mercoledì 8 ottobre 2014

L’Uomo e i suoi simboli - Carl Gustav Jung - Joseph L. Henderson - Miti antichi e uomo moderno -

L’Uomo e i suoi simboli  
Carl Gustav Jung 

(e Marie-Louise von Franz, Joseph L. Henderson, J. Jacobi, A. Jaffé)

Longanesi, Milano 1980 (ed. orig. 1967)
 
Joseph L. Henderson
Miti antichi e uomo moderno
I simboli eterni

L'antica storia dell'uomo viene significativamente riscoperta ai nostri giorni attraverso le immagini simboliche e i miti che sono sopravvissuti all'uomo dell'antichità. Via via che gli archeologi scavano profondamente nelle viscere del passato, non sono gli eventi del tempo storico ciò di cui impariamo a far tesoro, bensì le statue, i disegni, i templi e le lingue che ci comunicano le antiche credenze. Altri simboli ci sono rivelati dai filologi e dagli storici delle religioni, che sanno tradurre queste credenze in concetti moderni e intelligibili. Questi, a loro volta, prendono vita attraverso gli studi degli antropologi culturali, che dimostrano come gli stessi modelli simbolici siano reperibili nei rituali o nei miti di piccole società tribali tuttora esistenti ai margini della civiltà, senza aver conosciuto alcun mutamento nei secoli.
Tutte queste ricerche hanno contribuito a correggere sensibilmente l'atteggiamento unilaterale di quei moderni secondo i quali questi simboli apparterrebbero solo ai popoli dell'antichità o alle moderne tribù “arretrate”, e quindi non presenterebbero alcun interesse di fronte alle complessità della vita del nostro tempo. Avviene così che a Londra o a New York ci si rifiuti di prendere in considerazione i riti di fertilità dell'uomo neolitico, spacciandoli per arcaiche superstizioni. Se qualcuno sostiene di avere avuto una visione o di avere udito voci, egli non viene trattato come un santo o come un oracolo: ci si limita a dire che è malato di mente. Leggiamo i miti degli antichi Greci o le storie popolari degli Indiani d'America, ma non riusciamo a scorgere alcuna connessione fra essi e i nostri atteggiamenti verso gli “eroi” o gli avvenimenti drammatici del nostro tempo.
Eppure le connessioni ci sono e i simboli che le rappresentano non hanno perso la loro importanza per il genere umano.
Uno dei maggiori contributi contemporanei alla comprensione e alla rivalutazione di questi simboli eterni è stato fornito dalla scuola di psicologia analitica fondata dal dottor Jung. Essa ha contribuito a eliminare l'arbitraria distinzione fra l'uomo primitivo, al quale i simboli appaiono come un ingrediente naturale della vita di tutti i giorni, e l'uomo moderno, per il quale essi sono senz'altro privi di ogni significato e interesse.
Come il dottor Jung ha messo in evidenza nelle pagine precedenti, la mente dell'uomo possiede una sua storia particolare e la psiche conserva molte tracce residue degli stadi anteriori del suo sviluppo. In più, i contenuti dell'inconscio esercitano una influenza formativa sulla psiche. Consciamente noi possiamo anche ignorarli, ma inconsciamente rispondiamo a essi e alle forme simboliche - ivi compresi i sogni - attraverso le quali si vengono esprimendo.
All'individuo può sembrare che i sogni siano spontanei e privi di qualunque connessione. Ma in un lungo arco di tempo l'analista arriva a osservare tutta una serie di immagini oniriche e a notare che esse presentano una struttura significativa: se il paziente riesce a comprenderla egli potrà eventualmente acquistare un nuovo atteggiamento verso la vita. Alcuni simboli di questi sogni derivano da ciò che il dottor Jung ha definito “l'inconscio collettivo” - cioè quella parte della psiche che trattiene e trasmette l'eredità psicologica comune all'intero genere umano. Questi simboli sono così antichi e poco familiari all'uomo moderno che egli non riesce a comprenderli direttamente o ad assimilarli.
È in questo senso che può essere utile l'analista. Il paziente deve essere possibilmente liberato dall'ingombro dei simboli che siano diventati decrepiti e inadeguati, oppure deve essere assistito a scoprire il persistente valore di qualche antico simbolo che, lungi dall'essersi esaurito, anela ad essere fatto rivivere in forma moderna.
Prima che l'analista possa accingersi a esplorare efficacemente il significato dei simboli di un paziente, è necessario che acquisti personalmente una più larga conoscenza delle loro origini e del loro significato. Infatti le analogie fra i miti antichi e le storie che appaiono nei sogni dei pazienti del nostro tempo non sono né banali né accidentali. Esse sono reali poiché la mente inconscia dell'uomo moderno conserva tuttora quella capacità simboleggiatrice che un tempo trovava espressione nelle credenze e nei rituali primitivi; e tale capacità svolge ancora un ruolo di vitale importanza psichica. Noi dipendiamo più di quanto non si pensi comunemente dai messaggi trasportati da questi simboli, e sia i nostri atteggiamenti che il nostro comportamento ne sono profondamente influenzati.
In tempo di guerra, per esempio, si registra un accresciuto interesse per le opere di Omero, di Shakespeare o di Tolstoj e siamo portati a leggere con occhi diversi quei passi che assegnano alla guerra il suo significato perenne (o “archetipico”). Essi evocano in noi una risposta molto più profonda di quella che può essere eventualmente suscitata in qualcuno che non abbia mai vissuto l'intensa esperienza emotiva della guerra. Le battaglie combattute nella pianura di Troia non hanno, in sé, niente a che fare con quelle di Agincourt o di Borodino, ma i grandi scrittori sono capaci di trascendere le differenze di spazio e di tempo e di esprimersi in temi universali. Noi rispondiamo proprio perché questi temi sono fondamentalmente simbolici.
Un esempio ancor più significativo deve essere familiare a ognuno che sia stato educato in una società di tipo cristiano. A Natale noi possiamo esprimere il nostro sentimento interiore per la nascita mitologica di un fanciullo semidivino anche se non crediamo nella dottrina della verginità della madre di Cristo o non possediamo alcuna fede religiosa cosciente. Senza saperlo, ci siamo imbattuti nel simbolismo della rinascita. Si tratta della sopravvivenza di un'antichissima festa solstiziale, recante la speranza che le terre intristite dall'inverno dell'emisfero settentrionale tornino a rinnovarsi. Così il nostro gusto sofisticato trova soddisfazione in questa festa simbolica, allo stesso modo che per Pasqua ci uniamo ai nostri figli nel festoso rituale delle uova e dei conigli pasquali.
Ma ci rendiamo veramente conto di ciò che facciamo, e siamo consapevoli della connessione fra la storia della nascita, morte e resurrezione di Cristo e il popolare simbolismo pasquale? Di solito non ci diamo neppure la preoccupazione di considerare da un punto di vista razionale tutte queste usanze.
Eppure esse sono reciprocamente complementari. La crocifissione di Cristo nel venerdì santo sembra appartenere a prima vista al medesimo tipo di simbolismo della fertilità che ci è dato rinvenire nei rituali di altri “salvatori” come Osiride, Tammuz, Orfeo e Balder. Anch'essi erano tutti di nascita divina o semidivina, vissero un'esistenza singolare, furono uccisi e quindi rinacquero. Essi appartengono, di fatto, a religioni di tipo ciclico nelle quali la morte e la rinascita del re-dio costituiscono un mito eternamente ricorrente.
Tuttavia la resurrezione di Cristo nel sabato santo è molto meno soddisfacente, da un punto di vista rituale, di quanto non lo sia invece il simbolismo delle religioni cicliche. Infatti Cristo ascende alla destra di Dio Padre: la sua resurrezione avviene una volta per tutte.
È questa finalità del concetto cristiano di resurrezione (l'idea cristiana di Giudizio finale presenta un tema “chiuso” simile a questo) a distinguere il cristianesimo dagli altri miti fondati sulla figura del re-dio. Il rituale si limita a commemorare ciò che è avvenuto una volta sola. Tuttavia questo senso finalistico rappresenta probabilmente la ragione per la quale i primi Cristiani, tuttora sensibili alle influenze delle tradizioni precristiane, pensavano che il Cristianesimo dovesse essere completato con l'aggiunta di alcuni elementi di un più antico rituale della fertilità. Essi sentivano il bisogno della ricorrente promessa della rinascita: in ciò consiste appunto il significato della simbologia pasquale dell'uovo e del coniglio.1
Sono ricorso a due esempi completamente diversi per mostrare come l'uomo moderno continui a rispondere a profonde influenze psichiche che tuttavia egli, consciamente, rifiuta di prendere in considerazione, come se si trattasse di poco più che di storie ingenue di popoli superstiziosi e incivili. Ma è necessario spingere ancora più a fondo le nostre osservazioni. Quanto più da vicino si analizzano la storia del simbolismo e il ruolo che i simboli hanno avuto nella vita di numerose differenti culture, tanto più ci si rende conto che in questi simboli è implicito anche un significato ricreativo.
Alcuni simboli si riferiscono all'infanzia e al passaggio all'adolescenza, altri alla maturità, altri ancora all'esperienza della vecchiaia, quando l'uomo si viene preparando all'inevitabilità della morte. Il dottor Jung ha descritto il modo in cui i sogni di una bambina di otto anni contenevano già quei simboli che normalmente si è soliti associare alla vecchiaia. I sogni della bambina presentavano aspetti di iniziazione alla vita di un tale carattere che sembravano appartenere alla medesima struttura archetipica dell'iniziazione alla morte. È evidente perciò che questa progressione di idee simboliche può manifestarsi nell'ambito della mente conscia dell'uomo moderno nello stesso modo in cui essa era solita esprimersi nei rituali delle antiche società.
Questa connessione cruciale fra i miti arcaici o primitivi e i simboli prodotti dall'inconscio è di immensa importanza pratica per l'analista. Essa gli consente di identificare e di interpretare questi simboli in un contesto che conferisce loro prospettiva storica non meno che significato psicologico. Prenderò ora in esame alcuni dei più importanti miti dell'antichità e mostrerò come - e per quale scopo - essi sono analoghi al materiale simbolico in cui ci imbattiamo di solito nei nostri sogni.
Eroi e costruttori di eroi

Il mito dell'eroe è quello più comune e meglio conosciuto. Lo troviamo nella mitologia classica della Grecia e di Roma, nel Medioevo, nell'Estremo Oriente e fra le tribù primitive contemporanee. Esso compare anche nei nostri sogni e possiede una immediata attrattiva drammatica unita a una meno diretta, anche se profonda, importanza psicologica.

Questi miti eroici variano enormemente nei particolari, ma quanto più da vicino li esaminiamo, tanto più ci rendiamo conto che essi sono strutturalmente molto simili. Essi posseggono, per così dire, una struttura universale, anche se di fatto si sono venuti sviluppando in gruppi o in individui estranei a ogni possibile contatto reciproco, come, per esempio, le tribù africane, quelle degli Indiani del Nordamerica, i Greci o gli Incas del Perù. In tutti i casi ci si trova invariabilmente di fronte a un racconto che descrive la nascita miracolosa ma umile dell'eroe, le sue prime prove di potenza sovrumana, la rapida ascesa a posizioni di preminenza e di autorità, la sua lotta trionfante contro le forze del male, la sua fallibilità di fronte al peccato di orgoglio (hybris), e infine la sua caduta a seguito di un tradimento o di un “eroico” sacrificio che culmina nella morte.
Spiegherò in seguito più particolareggiatamente le ragioni per le quali ritengo che questa struttura abbia significato psicologico non solo per l'individuo che si sforza di scoprire e di affermare la propria personalità, ma anche per una intera società, che possiede una esigenza uguale di definire la propria identità collettiva. Tuttavia c'è un'altra importante caratteristica del mito dell'eroe che fornisce un appiglio alla comprensione del fenomeno. In molte di queste storie la primitiva debolezza dell'eroe viene compensata dalla comparsa di forti personaggi “tutelari” - o guardiani - che gli consentono di portare a termine le imprese sovrumane che senza aiuto egli non sarebbe in grado di realizzare. Fra gli eroi greci Teseo aveva come sua divinità tutelare Poseidone, dio del mare, Perseo aveva Athena, e Achille Chirone, il saggio centauro.

Questi personaggi dalle caratteristiche divine di fatto non simboleggiano altro che l'intera psiche, cioè quella più ampia e più comprensiva identità che è capace di fornire la forza di cui l'ego personale è privo. Il loro ruolo particolare suggerisce il fatto che la funzione essenziale del mito dell'eroe è costituita dallo sviluppo della coscienza individuale dell'ego - della consapevolezza, cioè, della sua forza e della sua debolezza insieme - in modo tale da fornirgli gli strumenti adatti per far fronte agli ardui compiti che la vita gli presenta. Una volta che l'individuo abbia superato la prova iniziale e sia entrato nella fase matura della vita, il mito dell'eroe perde ogni vitalità. La morte simbolica dell'eroe diventa, per così dire, il segno del raggiungimento di questa maturità.

Finora mi sono riferito al mito dell'eroe nel suo complesso, in cui viene elaboratamente descritto l'intero ciclo dalla nascita alla morte. Tuttavia è essenziale osservare come in ogni singola fase del ciclo compaiano forme speciali della storia dell'eroe che si adeguano alla situazione particolare raggiunta dall'individuo nel processo di sviluppo della propria coscienza dell'ego e al problema specifico che egli si trova di fronte in quel particolare momento. Ciò equivale a dire che l'immagine dell'eroe si evolve in guise che riflettono ogni singola fase dell'evoluzione della personalità umana.
Questo concetto risulterà più facilmente comprensibile se lo presenterò nei termini di un diagramma. Ricavo l'esempio dalla sconosciuta tribù nordamericana degli Indiani Winnebago, poiché esso rivela assai chiaramente quattro distinte fasi in questa evoluzione dell'eroe. Attraverso le storie (pubblicate nel 1948 dal dottor Paul Radin sotto il titolo Hero Cycles of the Winnebago) possiamo assistere a una netta progressione dal concetto più primitivo a quello più elaborato dell'eroe. Tale progressione è caratteristica anche di altri cicli eroici. Benché i personaggi simbolici abbiano in essi naturalmente nomi differenti, i loro ruoli sono simili, e riusciremo a capirli meglio quando avremo colto il significato dell'esempio in questione.
Il dottor Radin notò quattro cicli distinti nell'evoluzione del mito dell'eroe. Egli li intitolò rispettivamente: ciclo del- l'Imbroglione, ciclo della Lepre, ciclo di Corno Rosso e ciclo dei Gemelli. Non gli sfuggì il preciso significato psicologico di questa evoluzione e osservò: “Essa rappresenta i nostri sforzi per far fronte al problema della nostra maturazione negli anni, aiutandoci con l'illusione di una finzione eterna”.2
Il ciclo dell'Imbroglione corrisponde al primo e meno sviluppato periodo della vita. L'Imbroglione è un personaggio il cui comportamento è interamente dominato dagli appetiti fisici: la sua mentalità è quella di un bambino. Privo di ogni altro scopo che non sia quello della gratificazione dei suoi bisogni elementari, egli è crudele, cinico e spietato. (Le nostre storie di Fratel Coniglietto o di Comare Volpe conservano gli elementi essenziali del mito dell'Imbroglione.) Questo personaggio, che all'inizio ha la forma di un animale, passa da una impresa malvagia all'altra e così facendo muta successivamente di aspetto. Alla fine delle sue continue scellerataggini comincia ad assumere le sembianze fisiche di un uomo adulto.
La seconda figura è quella della Lepre. Anch'essa, come l'Imbroglione (i cui tratti animali sono spesso rappresentati da un coyote presso gli Indiani d'America), appare all'inizio sotto la forma di animale. Essa non ha ancora raggiunto la statura dell'uomo maturo, ma ciò nonostante si presenta come il fondatore della civiltà umana: il Trasformatore. Gli Indiani Winnebago credono che, donando loro il famoso Rito magico, egli sia diventato il loro salvatore e il loro eroe nazionale. Questo mito era così potente, nota il dottor Radin, che i seguaci del rito Peyote furono riluttanti a rinunciare all'adorazione della Lepre, allorché il Cristianesimo cominciò a penetrare nella tribù. Essa finì per essere assorbita nella figura di Cristo, ma alcuni di loro continuarono a sostenere che non avevano alcun bisogno di Cristo dal momento che avevano già la Lepre. Questa figura archetipica rappresenta un netto passo avanti rispetto a quella dell'Imbroglione: essa comincia a diventare un essere socializzato, che viene correggendo gli impulsi meramente istintuali e infantili caratteristici del ciclo dell'Imbroglione.3
Corvo Rosso, la terza figura eroica di questa serie, è un personaggio ambiguo, detto il minore dei dieci fratelli. Egli soddisfa a tutti i requisiti di un eroe archetipico superando vittoriosamente prove come corse e battaglie. La sua sovrumana potenza si mostra nella capacità di sconfiggere giganti per mezzo dell'astuzia (in un gioco di dadi) o della forza (in un incontro di lotta). Egli possiede un potente alleato in un uccello del tuono, chiamato Storms-as-he-walks, la cui forza interviene sempre a compensare ogni eventuale debolezza di Corvo Rosso. Con quest'ultimo abbiamo ormai raggiunto il mondo dell'uomo, anche se si tratta di un mondo ancora primordiale in cui l'aiuto di potenze soprannaturali o di divinità tutelari è indispensabile per assicurare all'uomo la vittoria sulle forze del male che lo stringono d'assedio. Verso la fine della storia l'eroe divino se ne va, lasciando Corno Rosso e i suoi figli sulla terra. A questo punto è l'uomo stesso a diventare responsabile dei pericoli cui possono andare incontro la sua felicità e la sua sicurezza.
Questo tema fondamentale (che si ripete anche nell'ultimo ciclo, quello dei Gemelli), solleva la seguente questione vitale: fino a che punto gli esseri umani possono riuscire vittoriosi senza cadere vittime del loro orgoglio o, in termini mitologici, della gelosia degli dèi?

Benché si dica che i Gemelli sono i figli del Sole, essi sono essenzialmente umani e costituiscono insieme una singola persona. Originariamente uniti nel grembo materno, essi furono separati alla nascita. Eppure essi si appartengono l'un l'altro ed è necessario - anche se estremamente difficile - riunirli insieme. In questi due fanciulli sono rappresentati i due aspetti fondamentali della natura umana. L'uno è acquiescente, mite e senza iniziativa; l'altro è dinamico e ribelle. In alcune storie di eroi gemelli, questi atteggiamenti vengono precisati in modo così sottile che il primo rappresenta l'introverso, la cui forza principale risiede nella capacità di riflessione, e il secondo l'estroverso, cioè un uomo d'azione che riesce a compiere grandi imprese.

Per lungo tempo questi due eroi sono invincibili: sia che vengano rappresentati come due figure separate oppure come un'unica personalità composita, essi non conoscono rivali. Ma alla fine, come gli dèi guerrieri della mitologia degli Indiani Navaho,4 essi abusano della loro potenza. Né in cielo né sulla terra è rimasto più alcun mostro da abbattere e il selvaggio comportamento cui essi si abbandonano porta fatalmente alla loro punizione. Gli Indiani Winnebago dicono che nulla, alla fine, si salvava dai loro assalti - neppure i sostegni su cui è poggiato il mondo. Quando i Gemelli uccisero uno dei quattro animali che sostenevano la terra, essi superarono ogni limite e venne il momento di por fine alle loro imprese: la sola punizione che si meritassero era la morte.
In conclusione, sia nel ciclo di Corno Rosso sia in quello dei Gemelli, troviamo il tema del sacrificio o della morte dell'eroe come rimedio per la hybris, l'orgoglio che ha superato ogni limite. Nelle società primitive il cui livello di cultura corrisponde a quello rappresentato nel ciclo di Corno Rosso, questo rischio risulta a volte prevenuto attraverso l'istituzione del sacrificio umano propiziatorio: un tema, questo, che possiede un'immensa importanza simbolica e che ricorre continuamente nella storia umana. Gli Indiani Winnebago, come gli Irochesi e alcune tribù algonchine, probabilmente mangiavano la carne umana come rituale totemico capace di attenuare i loro impulsi individualistici e distruttivi.
Negli esempi del tradimento o della sconfitta dell'eroe ricorrenti nella mitologia europea, il tema del sacrificio rituale viene impiegato più specificamente come punizione per la hybris. Invece i Winnebago, come i Navaho, non si spingono fino a tal punto. Benché i Gemelli abbiano errato e benché la punizione dovesse essere, a rigore, la morte, essi stessi si sono a tal punto spaventati della loro irresponsabile potenza da sottomettersi a vivere in una condizione di riposo permanente: gli elementi in conflitto della natura umana hanno così ritrovato il proprio reciproco equilibrio.
Mi sono indugiato in questa descrizione dei quattro tipi di eroi perché essa fornisce una chiara dimostrazione della struttura ricorrente sia nei miti storici che nei sogni eroici dell'uomo contemporaneo. Tenendo presente quanto abbiamo detto fin qui, esaminiamo ora il sogno di un paziente di media età. L'interpretazione di questo sogno mostra come lo psicologo analitico, grazie alla sua conoscenza della mitologia, possa aiutare il paziente a trovare una risposta a problemi che altrimenti risulterebbero insolubili enigmi. Quest'uomo sognò di essere a teatro, nei panni di “uno spettatore importante la cui opinione viene rispettata”. Durante un atto appariva una scimmia bianca su un piedistallo e tutt'intorno aveva alcuni uomini. Nel raccontare il sogno il paziente aggiungeva:
La guida mi spiega il tema: si tratta della terribile prova cui è sottoposto un giovane marinaio, costretto a sopportare le sferzate del vento e a essere contemporaneamente percosso. Io obietto che la scimmia bianca non. è affatto un marinaio, ma proprio in quel momento compare un giovane vestito in nero e allora penso che egli debba essere il vero eroe. Ma un altro giovane, di bell'aspetto, si dirige a grandi passi verso un altare e vi si distende sopra. Gli altri fanno dei segni sul suo petto nudo, come rito preliminare prima di immolarlo quale vittima umana sacrificale.
A questo punto mi ritrovo su una piattaforma con diverse altre persone. Potremmo facilmente scendere a terra per mezzo di una scala a pioli, ma io esito a farlo perché lì vicino ci sono due giovani malviventi e penso che essi ci sbarreranno la via. Ma quando una donna del gruppo riesce a scendere la scala senza venire molestata, capisco che la via è libera e allora scendiamo tutti dietro a lei.
Un sogno di questo tipo non può essere interpretato in quattro e quattr'otto o in termini semplicistici. Noi dobbiamo districarlo accuratamente in modo da mettere in chiaro sia le sue connessioni con la vita del sognante in particolare, sia le sue implicazioni di carattere più generale. Il paziente che ne era stato autore era un uomo ormai maturo fisicamente. Aveva percorso una carriera brillante ed era apparentemente un perfetto padre e marito. Eppure era psicologicamente ancora immaturo e non aveva superato la fase di sviluppo giovanile. Era questa immaturità psichica a esprimersi nei sogni sotto forma di aspetti differenti del mito eroico. Tali immagini continuavano a esercitare una forte attrazione sulla sua immaginazione, anche se non avevano- ormai più, da lungo tempo, alcun significato reale per la vita attuale del paziente.
Con questo sogno, dunque, ci troviamo di fronte a una serie di figure teatralmente presentate come aspetti diversi di un medesimo personaggio che, secondo la continua aspettativa del sognante, dovrà finire per rivelarsi come il vero eroe.
La prima di queste figure è una scimmia bianca, la seconda un marinaio, la terza un giovane in nero e l'ultima un “giovane di bell'aspetto”. Nella prima parte della rappresentazione, che si suppone descriva la prova del marinaio, il sognante vede solo la scimmia bianca. L'uomo in nero appare d'improvviso e altrettanto improvvisamente scompare; è una figura nuova che dapprima contrasta con la scimmia bianca e in seguito viene momentaneamente confusa con l'eroe vero e proprio. (Questo tipo di confusione non è insolito nei sogni: il sognante si vede presentare dall'inconscio immagini spesso tutt'altro che chiare ed è quindi costretto a districare un qualche significato da una catena di contrasti e di paradossi.)
Significativamente, queste figure appaiono nel corso di una rappresentazione teatrale e tale contesto sembra rappresentare un diretto riferimento del sognante al proprio trattamento per mezzo dell'analisi: la “guida” da lui menzionata è probabilmente l'analista. Tuttavia egli non si vede nei panni di un paziente sottoposto a un trattamento medico, bensì nel ruolo di “uno spettatore importante la cui opinione viene rispettata”. È questa la posizione di vantaggio dalla quale egli vede certe figure che vengono da lui associate all'esperienza della crescita. La scimmia bianca, per esempio, gli riporta alla mente il comportamento giocoso e un po' sfrenato dei ragazzi fra i sette e i dodici anni. Il marinaio simboleggia lo spirito avventuroso della prima adolescenza, e insieme gli “scapaccioni” presi come punizione di qualche azione irresponsabile. Il paziente non riusciva a realizzare alcuna associazione per quanto riguardava il giovane vestito di nero, mentre il giovane di bell'aspetto in procinto di essere sacrificato veniva da lui considerato come un ricordo dell'idealistico atteggiamento di autosacrificio caratteristico della tarda adolescenza.
A questo punto è possibile connettere insieme il materiale storico (o le immagini eroiche archetipiche) e i dati ricavati dall'esperienza personale del sognante per vedere in che misura essi si corroborino, si contraddicano, ovvero si qualifichino a vicenda.
La prima conclusione, possibile è che la scimmia bianca rappresenti l'Imbroglione - o almeno quei tratti della personalità che gli Indiani Winnebago attribuiscono all'Imbroglione. Secondo me, tuttavia, la scimmia simboleggia in più qualcosa che il sognante non ha personalmente e adeguatamente sperimentato: egli afferma infatti di essere stato nel sogno un semplice spettatore. Venni a scoprire che da bambino egli era stato eccessivamente attaccato ai genitori e che era di natura introspettiva. Per questi motivi non era mai riuscito a sviluppare pienamente quel tipo di comportamento chiassoso che è caratteristico dell'ultima infanzia, né si era mai associato ai giochi dei compagni di scuola. Mai si era abbandonato a quelle burle e monellerie che rendono il comportamento dei ragazzi tanto simile a quello scherzoso delle scimmie. Questo è il senso vero dell'immagine: la scimmia del sogno è di fatto nient'altro che l'Imbroglione tradotto in forma simbolica.
Ma per quale ragione l'Imbroglione appariva come una scimmia? E perché era bianca? Come ho già rivelato, il mito degli Indiani Winnebago racconta che, verso la fine del ciclo, l'Imbroglione comincia ad assumere il sembiante fisico di un uomo. Ebbene, qui, nel sogno, esso assume l'aspetto di una scimmia - un animale, cioè, tanto simile all'uomo da rappresentarne una caricatura ridicola e nient'affatto pericolosa. Il paziente non riusciva a offrire alcuna associazione personale per spiegare come mai la scimmia fosse bianca. Però in base alla nostra conoscenza del simbolismo primitivo possiamo congetturare che il colore bianco assegni uno speciale requisito di “somiglianza divina” a una figura altrimenti del tutto banale. (L'albino viene considerato sacro in molte comunità primitive.) Ciò si adegua assai bene alle qualità semidivine o semimagiche dell'Imbroglione.5
In conclusione, a quanto sembra, la scimmia bianca simboleggia per il sognante la positiva qualità della giocosità infantile che egli non aveva sufficientemente accettato da bambino e che ora gli si ripropone invece in termini di esaltazione. Come ci rivela il sogno, egli la colloca “su un piedistallo”, dove essa diviene qualcosa di più della perduta esperienza infantile pura e semplice. Essa è ormai divenuta per l'uomo adulto un simbolo di sperimentalismo creativo.

In seguito nasce la confusione intorno alla figura della scimmia. Si tratta di una scimmia o di un marinaio costretto ad affrontare le percosse? Le associazioni del sognante indicano da sole il significato di questa trasformazione. In ogni caso la fase successiva di sviluppo umano segna il passaggio dall'irresponsabilità dell'infanzia a un periodo di socializzazione, e ciò comporta la sottomissione a una gravosa disciplina. Si potrebbe così dire che il marinaio rappresenta una versione più avanzata dell'Imbroglione, che si viene progressivamente mutando in una persona socialmente responsabile attraverso una prova di iniziazione. Rifacendoci alla storia del simbolismo, possiamo supporre che il vento rappresenti gli elementi naturali di questo processo e che le percosse indichino gli elementi di derivazione umana.

A questo punto abbiamo, dunque, un diretto riferimento al processo descritto dagli Indiani Winnebago nel ciclo della Lepre, in cui l'eroe della stirpe è rappresentato come una figura debole eppure pugnace, pronta a sacrificare la fanciullezza per consentire uno sviluppo ulteriore. Ancora una volta, in questa fase del sogno, il paziente viene riconoscendo la mancanza di una sua esperienza piena di un aspetto importante della fanciullezza e della prima adolescenza. Egli non conobbe la spensierata giocosità dei bambini e neppure le forme di comportamento più irresponsabile dei giovani teenager ed è perciò che egli va in cerca di quei modi in cui queste esperienze perdute e queste qualità personali possono venire riabilitate.
Subito dopo si verifica un curioso cambiamento nel sogno: compare il giovane vestito in nero e per un momento il sognante pensa che questi sia il “vero eroe”. Ciò è tutto quello che sappiamo sul conto dell'uomo in nero; tuttavia questa fugace apparizione introduce un tema di profonda importanza - un tema che ricorre frequentemente nei sogni.
Si tratta del concetto dell'“ombra” che svolge un ruolo di vitale importanza nella psicologia analitica. Il dottor Jung ha messo in evidenza come l'ombra proiettata dalla mente conscia contenga gli aspetti nascosti, rimossi e spiacevoli (o nefasti) della personalità. Tuttavia questa oscurità non rappresenta semplicemente il contrario dell'ego cosciente: infatti, come l'ego contiene atteggiamenti spiacevoli e distruttivi, così l'ombra possiede a sua volta buone qualità - istinti normali e impulsi creativi. Inoltre l'ego e l'ombra, benché separati, sono inestricabilmente legati fra loro allo stesso modo che il pensiero e il sentimento sono connessi l'un l'altro.
Ciò nonostante l'ego è in conflitto con l'ombra, in quella che una volta il dottor Jung ha chiamato la “battaglia per la liberazione”.6 
Nella lotta ingaggiata dall'uomo primitivo per raggiungere la coscienza, tale conflitto viene espresso dal contrasto fra l'eroe archetipico e le potenze cosmiche del male, personificate da dragoni e da mostri di altro tipo. Nel processo di sviluppo della coscienza individuale, la figura dell'eroe simboleggia i mezzi coi quali l'ego emergente vince l'inerzia della mente inconscia, liberando così l'uomo maturo dal desiderio regressivo di tornare allo stato felice dell'infanzia in un mondo dominato dalla figura materna.
Di solito, in mitologia, l'eroe vince la propria battaglia contro il mostro. (Su questo punto mi soffermerò in seguito.) Tuttavia ci sono altri miti eroici nei quali il protagonista viene sopraffatto dal mostro. Un caso familiare è quello di Giona e della balena, in cui l'eroe viene ingoiato da un mostro marino che lo trasporta, in un viaggio notturno, da occidente ad oriente, simboleggiando in tal modo la concezione comune dell'itinerario del sole dal tramonto all'alba. L'eroe penetra nell'oscurità che rappresenta una specie di morte. Ho ritrovato questo tema in vari sogni da me analizzati nel corso della mia esperienza clinica.
La battaglia fra l'eroe e il dragone rappresenta la forma più attiva di questo mito e quella che mostra più chiaramente il tema archetipico del trionfo dell'ego sulle tendenze regressive. Per la maggior parte delle persone il lato oscuro o negativo della personalità rimane al livello inconscio. L'eroe, al contrario, deve rendersi conto necessariamente che l'ombra esiste e che egli può avvantaggiarsene. Egli deve venire a patti con le forze distruttive che essa racchiude se vuol diventare terribile abbastanza da vincere il dragone. In altre parole, prima che l'ego possa trionfare è necessario che esso riesca a dominare e ad assimilare l'ombra.
Lo stesso tema è reperibile, incidentalmente, in una ben nota figura letteraria di eroe: il personaggio goethiano di Faust. Nell'accettare la scommessa di Mefistofele, Faust si mette in balìa del potere di una figura “ombra”, che Goethe descrive come “parte di quella potenza che, con il consenso del male, perviene al bene”. Nello stesso modo del paziente di cui sono venuto discutendo il sogno, Faust si era sottratto dal vivere pienamente una parte importante della sua vita giovanile. Di conseguenza egli era un personaggio irreale o incompleto perdutosi tutto nella inane ricerca di un fine metafisico che non si sarebbe mai realizzato. Egli non si rassegnava ad accettare la sfida della vita nella sua compresenza di bene e di male.

È a quest'aspetto dell'inconscio che sembra riferirsi la figura del giovane in nero del sogno del mio paziente. Questo ricordo del lato-ombra della propria personalità, del suo forte potenziale e del suo ruolo nella preparazione dell'eroe alle future battaglie della vita, costituisce una transizione essenziale dalle prime parti del sogno al tema dell'eroe sacrificale: il giovane di bell'aspetto, cioè che si distende sull'altare. Questa figura rappresenta quella forma di eroismo che risulta comunemente associata al processo di costruzione dell'ego della tarda adolescenza. È in questo periodo che l'uomo esprime i principi ideali della propria vita, avvertendo la loro capacità sia di trasformarlo personalmente, sia di imprimere una diversa direzione ai suoi rapporti con gli altri. Egli si trova, per così dire, nel fiore della giovinezza; è attraente, pieno di energia e di idealismo. Perché, allora, si offre spontaneamente al sacrificio?

La ragione, presumibilmente, è la stessa per la quale i Gemelli del mito Winnebago finiscono per rinunciare alla loro potenza, pena il proprio annientamento. L'idealismo della giovinezza, che stimola tanto a fondo, è in definitiva suscettibile di infondere una eccessiva fiducia nelle nostre forze: l'ego dell'uomo può esaltarsi fino a sperimentare attributi divini, ma solo al prezzo di spezzare le proprie naturali barriere e di condannarsi alla fine. (Questo è il significato della leggenda di Icaro, del giovane, cioè, che si innalza su nel cielo spinto dalle fragili ali di fattura umana ma che, volando troppo vicino al sole, precipita incontrando la morte.) Tuttavia l'ego giovanile deve sempre correre questo rischio, poiché se un giovane non lotta per conseguire uno scopo superiore a quello che gli è tranquillamente a portata di mano, egli non sarà in grado di superare gli ostacoli che gli si frappongono nel passaggio dall'adolescenza alla maturità.
Fino a questo punto sono venuto esponendo le conclusioni che, al livello delle sue associazioni personali, il mio paziente era in grado di ricavare dal proprio sogno. Però sussiste anche un livello archetipico nel sogno - il mistero della profferta del sacrificio umano. Proprio perché si tratta di un mistero, esso è espresso in un atto rituale che, col suo simbolismo, ci riporta molto indietro nella storia dell'uomo. Nella scena dell'uomo disteso su un altare troviamo il riferimento a un atto ancor più primitivo di quelli compiuti sulla pietra dell'altare del tempio di Stonehenge. Su di esso, come, del resto, su molti altari primitivi, possiamo immaginarci facilmente la scena della celebrazione di qualche primitivo rito solstiziale combinato con la morte e la resurrezione di un eroe mitologico.
Il rituale reca con sé l'espressione di un dolore che è, allo stesso tempo, una specie di gioia, un intimo riconoscimento del fatto che la morte conduce anche a una nuova vita. Sia che esso venga espresso nella prosa epica degli Indiani Winnebago, in un lamento per la morte di Balder nelle saghe norvegesi, nelle poesie di Walt Whitman in morte di Abraham Lincoln, oppure nel rituale onirico attraverso il quale un uomo recupera i propri timori e le proprie speranze giovanili, si tratta pur sempre dello stesso tema: il dramma di una nuova nascita attraverso la morte.
L'ultima parte del sogno rivela un curioso epilogo, nel corso del quale il sognante viene coinvolto direttamente nell'azione rappresentata dal sogno. Egli si trova con altre persone su una piattaforma dalla quale devono scendere. Egli non si arrischia lungo la scala a pioli temendo il possibile intervento dei teppisti, ma una donna lo incoraggia a credere che sia possibile scendere, e così avviene. Poiché, come mi ero reso conto analizzando le sue associazioni, l'intera rappresentazione alla quale egli aveva assistito faceva parte della sua analisi - un processo di cambiamento interiore che il paziente stava attualmente sperimentando - egli pensava presumibilmente alla difficoltà di tornare ad affrontare la realtà di tutti i giorni. La sua paura dei “malviventi”, come egli li chiama, suggerisce il suo timore che l'Imbroglione archetipico possa apparire in una forma collettiva.
Gli elementi di salvezza indicati dal sogno sono la scala, che qui probabilmente simboleggia la mente razionale, e la presenza della donna, che incoraggia il sognante a farne uso. La sua apparizione nella sequenza finale del sogno rivela la necessità psichica di includere un principio femminile come complemento di tutta questa attività eccessivamente maschile.
Da quanto sono venuto dicendo non si deduca che, per il fatto di aver scelto il mito degli Indiani Winnebago per illustrare questo sogno particolare, ci si debba attendere un parallelismo integrale e meccanico fra ogni singolo sogno e i vari materiali che sono reperibili nella storia della mitologia. Ciascun sogno si riferisce individualmente al sognante, e la forma specifica da esso assunta è determinata dalla particolare situazione nella quale il soggetto si trova. Ciò che ho cercato di mostrare sono le guise in cui l'inconscio attinge questo materiale archetipico e viene modificando le sue strutture secondo le necessità del sognante. Perciò, nel caso di questo sogno in particolare, non si deve cercare un riferimento diretto a ciò che gli Indiani Winnebago descrivono nel ciclo di Corno Rosso o dei Gemelli; il riferimento va cercato piuttosto con l'essenza di questi due temi - con l'elemento sacrificale, cioè, in essi implicito.
Come regola generale si può dire che il bisogno di ricorrere a simboli eroici nasce quando l'ego sente la necessità di rafforzarsi - quando, in altre parole, la mente conscia ha bisogno di assistenza nell'assolvimento di qualche compito che essa non è in condizioni di eseguire senza aiuto o senza attingere a quelle sorgenti di forza che risiedono nella mente inconscia. Nel sogno che sono venuto discutendo, per esempio, non figurava alcun riferimento a uno dei più importanti aspetti del mito dell'eroe tipico - alla sua capacità, cioè, di salvare o di proteggere belle donne da terribili pericoli. (Quello della fanciulla in pericolo era un mito ricorrente nell'Europa medievale.) Questo è uno dei tanti modi in cui i miti o i sogni si riferiscono all'anima - cioè all'elemento femminile della psiche maschile che Goethe definì l'“eterno femminino”.
La natura e la funzione di questo elemento femminile verranno discusse in seguito dalla dottoressa von Franz. Tuttavia il suo rapporto con la figura dell'eroe può essere illustrato fin da ora per mezzo di un sogno prodotto da un altro paziente, anch'egli di età matura. Egli cominciò il suo lungo racconto dicendo:
Ero appena tornato da un lungo viaggio in India. Una donna aveva provveduto a equipaggiare me e un mio amico per il viaggio e al ritorno la rimproverai per non averci fornito dei cappelli da pioggia neri, dicendole che per questa sua dimenticanza ci eravamo inzuppati di pioggia.
In seguito emerse che questa introduzione al sogno si riferiva a un periodo della giovinezza del paziente nel quale egli si era dato a compiere gite “eroiche” in pericolose zone di montagna in compagnia di un compagno di studi. (Poiché egli non era mai stato in India, sulla base delle sue personali associazioni a questo sogno conclusi che il viaggio indicato dal sogno significava l'esplorazione di una regione sconosciuta - cioè, non un paese reale ma il mondo dell'inconscio.)
Dal sogno si ricava che il paziente pensa che una donna - presumibilmente una personificazione della propria anima - non abbia provveduto a prepararlo adeguatamente per questa spedizione. La mancanza di un copricapo adatto fa pensare che egli si senta mentalmente indifeso, in una disagiata situazione prodotta dal confronto diretto con esperienze nuove e per nulla piacevoli. Egli è del parere che la donna avrebbe dovuto procurargli un copricapo, allo stesso modo che sua madre gli forniva, da bambino, gli abiti con cui vestirsi. Questo episodio ricorda i suoi vagabondaggi picareschi, allorché si sentiva sostenuto dall'idea che la madre (l'immagine femminile originaria) lo avrebbe protetto contro tutti i pericoli. Crescendo, si era reso conto che si trattava di una semplice illusione infantile, e ora egli rimprovera la propria sfortuna alla sua anima, non a sua madre.
Nella seconda parte del sogno il paziente dice di aver partecipato a una gita con un gruppo di altre persone. A un certo punto si sente stanco e allora ritorna a un ristorante all'aperto, dove si trova l'impermeabile insieme al copricapo che precedentemente non era riuscito ad avere. Si siede per riposare e, nel far così, nota un manifesto su cui è scritto che un alunno della locale scuola media recita la parte di Perseo in un'opera teatrale. Quindi appare il ragazzo in questione - che si rivela però non come tale, bensì come un giovane robusto. Indossa un abito grigio con un cappello nero e si siede a parlare con un altro giovane vestito di nero. Immediatamente dopo avere assistito a questa scena, il sognante avverte un nuovo vigore in tutta la persona e si rende conto di essere in grado di ricongiungersi al resto della comitiva. Tutti insieme allora salgono su una collina vicina; di lassù il paziente scorge la destinazione del gruppo: una bella città portuale. Egli si sente rincuorato e ringiovanito da questa scoperta.
Qui, al contrario del primo episodio in cui è rappresentato un viaggio logorante, scomodo e solitario, il sognante si trova in un gruppo di persone. Il contrasto segna il cambiamento da una struttura primitiva di isolamento e di protesta giovanile all'influenza socializzatrice di un rapporto con altre persone. Poiché ciò implica corrispondentemente una capacità nuova di contrarre rapporti sociali, si deduce che l'anima del paziente deve funzionare meglio che nel passato - elemento, questo, simboleggiato dal ritrovamento del cappello mancante che la figura rappresentativa dell'anima non aveva provveduto a fornirgli in precedenza.
Tuttavia il sognante è stanco e la scena al ristorante riflette il bisogno che egli avverte di considerare i suoi atteggiamenti precedenti in una luce nuova, con la speranza di rinnovare, per mezzo di tale regressione, la propria energia. E così avviene. La prima cosa che egli vede è un manifesto che annuncia l'interpretazione del ruolo di un eroe giovanile in un'opera teatrale: quella di un alunno di scuola media che recita nei panni di Perseo. Successivamente egli vede il ragazzo, ora trasformato in uomo, in compagnia di un amico che, all'aspetto, contrasta nettamente con lui. Il primo è vestito di grigio chiaro, il secondo di nero: entrambi possono essere considerati, per quanto sono venuto dicendo precedentemente, come una versione dei Gemelli. Essi sono figure eroiche rappresentative del contrasto fra ego e alter-ego, qui descritti, tuttavia, come solidali in una relazione reciproca armonica e unitaria.
Le associazioni elaborate dal paziente portarono alla conferma di questo punto rilevando, in particolare, come la figura in grigio rappresenti un atteggiamento esistenziale mondano e bene adattato, mentre la figura in nero rappresenta la vita spirituale, con riferimento al fatto che i preti vestono di nero. Il fatto, poi, che portassero il cappello (e anche il sognante, a questo punto, era riuscito a trovare il proprio) indica che essi avevano ormai raggiunto una identità relativamente matura - identità di cui il sognante aveva sentito profondamente la mancanza nei primi anni dell'adolescenza, allorché le qualità tipiche dell'Imbroglione erano ancora radicate alla sua natura, nonostante che egli tendesse a considerarsi idealisticamente come un cercatore di saggezza.
La sua associazione all'eroe greco Perseo era singolare e si rivelò particolarmente significativa poiché denunciava una evidente inesattezza. Risultò infatti che il paziente pensava a Perseo come all'uccisione del Minotauro e al salvatore di Arianna dal labirinto di Creta. Mentre scriveva il nome scoprì il suo errore - che, cioè, era stato Teseo, non Perseo, a uccidere il Minotauro - e tale errore divenne subito significativo perché, come avviene sovente con questo tipo di sviste, fece risaltare al paziente ciò che i due eroi avevano in comune. Essi avevano dovuto entrambi vincere la loro paura di inconsce forze demoniache materne e liberare da esse una giovane donna.
Perseo dovette tagliare la testa della Medusa, il mostro dall'aspetto terrificante, con serpenti al posto dei capelli, che trasformava in pietra chiunque rivolgesse loro lo sguardo, e successivamente uccise il drago che teneva prigioniera Andromeda. Teseo rappresentava il giovane spirito patriarcale di Atene che dovette affrontare i terribili pericoli del labirinto cretese con il suo ospite mostruoso, il Minotauro, probabilmente il simbolo della profonda decadenza in cui era piombata la civiltà matriarcale di Creta.7 
(In tutte le civiltà il labirinto sta a rappresentare in una guisa contorta e confusa il mondo della coscienza matriarcale; esso può essere penetrato solo da coloro che siano preparati a ricevere una speciale iniziazione al mondo misterioso dell'inconscio collettivo.) 8 
Dopo aver superata questa prova rischiosa, Teseo portò in salvo Arianna, una fanciulla in pericolo. Questo salvataggio simboleggia la liberazione della figura dell'anima dall'aspetto divorante dell'immagine materna. Finché essa non si è realizzata l'uomo è incapace di entrare positivamente in rapporto con le altre donne. Il fatto che il paziente non fosse riuscito a separare adeguatamente l'anima dalla madre viene messo in evidenza da un altro sogno in cui egli si trovò di fronte a un drago, cioè all'immagine simbolica dell'aspetto “divorante” del suo attaccamento alla madre. Il drago si era messo a inseguirlo e poiché non aveva alcuna arma per difendersi il sognante cominciava ad avere la peggio.
Significativamente, tuttavia, a questo punto del sogno apparve la moglie e la sua semplice presenza fece diventare il drago più piccolo e meno minaccioso. Ciò significa che, attraverso il matrimonio, il sognante aveva cominciato a vincere, sia pure tardivamente, il proprio attaccamento verso la madre. In altre parole, egli doveva trovare il modo di liberare l'energia psichica associata al rapporto madre-figlio allo scopo di entrare in un più maturo rapporto con le altre donne e con la società adulta nel suo complesso. La battaglia fra l'eroe e il drago costituiva l'espressione simbolica di questo processo di “crescita”.
Però l'impresa dell'eroe ha uno scopo che va al di là del riferimento con l'aggiustamento biologico e maritale puro e semplice: si tratta, cioè, di liberare l'anima, intesa come quella componente interiore della psiche che è necessaria per ogni vera operazione creativa. Nel caso di questo paziente, noi dobbiamo però limitarci a congetturare semplicemente tale evenienza, poiché essa non è direttamente precisata nel sogno del viaggio in India. Tuttavia sono certo che il paziente confermerebbe la mia ipotesi secondo la quale la gita sulla collina e la vista di una tranquilla città portuale come destinazione contenevano la ricca promessa della scoperta dell'autentica funzione della sua anima. Ciò porta alla scomparsa del suo risentimento per non avere ricevuto dalla donna adeguata protezione (il cappello) per il viaggio in India. (Nei sogni le immagini di città situate in regioni significative possono essere spesso simboli dell'anima.)
L'uomo trova così quel senso di sicurezza promesso dal sogno per mezzo del contatto con l'autentica figura archetipica dell'eroe, e assume un nuovo atteggiamento, cooperativo e socievole, verso il gruppo. Da ciò deriva naturalmente la sua sensazione di ringiovanimento. Il sognante ha attinto alla profonda sorgente di forza rappresentata dall'archetipo dell'eroe; è venuto chiarificando e sviluppando quella parte di sé che è simboleggiata dalla donna; infine, grazie all'atto eroico del proprio ego, egli si è affrancato dalla madre.
Questo e molti altri esempi della presenza del mito eroico nei sogni moderni mostrano che l'ego, in quanto eroe, è sempre essenzialmente un produttore di civiltà piuttosto che un semplice esibizionista egocentrico. Perfino l'Imbroglione, col procedere confuso e casuale che gli è caratteristico, collabora all'organizzazione del cosmo, così come lo concepisce l'uomo primitivo. Nella mitologia degli Indiani Navaho dove è raffigurato come coyote, esso compie un atto di creazione, quello di scagliare le stelle nel cielo, inventa la necessaria contingenza della morte e nel mito dell'apparizione aiuta gli uomini a fuggire per mezzo di una canna forata da un mondo a un altro più elevato, dove sono finalmente liberi dalla minaccia dell'inondazione.9
Abbiamo qui un riferimento a quella forma di evoluzione creatrice che evidentemente si avvia a un livello infantile, preconscio o animale di esistenza. Il passaggio dell'ego a effettive azioni coscienti si presenta chiaramente nel caso dell'eroe fondatore di civiltà. Nello stesso modo l'ego infantile o adolescente si libera progressivamente dall'oppressione delle speranze parentali e diventa individuale. In questo processo di ascesa verso la coscienza la battaglia fra eroe e drago può anche dover essere combattuta più volte allo scopo di liberare l'energia necessaria per tutta quella moltitudine di imprese umane che, sole, possono organizzare dal caos la struttura di una civiltà.10
Quando la battaglia riesce definitivamente vittoriosa, vediamo emergere a tutto rilievo l'immagine dell'eroe intesa come quel particolare grado di forza dell'ego (o, se parliamo in termini collettivi, di identità tribale) che non ha più avversari né fra mostri né fra giganti. Si è giunti, cioè, al punto in cui tutte queste forze oscure possono essere personalizzate. L'“elemento femminile” non appare più nei sogni sotto le spoglie di un drago ma in quelle di una donna; analogamente, il lato “ombra” della personalità cessa di presentarsi in una forma troppo minacciosa.
Ciò è bene illustrato nel sogno di un uomo di circa cinquant’anni. Per tutta la vita egli aveva sofferto di periodici attacchi di ansietà associati alla paura di fallire in tutte le sue attività. (Questa paura gli era stata originariamente insinuata dalla madre, una donna piena di insicurezza.) Eppure la sua posizione attuale, sia in campo professionale sia sul piano delle relazioni personali, era nettamente superiore alla media. In sogno gli era apparso il figlio di nove mesi: aveva l'aspetto di un giovane di diciotto o diciannove anni e indossava la lucente armatura di un cavaliere medievale. Il giovane dovrebbe lottare contro una fitta schiera di uomini vestiti di nero e in un primo tempo sembra prepararsi allo scontro. Ma, improvvisamente, si toglie l'elmo e sorride al condottiero della schiera nemica: è chiaro che non verranno a battaglia fra di loro e che anzi diventeranno amici.
In questo sogno il bambino rappresenta l'ego giovanile del paziente, che si era sentito frequentemente minacciato dall'ombra sotto forma di dubbi sulle proprie capacità. In un certo senso, si può dire che quest'uomo avesse intrapreso una vittoriosa crociata contro tale nemico negli anni della sua maturità. A questo punto, in parte attraverso il positivo incoraggiamento che gli deriva dal vedere il proprio figliolo crescere senza tali insicurezze, in parte, soprattutto, formandosi un'immagine adeguata dell'eroe secondo i requisiti della struttura ambientale in cui vive attualmente, il paziente non vede più la necessità di combattere l'ombra e l'accetta semplicemente. Ciò è quanto viene simboleggiato nel gesto di amicizia. Quest'uomo non si sente più spinto a una lotta competitiva per l'affermazione della supremazia individuale, ma anzi si adegua al compito civile di creare una comunità di tipo democratico. Una conclusione di questo tipo, raggiunta nella pienezza della vita, supera il significato puro e semplice dell'impresa eroica e porta l'individuo ad assumere un atteggiamento positivamente maturo.
Questo cambiamento, tuttavia, non avviene automaticamente: esso richiede un periodo di transizione che si esprime nelle varie forme dell'archetipo d'iniziazione.
L'archetipo d'iniziazione
Dal punto di vista psicologico l'immagine dell'eroe non deve essere considerata identica all'ego vero e proprio. Essa può essere più appropriatamente descritta come il mezzo simbolico tramite il quale l'ego si viene separando dagli archetipi evocati dalle immagini parentali nella prima infanzia. Il dottor Jung ha affermato che ogni essere umano possiede originariamente un sentimento di integralità, un senso pieno e potente del Sé; e dal Sé - la totalità della psiche - vien emergendo la coscienza individualizzata dell'ego via via che l'individuo cresce.
Negli ultimi anni alcuni seguaci di Jung hanno cominciato a documentare, nelle loro opere, tutta la serie di eventi attraverso i quali l'ego individuale viene emergendo nel periodo di transizione che va dalla prima infanzia fino alle soglie dell'adolescenza. Questa separazione porta sempre con sé una grave frattura del sentimento originario di integralità. Perciò l'ego deve continuamente tornare a ristabilire il proprio rapporto con il Sé per garantire il livello di salute psichica.
Da quando sono venuto dicendo finora dovrebbe risultare chiaro che il mito dell'eroe costituisce il primo stadio nel processo di differenziazione della psiche. Ho indicato come tale processo sembri svolgersi lungo un quadruplice ciclo attraverso il quale l'ego cerca di raggiungere una relativa autonomia rispetto all'originaria condizione d'integralità. Se questa autonomia, in un grado o nell'altro, non viene conseguita, l'individuo è incapace di adeguarsi al proprio ambiente adulto. Tuttavia il mito dell'eroe non garantisce in modo assoluto questa liberazione: esso si limita solo a mostrare che è possibile e che grazie a essa l'ego può raggiungere la coscienza. Resta, a questo punto, il problema di conservare e di sviluppare la coscienza in guise significative, in modo che l'individuo possa vivere una vita utile e raggiungere nella società quel senso di autodistinzione che è indispensabile.
La storia dell'antichità e i rituali delle società primitive contemporanee ci hanno fornito una grande quantità di materiale sui miti e sui riti d'iniziazione, per mezzo dei quali i giovani di entrambi i sessi vengono sottratti alla tutela dei genitori e resi definitivamente membri del loro clan o della loro tribù. Ma provocando questa rottura col mondo dell'infanzia, l'archetipo parentale originario subisce un danno che deve essere compensato attraverso un salutare processo di assimilazione alla vita di gruppo. (L'identità del gruppo e dell'individuo viene spesso simboleggiata da un totem animale.) In tal modo il gruppo ripara il danno subito dall'archetipo e diventa una specie di secondo genitore cui i giovani vengono dapprima sacrificati simbolicamente per poi rinascere a una nuova vita.
In questa “drastica cerimonia, che assomiglia molto a un sacrificio propiziatorio verso quelle forze che potrebbero riportare il giovane al suo stato originario”, come ha detto il dottor Jung, possiamo renderci conto di come la potenza dell'archetipo originario non possa mai essere debellata definitivamente, nel modo raffigurato nella battaglia fra l'eroe e il drago, senza che si avverta un mutilante senso di alienazione dalle benefiche forze dell'inconscio. Nel mito dei Gemelli abbiamo visto come la loro hybris, indicativa di una eccessiva separazione fra ego e Sé, abbia infine trovato un correttivo nella paura delle conseguenze, che reintroduce i Gemelli in una armonica relazione ego-Sé.
Nelle società tribali il rito d'iniziazione serve a risolvere in modo molto efficace questo problema. Il rituale riconduce il novizio al più basso livello di identità originaria madre- bambino o ego-Sé, costringendolo così a sperimentare una morte simbolica. In altre parole, la sua identità viene temporaneamente smembrata o dissolta nell'inconscio collettivo. Da questo stato egli viene in seguito riscattato attraverso il rito della nuova nascita. Questo è il primo atto di un consolidamento sociale genuino dell'ego nell'ambito più vasto del gruppo, espresso da un totem, un clan, una tribù o le tre cose insieme.
Il rituale, nei gruppi tribali come nelle società a struttura più complessa, insiste invariabilmente su questo rito della morte e della rinascita, che permette al novizio il “passaggio” da una fase all'altra della vita, sia che si tratti di quello dalla prima all'ultima fase dell'infanzia, di quello corrispondente dell'adolescenza oppure di quello che segna il trapasso dall'adolescenza alla maturità."
I processi d'iniziazione non riguardano, naturalmente, solo la psicologia giovanile. Ogni singola fase nuova di sviluppo della vita di un individuo è associata alla ripetizione del conflitto originario fra le esigenze del Sé e quelle dell'ego. Di fatto, questo conflitto si esprime in termini più acuti nel periodo di transizione fra la prima maturità e l'età media (fra i 35 e i 40 anni nella nostra società), che non nelle altre fasi della vita. Anche la transizione dall'età media alla vecchiaia ripropone la necessità di affermare la differenza fra l'ego e la totalità della psiche: in questa occasione l'eroe riceve l'ultimo appello all'azione in difesa della coscienza dell'ego contro l'imminente dissoluzione della vita nella morte.
In tutti questi periodi critici l'archetipo di iniziazione viene fortemente attivato per garantire una transizione significativa, capace di offrire qualcosa di spiritualmente più soddisfacente dei riti dell'adolescenza con la loro impronta secolare. Le strutture archetipiche di iniziazione con questo significato religioso - esse sono note fin dall'antichità come “i misteri” - presentano caratteristiche affini a quelle di tutti i rituali ecclesiastici richiedenti un tipo speciale di culto per la nascita, il matrimonio, la morte.

Come nel nostro studio del mito dell'eroe, così in quello dell' iniziazione dobbiamo andare in cerca di esempi nel campo delle esperienze soggettive degli uomini moderni e in particolare di coloro che si sono sottoposti all'analisi. Non è cosa che debba sorprendere, il rinvenire nell'inconscio di qualcuno che si sia rivolto per aiuto a un medico specializzato in disordini psichici, immagini perfettamente simili ai principali modelli d'iniziazione che ci sono noti attraverso la storia.

Forse il tema più comune fra questi, che è dato rinvenire nei giovani, è quello della prova di forza. Esso sembrerebbe identico a quelli da noi già messi in evidenza nel presentare alcuni esempi di sogni moderni che illustrano il mito dell'eroe: quali, ad esempio, il caso del marinaio che si sottopone alla sferza del vento e alle percosse, o quello dell'uomo che intraprende senza cappello un lungo viaggio in India per dare una prova di capacità. Potremmo scorgere un esempio di questo tema della sofferenza fìsica, portato alle sue estreme conseguenze logiche, nel primo sogno da me discusso, quello, cioè, in cui il giovane di bell'aspetto diventa figura umana sacrificale sull'altare. Questo sacrificio fa venire alla mente la prima fase di un rito d'iniziazione ma la sua conclusione non è chiara. Per un momento sembrava che derogasse dallo schema del ciclo eroico e che introducesse un tema nuovo.
Eppure c'è una profonda differenza fra il mito dell'eroe e il rito d'iniziazione. Le figure tipiche di eroi esauriscono i loro sforzi nell'ottenere soddisfazione alle loro ambizioni: in breve, essi riescono vittoriosi anche se subito dopo vengono puniti o uccisi per la loro hybris. Al contrario, il novizio che affronta l'iniziazione deve rinunciare a ogni desiderio e ambizione e sottomettersi alla prova. Egli deve essere disposto ad affrontarla senza alcuna speranza di successo. Di fatto, egli deve essere pronto a morire; e benché quanto gli viene richiesto per superare la prova possa essere non eccessivamente gravoso (un periodo di digiuno, l'estirpazione di un dente o un tatuaggio) oppure particolarmente doloroso (circoncisione, subincisione o altre mutilazioni), lo scopo rimane sempre lo stesso: quello di creare simbolicamente lo stato d'animo della morte dal quale possa scaturire lo stato d'animo opposto, cioè della rinascita.
Un giovane di venticinque anni sognò di scalare una montagna sulla cui cima c'era una specie di altare. Vicino all'altare egli scorge un sarcofago e su di esso, distesa, la propria statua. Quindi si avvicina un sacerdote velato, recante un bastone in cima al quale brilla, dardeggiante, il disco del sole. (In seguito, discutendo il sogno, il giovane disse che la scalata di una montagna gli ricordava lo stesso sforzo da lui sostenuto durante l'analisi per raggiungere una piena padronanza di sé.) Con sua grande sorpresa egli si ritrova morto e invece di un senso di appagamento egli prova vuoto e paura. Appena viene investito dai caldi raggi del disco solare, egli avverte un senso di forza e di ringiovanimento.
Questo sogno mostra molto succintamente la distinzione che è necessario fare tra rito di iniziazione e mito eroico. L'atto di scalare la montagna sembra suggerire una prova di forza: si tratta della volontà di raggiungere la coscienza dell'ego nella fase eroica dello sviluppo dell'adolescenza. Evidentemente il paziente aveva pensato che sottoporsi alla terapia equivalesse ad affrontare altre prove tipicamente virili che egli aveva sostenuto nella stessa maniera competitiva caratteristica dei giovani della nostra società. Ma la scena dell'altare era intervenuta a correggere questa falsa opinione, mostrando al sognante che il suo compito era piuttosto quello di sottomettersi a una potenza più grande di lui. Egli deve considerarsi come morto e sepolto in una forma simbolica (il sarcofago), che richiama alla mente la madre archetipica contenitrice di tutta la vita. Solo attraverso questo atto di sottomissione egli potrà vivere l'esperienza della rinascita. Un rituale di rinvigorimento lo riporta alla vita nello stesso modo del figlio simbolico del Padre Sole.
Anche qui potremmo confondere questa simbologia con quella di un ciclo eroico - quello dei Gemelli, detti i “figli del Sole”. Ma in questo caso non abbiamo alcuna indicazione che ci permetta di pensare che l'iniziato finirà per superare se stesso. Al contrario egli apprende una lezione di umiltà sperimentando un rito di morte e di rinascita che segna il passaggio dalla sua giovinezza alla maturità.
Secondo la sua effettiva età cronologica egli avrebbe già dovuto compiere questo passaggio, ma nella sua vita precedente c'è un lungo periodo di arresto dello sviluppo. Questo ritardo lo aveva fatto piombare in una nevrosi per guarire della quale era ricorso al trattamento, e il sogno gli aveva fornito lo stesso saggio consiglio che avrebbe potuto essergli dato da qualunque abile stregone di tribù - quello, cioè, di rinunciare a scalare montagne per dare prova della sua forza e di sottomettersi al rituale significativo di un cambiamento iniziatorio che lo avrebbe posto in condizione di affrontare le nuove responsabilità morali della virilità.
Il tema della sottomissione intesa come atteggiamento essenziale per promuovere un utile rito d'iniziazione è evidentissimo nel caso di ragazze o di donne.12 In esse il rito del passaggio tende inizialmente a porre in risalto la loro fondamentale passività, e ciò viene rafforzato dalla limitazione fisiologica della loro autonomia imposta dal ciclo mestruale.
È stato detto che il ciclo mestruale può rappresentare, dal punto di vista femminile, l'elemento essenziale del processo d'iniziazione, poiché esso ha la capacità di svegliare il più profondo senso di obbedienza verso la potenza creatrice della vita che domina la donna. Di conseguenza essa si dedica volontariamente alle proprie funzioni femminili, così come l'uomo si dedica all'assolvimento del ruolo che gli spetta nella vita comunitaria del gruppo a cui appartiene.
D'altra parte, la donna presenta, non meno dell'uomo, la tendenza a compiere quelle prime prove di forza che la condurranno al sacrificio finale per la volontà di sperimentare una nuova nascita. Tale sacrificio consente alla donna di liberarsi dall'impaccio delle relazioni personali e la mette in condizione di svolgere un ruolo più consapevole come individuo di pieno diritto. Al contrario, il sacrificio dell'uomo è una resa del suo sacro spirito d'indipendenza: in seguito a esso egli si lega in maniera più consapevole alla donna.
A questo punto bisogna prendere in considerazione quell'aspetto dell'iniziazione che pone in rapporto l'uomo con la donna e viceversa in termini tali da correggere ogni specie di originaria opposizione maschio-femmina. La conoscenza maschile (Logos) incontra la capacità di rapporto femminile (Eros) e la loro unione è rappresentata nel rituale simbolico di un matrimonio sacro, che è stato al centro dei riti d'iniziazione fin dalle sue origini nelle religioni misteriche dell'antichità. Tuttavia si tratta di un punto che l'uomo moderno comprende con difficoltà e spesso comporta una crisi particolare nella sua vita quando egli viene indotto a coglierne il senso.
Diversi pazienti sono venuti a raccontarmi sogni nei quali il motivo del sacrificio è combinato con quello del matrimonio sacro. Uno di questi apparteneva a un giovane che si era innamorato, ma che esitava a sposarsi per timore che il matrimonio si trasformasse per lui in una specie di prigione governata da una dispotica figura materna. La madre aveva esercitato una profonda influenza sulla sua infanzia, e la futura suocera presentava una personalità altrettanto minacciosa. Non poteva darsi che la futura moglie riuscisse a dominarlo nello stesso modo che queste madri erano riuscite a dominare i propri figli?
Nel sogno egli si vedeva impegnato in una danza rituale alla quale partecipavano un uomo e altre due donne, una delle quali era la sua fidanzata. Gli altri due erano una coppia di coniugi più anziani, che impressionarono il sognante poiché, nonostante il loro stretto rapporto reciproco, sembravano poter manifestare le loro rispettive differenze individuali e non apparivano possessivi. Essi, perciò, rappresentavano per il sognante una situazione coniugale che non imponeva alcuna indebita restrizione allo sviluppo della natura individuale dei due sposi. Solo a patto di ritrovarsi in una condizione come questa, egli avrebbe preso in considerazione il matrimonio come una soluzione adatta per lui.
Nella danza rituale ciascuno degli uomini stava di fronte alla rispettiva donna, e tutti e quattro occupavano singolarmente un angolo di un recinto da ballo quadrato. Mentre danzavano risultò evidente che si trattava di una specie di danza delle spade. Ognuno di loro aveva in mano una piccola spada con la quale doveva compiere difficili arabeschi, muovendo le braccia e le gambe in una serie di movimenti che suggerivano impulsi alterni di aggressione e di sottomissione reciproca. Nella scena finale tutti e quattro i danzatori dovevano trafiggersi il petto con la spada e morire. Solo il sognante rifiutò di compiere il suicidio finale e rimase l'unico in piedi mentre tutti gli altri erano ormai stesi al suolo. 
A questo punto egli provò una profonda vergogna per non essersi sentito disposto a sacrificarsi con gli altri.Il sogno fece capire al mio paziente che egli era tutt'altro che disposto a cambiare il proprio atteggiamento di vita. Era sempre stato un egocentrico, tutto proteso a cercare la salvezza illusoria dell'indipendenza personale, mentre intimamente continuava a essere dominato dai timori provocati dalla sua soggezione infantile alla madre. Egli sentiva il bisogno di una sfida alla propria virilità che gli dimostrasse come, non sacrificando la propria mentalità infantile, sarebbe rimasto in un vergognoso isolamento. 
Il sogno e la successiva analisi del suo significato dispersero ogni suo dubbio. 
Egli era passato attraverso il rito simbolico per mezzo del quale ogni giovane rinuncia alla propria esclusiva autonomia e accetta di dividere la propria vita in una forma associata, non così eroica come nel passato. Così egli si sposò e trovò un adeguato aggiustamento nei suoi rapporti con la moglie. Lungi dal pregiudicare la sua efficienza sociale, il matrimonio gliela potenziò.
A prescindere dalle paure nevrotiche che madri e padri invisibili si celino dietro il velo nuziale, anche il giovane normale ha buone ragioni per sentirsi timoroso nei riguardi del rituale matrimoniale. Si tratta in sostanza di nient'altro che di un rito d'iniziazione della donna, in cui l'uomo può sentirsi di tutto meno che un eroe conquistatore. Perciò non ci meraviglia il fatto di trovare, presso le società tribali, rituali come quello dell'abduzione o del ratto della sposa, che tendono a controbilanciare queste fobie. Essi permettono all'uomo di attingere al fondo quanto resta del suo ruolo eroico proprio nel momento in cui deve sottomettersi alla moglie e assumersi le responsabilità del matrimonio.
Tuttavia il tema del matrimonio è un'immagine di tale universalità che è possibile cogliervi anche un significato più profondo. Esso rappresenta simbolicamente la scoperta positiva, e persino necessaria, della componente femminile nella psiche maschile, negli stessi termini reali in cui rappresenta l'acquisto di una moglie in carne e ossa. Di conseguenza è possibile rinvenire questo archetipo in uomini di tutte le età in risposta a uno stimolo appropriato.
Tuttavia, non tutte le donne reagiscono con fiducia allo stato coniugale. Una paziente con aspirazioni inappagate di carriera, cui aveva dovuto rinunciare per un matrimonio difficile e di breve durata, sognò di trovarsi in ginocchio di fronte a un uomo anch'egli in ginocchio. Questi aveva in mano un anello e si preparava a infilarglielo al dito, ma essa aveva proteso con energia l'anulare della mano destra, dimostrando palesemente di opporsi a questo rituale di unione maritale.
Fu facile rilevare il suo significativo errore. Invece di offrire l'anulare della mano sinistra (con il quale avrebbe accettato una relazione equilibrata e naturale con il principio maschile) essa aveva erroneamente pensato di dover porre la propria identità conscia (cioè quella rappresentata dal lato destro) interamente al servizio dell'uomo. In realtà, il matrimonio richiedeva solo che essa partecipasse con lui la parte subliminale, naturale di sé (cioè quella rappresentata dal lato sinistro), e in ciò il principio del matrimonio avrebbe avuto un significato simbolico, non letterale o assoluto. La sua paura era quella di una donna che tema di perdere la propria identità in un tipo di matrimonio a forte impronta patriarcale, contro il quale la paziente aveva buone ragioni di resistere.
Ciò nonostante, il matrimonio sacro nella sua accezione archetipica possiede un significato di particolare importanza per la psicologia femminile, un significato per il quale le ragazze vengono preparate durante l'adolescenza attraverso molti eventi preliminari di carattere iniziatorio.
La Bella e la Bestia
Le ragazze della nostra società rientrano nel fenomeno della mitizzazione eroica, tradizionalmente pertinente solo ai maschi, poiché anch'esse, alla pari dei ragazzi, devono sviluppare una soddisfacente identità dell'ego e acquistare una educazione. Però nei loro sentimenti affiora un antico strato mentale che tende pur sempre a svilupparle in donne, non a trasformarle a imitazione degli uomini. Quando questo antico contenuto della psiche comincia ad apparire, la giovane moderna può giungere a rimuoverlo, in quanto minaccia di tagliarla fuori dalla emancipata parità dell'amicizia e dalla opportunità di competere con gli uomini, che sono diventate entrambe suoi attuali privilegi.
La rimozione può riuscire e per un po' di tempo essa conserverà una identificazione con le aspirazioni intellettuali maschili che ha appreso a scuola o all'università. Anche se si sposa conserverà qualche illusione di libertà, malgrado il suo evidente atto di sottomissione all'archetipo di matrimonio - con l'implicita ingiunzione, in esso contenuta, di diventare madre. Può anche avvenire, come si riscontra frequentemente oggigiorno, che alla fine si ridesti quel conflitto che costringe la donna a riscoprire la propria sepolta femminilità in modo penoso (anche se, in ultima analisi, compensatorio).
Ho trovato un esempio di ciò in una giovane sposata che non aveva ancora avuto bambini ma che intendeva averne almeno uno o due, perché così ci si aspettava da lei. Nel frattempo la sua risposta sessuale non era soddisfacente. Ciò angustiava sia lei che suo marito, benché nessuno di loro fosse in grado di darne una spiegazione. Si era diplomata brillantemente presso un buon college femminile e aveva vissuto una vita di amicizie intellettuali insieme a suo marito e ad altri uomini. Benché questo lato della sua esistenza si mantenesse sempre soddisfacente, essa andava soggetta a esplosioni di collera occasionali e il suo modo aggressivo di parlare in queste circostanze le alienava gli amici e le faceva provare un sentimento intollerabile di insoddisfazione verso se stessa.

In questo periodo aveva avuto un sogno che le era sembrato così importante da richiedere il parere di un medico professionista che ne aiutasse la comprensione. Essa aveva sognato di trovarsi in una fila insieme con altri giovani donne simili a lei, e quando si era sporta a guardare dove stavano dirigendosi aveva veduto che ciascuna di loro, appena arrivata in cima alla fila, veniva decapitata da una ghigliottina. Senza provare alcun sentimento di paura, la sognante era rimasta al suo posto, presumibilmente perché disposta senz'altro a sottoporsi allo stesso trattamento quando fosse arrivato il proprio turno.

Le spiegai che ciò significava che essa era matura per rinunciare all'abitudine di “vivere solo con la testa”; essa doveva imparare a far scoprire al proprio corpo le sue naturali risposte sessuali e l'assolvimento del suo ruolo biologico attraverso la maternità. Il sogno aveva espresso tutto ciò come bisogno di operare un cambiamento drastico: essa doveva sacrificare il proprio ruolo eroico “maschile”.
Come è facile pensare, questa donna colta non ebbe alcuna difficoltà ad accettare tale interpretazione al livello intellettuale e intraprese effettivamente il tentativo di trasformarsi in un tipo di donna più sottomesso. Pertanto incrementò la propria vita amorosa e divenne madre di due bambini. Quanto più imparava a conoscere se stessa tanto meglio comprendeva che mentre per l'uomo (o per la mente delle donne educata con impronta maschile) la vita è qualcosa che va presa d'assalto, in un atto di volontà eroica, per la donna, a pensarci bene, la vita deve costituire un processo di risveglio.
Un mito universale che esprime proprio questo tipo di risveglio è rappresentato dalla novella della Bella e la Bestia.13 Secondo la versione più nota di questo racconto, la Bella, la minore di quattro figlie, diventa la prediletta del padre a motivo della sua bontà disinteressata. Allorché essa chiede al padre solo una rosa bianca, al posto dei più ricchi regali richiesti dalle altre sorelle, in lei c'è solo la consapevolezza della propria assoluta sincerità di sentimento. Essa non sa che corre il rischio di mettere a repentaglio la vita del padre e la sua relazione ideale con lui. Egli, infatti, ruba la rosa bianca dal giardino incantato della Bestia e questi, adirato per il furto, gli impone di tornare entro tre mesi per ricevere la punizione, presumibilmente mortale. (Nel fare al padre questa concessione di tornare a casa per consegnare il dono, la Bestia si comporta in contraddizione col proprio genuino carattere, soprattutto quando arriva a offrirsi d'inviargli uno scrigno pieno d'oro non appena fosse giunto a casa. Come commenta il padre della Bella, la Bestia si rivela contemporaneamente crudele e gentile.)
La Bella insiste per scontare personalmente la punizione inflitta al padre e dopo tre mesi si reca al castello incantato. Qui le viene assegnata una bella stanza dove vive indisturbata e senza alcunché da temere tranne le visite occasionali della Bestia che si reca da lei ripetutamente per chiederle se un giorno sarà disposta a sposarlo. Essa rifiuta sempre. Dopo qualche tempo, avendo veduta in uno specchio magico l'immagine del padre ammalato, essa supplica la Bestia di lasciarla andare a confortarlo, promettendogli di tornare entro una settimana. La Bestia risponde che morirà se lei lo abbandona, ma le concede il permesso di una settimana.
Giunta a casa, la sua radiosa presenza rasserena il padre e suscita l'invidia delle sorelle, che tramano di trattenerla più a lungo del tempo consentitole. Alla fine essa sogna che la Bestia muore dalla disperazione e, accortasi di avere indugiato troppo a lungo, torna dalla Bestia per salvarne la vita.
Dimenticandosi della sua bruttezza, la Bella lo accudisce. Egli le dice che era incapace di vivere senza di lei e che ora morirà contento perché è ritornata. A questo punto la Bella capisce di non poter vivere a sua volta senza la Bestia e si rende conto di essersene innamorata. Gli dice tutto questo e gli promette di sposarlo se guarirà.
In quel momento il castello si riempie di luce vividissima e di musica, e la Bestia scompare. Al suo posto c'è ora un bel principe che racconta alla Bella di essere stato stregato e trasformato nella Bestia. L'incantesimo sarebbe durato fino a che una bella fanciulla non avesse amato la Bestia solo per la sua bontà.
Sciogliendo il simbolismo di questa novella, possiamo dire che la Bella rappresenta tutte quelle ragazze o donne che sono prigioniere di un legame emotivo con il proprio padre, legame che non è meno vincolante per il fatto di essere semplicemente spirituale. La bontà della Bella è simboleggiata dalla richiesta di una rosa bianca, ma con una significativa implicazione la sua intenzione inconscia pone il padre e lei stessa in balia di un principio che esprime non bontà pura e semplice, ma crudeltà e gentilezza fra loro combinate. È come se essa desiderasse di venir liberata da un amore che la costringe a tenere un atteggiamento esclusivamente virtuoso e irreale.
Imparando ad amare la Bestia essa si desta alla potenza dell'amore umano concepito nella sua forma animale (e perciò imperfetta) ma genuinamente erotica. Ciò rappresenta presumibilmente il risveglio della sua vera capacità di rapporto ed esso la mette in condizione di accettare la componente erotica del suo desiderio originale, che aveva dovuto essere rimosso per timore d'incesto. Per abbandonare il padre essa aveva dovuto accettare, diciamo così, la paura dell'incesto, permettere a se stessa di vivere nella fantasia in presenza di tale paura, fino a che non fosse riuscita a conoscere l'uomo nella sua accezione animale e non avesse scoperto come donna la propria risposta genuina nei suoi riguardi.
In tal modo essa riscatta se stessa e la propria immagine maschile dalle forze della rimozione, innalzando al livello della coscienza la sua capacità di credere all'amore come a qualcosa che combina in sé spirito e natura, nel senso migliore dei termini.
Un sogno prodotto da una mia paziente - una donna emancipata - rappresentava bene questo bisogno di rimuovere la paura dell'incesto, una paura estremamente reale dovuta al morboso attaccamento del padre verso di lei dopo la morte della moglie. In sogno si era vista inseguita da un toro furioso: dapprima aveva cercato di fuggire, ma poi si era resa conto che non serviva a nulla. Poi era caduta e il toro le era stato sopra. L'unica speranza era di cantare per cercare di ammansire l'animale: così aveva fatto, sia pure con voce tremante, e il toro, placata la propria furia, si era messo a leccarle una mano con la lingua. L'interpretazione mostrò che essa ora poteva cominciare a trattare gli uomini con un atteggiamento femminile più fiducioso - non solo sessualmente, ma anche dal punto di vista erotico, nel senso più ampio di capacità di rapporto al livello della propria identità conscia.
Nel caso di donne più anziane, il tema della Bestia può non indicare il bisogno di trovare risposta a un complesso paterno o di sciogliere una inibizione sessuale, può, insomma, non fare riferimento a tutti quegli elementi che da un'analisi psicanalitica razionale possono risultare dal mito. Esso può rappresentare, di fatto, l'espressione di una particolare forma di iniziazione della donna, che può essere altrettanto significativa all'inizio della menopausa che nel colmo dell'adolescenza; ma può rivelarsi in ogni età, tutte le volte che l'unione fra spirito e natura si sia incrinata.
Una donna nel periodo della menopausa mi raccontò questo sogno:
Mi trovo insieme a diverse donne anonime che non mi sembra di conoscere. Scendiamo al pianterreno di una strana casa e d'improvviso ci troviamo di fronte ad alcuni grotteschi “uomini-scimmia” dall'aspetto terribile, vestiti di pelli a strisce grige e nere, con la coda, con lo sguardo torvo e minaccioso. Siamo completamente in loro balia, ma a un tratto sento che l'unico modo per salvarci non è quello di farci prendere dal panico e di fuggire o lottare, ma quello di trattare queste creature con umanità inducendole a prendere coscienza del lato migliore della loro natura. Così uno di questi uomini-scimmia viene verso di me, io lo accolgo come un cavaliere che mi inviti alla danza e insieme cominciamo a ballare.
Successivamente sogno di essere dotata di poteri di guarigione soprannaturali e c'è un uomo in punto di morte. Ho una specie di penna o piuttosto di becco d'uccello, attraverso il quale soffio aria nelle narici dell'uomo ed egli riprende a respirare.
Negli anni del matrimonio e dell'allevamento dei figli la paziente aveva dovuto trascurare le sue doti creative con le quali si era fatta un tempo una piccola ma genuina reputazione di scrittrice. Nel periodo in cui ebbe questo sogno essa cercava di indursi a riprendere la vecchia attività, pur criticandosi duramente, allo stesso tempo, per non essere una moglie, amica e madre migliore. Il sogno le aveva proposto il suo problema alla luce dell'esperienza di altre donne che, come lei, potevano sperimentare una situazione di passaggio, discendendo, come risulta dall'immagine del sogno, al pianterreno di una strana casa da un troppo alto livello di coscienza. Possiamo congetturare che ciò rappresenti l'introduzione a qualche significativo aspetto dell'inconscio collettivo, con la sfida ad accettare il principio maschile nelle vesti di un uomo-animale, quella stessa figura eroica, pagliaccesca, d'Imbroglione che abbiamo incontrato all'inizio dei cicli eroici primitivi.
Per la paziente riferirsi a questo uomo-scimmia e umanizzarlo valorizzando gli aspetti positivi della sua natura, significava la necessità di accettare qualche elemento imprevedibile del suo naturale spirito creativo. Con ciò essa avrebbe potuto oltrepassare i confini convenzionali della propria vita e imparare a scrivere in una forma nuova, più appropriata alla fase da lei attualmente vissuta.
Il fatto che questo impulso sia riferito al principio creativo maschile risulta dalla seconda scena, in cui essa risuscita un uomo insufflandogli aria nel naso per mezzo di una specie di becco d'uccello. Questo procedimento pneumatico indica il bisogno di far rivivere lo spirito piuttosto che il principio del calore erotico. È un simbolismo conosciuto in tutto il mondo: l'atto rituale trasmette il soffio vitale creatore a ogni nuova impresa.
Il sogno prodotto da un'altra donna sottolinea l'aspetto “naturale” della vicenda della Bella e la Bestia:
Qualcosa di simile a un grosso insetto, giallo e nero, con zampe a spirale roteanti, vola o viene scagliato in casa attraverso la finestra. Qui si trasforma in un bizzarro animale a strisce gialle e nere, simile a una tigre, con delle zampe quasi umane, da orso, e un muso aguzzo, da lupo. Penso che, sciolto com'è, può far del male ai bambini. È un pomeriggio di domenica e vedo una bambina tutta vestita di bianco che va a lezione di catechismo. Devo chiamare in aiuto la polizia.
Ma a questo punto mi accorgo che quella creatura è diventata mezzo donna e mezzo animale. Mi gira attorno facendomi le feste e mostra di voler fare all'amore. Penso che si tratti di una situazione fiabesca, o di un sogno, e che solo con la gentilezza riuscirò a trasformare quella creatura. Cerco di abbracciarla affettuosamente, ma non so resistere e la respingo da me. Ma sento che devo tenerla vicino e familiarizzare con lei: può darsi che un giorno io sia capace di baciarla.
Questa è una situazione diversa da quella precedente. La donna si era distolta troppo intensamente dalla funzione creativa maschile, che era diventata una preoccupazione coercitiva, mentale (cioè, “aerotrasportata”). Di conseguenza non era riuscita a sviluppare in modo naturale la propria funzione femminile, coniugale. (In associazione al sogno la paziente aggiunse: “Quando mio marito torna a casa, il mio lato creativo viene meno e mi trasformo in un'affaccendatis- sima massaia”.) Il sogno finisce inaspettatamente per trasformare il suo spirito diseducato in una figura di donna che essa deve accettare e coltivare dentro di sé: in tal modo essa può armonizzare i propri interessi intellettuali creativi con gli istinti che le consentono di entrare in un rapporto affettuoso con gli altri.
Ciò implica u'na nuova accettazione del principio duale tipico della vita della natura, di ciò che è crudele ma, allo stesso tempo, gentile oppure, nel caso della paziente, aspramente avventuroso ma anche umilmente e creativamente domestico. Questi opposti, ovviamente, sono conciliabili solo a un livello psicologico di consapevolezza estremamente avvertito e sarebbero senz'altro pericolosi per quell'innocente bambina che va a lezione di catechismo con l'abito della festa.
L'interpretazione che può esser data al sogno di questa donna è che essa aveva bisogno di superare un'immagine di sé eccessivamente ingenua. Essa doveva esser disposta ad accettare integralmente la polarità dei propri sentimenti - allo stesso modo che la Bella aveva dovuto rinunciare all'innocente fiducia in un padre che non poteva regalarle la casta rosa bianca del suo sentimento senza svegliare la furia benefica della Bestia.
Orfeo e il Figlio dell'Uomo
“La Bella e la Bestia” è una novella che possiede le stesse qualità di un fiore di campo: esso ci appare in modo così inatteso e crea in noi un tale senso naturale di meraviglia che, lì per lì, non ci rendiamo conto che anche esso appartiene a una classe, a un genere e a una specie ben definiti di piante. Al tipo di mistero implicito in una novella come questa è data un'applicazione universale non soltanto nei termini più generali di un mito storico ma anche nei rituali per mezzo dei quali il mito si esprime o dai quali può derivare.

Il tipo di rituale e di mito che più appropriatamente esprime questo genere di esperienza psicologica è esemplificato nella religione dionisiaca greco-romana e in quella orfica, succeduta alla prima. Entrambe queste religioni fornivano un tipo significativo d'iniziazione noto come “misteri”. I loro simboli erano associati alla figura di un uomo-dio dalle caratteristiche androgine, cui veniva attribuita una intima capacità di conoscenza del mondo animale o di quello vegetale e la prerogativa dell'iniziazione nei loro rispettivi segreti.
La religione dionisiaca conteneva riti orgiastici che inducevano l'iniziato ad abbandonarsi totalmente alla propria natura animale e a sperimentare in pieno la potenza fertilizzante della Madre Terra. L'agente d'iniziazione a questo rito dionisiaco di passaggio era il vino. Si supponeva che esso producesse l'abbassamento simbolico della coscienza necessario per introdurre il novizio nei gelosi segreti della natura, la cui essenza era espressa da un simbolo di appagamento erotico: l'unione del dio Dioniso con Arianna, sua consorte, in una sacra cerimonia matrimoniale.
Ben presto i riti dionisiaci persero la loro potenza religiosa emotiva. Si affermò un desiderio tutto orientale di liberazione dalla loro preoccupazione esclusiva per i simboli puramente naturali della vita e dell'amore. La religione dionisiaca, con il suo continuo passare dal piano spirituale a quello fisico e viceversa, si dimostrò probabilmente troppo rozza e turbolenta per alcune personalità più ascetiche, che finirono per vivere le loro estasi religiose solo interiormente, nel culto di Orfeo.14

Orfeo fu probabilmente una persona reale: cantore, profeta e maestro, subì il martirio e la sua tomba si trasformò in tempio. Non stupisce che i primi Cristiani vedessero in Orfeo un prototipo di Cristo. Tutte e due queste religioni recarono al mondo tardo-ellenistico la promessa di una futura vita divina. Essendo uomini, ma contemporaneamente mediatori della divinità, essi trasmisero alle moltitudini della civiltà greca morente, al tempo dell'Impero romano, la tanto desiderata speranza di una vita futura.

Tuttavia c'è una differenza importante fra la religione di Orfeo e quella di Cristo. Benché sublimati in forma mistica, i misteri orfici conservavano le tracce dell'antica religione dionisiaca. L'impeto spirituale derivava da un semidio in cui si perpetuava la più significativa qualità di una religione radicata nell'arte dell'agricoltura, cioè l'antico modello degli dèi della fertilità che comparivano solo in una determinata stagione - in altre parole, l'eterno ciclo ricorrente di nascita, crescita, maturazione e decadenza.
Il Cristianesimo, d'altra parte, disperse la pratica dei misteri. Cristo era il prodotto e il riformatore di una religione patriarcale, nomade e pastorale, i cui profeti rappresentavano il Messia come un essere di origine assolutamente divina. Il Figlio dell'Uomo, benché nato da una vergine umana, aveva avuto la sua origine in cielo, da dove era sceso, per un atto di divina incarnazione, nell'uomo. Dopo la morte era tornato in cielo - ma una volta per tutte, per regnare alla destra di Dio fino alla Seconda Venuta, “quando i morti si leveranno”.
Naturalmente l'ascetismo di cui era impregnato il Cristianesimo primitivo non durò a lungo. L'esempio dei misteri ciclici era talmente vivo e attraente agli occhi dei suoi seguaci che la Chiesa finì per dovere incorporare nei propri rituali molte pratiche desunte dalla precedente tradizione pagana. Le più significative fra queste sono ricostruibili attraverso le antiche descrizioni delle cerimonie compiute nel Sabato Santo e nella domenica di Pasqua per celebrare la resurrezione di Cristo - per esempio il servizio battesimale che la Chiesa medievale tradusse adeguatamente in un rito d'iniziazione di profondo significato. Tuttavia questo rituale è scarsamente sopravvissuto nell'età moderna ed è completamente assente nel Protestantesimo.
Il rituale che è meglio sopravvissuto e che tuttora contiene per il devoto il significato di un fondamentale mistero di iniziazione, è la pratica cattolica dell'elevazione del calice. Essa è stata così descritta dal dottor Jung nel suo studio Il simbolismo della trasformazione nella messa:
L'elevazione del calice prepara la spiritualizzazione [...] del vino. Ciò è confermato dall'invocazione dello Spirito Santo che segue subito dopo [...]. L'invocazione serve a infondere il sacro spirito nel vino, poiché è lo Spirito Santo che genera, esaudisce e trasforma [...]. Dopo l'elevazione il calice veniva posto, anticamente, alla destra dell'ostia consacrata per rappresentare il sangue che era sgorgato dal fianco destro di Cristo.15
Il rituale della comunione è ovunque il medesimo, sia che venga espresso dalla libagione nel calice dionisiaco, oppure nel sacro calice cristiano; tuttavia il livello di consapevolezza che esso apporta ai partecipanti al rito è diverso. Il seguace di Dioniso guarda all'origine delle cose, alla “nascita tempestosa” del dio che viene esploso dal ventre resistente della Madre Terra. Negli affreschi della Villa dei Misteri di Pompei, nella raffigurazione del rito in atto, il dio viene evocato facendo riflettere una maschera del terrore nella coppa di Dioniso offerta dal sacerdote all'iniziato. In seguito troviamo la raffigurazione del canestro, ricolmo dei frutti preziosi della terra, e del fallo come simboli creativi della manifestazione del dio, quale principio della generazione e della crescita.
In contrasto con questa prospettiva a ritroso, in cui l'accento principale viene posto sull'eterno ciclo naturale della nascita e della morte, il mistero cristiano mira direttamente alla speranza finale dell'iniziato nell'unione con un dio trascendente. Madre Natura, con tutti i suoi mirabili cambiamenti stagionali, è stata messa in disparte e la figura centrale del cristianesimo offre una certezza spirituale poiché egli è il Figlio di Dio in cielo.
Eppure entrambe queste figure si fondono, in un certo senso, in quella di Orfeo, il dio che ricorda Dioniso e insieme preannuncia Cristo. Il senso psicologico di questa figura intermediaria è stato descritto dalla studiosa svizzera Linda Fierz-David, nella sua interpretazione del rito orfico raffigurato nella Villa dei Misteri:16

Orfeo insegnava mentre cantava e suonava la lira, e il suo cantare era tanto potente che dominava tutta la natura; quando cantava accompagnandosi con la lira gli uccelli gli svolazzavano intorno e i pesci abbandonavano le acque per schizzare ai suoi piedi. Il vento e il mare si arrestavano e i fiumi invertivano il loro corso per raggiungerlo; cessavano la neve e la grandine e gli alberi e le pietre andavano dietro a Orfeo; la tigre e il leone stavano accucciati vicino a lui insieme alla pecora, e il lupo insieme al cervo e al capriolo. Qual è il significato di tutto questo? Evidentemente che in una intuizione divina del significato degli eventi naturali [...] questi esprimono un armonico ordine interiore. Tutto diventa luce e ogni creatura si ammansisce quando il mediatore, nell'atto di adorazione, viene a rappresentare la luce della natura. Orfeo è una personificazione della devozione e della pietà; egli simboleggia l'atteggiamento religioso che risolve tutti i conflitti, poiché per suo tramite l'anima viene totalmente orientata verso ciò che sta al di là di ogni conflitto [...]. E quando ottiene questi risultati egli è veramente Orfeo, cioè un buon pastore, secondo la sua personificazione primitiva [...].

Nel suo ruolo di buon pastore e di mediatore Orfeo compendia elementi della religione dionisiaca e di quella cristiana, in quanto sia Dioniso che Cristo presentano caratteristiche simili anche se, come ho già detto, diversamente orientate nel tempo e nello spazio - la prima essendo una religione ciclica del mondo inferiore, l'altra invece una religione celeste ed escatologica o finale. Questa serie di eventi d'iniziazione, ricavati dal contesto della storia delle religioni, si ripropone incessantemente e con ogni possibile complicazione individuale di significato nei sogni e nelle fantasie degli uomini moderni.
Una donna in preda a una grave forma di esaurimento e di depressione produsse in situazione analitica questa fantasia:
Sono seduta a un lungo tavolo stretto, in una stanza senza finestre con un alto soffitto a volta. Il mio corpo è incurvato e rattrappito. Sono coperta solo da una veste bianca di lino, che mi copre dalle spalle ai piedi. Mi è accaduto qualcosa di grave. Non mi resta molto da vivere. Mi appaiono delle croci rosse su dischi d'oro. Mi viene in mente di aver contratto tanto tempo fa un impegno e, ovunque mi trovi attualmente, si deve trattare di qualcosa connesso a ciò. Resto seduta a lungo.
Ora apro lentamente gli occhi e mi vedo seduto accanto un uomo che è lì per guarirmi. Egli mi parla con naturalezza e accento gentile, ma non sento ciò che dice. Sembra essere al corrente di tutta la mia situazione. So di essere molto brutta e intorno a me deve esserci un odore di morte. Mi domando se egli proverà repulsione nei miei riguardi. Lo guardo a lungo, fissamente. Non se ne va. Respiro con più facilità.
A questo punto sento come un soffio d'aria fresca o un getto di acqua fresca scorrermi sul corpo. Mi avvolgo nella veste di lino e mi preparo a un sonno naturale. Le mani risanatrici dell'uomo sono posate sulle mie spalle. Mi ricordo vagamente che un tempo lì c'erano delle ferite, ma la pressione delle sue mani sembra restituirmi forza e salute.
La paziente si era sentita assalita, tempo addietro, da dubbi sulla propria posizione religiosa. Era stata allevata in un clima di devozione cattolica tradizionale, ma fin da giovane aveva cercato di combattere contro le convenzioni religiose formalistiche seguite dalla famiglia. Ciò nonostante gli elementi simbolici della sua educazione religiosa e il senso della pienezza di significato che essa vi aveva riconosciuto avevano seguitato ad accompagnarla lungo tutto il suo processo di cambiamento psicologico, e nel corso dell'analisi trovai molto utile la sua attiva conoscenza del simbolismo religioso.
Gli elementi significativi che la paziente scelse all'interno del suo racconto furono: la veste bianca, da lei intesa come una veste sacrificale; la stanza col soffitto a volta, da lei considerata una tomba; e il particolare dell'impegno, a sua volta associato all'esperienza di sottomissione vissuta dalla donna. Questo impegno, come lei lo definiva, suggeriva un rituale d'iniziazione con una perigliosa discesa nel mondo della morte simboleggiante il modo in cui essa aveva abbandonato la Chiesa e la famiglia per vivere l'incontro con Dio a modo suo. Essa aveva intrapreso una “imitazione di Cristo” nel genuino senso simbolico dell'espressione, e al pari di lui aveva patito le ferite precedenti la morte.
La veste sacrificale suggerisce l'immagine del lenzuolo o sudario in cui venne avvolto il corpo crocifisso di Cristo prima di essere deposto nella tomha. Verso la fine, la fantasia introduce la figura del guaritore, da una parte tenuamen- te associata a me come analista della paziente, dall'altra dotata di un suo ruolo autonomo naturale e indicativa di un amico completamente al corrente dell'esperienza della donna. Il guaritore le parla senza che essa possa udire ciò che viene dicendo, ma le sue mani la rinvigoriscono donandole un senso di salute riacquistata. Si avverte in questa figura il tocco e la parola del buon pastore, Orfeo o Cristo che sia, inteso come mediatore e, ovviamente, come risanatore. Egli sta dalla parte della vita e deve convincere la donna che anche essa può risalire dal sepolcro.
Daremo a tutto ciò il nome di rinascita o di resurrezione? Probabilmente o tutti e due o nessuno. Il rito essenziale si rivela alla fine della fantasia: il soffio d'aria fresca o il rivolo d'acqua che passa sul corpo della paziente rappresenta l'atto primordiale di purificazione del peccato mortale, cioè la sostanza del battesimo genuino.
La stessa donna produsse un'altra fantasia, in cui immaginò che il proprio compleanno cadesse nel giorno della resurrezione di Cristo. (Per la paziente ciò era molto più significativo del ricordo della madre, che non era mai riuscita a darle quel senso di sicurezza e di rinnovamento di cui era tanto andata in cerca nei suoi compleanni da bambina.) Ciò non significava, tuttavia, che essa si identificasse con la figura di Cristo. La sua potenza e la sua gloria lo rendevano inaccessibile: per quanto essa tentasse di raggiungerlo attraverso la preghiera, egli e la sua croce si andavano innalzando sempre più nel cielo, al di là delle sue capacità umane di seguirli.
In questa seconda fantasia la paziente si vede riproposto il simbolo della rinascita nell'immagine del sole nascente, mentre, contemporaneamente, faceva la sua comparsa un nuovo simbolo femminile. Dapprima esso apparve come un “embrione racchiuso in una sacca acquosa”. Successivamente la donna aiutava un bambino di otto anni a passare attraverso l'acqua “evitando un punto pericoloso”. Subito dopo emergeva una situazione in cui essa non si sentiva più in preda alla paura o sotto la minaccia della morte. La paziente si trovava “in una foresta vicino alla cascatella di una sorgente; [...] tutt'intorno crescevano viti verdi. In mano avevo una ciotola di pietra e dentro c'erano acqua sorgiva, muschio verde e violette. Mi bagno nella cascata. L'acqua è dorata e morbida come seta: mi sento come una bambina”.
Il senso di questi eventi è chiaro, anche se per la descrizione così ermetica di tante immagini cangianti è possibile non riuscire a coglierne il significato più riposto. Ci troviamo di fronte a un processo di rinascita, nel corso del quale un sé spirituale di più ampie proporzioni rinasce e viene battezzato naturalmente nelle vesti di una bambina. Nel frattempo la donna ha salvato un bambino di età maggiore che, in qualche modo, simboleggia l'ego della stessa paziente nella fase più traumatica della sua infanzia. Essa lo ha aiutato a traversare l'acqua evitando il punto pericoloso, e ciò sta a indicare la sua paura di cadere in preda a un senso paralizzante di colpa nel caso che si fosse allontanata troppo dalla religione convenzionale della famiglia. Tuttavia il simbolismo religioso è significativo proprio per la sua assenza. Tutto è nelle mani della natura: chiaramente ci troviamo più nel mondo del pastore Orfeo che in quello del Cristo risorto.
A questa serie di eventi faceva seguito un sogno nel corso del quale la paziente si veniva a trovare in una chiesa simile a quella di san Francesco in Assisi con gli affreschi dipinti da Giotto. Essa si sentiva più a proprio agio qui che in qualunque altra chiesa, poiché san Francesco, come Orfeo, era stato un uomo religioso immerso nella natura. Tutto ciò le ridestava gli antichi sentimenti suscitati inizialmente dal mutamento d'indirizzo religioso che le era stato così doloroso affrontare, ma a questo punto essa era convinta di poter affrontare serenamente tale esperienza, ispirata come era dalla luce della natura.

La serie dei sogni terminò con un'eco lontana della religione dionisiaca. (Questo elemento era, per così dire, un ricordo del fatto che anche Orfeo può sottrarsi sensibilmente, a volte, dall'esercitare nell'uomo la propria fecondatrice influenza di dio-animale.) La paziente sognò di accompagnare per mano una bambina bionda. “Stiamo partecipando felici a una festa che coinvolge il sole, le foreste e i fiori tutt'intor- no. La bambina ha in mano un fiorellino bianco e lo va a mettere sulla testa di un toro nero. Anche il toro fa parte della festa ed è coperto di festoni.” Questo riferimento ricorda i riti dell'antichità che celebravano Dioniso nella veste di un toro.

Tuttavia il sogno non finiva qui. La donna aggiunse: “Dopo un po' di tempo il toro viene trafitto da una freccia d'oro”. Ora, a parte quello dionisiaco, c'è un altro rito precristiano in cui il toro assume un significato simbolico: il dio-sole persiano Mitra sacrifica un toro e anch'egli, come Orfeo, rappresenta il desiderio di una vita dello spirito che possa trionfare sulle primitive passioni animali dell'uomo e, dopo una cerimonia d'iniziazione, donargli la pace.
Questa serie d'immagini conferma un motivo che è dato ritrovare in molte sequenze fantastiche od oniriche del tipo sopra presentato - che, cioè, non esiste alcuna pace finale, alcun riposo conclusivo. Nella loro ricerca religiosa gli uomini e le donne - specialmente quelli che vivono nelle moderne società cristianizzate occidentali - continuano tuttora a subire l'influenza delle antiche tradizioni, che non hanno cessato di contrastarsi reciprocamente nel loro spirito per raggiungere la supremazia. Si tratta del conflitto fra credenze pagane e cristiane o, si potrebbe dire, fra rinascita e risurrezione.
Una chiave per risolvere questo dilemma può essere rinvenuta in un curioso elemento di simbolismo, facilmente trascurabile, della prima fantasia prodotta dalla paziente. Essa sostiene di aver veduto nel sepolcro delle croci rosse su dischi d'oro. Come risulta evidente dal seguito dell'analisi, la donna si accingeva, in quel momento, a sperimentare un profondo cambiamento psichico e a riemergere da questa specie di “morte” a una vita nuova. È perciò possibile supporre che questa immagine, offertasi alla paziente nel momento di più profonda disperazione nella vita, abbia in qualche modo servito a preannunziare il suo futuro atteggiamento religioso. Nelle sedute successive infatti essa fornì la prova che le croci rosse rappresentavano la sua devozione verso l'atteggiamento cristiano, mentre i dischi d'oro rappresentavano la sua devozione verso le religioni misteriche precristiane. La visione aveva suggerito alla paziente la necessità di riconciliare questi elementi cristiani e pagani nel nuovo corso di vita che le si apriva davanti.
Un'ultima, ma importante, osservazione concerne gli antichi riti d'iniziazione e il loro rapporto col cristianesimo. Il rito d'iniziazione celebrato nei misteri eleusini (i riti di culto dedicati alle dee della fertilità Demetra e Persefone) non solo era considerato appropriato per quanti cercassero di vivere una vita più rigogliosa, ma veniva anche usato in preparazione alla morte, come se la morte richiedesse un rito iniziatorio di passaggio dello stesso tipo.
Sopra un'urna funeraria rinvenuta nei pressi del Colombario dell'Esquilino si osserva un bassorilievo rappresentante scene della fase finale dell'iniziazione in cui il novizio viene ammesso alla presenza e al colloquio delle dee. Il resto della raffigurazione è dedicato a due cerimonie preliminari di purificazione: il sacrificio del “maiale mistico” e una versione misticizzata del matrimonio sacro.17 Tutto ciò fa riferimento a una iniziazione alla morte ma in una forma che esclude ogni esito doloroso. Essa allude infatti a quegli elementi dei misteri successivi - specialmente di tipo orfico - che assegnano alla morte il valore di promessa d'immortalità. Il Cristianesimo si spinse ancora più in là: esso venne a promettere qualcosa di più dell'immortalità (che, secondo il senso antico dei misteri ciclici, poteva non significare altro che la reincarnazione) e offrì al fedele la garanzia di una vita eterna nei cieli.
Anche in questo caso assistiamo al ripetersi di motivi antichi nella vita moderna. Coloro che debbono imparare ad affrontare la morte possono trovarsi nella necessità di tornare a imparare l'antico messaggio secondo il quale la morte è un mistero al quale dobbiamo prepararci con lo stesso spirito di sottomissione e di umiltà con cui abbiamo appreso, una volta, a prepararci alla vita.
Simboli di trascendenza
Vari sono gli scopi dei simboli che influenzano l'uomo. Certe persone hanno bisogno di venire esaltate e di sperimentare la loro iniziazione nel modo violento di un “rito del tuono” dionisiaco. Altre, invece, hanno bisogno di essere dominate e di ridursi alla sottomissione nell'ordinato contorno del recinto del tempio o della sacra caverna, secondo i riti della religione d'Apollo della tarda Grecia. Una iniziazione completa implica entrambi questi temi, come possiamo renderci conto esaminando il materiale ricavato dai testi dell'antichità o studiando soggetti viventi. Tuttavia è certo che lo scopo fondamentale dell'iniziazione consiste nel domare la selvatichezza originaria della natura giovanile - simile a quella simboleggiata nella figura dell'Imbroglione. Si tratta perciò di uno scopo di civilizzazione o di spiritualizzazione, malgrado la violenza dei riti utilizzati per promuovere questo processo.
Tuttavia c'è anche un altro tipo di simbolismo, appartenente alle tradizioni sacre più antiche fra quelle da noi conosciute. Benché anch'esso risulti collegato ai periodi di transizione della vita umana, non cerca d'integrare l'iniziato con alcuna dottrina religiosa o coscienza di gruppo di tipo secolare. Al contrario, questi simboli hanno di mira la liberazione dell'uomo da ogni stato d'immaturità, di fissità o di finalità. In altre parole essi tendono a liberare l'uomo da ogni schema limitativo d'esistenza allorché deve muoversi verso una fase superiore o più matura del proprio sviluppo.
Il bambino, come ho già detto, possiede un senso di completezza, ma solo nel periodo che precede la comparsa della coscienza dell'ego. Nel caso dell'adulto questo senso di completezza viene raggiunto attraverso l'unione della coscienza con i contenuti inconsci della mente. Da questa unione nasce ciò che Jung ha definito “la funzione trascendente della psiche”,18 per il tramite della quale l'uomo può pervenire alla meta più alta: la piena realizzazione del potenziale contenuto nel proprio sé individuale.
Perciò, quelli che noi chiamiamo “simboli di trascendenza” altro non sono che i simboli della lotta combattuta dall'uomo per il raggiungimento di questa meta. Essi forniscono i mezzi tramite i quali i contenuti dell'inconscio possono penetrare nella mente conscia e rappresentano a loro volta una attiva espressione di tali contenuti.
Questi simboli sono molteplici, ma la loro importanza è evidente sia che risultino da documenti storici sia che compaiano nei sogni degli uomini o delle donne contemporanei allorché abbiano raggiunto una fase esistenziale critica. Al livello più arcaico di questo simbolismo c'imbattiamo ancora una volta nel tema dell'Imbroglione. Ma ora questi non ci appare più nelle vesti di un anarchico eroe velleitario: esso è diventato lo sciamano - lo stregone - le cui magiche pratiche e ardite intuizioni fanno di lui un maestro d'iniziazione primitivo. La sua potenza risiede nella" supposta capacità di abbandonare il corpo e di volare per l'universo sotto forma di uccello.
In questo caso l'uccello diventa il simbolo più adeguato della trascendenza. Esso rappresenta la natura peculiare dell'intuizione, capace di operare per il tramite di un “medium”, cioè di un individuo che è in grado di avere la conoscenza di eventi lontani - o di fatti di cui ignora consciamente la natura - immergendosi in uno stato di trance.

Prove di questa capacità possono essere rinvenute a partire fino dall'età paleolitica, come ha dimostrato lo studioso americano Joseph Campbell commentando una delle famose pitture scoperte recentemente in una caverna della Francia.19 A Lascaux, egli scrive, c'è dipinto uno sciamano, in stato di trance, con una maschera d'uccello, e lì, vicino a lui, un uccello appollaiato su un bastone. Gli sciamani della Siberia indossano questi costumi da uccello ancora oggi, e molti si ritiene siano stati concepiti dalla madre per l'intervento di un uccello [...]. Lo sciamano, perciò, non solo è abitatore familiare ma anche frutto privilegiato di quel mondo di poteri soprannaturali che alla nostra coscienza normale in stato di veglia è invisibile, che a noi è consentito visitare brevemente solo attraverso visioni e che egli invece percorre in largo e in lungo incontrastato, da signore.

Al massimo livello di questo tipo di attività iniziatoria, lungi dall'uso di quei trucchi del mestiere per i quali così spesso la magia interviene a sostituire l'autentica capacità di penetrazione spirituale, troviamo i maestri yoga indù. Nei loro stati di trance essi superano di gran lunga le normali categorie di pensiero.
Uno dei simboli onirici più comuni rappresentativo di questa liberazione nella trascendenza è il tema del viaggio solitario o del pellegrinaggio, di natura essenzialmente spirituale, durante il quale l'iniziato fa conoscenza con la natura della morte. Questa non è una specie di giudizio finale o una prova di forza iniziatoria: si tratta bensì di un viaggio di liberazione, di rinuncia e di espiazione, presieduto e protetto da qualche spirito compassionevole. Questo spirito è rappresentato più spesso.da una «maestra» che non da un “maestro” di iniziazione, cioè da una figura femminile suprema (l'anima), come Kwan-Yin nel buddismo cinese, Sofia nella dottrina gnostica cristiana o l'antica divinità greca della sapienza, Pallade Athena.
Questo simbolismo non è rappresentato solo dal volo degli uccelli o dal viaggio in terre deserte, ma anche, in genere, da qualunque forte movimento che esemplifichi il processo di liberazione. Nella prima parte della vita, allorché si è ancora attaccati alla famiglia e al gruppo sociale originario, questo processo può essere sperimentato nel momento d'iniziazione, in cui si deve imparare a muovere i passi decisivi nella vita con le sole nostre forze e da soli. È il momento in cui ci si trova di fronte, come è stato scritto da T. S. Eliot in La terra desolata,
L'ardimento terribile di un attimo di resa
Che un'èra di prudenza non potrà mai ritrattare.20
Nel periodo di vita successivo si può non aver bisogno di rompere tutti i legami coi simboli di una significativa misura. Ma può anche darsi che ci si senta invasi da quello spirito di scontentezza che costringe tutti gli uomini liberi ad affrontare la scoperta di qualcosa di nuovo o a vivere in modo diverso la propria vita. Questo cambiamento può assumere una particolare importanza nel periodo intermedio fra la maturità e la vecchiaia, cioè nel periodo in cui la maggior parte delle persone pensano a che cosa fare quando saranno in pensione - se lavorare o divertirsi, se restare a casa o viaggiare.
Se hanno passato una vita avventurosa, insicura o piena di sconvolgimenti, propenderanno per una vita tranquilla e il conforto della certezza religiosa; ma se hanno vissuto esclusivamente nella struttura sociale in cui sono nate, è probabile che sentano disperatamente il bisogno di un cambiamento liberatore. Questa spinta può essere temporaneamente soddisfatta con un viaggio intorno al mondo o con il trasloco in una casa più piccola. Ma nessuno di questi cambiamenti esteriori servirà a qualcosa se non sia intervenuta qualche trascendenza interiore di antichi valori a creare, non semplicemente a inventare, una nuova struttura di vita.
Un caso di questo tipo è quello di una donna che aveva vissuto secondo uno stile di vita praticato lungamente dalla famiglia e dagli amici per i suoi requisiti di solidità, nutrimento culturale e resistenza a ogni moda transitoria.
Essa ebbe il sogno seguente:
Trovo degli strani pezzi di legno, non scolpiti ma di bella forma naturale. Qualcuno dice: “Li hanno portati gli uomini di Neanderthal”. Allora scorgo in lontananza questi uomini, simili a una massa scura, ma non riesco a vederne nessuno distintamente. Penso di portar via con me uno dei loro pezzi di legno.
Proseguo, in solitario viaggio, e a un certo punto getto lo sguardo in un abisso enorme, simile al cratere di un vulcano estinto. C'è dell'acqua su una parte del fondo e mi aspetto di vedere altri uomini di Neanderthal. Invece scorgo dei neri “maiali acquatici”, che sono usciti dall'acqua e si sono messi a scorrazzare sulle nere rocce vulcaniche.
In contrasto con gli affetti familiari e l'elevato stile di vita della paziente, il sogno la trasporta in un periodo preistorico estremamente primitivo. Fra questi uomini antichi essa non è capace di scorgere alcun gruppo sociale: li vede solo in lontananza come la personificazione di una “massa scura” collettiva, realmente inconscia. Eppure essi vivono e la paziente è in grado di portar via loro un pezzo di legno. Il sogno sottolinea che il legno è naturale, non scolpito; perciò esso deriva da un livello primordiale, non culturalmente condizionato, dell'inconscio. Il pezzo di legno, notevole per la sua antichissima età, connette l'esperienza contemporanea della donna alle distanti origini della vita umana.
Sappiamo da molti esempi che un albero antico o una pianta antica rappresenta simbolicamente la crescita e lo sviluppo della vita psichica (in quanto distinta dalla vita istintuale, comunemente simboleggiata da animali). Perciò, con questo pezzo di legno, la donna ha recuperato un simbolo del suo legame con gli strati più profondi dell'inconscio collettivo.
Successivamente essa dice di aver continuato il viaggio da sola. Questo tema, come ho già sottolineato in precedenza, simboleggia il bisogno di un abbandono, inteso come esperienza d'iniziazione. E questo è un altro simbolo di trascendenza.
Quindi, sempre in sogno, essa vede un enorme cratere di vulcano estinto, che è stato il canale attraverso il quale violente eruzioni di fuoco si sono levate dalle viscere della terra. Possiamo supporre che ciò si riferisca a una traccia di memoria significativa, che a sua volta riconduce a una esperienza traumatica. La paziente associò tutto questo a una esperienza personale della sua giovinezza, allorché essa aveva avvertito tutta la forza distruttiva, eppure creativa, delle sue passioni spinta a un punto tale da aver temuto d'impazzire. Verso la fine dell'adolescenza aveva provato un imprevisto bisogno di sottrarsi alla struttura sociale eccessivamente convenzionale della famiglia; era giunta alla rottura senza gravi complicazioni e successivamente era riuscita a far pace con la famiglia. Tuttavia in lei era rimasto un desiderio profondo di differenziarsi maggiormente dall'ambiente familiare e di liberarsi dal proprio schema di vita.
Questo sogno me ne ricorda un altro cui è collegato. Mi fu esposto da un giovane che aveva problemi totalmente diversi ma che sembrava aver bisogno di un tipo d'intuizione simile al precedente. Anch'egli sentiva la spinta a differenziarsi. Sognò un vulcano e dal cratere vide uscire in volo due uccelli, come se temessero un'eruzione imminente. Tutto ciò avveniva in uno strano paesaggio solitario, con uno specchio d'acqua che divideva il giovane dal vulcano. Il sogno rappresentava in questo senso un viaggio d'iniziazione individuale.
Casi simili sono stati registrati fra le tribù raccoglitrici di cibo, che costituiscono i gruppi meno coscienti dell'organizzazione familiare da noi conosciuti. In queste società il giovane iniziato deve intraprendere da solo un viaggio verso qualche luogo sacro (nelle culture indiane della costa del Nord Pacifico può trattarsi di un lago formato dal cratere di un vulcano), dove, in uno stato visionario o di trance, egli incontra il suo “spirito custode” nelle vesti di un animale, di un uccello o di un oggetto naturale. Egli si identifica compiutamente con questa “anima della foresta” e, ciò facendo, diventa uomo. Chi non abbia vissuto un'esperienza di questo tipo viene considerato, secondo le parole di uno stregone achumaui, “un indiano comune, cioè una nullità”.
Il sogno del giovane si realizzò all'inizio della sua vita da uomo e faceva riferimento alla sua indipendenza futura e alla sua identità come uomo. Al contrario la paziente di cui ho descritto il sogno si stava approssimando alla fine della vita, eppure anch'essa sperimentò un viaggio simile e rivelò il bisogno di acquistare una indipendenza di questo tipo. Essa avrebbe potuto vivere il resto dei propri giorni in armonia con una legge eterna dell'umanità che, per la sua antichità, trascendeva i simboli di civiltà comunemente noti.
Ma questa indipendenza non porta a una condizione di distacco simile a quella dello yogi, il che significherebbe una rinuncia al mondo con tutte le sue impurità. Nel paesaggio del sogno, apparentemente morto e desolato, la donna scorge segni di vita animale. Si tratta dei “maiali acquatici”, a essa sconosciuti come specie. Essi significano un animale di caratteristiche speciali, capace di vivere in due ambienti diversi: in acqua e sulla terra.
Questa è la qualità universale dell'animale inteso come simbolo trascendente. Tali creature, figurativamente fatte provenire dalle profondità dell'antica Madre Terra, sono elementi simbolici dell'inconscio collettivo. Essi portano nel campo della coscienza uno speciale messaggio ctonico (sotterraneo) che differisce significativamente dalle aspirazioni spirituali simboleggiate dagli uccelli del sogno del giovane.

Altri simboli trascendenti delle profondità sono i roditori, le lucertole, i serpenti e talvolta i pesci. Si tratta di creature intermedie, che combinano un'attività subacquea e aerea con una intermedia vita terrestre. L'anitra selvatica o il cigno appartengono anch'essi a questa serie simbolica. Il più comune simbolo onirico di trascendenza è costituito probabilmente dal serpente, così come è rappresentato nel simbolo terapeutico del dio romano della medicina, Esculapio, che è sopravvissuto fino ai nostri giorni come emblema della professione medica. Originariamente si trattava di un serpente rampicante non velenoso: così come noi lo vediamo, attorcigliato intorno al bastone del dio-guaritore, sembra simboleggiare una specie di mediazione fra cielo e terra.

Un simbolo ancor più importante e diffuso di trascendenza ctonica è costituito dal motivo dei due serpenti intrecciati. Sono i famosi serpenti Naga dell'antica India, ma li troviamo anche in Grecia nella raffigurazione dei due serpenti intrecciati alla sommità del bastone del dio Ermes. Un antico monumento greco è costituito da una colonna di pietra sormontata da un busto del dio. Da una parte sono raffigurati i serpenti intrecciati e dall'altra un fallo eretto. Poiché i serpenti sono rappresentati nell'atto di unione sessuale e il fallo eretto costituisce a sua volta un inequivocabile simbolo sessuale, possiamo concludere con sicurezza che la funzione del monumento fosse quella di simboleggiare la fertilità.
Tuttavia cadremmo in errore se pensassimo che esso si riferisca solo alla fertilità biologica. Ermes è una specie d'Imbroglione, con il ruolo specifico di fungere da messaggero, da divinità posta all'incrocio delle strade, da guida delle anime da e verso il mondo sotterraneo. Perciò il suo fallo penetra dal mondo noto a quello sconosciuto, alla ricerca di un messaggio spirituale di liberazione e di salvezza.
Originariamente esso era noto in Egitto nella figura del dio Thoth idalla testa d'ibis, e in seguito venne concepito come la forma-uccello del principio trascendente. Inoltre, nel periodo olimpico della mitologia greca, Ermes ricevette gli attributi dell'uccello in aggiunta a quelli ctonici della sua originaria natura di serpente. Sul suo bastone comparvero le ali, al disopra dell'intreccio dei serpenti, e questo divenne il caduceus, o bastone alato del dio Mercurio, e questi divenne a sua volta “l'uomo volante” col cappello alato e i coturni. A questo punto la sua trascendenza raggiunge la pienezza degli attributi: per il suo tramite la trascendenza inferiore, sorgendo dalle forme della coscienza sotterranea ed elevandosi attraverso la realtà terrestre, raggiunge infine la trascendenza piena della realtà superumana e ultrapersonale.
Simboli altrettanto compositi è dato rinvenire in altre rappresentazioni, come quelle del cavallo alato, del drago alato o delle altre creature che abbondano nel campo delle espressioni artistiche dell'alchimia, così compiutamente illustrate nell'opera classica del dottor Jung sull'argomento. Da parte nostra, siamo in grado di seguire le innumerevoli vicissitudini di questi simboli nello studio dei pazienti. Essi mostrano chiaramente i risultati cui la nostra terapia può aspirare di pervenire una volta che si siano liberati i contenuti psichici profondi e che questi siano diventati parte del nostro bagaglio psichico per una comprensione più adeguata della vita.
Per l'uomo moderno non è facile afferrare il significato dei simboli che ci giungono dal passato o che appaiono nei nostri sogni. Non è facile neppure rendersi conto del modo in cui l'antico conflitto fra simboli di coercizione e di liberazione si viene ad agganciare strettamente al nostro discorso. Eppure tutto ciò diventa più facile quando si comprenda che sono solo le forme specifiche di questi antichi modelli simbolici a cambiare, non il loro intrinseco significato psichico.
Abbiamo parlato di uccelli selvatici come di simboli di abbandono o di liberazione. Ma oggigiorno potremmo trasferire il discorso sugli aeroplani a reazione o sui missili spaziali, poiché essi altro non sono che l'espressione fisica dello stesso principio trascendente che ci libera, almeno temporaneamente, dal condizionamento della gravità. Nello stesso modo gli antichi simboli di coercizione e di misura, che un tempo donavano stabilità e protezione, oggigiorno si rivelano nella ricerca della sicurezza economica e del benessere sociale.
Ognuno di noi è in grado di rendersi conto che nella nostra vita esiste un conflitto fra avventura e disciplina, male e virtù, libertà e sicurezza. Ma queste non sono altro che frasi da noi impiegate per descrivere l'ambivalenza che ci tormenta e alla quale non ci sembra di poter mai arrivare a dare una risposta conclusiva.
Eppure una risposta c'è. Esiste un punto d'incontro fra coercizione e liberazione, e noi lo possiamo trovare nei riti d'iniziazione precedentemente discussi. Essi permettono agli individui, o a interi gruppi di persone, di unire le loro forze contrastanti e di raggiungere un equilibrio esistenziale.
Però i riti non offrono questa opportunità in termini invariabili o automatici. Essi si riferiscono a fasi particolari della vita dell'individuo, o del gruppo, e se non vengono adeguatamente compresi e tradotti in nuove guise di vita, possono farci perdere l'occasione buona, per sempre. L'iniziazione è, essenzialmente, un processo che si avvia con un rito di sottomissione, cui segue un periodo di coercizione e quindi un rito finale di liberazione. Seguendo questo criterio ogni singolo individuo può esser capace di riconciliare gli elementi contrastanti della propria personalità: egli può raggiungere un equilibrio che lo rende genuinamente uomo e genuinamente padrone di se stesso.
Note:
1 Per quanto riguarda la finalità della Resurrezione di Cristo: il Cristianesimo è una religione di carattere escatologico, cioè ha in vista uno scopo finale che si identifica con il Giudizio Universale. Altre religioni, che hanno conservato elementi matriarcali della civiltà tribale (per esempio, FOrfismo) hanno invece carattere ciclico, come ha dimostrato Eliade in The Myth of the Eternal Return, Bollingen-Pantheon, New York, 1954 [tr. it.: Il mito dell'eterno ritorno, Boria, Leumann, 1968].
2 Cfr. Paul Radin, Hero Cycles of the Winnebago, Indiana University Publications, 1948.
3 Per quanto concerne la Lepre, il dottor Radin osserva: “La Lepre è l'eroe tipo, quale è conosciuto in tutto il mondo, così in quello primitivo come in quello civile, fin dai periodi più remoti della storia del mondo”.
4 I due dèi della guerra dei Navaho sono oggetto di analisi nell'opera di Maud Oakes, Where the Two Came to their Father, A Navaho War Ceremonial, Bollingen, New York, 1943.
5 Jung esamina la figura dell'Imbroglione, nello scritto Sul carattere psicologico dell'“imbroglione”, in Collected Works, vol. IX.
6 II conflitto dell'ego con l'ombra è esaminato da Jung nello scritto La lotta per la liberazione dalla madre, in Opere, voi. v: Simboli della trasformazione, Boringhieri, Torino, 1970.
7 Per una interpretazione del mito del Minotauro, cfr. il romanzo di Mary Renault, The King Must Die, Pantheon, New York, 1958 [tr. it.: Il re deve morire, Bompiani, Milano, 1959].
8 II simbolismo del labirinto è esaminato da Erich Neumann in The Origins and History of Consciousness, Bollingen, New York, 1954.
9 Per quanto riguarda il mito navaho del coyote, cfr. Margaret Schevill Link e J. L. Henderson, The Pollen Path, Stanford, 1954.
10 La nascita dell'ego è esaminata da Erich Neumann, op. cit.; Michael Fordham, New Developments in Analytical Psychology, London, Routledge & Kegan Paul, 1957; Esther M. Harding, The Restoration of the Injured Archetipal Image (edizione privata), New York, 1960.
11 Lo studio jungiano sulla iniziazione è contenuto in La psicologia analitica e la Weltanschauung, in Opere, voi. vili: La dinamica dell'inconscio, Boringhieri, Torino. Si veda anche Arnold Van Gennep, The Rites of Passages, Chicago, 1961.
12 Le prove di forza fra le donne sono esaminate da Erich Neumann in Amor and Psyche, Bollingen, 1956.
13 La fiaba della Bella e la Bestia è contenuta in M.me Leprince de Beaumont, The Fairy Tale Book, Simon and Schuster, New York, 1958 [tr. it.: La Bella e la Bestia, Fabbri, Milano, 1965],
14 Per il mito di Orfeo, si veda Jane E. Harrison, Prolegomena to the Study of Greek Religion, Cambridge University Press, 1922. Si veda anche W.K.C. Guthrie, Orpheus and Greek Religion, Cambridge, 1935.
15 C.G. Jung, Simbolismo di trasformazione nella messa, in Opere, voi. xi : Psicologia e Religione, Boringhieri, Torino, 1979. Si veda anche Alan Watts, Myth and Ritual in Christianity, Vanguard Press, 1953.
16 L'interpretazione di Linda Fierz-David del rituale orfico è contenuta in Psychologische Betrachtungen zu der Freskenfolge der Villa dei Misteri in Pompeji. Ein Versuch von Linda Fierz-David, trad, di Gladys Phelan (edizione privata), Zürich, 1957.
17 L'urna funeraria romana del Colle Esquilino è analizzata da Jane E. Harrison, op. cit.
18 Si veda, di Jung, La funzione trascendente, edito a cura della Associazione degli Studenti dell'Istituto C. G. Jung, Zürich.
19 Joseph Campbell esamina la figura dello sciamano-uccello in The Symbol without Meaning, Rhein-Verlag, Zürich, 1958.
20 Per La terra desolata di T. S. Eliot, si vedano i suoi Collected Poems, Faber & Faber, Londra, 1963 [tr. it.: Poesie, a cura di Roberto Sanesi, Bompiani, Milano, 1961]
CONTINUA IN:  
L’Uomo e i suoi simboli - Carl Gustav Jung -  Marie-Louise von Franz
 Il processo di individuazione - Schema dello sviluppo psichico -
Testo tratto da:
http://www.nilalienum.it/Sezioni/Freud/Materiali%20bibliografici/Jung/JungUSS.html
Joseph Lewis Henderson (August 31, 1903 – November 17, 2007) 
was an American physician and a Jungian psychologist.

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