In questa seconda fantasia la paziente si vede riproposto
il simbolo della rinascita nell'immagine del sole nascente, mentre,
contemporaneamente, faceva la sua comparsa un nuovo simbolo femminile.
Dapprima esso apparve come un “embrione racchiuso in una sacca acquosa”.
Successivamente la donna aiutava un bambino di otto anni a passare
attraverso l'acqua “evitando un punto pericoloso”. Subito dopo emergeva
una situazione in cui essa non si sentiva più in preda alla paura o
sotto la minaccia della morte. La paziente si trovava “in una foresta
vicino alla cascatella di una sorgente; [...] tutt'intorno crescevano
viti verdi. In mano avevo una ciotola di pietra e dentro c'erano acqua
sorgiva, muschio verde e violette. Mi bagno nella cascata. L'acqua è
dorata e morbida come seta: mi sento come una bambina”.
Il senso di questi eventi è chiaro, anche se per la
descrizione così ermetica di tante immagini cangianti è possibile non
riuscire a coglierne il significato più riposto. Ci troviamo di fronte a
un processo di rinascita, nel corso del quale un sé spirituale di più
ampie proporzioni rinasce e viene battezzato naturalmente nelle vesti di
una bambina. Nel frattempo la donna ha salvato un bambino di età
maggiore che, in qualche modo, simboleggia l'ego della stessa paziente
nella fase più traumatica della sua infanzia. Essa lo ha aiutato a
traversare l'acqua evitando il punto pericoloso, e ciò sta a indicare la
sua paura di cadere in preda a un senso paralizzante di colpa nel caso
che si fosse allontanata troppo dalla religione convenzionale della
famiglia. Tuttavia il simbolismo religioso è significativo proprio per
la sua assenza. Tutto è nelle mani della natura: chiaramente ci troviamo
più nel mondo del pastore Orfeo che in quello del Cristo risorto.
A questa serie di eventi faceva seguito un sogno nel corso
del quale la paziente si veniva a trovare in una chiesa simile a quella
di san Francesco in Assisi con gli affreschi dipinti da Giotto. Essa si
sentiva più a proprio agio qui che in qualunque altra chiesa, poiché san
Francesco, come Orfeo, era stato un uomo religioso immerso nella
natura. Tutto ciò le ridestava gli antichi sentimenti suscitati
inizialmente dal mutamento d'indirizzo religioso che le era stato così
doloroso affrontare, ma a questo punto essa era convinta di poter
affrontare serenamente tale esperienza, ispirata come era dalla luce
della natura.
La serie dei sogni terminò con un'eco lontana della
religione dionisiaca. (Questo elemento era, per così dire, un ricordo
del fatto che anche Orfeo può sottrarsi sensibilmente, a volte,
dall'esercitare nell'uomo la propria fecondatrice influenza di
dio-animale.) La paziente sognò di accompagnare per mano una bambina
bionda. “Stiamo partecipando felici a una festa che coinvolge il sole,
le foreste e i fiori tutt'intor- no. La bambina ha in mano un fiorellino
bianco e lo va a mettere sulla testa di un toro nero. Anche il toro fa
parte della festa ed è coperto di festoni.” Questo riferimento ricorda i
riti dell'antichità che celebravano Dioniso nella veste di un toro.
Tuttavia il sogno non finiva qui. La donna aggiunse: “Dopo
un po' di tempo il toro viene trafitto da una freccia d'oro”. Ora, a
parte quello dionisiaco, c'è un altro rito precristiano in cui il toro
assume un significato simbolico: il dio-sole persiano Mitra sacrifica un
toro e anch'egli, come Orfeo, rappresenta il desiderio di una vita
dello spirito che possa trionfare sulle primitive passioni animali
dell'uomo e, dopo una cerimonia d'iniziazione, donargli la pace.
Questa serie d'immagini conferma un motivo che è dato
ritrovare in molte sequenze fantastiche od oniriche del tipo sopra
presentato - che, cioè, non esiste alcuna pace finale, alcun riposo
conclusivo. Nella loro ricerca religiosa gli uomini e le donne -
specialmente quelli che vivono nelle moderne società cristianizzate
occidentali - continuano tuttora a subire l'influenza delle antiche
tradizioni, che non hanno cessato di contrastarsi reciprocamente nel
loro spirito per raggiungere la supremazia. Si tratta del conflitto fra
credenze pagane e cristiane o, si potrebbe dire, fra rinascita e
risurrezione.
Una chiave per risolvere questo dilemma può essere
rinvenuta in un curioso elemento di simbolismo, facilmente trascurabile,
della prima fantasia prodotta dalla paziente. Essa sostiene di aver
veduto nel sepolcro delle croci rosse su dischi d'oro. Come risulta
evidente dal seguito dell'analisi, la donna si accingeva, in quel
momento, a sperimentare un profondo cambiamento psichico e a riemergere
da questa specie di “morte” a una vita nuova. È perciò possibile
supporre che questa immagine, offertasi alla paziente nel momento di più
profonda disperazione nella vita, abbia in qualche modo servito a
preannunziare il suo futuro atteggiamento religioso. Nelle sedute
successive infatti essa fornì la prova che le croci rosse
rappresentavano la sua devozione verso l'atteggiamento cristiano, mentre
i dischi d'oro rappresentavano la sua devozione verso le religioni
misteriche precristiane. La visione aveva suggerito alla paziente la
necessità di riconciliare questi elementi cristiani e pagani nel nuovo
corso di vita che le si apriva davanti.
Un'ultima, ma importante, osservazione concerne gli antichi
riti d'iniziazione e il loro rapporto col cristianesimo. Il rito
d'iniziazione celebrato nei misteri eleusini (i riti di culto dedicati
alle dee della fertilità Demetra e Persefone) non solo era considerato
appropriato per quanti cercassero di vivere una vita più rigogliosa, ma
veniva anche usato in preparazione alla morte, come se la morte
richiedesse un rito iniziatorio di passaggio dello stesso tipo.
Sopra un'urna funeraria rinvenuta nei pressi del Colombario
dell'Esquilino si osserva un bassorilievo rappresentante scene della
fase finale dell'iniziazione in cui il novizio viene ammesso alla
presenza e al colloquio delle dee. Il resto della raffigurazione è
dedicato a due cerimonie preliminari di purificazione: il sacrificio del
“maiale mistico” e una versione misticizzata del matrimonio sacro.17
Tutto ciò fa riferimento a una iniziazione alla morte ma in una forma
che esclude ogni esito doloroso. Essa allude infatti a quegli elementi
dei misteri successivi - specialmente di tipo orfico - che assegnano
alla morte il valore di promessa d'immortalità. Il Cristianesimo si
spinse ancora più in là: esso venne a promettere qualcosa di più
dell'immortalità (che, secondo il senso antico dei misteri ciclici,
poteva non significare altro che la reincarnazione) e offrì al fedele la
garanzia di una vita eterna nei cieli.
Anche in questo caso assistiamo al ripetersi di motivi
antichi nella vita moderna. Coloro che debbono imparare ad affrontare la
morte possono trovarsi nella necessità di tornare a imparare l'antico
messaggio secondo il quale la morte è un mistero al quale dobbiamo
prepararci con lo stesso spirito di sottomissione e di umiltà con cui
abbiamo appreso, una volta, a prepararci alla vita.
Simboli di trascendenza
Vari sono gli scopi dei simboli che influenzano l'uomo.
Certe persone hanno bisogno di venire esaltate e di sperimentare la loro
iniziazione nel modo violento di un “rito del tuono” dionisiaco. Altre,
invece, hanno bisogno di essere dominate e di ridursi alla
sottomissione nell'ordinato contorno del recinto del tempio o della
sacra caverna, secondo i riti della religione d'Apollo della tarda
Grecia. Una iniziazione completa implica entrambi questi temi, come
possiamo renderci conto esaminando il materiale ricavato dai testi
dell'antichità o studiando soggetti viventi. Tuttavia è certo che lo
scopo fondamentale dell'iniziazione consiste nel domare la selvatichezza
originaria della natura giovanile - simile a quella simboleggiata nella
figura dell'Imbroglione. Si tratta perciò di uno scopo di
civilizzazione o di spiritualizzazione, malgrado la violenza dei riti
utilizzati per promuovere questo processo.
Tuttavia c'è anche un altro tipo di simbolismo,
appartenente alle tradizioni sacre più antiche fra quelle da noi
conosciute. Benché anch'esso risulti collegato ai periodi di transizione
della vita umana, non cerca d'integrare l'iniziato con alcuna dottrina
religiosa o coscienza di gruppo di tipo secolare. Al contrario, questi
simboli hanno di mira la liberazione dell'uomo da ogni stato
d'immaturità, di fissità o di finalità. In altre parole essi tendono a
liberare l'uomo da ogni schema limitativo d'esistenza allorché deve
muoversi verso una fase superiore o più matura del proprio sviluppo.
Il bambino, come ho già detto, possiede un senso di
completezza, ma solo nel periodo che precede la comparsa della coscienza
dell'ego. Nel caso dell'adulto questo senso di completezza viene
raggiunto attraverso l'unione della coscienza con i contenuti inconsci
della mente. Da questa unione nasce ciò che Jung ha definito “la
funzione trascendente della psiche”,18 per il tramite della quale l'uomo
può pervenire alla meta più alta: la piena realizzazione del potenziale
contenuto nel proprio sé individuale.
Perciò, quelli che noi chiamiamo “simboli di trascendenza”
altro non sono che i simboli della lotta combattuta dall'uomo per il
raggiungimento di questa meta. Essi forniscono i mezzi tramite i quali i
contenuti dell'inconscio possono penetrare nella mente conscia e
rappresentano a loro volta una attiva espressione di tali contenuti.
Questi simboli sono molteplici, ma la loro importanza è
evidente sia che risultino da documenti storici sia che compaiano nei
sogni degli uomini o delle donne contemporanei allorché abbiano
raggiunto una fase esistenziale critica. Al livello più arcaico di
questo simbolismo c'imbattiamo ancora una volta nel tema
dell'Imbroglione. Ma ora questi non ci appare più nelle vesti di un
anarchico eroe velleitario: esso è diventato lo sciamano - lo stregone -
le cui magiche pratiche e ardite intuizioni fanno di lui un maestro
d'iniziazione primitivo. La sua potenza risiede nella" supposta capacità
di abbandonare il corpo e di volare per l'universo sotto forma di
uccello.
In questo caso l'uccello diventa il simbolo più adeguato
della trascendenza. Esso rappresenta la natura peculiare
dell'intuizione, capace di operare per il tramite di un “medium”, cioè
di un individuo che è in grado di avere la conoscenza di eventi lontani -
o di fatti di cui ignora consciamente la natura - immergendosi in uno
stato di trance.
Prove di questa capacità possono essere rinvenute a partire
fino dall'età paleolitica, come ha dimostrato lo studioso americano
Joseph Campbell commentando una delle famose pitture scoperte
recentemente in una caverna della Francia.19 A Lascaux, egli scrive, c'è
dipinto uno sciamano, in stato di trance, con una maschera d'uccello, e
lì, vicino a lui, un uccello appollaiato su un bastone. Gli sciamani
della Siberia indossano questi costumi da uccello ancora oggi, e molti
si ritiene siano stati concepiti dalla madre per l'intervento di un
uccello [...]. Lo sciamano, perciò, non solo è abitatore familiare ma
anche frutto privilegiato di quel mondo di poteri soprannaturali che
alla nostra coscienza normale in stato di veglia è invisibile, che a noi
è consentito visitare brevemente solo attraverso visioni e che egli
invece percorre in largo e in lungo incontrastato, da signore.
Al massimo livello di questo tipo di attività iniziatoria,
lungi dall'uso di quei trucchi del mestiere per i quali così spesso la
magia interviene a sostituire l'autentica capacità di penetrazione
spirituale, troviamo i maestri yoga indù. Nei loro stati di trance essi
superano di gran lunga le normali categorie di pensiero.
Uno dei simboli onirici più comuni rappresentativo di
questa liberazione nella trascendenza è il tema del viaggio solitario o
del pellegrinaggio, di natura essenzialmente spirituale, durante il
quale l'iniziato fa conoscenza con la natura della morte. Questa non è
una specie di giudizio finale o una prova di forza iniziatoria: si
tratta bensì di un viaggio di liberazione, di rinuncia e di espiazione,
presieduto e protetto da qualche spirito compassionevole. Questo spirito
è rappresentato più spesso.da una «maestra» che non da un “maestro” di
iniziazione, cioè da una figura femminile suprema (l'anima), come
Kwan-Yin nel buddismo cinese, Sofia nella dottrina gnostica cristiana o
l'antica divinità greca della sapienza, Pallade Athena.
Questo simbolismo non è rappresentato solo dal volo degli
uccelli o dal viaggio in terre deserte, ma anche, in genere, da
qualunque forte movimento che esemplifichi il processo di liberazione.
Nella prima parte della vita, allorché si è ancora attaccati alla
famiglia e al gruppo sociale originario, questo processo può essere
sperimentato nel momento d'iniziazione, in cui si deve imparare a
muovere i passi decisivi nella vita con le sole nostre forze e da soli. È
il momento in cui ci si trova di fronte, come è stato scritto da T. S.
Eliot in La terra desolata,
L'ardimento terribile di un attimo di resa
Che un'èra di prudenza non potrà mai ritrattare.20
Nel periodo di vita successivo si può non aver bisogno di
rompere tutti i legami coi simboli di una significativa misura. Ma può
anche darsi che ci si senta invasi da quello spirito di scontentezza che
costringe tutti gli uomini liberi ad affrontare la scoperta di qualcosa
di nuovo o a vivere in modo diverso la propria vita. Questo cambiamento
può assumere una particolare importanza nel periodo intermedio fra la
maturità e la vecchiaia, cioè nel periodo in cui la maggior parte delle
persone pensano a che cosa fare quando saranno in pensione - se lavorare
o divertirsi, se restare a casa o viaggiare.
Se hanno passato una vita avventurosa, insicura o piena di
sconvolgimenti, propenderanno per una vita tranquilla e il conforto
della certezza religiosa; ma se hanno vissuto esclusivamente nella
struttura sociale in cui sono nate, è probabile che sentano
disperatamente il bisogno di un cambiamento liberatore. Questa spinta
può essere temporaneamente soddisfatta con un viaggio intorno al mondo o
con il trasloco in una casa più piccola. Ma nessuno di questi
cambiamenti esteriori servirà a qualcosa se non sia intervenuta qualche
trascendenza interiore di antichi valori a creare, non semplicemente a
inventare, una nuova struttura di vita.
Un caso di questo tipo è quello di una donna che aveva
vissuto secondo uno stile di vita praticato lungamente dalla famiglia e
dagli amici per i suoi requisiti di solidità, nutrimento culturale e
resistenza a ogni moda transitoria.
Essa ebbe il sogno seguente:
Trovo degli strani pezzi di legno, non scolpiti ma di bella
forma naturale. Qualcuno dice: “Li hanno portati gli uomini di
Neanderthal”. Allora scorgo in lontananza questi uomini, simili a una
massa scura, ma non riesco a vederne nessuno distintamente. Penso di
portar via con me uno dei loro pezzi di legno.
Proseguo, in solitario viaggio, e a un certo punto getto lo
sguardo in un abisso enorme, simile al cratere di un vulcano estinto.
C'è dell'acqua su una parte del fondo e mi aspetto di vedere altri
uomini di Neanderthal. Invece scorgo dei neri “maiali acquatici”, che
sono usciti dall'acqua e si sono messi a scorrazzare sulle nere rocce
vulcaniche.
In contrasto con gli affetti familiari e l'elevato stile di
vita della paziente, il sogno la trasporta in un periodo preistorico
estremamente primitivo. Fra questi uomini antichi essa non è capace di
scorgere alcun gruppo sociale: li vede solo in lontananza come la
personificazione di una “massa scura” collettiva, realmente inconscia.
Eppure essi vivono e la paziente è in grado di portar via loro un pezzo
di legno. Il sogno sottolinea che il legno è naturale, non scolpito;
perciò esso deriva da un livello primordiale, non culturalmente
condizionato, dell'inconscio. Il pezzo di legno, notevole per la sua
antichissima età, connette l'esperienza contemporanea della donna alle
distanti origini della vita umana.
Sappiamo da molti esempi che un albero antico o una pianta
antica rappresenta simbolicamente la crescita e lo sviluppo della vita
psichica (in quanto distinta dalla vita istintuale, comunemente
simboleggiata da animali). Perciò, con questo pezzo di legno, la donna
ha recuperato un simbolo del suo legame con gli strati più profondi
dell'inconscio collettivo.
Successivamente essa dice di aver continuato il viaggio da
sola. Questo tema, come ho già sottolineato in precedenza, simboleggia
il bisogno di un abbandono, inteso come esperienza d'iniziazione. E
questo è un altro simbolo di trascendenza.
Quindi, sempre in sogno, essa vede un enorme cratere di
vulcano estinto, che è stato il canale attraverso il quale violente
eruzioni di fuoco si sono levate dalle viscere della terra. Possiamo
supporre che ciò si riferisca a una traccia di memoria significativa,
che a sua volta riconduce a una esperienza traumatica. La paziente
associò tutto questo a una esperienza personale della sua giovinezza,
allorché essa aveva avvertito tutta la forza distruttiva, eppure
creativa, delle sue passioni spinta a un punto tale da aver temuto
d'impazzire. Verso la fine dell'adolescenza aveva provato un imprevisto
bisogno di sottrarsi alla struttura sociale eccessivamente convenzionale
della famiglia; era giunta alla rottura senza gravi complicazioni e
successivamente era riuscita a far pace con la famiglia. Tuttavia in lei
era rimasto un desiderio profondo di differenziarsi maggiormente
dall'ambiente familiare e di liberarsi dal proprio schema di vita.
Questo sogno me ne ricorda un altro cui è collegato. Mi fu
esposto da un giovane che aveva problemi totalmente diversi ma che
sembrava aver bisogno di un tipo d'intuizione simile al precedente.
Anch'egli sentiva la spinta a differenziarsi. Sognò un vulcano e dal
cratere vide uscire in volo due uccelli, come se temessero un'eruzione
imminente. Tutto ciò avveniva in uno strano paesaggio solitario, con uno
specchio d'acqua che divideva il giovane dal vulcano. Il sogno
rappresentava in questo senso un viaggio d'iniziazione individuale.
Casi simili sono stati registrati fra le tribù
raccoglitrici di cibo, che costituiscono i gruppi meno coscienti
dell'organizzazione familiare da noi conosciuti. In queste società il
giovane iniziato deve intraprendere da solo un viaggio verso qualche
luogo sacro (nelle culture indiane della costa del Nord Pacifico può
trattarsi di un lago formato dal cratere di un vulcano), dove, in uno
stato visionario o di trance, egli incontra il suo “spirito custode”
nelle vesti di un animale, di un uccello o di un oggetto naturale. Egli
si identifica compiutamente con questa “anima della foresta” e, ciò
facendo, diventa uomo. Chi non abbia vissuto un'esperienza di questo
tipo viene considerato, secondo le parole di uno stregone achumaui, “un
indiano comune, cioè una nullità”.
Il sogno del giovane si realizzò all'inizio della sua vita
da uomo e faceva riferimento alla sua indipendenza futura e alla sua
identità come uomo. Al contrario la paziente di cui ho descritto il
sogno si stava approssimando alla fine della vita, eppure anch'essa
sperimentò un viaggio simile e rivelò il bisogno di acquistare una
indipendenza di questo tipo. Essa avrebbe potuto vivere il resto dei
propri giorni in armonia con una legge eterna dell'umanità che, per la
sua antichità, trascendeva i simboli di civiltà comunemente noti.
Ma questa indipendenza non porta a una condizione di
distacco simile a quella dello yogi, il che significherebbe una rinuncia
al mondo con tutte le sue impurità. Nel paesaggio del sogno,
apparentemente morto e desolato, la donna scorge segni di vita animale.
Si tratta dei “maiali acquatici”, a essa sconosciuti come specie. Essi
significano un animale di caratteristiche speciali, capace di vivere in
due ambienti diversi: in acqua e sulla terra.
Questa è la qualità universale dell'animale inteso come
simbolo trascendente. Tali creature, figurativamente fatte provenire
dalle profondità dell'antica Madre Terra, sono elementi simbolici
dell'inconscio collettivo. Essi portano nel campo della coscienza uno
speciale messaggio ctonico (sotterraneo) che differisce
significativamente dalle aspirazioni spirituali simboleggiate dagli
uccelli del sogno del giovane.
Altri simboli trascendenti delle profondità sono i
roditori, le lucertole, i serpenti e talvolta i pesci. Si tratta di
creature intermedie, che combinano un'attività subacquea e aerea con una
intermedia vita terrestre. L'anitra selvatica o il cigno appartengono
anch'essi a questa serie simbolica. Il più comune simbolo onirico di
trascendenza è costituito probabilmente dal serpente, così come è
rappresentato nel simbolo terapeutico del dio romano della medicina,
Esculapio, che è sopravvissuto fino ai nostri giorni come emblema della
professione medica. Originariamente si trattava di un serpente
rampicante non velenoso: così come noi lo vediamo, attorcigliato intorno
al bastone del dio-guaritore, sembra simboleggiare una specie di
mediazione fra cielo e terra.
Un simbolo ancor più importante e diffuso di trascendenza
ctonica è costituito dal motivo dei due serpenti intrecciati. Sono i
famosi serpenti Naga dell'antica India, ma li troviamo anche in Grecia
nella raffigurazione dei due serpenti intrecciati alla sommità del
bastone del dio Ermes. Un antico monumento greco è costituito da una
colonna di pietra sormontata da un busto del dio. Da una parte sono
raffigurati i serpenti intrecciati e dall'altra un fallo eretto. Poiché i
serpenti sono rappresentati nell'atto di unione sessuale e il fallo
eretto costituisce a sua volta un inequivocabile simbolo sessuale,
possiamo concludere con sicurezza che la funzione del monumento fosse
quella di simboleggiare la fertilità.
Tuttavia cadremmo in errore se pensassimo che esso si
riferisca solo alla fertilità biologica. Ermes è una specie
d'Imbroglione, con il ruolo specifico di fungere da messaggero, da
divinità posta all'incrocio delle strade, da guida delle anime da e
verso il mondo sotterraneo. Perciò il suo fallo penetra dal mondo noto a
quello sconosciuto, alla ricerca di un messaggio spirituale di
liberazione e di salvezza.
Originariamente esso era noto in Egitto nella figura del
dio Thoth idalla testa d'ibis, e in seguito venne concepito come la
forma-uccello del principio trascendente. Inoltre, nel periodo olimpico
della mitologia greca, Ermes ricevette gli attributi dell'uccello in
aggiunta a quelli ctonici della sua originaria natura di serpente. Sul
suo bastone comparvero le ali, al disopra dell'intreccio dei serpenti, e
questo divenne il caduceus, o bastone alato del dio Mercurio, e questi
divenne a sua volta “l'uomo volante” col cappello alato e i coturni. A
questo punto la sua trascendenza raggiunge la pienezza degli attributi:
per il suo tramite la trascendenza inferiore, sorgendo dalle forme della
coscienza sotterranea ed elevandosi attraverso la realtà terrestre,
raggiunge infine la trascendenza piena della realtà superumana e
ultrapersonale.
Simboli altrettanto compositi è dato rinvenire in altre
rappresentazioni, come quelle del cavallo alato, del drago alato o delle
altre creature che abbondano nel campo delle espressioni artistiche
dell'alchimia, così compiutamente illustrate nell'opera classica del
dottor Jung sull'argomento. Da parte nostra, siamo in grado di seguire
le innumerevoli vicissitudini di questi simboli nello studio dei
pazienti. Essi mostrano chiaramente i risultati cui la nostra terapia
può aspirare di pervenire una volta che si siano liberati i contenuti
psichici profondi e che questi siano diventati parte del nostro bagaglio
psichico per una comprensione più adeguata della vita.
Per l'uomo moderno non è facile afferrare il significato
dei simboli che ci giungono dal passato o che appaiono nei nostri sogni.
Non è facile neppure rendersi conto del modo in cui l'antico conflitto
fra simboli di coercizione e di liberazione si viene ad agganciare
strettamente al nostro discorso. Eppure tutto ciò diventa più facile
quando si comprenda che sono solo le forme specifiche di questi antichi
modelli simbolici a cambiare, non il loro intrinseco significato
psichico.
Abbiamo parlato di uccelli selvatici come di simboli di
abbandono o di liberazione. Ma oggigiorno potremmo trasferire il
discorso sugli aeroplani a reazione o sui missili spaziali, poiché essi
altro non sono che l'espressione fisica dello stesso principio
trascendente che ci libera, almeno temporaneamente, dal condizionamento
della gravità. Nello stesso modo gli antichi simboli di coercizione e di
misura, che un tempo donavano stabilità e protezione, oggigiorno si
rivelano nella ricerca della sicurezza economica e del benessere
sociale.
Ognuno di noi è in grado di rendersi conto che nella nostra
vita esiste un conflitto fra avventura e disciplina, male e virtù,
libertà e sicurezza. Ma queste non sono altro che frasi da noi impiegate
per descrivere l'ambivalenza che ci tormenta e alla quale non ci sembra
di poter mai arrivare a dare una risposta conclusiva.
Eppure una risposta c'è. Esiste un punto d'incontro fra
coercizione e liberazione, e noi lo possiamo trovare nei riti
d'iniziazione precedentemente discussi. Essi permettono agli individui, o
a interi gruppi di persone, di unire le loro forze contrastanti e di
raggiungere un equilibrio esistenziale.
Però i riti non offrono questa opportunità in termini
invariabili o automatici. Essi si riferiscono a fasi particolari della
vita dell'individuo, o del gruppo, e se non vengono adeguatamente
compresi e tradotti in nuove guise di vita, possono farci perdere
l'occasione buona, per sempre. L'iniziazione è, essenzialmente, un
processo che si avvia con un rito di sottomissione, cui segue un periodo
di coercizione e quindi un rito finale di liberazione. Seguendo questo
criterio ogni singolo individuo può esser capace di riconciliare gli
elementi contrastanti della propria personalità: egli può raggiungere un
equilibrio che lo rende genuinamente uomo e genuinamente padrone di se
stesso.
Note:
1 Per quanto riguarda la finalità della Resurrezione di Cristo: il Cristianesimo è una religione di carattere escatologico, cioè ha in vista uno scopo finale che si identifica con il Giudizio Universale. Altre religioni, che hanno conservato elementi matriarcali della civiltà tribale (per esempio, FOrfismo) hanno invece carattere ciclico, come ha dimostrato Eliade in The Myth of the Eternal Return, Bollingen-Pantheon, New York, 1954 [tr. it.: Il mito dell'eterno ritorno, Boria, Leumann, 1968].
1 Per quanto riguarda la finalità della Resurrezione di Cristo: il Cristianesimo è una religione di carattere escatologico, cioè ha in vista uno scopo finale che si identifica con il Giudizio Universale. Altre religioni, che hanno conservato elementi matriarcali della civiltà tribale (per esempio, FOrfismo) hanno invece carattere ciclico, come ha dimostrato Eliade in The Myth of the Eternal Return, Bollingen-Pantheon, New York, 1954 [tr. it.: Il mito dell'eterno ritorno, Boria, Leumann, 1968].
2 Cfr. Paul Radin, Hero Cycles of the Winnebago, Indiana University Publications, 1948.
3 Per quanto concerne la Lepre, il dottor Radin osserva:
“La Lepre è l'eroe tipo, quale è conosciuto in tutto il mondo, così in
quello primitivo come in quello civile, fin dai periodi più remoti della
storia del mondo”.
4 I due dèi della guerra dei Navaho sono oggetto di analisi nell'opera di Maud Oakes, Where the Two Came to their Father, A Navaho War Ceremonial, Bollingen, New York, 1943.
5 Jung esamina la figura dell'Imbroglione, nello scritto
Sul carattere psicologico dell'“imbroglione”, in Collected Works, vol.
IX. 4 I due dèi della guerra dei Navaho sono oggetto di analisi nell'opera di Maud Oakes, Where the Two Came to their Father, A Navaho War Ceremonial, Bollingen, New York, 1943.
6 II conflitto dell'ego con l'ombra è esaminato da Jung nello scritto La lotta per la liberazione dalla madre, in Opere, voi. v: Simboli della trasformazione, Boringhieri, Torino, 1970.
7 Per una interpretazione del mito del Minotauro, cfr. il romanzo di Mary Renault, The King Must Die, Pantheon, New York, 1958 [tr. it.: Il re deve morire, Bompiani, Milano, 1959].
8 II simbolismo del labirinto è esaminato da Erich Neumann in The Origins and History of Consciousness, Bollingen, New York, 1954.
9 Per quanto riguarda il mito navaho del coyote, cfr.
Margaret Schevill Link e J. L. Henderson, The Pollen Path, Stanford,
1954.
10 La nascita dell'ego è esaminata da Erich Neumann, op.
cit.; Michael Fordham, New Developments in Analytical Psychology,
London, Routledge & Kegan Paul, 1957; Esther M. Harding, The
Restoration of the Injured Archetipal Image (edizione privata), New
York, 1960.
11 Lo studio jungiano sulla iniziazione è contenuto in La
psicologia analitica e la Weltanschauung, in Opere, voi. vili: La
dinamica dell'inconscio, Boringhieri, Torino. Si veda anche Arnold Van
Gennep, The Rites of Passages, Chicago, 1961.
12 Le prove di forza fra le donne sono esaminate da Erich Neumann in Amor and Psyche, Bollingen, 1956.
13 La fiaba della Bella e la Bestia è contenuta in M.me
Leprince de Beaumont, The Fairy Tale Book, Simon and Schuster, New York,
1958 [tr. it.: La Bella e la Bestia, Fabbri, Milano, 1965],
14 Per il mito di Orfeo, si veda Jane E. Harrison,
Prolegomena to the Study of Greek Religion, Cambridge University Press,
1922. Si veda anche W.K.C. Guthrie, Orpheus and Greek Religion,
Cambridge, 1935.
15 C.G. Jung, Simbolismo di trasformazione nella messa, in
Opere, voi. xi : Psicologia e Religione, Boringhieri, Torino, 1979. Si
veda anche Alan Watts, Myth and Ritual in Christianity, Vanguard Press,
1953.
16 L'interpretazione di Linda Fierz-David del rituale
orfico è contenuta in Psychologische Betrachtungen zu der Freskenfolge
der Villa dei Misteri in Pompeji. Ein Versuch von Linda Fierz-David,
trad, di Gladys Phelan (edizione privata), Zürich, 1957.
17 L'urna funeraria romana del Colle Esquilino è analizzata da Jane E. Harrison, op. cit.
18 Si veda, di Jung, La funzione trascendente, edito a cura
della Associazione degli Studenti dell'Istituto C. G. Jung, Zürich.
19 Joseph Campbell esamina la figura dello sciamano-uccello
in The Symbol without Meaning, Rhein-Verlag, Zürich, 1958.
20 Per La terra desolata di T. S. Eliot, si vedano i suoi
Collected Poems, Faber & Faber, Londra, 1963 [tr. it.: Poesie, a
cura di Roberto Sanesi, Bompiani, Milano, 1961]
CONTINUA IN:
L’Uomo e i suoi simboli - Carl Gustav Jung - Marie-Louise von Franz -
Il processo di individuazione - Schema dello sviluppo psichico -
Testo tratto da:
http://www.nilalienum.it/Sezioni/Freud/Materiali%20bibliografici/Jung/JungUSS.html
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L’Uomo e i suoi simboli - Carl Gustav Jung - Marie-Louise von Franz -
Il processo di individuazione - Schema dello sviluppo psichico -
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http://www.nilalienum.it/Sezioni/Freud/Materiali%20bibliografici/Jung/JungUSS.html
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