martedì 7 ottobre 2014

L’Uomo e i suoi simboli - Carl Gustav Jung - II PARTE -


L’Uomo e i suoi simboli 

Carl Gustav Jung 

(e Marie-Luoise von Franz, Joseph L. Henderson, J. Jacobi, A. Jaffé)

Longanesi, Milano 1980 (ed. orig. 1967) 
Introduzione all’inconscio 
L'importanza dei sogni
Il mondo comunista, bisogna riconoscerlo, ha un grande mito (che noi chiamiamo un'illusione, nella vana speranza che il nostro superiore giudizio valga a farlo scomparire). Si tratta dell'antichissimo sogno archetipico di un'Età dell'Oro (o Paradiso), dove ci sarà abbondanza di tutto per tutti e grandi, giuste e sagge leggi a regolare una specie di giardino d'infanzia del genere umano. Questo potente archetipo nella sua versione infantile si è impadronito di loro, ma esso non scomparirà mai dal mondo alla semplice vista della nostra superiore civiltà. Anzi, noi ce lo trasciniamo dietro fin dalla fanciullezza poiché la civiltà occidentale è prigioniera della stessa mitologia. Inconsciamente noi nutriamo i medesimi pregiudizi, le medesime speranze, le medesime attese. Anche noi crediamo in una civiltà del benessere, nella pace universale, nell'eguaglianza degli uomini, nei suoi eterni diritti umani, nella giustizia, nella verità e (ma non diciamolo troppo ad alta voce) nel Regno di Dio sulla terra.
La triste verità è che la vera vita dell'uomo è dilacerata da un complesso di inesorabili contrari: giorno e notte, nascita e morte, felicità e sventura, bene e male. Non possiamo neppure esser certi che l'uno prevarrà sull'altro, che il bene sconfiggerà il male, o la gioia si affermerà sul dolore. La vita è un campo di battaglia: così è sempre stata e così sarà sempre; se così non fosse finirebbe la vita.
Fu proprio questo conflitto interiore a guidare i primi cristiani verso l'attesa e la speranza di una prossima fine del mondo, o i buddisti a rifiutare tutti i desideri e le aspirazioni terrene. Questi atteggiamenti sarebbero stati nettamente suicidi se non fossero stati connessi con particolari idee e consuetudini mentali e morali che costituiscono il nocciolo di entrambe queste religioni e che, fino a un certo punto, tendono a modificare la loro radicale negazione del mondo.
Sottolineo questo punto perché, oggigiorno, ci sono milioni di persone che hanno perso la fede per ogni specie di religione. Esse non comprendono più la loro religione. Finché la vita scorre liscia senza la religione, la perdita non viene sentita; ma quando entra in gioco la sofferenza le cose cambiano. È a questo punto che la gente comincia a cercare una via d'uscita e a riflettere sul significato della vita e sulle sue sconcertanti e dolorose esperienze.
È significativo che lo psicologo (per mia stessa esperienza) venga consultato più da ebrei e da protestanti che da cattolici. Ciò è facilmente prevedibile poiché la Chiesa cattolica si sente ancora responsabile della cura animarum. Ma in questa epoca scientifica lo psichiatra è suscettibile di sentirsi rivolgere domande che un tempo erano prerogativa esclusiva del teologo. La gente si rende conto che molte cose sarebbero diverse per loro se credessero positivamente in un sistema significativo di vita o in Dio e nell'immortalità. Lo spettro dell'approssimarsi della morte spesso fornisce un potente incentivo a questo genere di pensieri. Fin da tempi immemorabili, gli uomini hanno nutrito idee sul conto di un Essere Supremo (uno o diversi) e sul Signore dell'Aldilà. Solo ai nostri giorni essi pensano di poter fare a meno di queste idee.
Poiché non possiamo scoprire in cielo il trono di Dio usando un radiotelescopio o stabilire (con sicurezza) che un padre o una madre amorosi sopravvivano ancora in una forma più o meno corporea, si sostiene generalmente che queste idee “non sono vere”. Io direi piuttosto che esse non sono sufficientemente “vere” poiché si tratta di concezioni che hanno accompagnato la vita degli uomini sin dai tempi preistorici e che tuttora irrompono nella coscienza a ogni minima provocazione.
L'uomo moderno può affermare di poterne fare a meno e può sostenere la sua opinione insistendo nel dire che non esiste alcuna prova scientifica a sostegno della loro veridicità. Ovvero egli può anche rimpiangere la perdita delle sue convinzioni. Ma dal momento che si tratta di cose invisibili e inconoscibili (poiché Dio sta al di là di ogni capacità di comprensione umana e l'immortalità non è dimostrabile in alcun modo), perché dobbiamo perderci nella ricerca di prove razionali? Anche se non fossimo consapevoli della nostra necessità di consumare il sale insieme al cibo, continueremmo pur sempre a trarre vantaggio dal suo uso. Anche se sostenessimo che l'uso del sale è una semplice illusione del palato o una superstizione, esso continuerebbe a produrre un benefico effetto sulle nostre condizioni di vita. E allora, perché dovremmo fare a meno di concezioni che si dimostrano utili nei momenti di crisi e che danno un significato alla nostra esistenza?
E inoltre, come possiamo essere sicuri che tali idee non corrispondano a verità? Molti mi darebbero ragione se dicessi che esse sono probabilmente semplici illusioni; essi però non arrivano a capire che la negazione di ogni fede religiosa è altrettanto non dimostrativa quanto la sua affermazione. Noi siamo assolutamente liberi di scegliere l'uno o l'altro dei due punti di vista; tuttavia si tratta sempre di una decisione arbitraria.
In ogni caso c'è una importante ragione pratica per la quale dovremmo essere inclini a coltivare pensieri non suscettibili di ottenere una conferma positiva: tale ragione è che essi sono notoriamente utili. L'uomo ha assolutamente bisogno di idee e convinzioni generali che diano un significato alla sua vita e che gli permettano di individuare il suo posto nell'universo. Quando è convinto che esse abbiano un senso, egli trova la forza di affrontare le più incredibili avversità; viceversa egli si sente sopraffatto quando, nel colmo della sventura, si trova costretto ad ammettere di essere coinvolto in una vicenda senza senso.
La funzione dei simboli religiosi è quella di dare un significato alla vita dell'uomo. Gli Indiani Pueblo credono di essere figli del Padre Sole e questa fede conferisce alla loro vita una prospettiva (e uno scopo) che supera di gran lunga la loro limitata esistenza. Essa consente loro di dispiegare largamente la propria personalità e di vivere una vita piena, da persone integrali. La loro condizione è infinitamente più soddisfacente di quella dell'uomo civilizzato, che è consapevole di essere (e di restare) nient'altro che uno sconfitto senza alcun profondo significato esistenziale.
Il senso di un significato superiore dell'esistenza è ciò che innalza l'uomo al di sopra della sua condizione elementare. Se gli manca questo senso egli è perduto e infelice. Se san Paolo fosse stato convinto di non essere nulla più che un errabondo tessitore di tappeti, certamente non sarebbe stato l'uomo che fu. La sua vita vera e significativa riposava sull'intima certezza di essere il messaggero del Signore. Qualcuno potrà accusarlo di essere stato un megalomane, ma una opinione come questa si rivela inconsistente di fronte alla testimonianza della storia e al giudizio di intere generazioni. Il mito che s'impossessò di lui lo rese qualcosa di più grande del semplice artigiano che era.
Un mito di questo genere, tuttavia, è costituito da simboli che non sono stati inventati consciamente: essi si sono prodotti spontaneamente. Non fu l'uomo Gesù a creare il mito dell'uomo-Dio. Esso esisteva già da molti secoli prima della sua nascita. Egli stesso fu conquistato da questa idea simbolica che, come ci narra san Marco, lo spinse a uscire dall'ambiente ristretto della famiglia del falegname di Nazareth.
I miti risalgono a un narratore primitivo e ai suoi sogni, a uomini mossi dallo stimolo appassionato delle loro fantasie. Costoro non si differenziavano gran che da coloro che dopo molte generazioni sono stati chiamati poeti o filosofi. I narratori primitivi non si preoccupavano di conoscere l'origine delle loro fantasie; fu solo in epoche molto posteriori che ci si cominciò a chiedere da dove i racconti avessero avuto origine. Eppure, molti secoli fa, nella cosiddetta “antica” Grecia, la mente degli uomini era già sufficientemente avanzata da supporre che le storie degli dèi non fossero altro che tradizioni arcaiche deformate relative ad antichissimi re e condottieri. In altre parole si era già arrivati alla conclusione che i miti erano troppo inverosimili per significare esattamente ciò che narravano: perciò si cercò di ridurli a una forma generalmente comprensibile.
In tempi più vicini a noi abbiamo visto trattare allo stesso modo il simbolismo dei sogni. Nelle prime fasi di sviluppo della psicologia ci si rese conto dell'importanza dei sogni, ma come i greci erano giunti alla conclusione che i loro miti altro non erano che semplici elaborazioni della storia razionale o “normale”, così alcuni pionieri della psicologia conclusero che il significato dei sogni non era quello letterale. Le immagini o i simboli onirici vennero così messi in disparte alla stregua di forme bizzarre in cui i contenuti rimossi della psiche si manifestavano alla mente conscia. Perciò diventò un luogo comune il concetto che i sogni avessero un significato del tutto diverso da quello esplicito.
Ho già descritto il modo in cui giunsi a dissentire da quest'idea e a intraprendere lo studio sia della forma che del contenuto dei sogni. Per quale ragione essi dovrebbero significare qualcosa di diverso dai loro contenuti? Esiste forse qualcosa in natura che sia diverso da quello che è attualmente? Il sogno è un fenomeno normale e naturale e non significa ciò che esso non è. Anche il Talmud dice che “il sogno è tale quale viene interpretato”. La confusione nasce solo per il fatto che i contenuti del sogno sono simbolici e possiedono perciò più di un significato. I simboli sono orientati in direzioni differenti da quelle che noi riusciamo a ravvisare con la mente conscia e perciò si riferiscono a qualcosa di inconscio o almeno di non completamente conscio.
Per una mentalità scientifica fenomeni come quelli rappresentati dalle idee simboliche costituiscono un serio motivo di imbarazzo poiché non possono venire formulati in termini intellettualmente e logicamente soddisfacenti. Essi però non sono l'unico caso del genere in psicologia. Le difficoltà cominciano col tentativo di definire il fenomeno dell'“affetto” o emozione che sfugge a tutti i tentativi dello psicologo di racchiuderlo in una definizione conclusiva. La causa di questa difficoltà è la stessa in entrambi i casi: si tratta cioè dell'intervento dell'inconscio.
Ho una sufficiente esperienza scientifica per rendermi conto di quanto sia imbarazzante dover studiare fatti che non possono venire completamente o adeguatamente compresi. La difficoltà di affrontare fenomeni come questi è che i fatti sono innegabili, eppure non possono essere formulati in termini razionali. Perciò bisognerebbe essere in grado di comprendere la vita in se stessa, poiché è la vita che produce emozioni e idee simboliche.
Lo psicologo accademico è perfettamente libero di non prendere in considerazione il fenomeno dell'emozione o il concetto di inconscio (o nessuno dei due contemporaneamente). Tuttavia essi rimangono fatti cui almeno lo psicologo medico deve prestare la necessaria attenzione, poiché i conflitti e l'intervento dell'inconscio sono i tratti caratteristici della sua scienza. Se tratta a fondo un paziente egli si trova a dover fare i conti con questi elementi irrazionali, duri a essere formulati in termini razionali. Perciò è del tutto normale che le persone sprovviste dell'esperienza propria dello psicologo medico riescano difficilmente a adeguarsi quando la psicologia cessa di essere una tranquilla attività di laboratorio e diventa invece parte attiva dell'avventura della vita reale. Altro è esercitarsi al bersaglio in un poligono di tiro, altro è partecipare a una vera battaglia: il medico si trova di fronte a tutta una serie di fattori casuali caratteristici di una guerra autentica. Egli si trova ad avere a che fare con realtà psichiche, anche se non è in grado di ridurle in definizioni scientifiche. È per questo motivo che nessun manuale può insegnare la psicologia: si può imparare solo dall'esperienza diretta.
Possiamo renderci conto chiaramente di questo punto esaminando alcuni simboli ben noti.
Per esempio la croce è, nella religione cristiana, un simbolo significativo che esprime tutta una moltitudine di aspetti, idee ed emozioni; ma una croce apposta dopo un nome in una lista serve solo a indicare che quell'individuo è morto. Il fallo funge da simbolo universale nella religione indù, ma se un monello di strada ne disegna uno sopra un muro esso riflette solo il suo interesse per il proprio pene. Poiché le fantasie dell'infanzia e dell'adolescenza si prolungano spesso nella vita adulta, molti sogni rivelano inequivocabili allusioni sessuali. Sarebbe assurdo interpretarle come qualcosa d'altro. Ma quando un massone sostiene che frati e monache si debbano congiungere insieme, o un elettricista parla di maschio e di femmina a proposito della spina e della presa di corrente, sarebbe ridicolo supporre che essi indulgano a fantasie infantili ancora vive. L'elettricista usa nomi coloriti per descrivere semplicemente i suoi materiali. Quando un indù colto vi parla del Ungarn (il fallo che rappresenta il dio Siva nella mitologia indù), vi sentite raccontare delle cose che noi occidentali non connetteremmo mai al pene. Il Ungarn non è certamente un'allusione oscena, né la croce è soltanto un segno di morte. Molto dipende dalla maturità del sognante che produce queste immagini.
L'interpretazione dei sogni e dei simboli richiede intelligenza; essa non può essere ridotta a un sistema meccanico con cui imbottire cervelli privi di immaginazione. Essa richiede contemporaneamente una sempre più approfondita conoscenza dell'individualità del sognante e un corrispondente affinamento della personale consapevolezza dell'interprete. Ogni esperto in questo campo ammetterà la possibilità di ricorrere ad alcuni utili criteri empirici, ma essi devono essere tuttavia applicati con prudenza e acume. Si possono seguire scrupolosamente tutte le regole e tuttavia trovarsi a cadere nelle più terribili sciocchezze solo per il fatto di aver trascurato un dettaglio apparentemente di scarso rilievo, che tuttavia una intelligenza più acuta non si sarebbe lasciato sfuggire. Anche un uomo di grande intelligenza può compiere gravi errori per mancanza di intuizione o di sentimento.
Quando tentiamo di interpretare i simboli ci troviamo di fronte non solo il simbolo in sé, ma l'intera totalità dell'individuo produttore del simbolo. Ciò implica lo studio della sua formazione culturale e nel corso di questo processo ci si imbatte in numerose lacune della nostra educazione. Io stesso mi sono imposto come regola di considerare ogni singolo caso come un'esperienza completamente nuova sul conto della quale non conosca neppure l'abbicci. Le risposte usuali possono rivelarsi pratiche e utili finché si studia la superficie, ma quando si affrontano i problemi di fondo è la vita stessa a imporsi in primo piano e anche i princìpi teorici più brillanti diventano semplici parole prive di senso.
L'immaginazione e l'intuizione sono di importanza vitale per la nostra comprensione. Sebbene, secondo l'opinione popolare corrente, esse siano necessarie soprattutto al poeta e all'artista (e che per le faccende “pratiche” si debba loro prestare scarso affidamento), esse sono in realtà di altrettanta vitale importanza a tutti i livelli superiori della scienza. In questa sede svolgono un ruolo sempre più importante che soppianta quello dell'intelletto “razionale” e la sua applicazione a un problema specifico. Anche la fisica, la più rigorosa di tutte le scienze applicate, si fonda in maniera sbalorditiva sopra l'intuizione che opera per mezzo dell'inconscio (benché sia possibile dimostrare a posteriori i procedimenti logici che avrebbero potuto condurre allo stesso risultato di quello raggiunto intuitivamente).
L'intuizione è pressoché indispensabile nella interpretazione dei simboli e spesso può assicurare la loro immediata comprensione da parte del sognante. Tuttavia una fortunata intuizione può essere altrettanto convincente da un punto di vista soggettivo, quanto pericolosa. Essa può suggerire un falso sentimento di sicurezza. Per esempio, può spingere sia l'interprete che il sognante a proseguire in una comoda e relativamente facile relazione suscettibile di sfociare in una specie di sogno reciproco. La base sicura di un'effettiva conoscenza intellettuale e di una comprensione morale va perduta se ci si lascia sopraffare dalla soddisfazione di aver capito per intuito. Si può giungere a spiegare e conoscere davvero solo riducendo le intuizioni a un'esatta conoscenza dei fatti e delle loro connessioni logiche.
Un onesto ricercatore deve ammettere di non essere sempre in grado di seguire questo procedimento; tuttavia, sarebbe disonesto non tenerlo sempre presente. Anche lo scienziato è un essere umano e perciò è naturale che egli, come tanti altri, sia portato a odiare le cose che non riesce a spiegare. È un'illusione comune credere che quanto conosciamo oggigiorno esaurisca il campo totale dello scibile. Nulla è più vulnerabile della teoria scientifica, che costituisce solo un tentativo effimero di spiegare alcuni fatti e non una verità eterna in sé compiuta.
Il ruolo dei simboli
Quando lo psicologo medico si accinge a interpretare i simboli, egli deve operare una distinzione preliminare fra simboli “naturali” e simboli “culturali”. I primi originano dai contenuti inconsci della psiche e rappresentano perciò un numero enorme di variazioni sulle immagini archetipiche fondamentali. In molti casi essi possono essere ricostruiti fino alle loro radici arcaiche, cioè fino alle idee e alle immagini reperibili nelle più antiche testimonianze e nelle società primitive. I simboli culturali, d'altra parte, sono quelli impiegati per esprimere “verità eterne” e che compaiono tuttora in molte religioni. Essi hanno subito molte trasformazioni e percorso un lungo processo di sviluppo più o meno consapevole, diventando così immagini collettive accettate dalle società civilizzate.5
Tuttavia questi simboli culturali continuano a possedere molto del loro originario carattere soprannaturale o “fascino”. Siamo consapevoli del fatto che essi possono evocare profonde risposte emotive in certi individui e questa carica psichica spesso li trasforma in pregiudizi. Essi costituiscono un fattore con cui lo psicologo deve fare i conti; è pura follia metterli in disparte solo per il fatto che, da un punto di vista razionale, essi sembrano assurdi o irrilevanti. Essi sono componenti essenziali della nostra struttura mentale e forze vitali nella costruzione della società umana: perciò non possono venire eliminati senza produrre gravi perdite. Quando vengono rimossi o trascurati, la loro specifica energia scompare nell'inconscio dando luogo a conseguenze imprevedibili. L'energia psichica che è venuta meno in questo modo serve infatti a resuscitare e intensificare tutto ciò che si trova al livello più alto dell'inconscio, quelle tendenze, magari, che finora non hanno avuto possibilità di esprimersi o a cui almeno non è stata consentita una libera esistenza nell'ambito della nostra coscienza.
Queste tendenze formano un'“ombra” sempre presente e potenzialmente distruttiva che offusca la nostra mente conscia. Anche quelle tendenze che in alcune circostanze potrebbero esercitare un'influenza benefica si trasformano in inclinazioni demoniache quando vengono rimosse. Questa è la ragione per cui molte persone ben intenzionate provano una paura comprensibile per l'inconscio ed eventualmente per la psicologia.
Nella nostra epoca è stato dimostrato che cosa accada quando vengono dischiuse le porte del mondo sotterraneo. Cose la cui enormità nessuno avrebbe potuto immaginare nell'atmosfera idillica e innocua del primo decennio di questo secolo sono effettivamente accadute e hanno stravolto il mondo intero. Da allora il mondo è rimasto in preda a uno stato di schizofrenia. Non solo la civilizzata Germania ha sprigionato la sua terribile istintività primitiva, ma anche la Russia ne è rimasta dominata e l'Africa è in fiamme. Non c'è da stupirsi che l'Occidente si senta turbato.
L'uomo moderno non si rende conto di quanto il suo “razionalismo” (che ha distrutto le sue capacità di rispondere ai simboli e alle idee soprannaturali) lo abbia posto alla mercé del mondo sotterraneo della psiche. Egli si è liberato (o crede di essersi liberato) dalla “superstizione”, ma in questo processo egli è venuto perdendo i suoi valori spirituali in misura profondamente pericolosa. La sua tradizione morale e spirituale si è disintegrata, e ora egli paga lo scotto di questo suo naufragio nel disorientamento e nella dissociazione generali.
Gli antropologi hanno spesso descritto ciò che accade a una società primitiva allorché i suoi valori spirituali si trovano esposti all'influenza della civiltà moderna. Gli uomini perdono il significato della propria vita, la loro organizzazione sociale si disintegra ed essi stessi decadono moralmente. Noi ci troviamo attualmente nella medesima condizione senza però esserci mai resi conto di ciò che abbiamo perduto, poiché i nostri capi spirituali, sfortunatamente, erano più interessati a proteggere le loro istituzioni che a comprendere il mistero offerto dai simboli. Secondo me, la fede non esclude la ragione (che è l'arma più potente dell'uomo), ma disgraziatamente molti credenti sembrano così impauriti dalla scienza (e, incidentalmente, dalla psicologia) da essere completamente ciechi di fronte alle forze psichiche soprannaturali che dominano incessantemente il destino degli uomini. Abbiamo spogliato ogni cosa del suo mistero e del suo carattere soprannaturale; non c'è più nulla di sacro.
Nell'età primitiva, quando i concetti istintivi zampillavano nella mente dell'uomo, non era diffìcile per lui integrarli consciamente in una coerente struttura psichica. Ma l'uomo “civilizzato” non è più capace di ciò: la sua coscienza “avanzata” lo ha privato dei mezzi attraverso i quali è possibile assimilare all'inconscio i contributi ausiliari degli istinti. Questi organi di assimilazione e d'integrazione erano i simboli soprannaturali, da tutti considerati sacri.
Oggi, per esempio, si fa un gran parlare di “materia”: descriviamo le sue proprietà fisiche, conduciamo esperimenti di laboratorio per dimostrarne alcuni aspetti. Tuttavia la parola “materia” rimane un concetto arido, disumano e puramente intellettuale, privo per noi di qualunque significato psichico. Quanto diversa era l'antica immagine della materia - la Grande Madre -, capace di abbracciare e di esprimere il profondo significato emotivo della Madre Terra! Nello stesso modo, ciò che prima era lo spirito, ora viene identificato con l'intelletto, cessando così di essere il Padre di tutte le cose. Esso è degenerato al rango dei limitati pensieri soggettivi dell'uomo e l'immensa energia emotiva espressa nell'immagine del “Padre nostro” è svanita nella sabbia di un deserto intellettuale.
Questi due princìpi archetipici stanno alla base degli opposti sistemi dell'Oriente e dell'Occidente. Tuttavia le masse e i loro leader non si rendono conto che non c'è alcuna differenza sostanziale fra definire il principio del mondo come maschile e paterno (lo spirito), caratteristica, questa, dell'Occidente, o come femminile e materno (la materia), secondo la concezione dei comunisti. In fondo, noi sappiamo altrettanto poco dell'uno quanto dell'altra. Nell'antichità questi principi erano venerati con ogni specie di rituali, indicativi, in fondo, del significato psichico che essi avevano per l'uomo. Oggigiorno, invece, essi sono diventati meri concetti astratti.
Quanto più si è sviluppata la conoscenza scientifica, tanto più il mondo si è disumanizzato. L'uomo si sente isolato nel cosmo, poiché non è più inserito nella natura e ha perduto la sua “identità inconscia” emotiva con i fenomeni naturali. Questi, a loro volta, hanno perduto a poco a poco le loro implicazioni simboliche. Il tuono non è più la voce di una divinità irata, né il fulmine il suo dardo vendicatore. I fiumi non sono più dimora di spiriti, né gli alberi il principio vitale dell'uomo, né il serpente l'incarnazione della saggezza o l'antro incavato della montagna il ricetto di un grande demonio. Nessuna voce giunge più all'uomo da pietre, piante o animali, né l'uomo si rivolge a essi sicuro di venire ascoltato. Il suo contatto con la natura è perduto, e con esso è venuta meno quella profonda energia emotiva che questo contatto simbolico sprigionava.
Questa perdita enorme è compensata solo dai simboli dei sogni. Essi ci ripropongono la nostra natura originaria, con i suoi istinti e il suo particolare pensiero. Sfortunatamente, però, essi esprimono i loro contenuti nel linguaggio della natura, che per noi è strano e incomprensibile. Ci troviamo perciò di fronte alla difficoltà di tradurlo nelle parole e nei concetti razionali del linguaggio moderno, che si è liberato dalle sue implicazioni primitive e in particolare da ogni partecipazione mistica con le cose da esso descritte. Oggigiorno, quando parliamo di spiriti e di altre figure soprannaturali, non li evochiamo più. Queste parole un tempo magiche hanno ora perduto tutta la loro potenza e il loro fascino. Abbiamo smesso di credere alle formule magiche; i tabù e le altre restrizioni di questo tipo sopravvivono in numero sparuto; il nostro mondo sembra essersi disinfestato da tutte le creature della “superstizione”, come “streghe, maghi e fattucchiere”, per tacere dei lupi mannari, dei vampiri, delle anime della foresta e di tutti gli altri esseri bizzarri che popolavano la foresta primeva.
Per dirla con linguaggio più preciso, la superficie del nostro mondo sembra essere stata ripulita di tutte le superstizioni e di tutti gli elementi irrazionali. Se poi il vero mondo interiore dell'uomo (e non quello da noi semplicemente immaginato per nostra tranquillità) sia altrettanto libero da scorie primitive, è un'altra questione. Forse il numero 13 non è ancora tabù per molte persone? e non ci sono forse ancora molti individui posseduti da pregiudizi, proiezioni e illusioni infantili del tutto irrazionali? Un quadro realistico della mente umana rivela ancora molti tratti e sopravvivenze primitive di questo tipo, che continuano a persistere come se nulla fosse accaduto negli ultimi cinque secoli.
È essenziale rendersi conto di questo fatto. L'uomo moderno è infatti una curiosa mescolanza di caratteristiche volta a volta acquistate nelle lunghe fasi del suo sviluppo mentale. Questo essere composito è costituito dall'uomo e i suoi simboli, oggetto del nostro studio, ed è nostro compito analizzare molto a fondo i suoi prodotti mentali. Scetticismo e convinzione scientifica coesistono in lui fianco a fianco con inveterati pregiudizi, abitudini di pensiero e di sentimento anacronistiche, ostinate interpretazioni erronee e cieca ignoranza.
Questi sono gli esseri umani contemporanei produttori dei simboli che noi psicologi abbiamo il compito di interpretare. Per spiegare questi simboli e il loro significato è d'importanza vitale capire se le loro rappresentazioni si riferiscono a una esperienza esclusivamente personale o se invece essi sono stati appositamente scelti da un sogno in un contesto di conoscenze consce di tipo generale.
Prendiamo, per esempio, il caso di un sogno in cui ricorre il motivo del numero 13. Il problema è di sapere se il sognante sia personalmente convinto della qualità sfortunata del numero o se il sogno alluda semplicemente a coloro che indulgono tuttora a questa superstizione. A seconda del tipo di risposta l'interpretazione varia considerevolmente. Nel primo caso si deve prendere in considerazione il fatto che quell'individuo è ancora soggetto al fascino iettatorio del numero 13 e perciò egli si sentirà estremamente a disagio se in un albergo gli verrà assegnata la stanza numero 13 o se si troverà a una tavola con 13 persone. Nel secondo caso il numero in questione può non significare altro che un commento scortese e ingiurioso. Il sognante “superstizioso” sente ancora il “fascino” del 13; il sognante più “razionale”, invece, ha spogliato il 13 di ogni sua originaria accezione emotiva.
Questo esempio serve a illustrare il modo in cui gli archetipi appaiono nell'esperienza pratica: essi sono contemporaneamente sia immagini che emozioni. Si può parlare di archetipi solo quando questi due aspetti si manifestino simultaneamente. Quando c'è solo l'immagine si tratta di una notazione di scarso rilievo, ma quando è implicata l'emozione, l'immagine acquista un carattere numinoso (o un'energia psichica): essa diventa dinamica e deve produrre conseguenze di qualche rilievo.
Mi rendo conto che è difficile afferrare questo concetto, anche perché sto cercando di descrivere con parole qualcosa la cui essenziale natura sfugge a ogni esatta definizione. Ma poiché tante persone hanno intrapreso a trattare gli archetipi come semplici parti di un sistema meccanico che può essere appreso a memoria, è necessario insistere sul fatto che essi non sono né nomi puri e semplici, né concetti filosofici. Essi appartengono alla vita stessa, sono immagini integralmente connesse con l'individuo vivente per il tramite delle emozioni. Perciò è impossibile dare una interpretazione arbitraria (o universale) degli archetipi. Essi devono essere spiegati nel modo indicato dall'intera situazione esistenziale dei singoli individui particolari cui rispettivamente si riferiscono.
Perciò nel caso di un cristiano fervente il simbolo della croce può essere interpretato solo nel suo contesto cristiano, a meno che il sogno non suggerisca forti e fondati motivi nel senso di una sua interpretazione diversa, non immediata o letterale. Anche in questo caso, tuttavia, il significato specificamente cristiano non deve essere perduto di vista. D'altra parte non si può certo affermare che il simbolo della croce abbia sempre e in ogni circostanza il medesimo significato. Se così fosse gli verrebbe meno il carattere numinoso, perderebbe tutta la sua vitalità e diventerebbe una semplice parola.
Coloro che non avvertono lo speciale tono di sentimento caratteristico dell'archetipo finiscono per considerare solo un groviglio di concetti mitologici suscettibili di venire accozzati insieme in modi diversi per dimostrare che ogni cosa può avere tutti i significati - o non averne alcuno. Tutti i cadaveri sono chimicamente identici, ma gli individui viventi non lo sono. Gli archetipi cominciano a vivere solo quando si cerca pazientemente di scoprire perché e in quali guise essi sono significativi per un determinato individuo vivente.
L'uso puro e semplice delle parole è cosa inutile quando non se ne conosca il significato. Ciò è vero in modo particolare per la psicologia, dove si parla di archetipi come l'anima e l'animo, il saggio, la grande madre, e via dicendo. Noi possiamo sapere tutto sul conto dei santi, dei savi, dei profeti e degli altri uomini pii, e di tutte le grandi madri della terra; ma se essi non sono altro per noi che mere immagini di cui non abbiamo mai sperimentato il carattere numinoso, sarà come se parlassimo in sogno, senza conoscere il significato di ciò che diciamo. Le parole pure e semplici da noi usate saranno vuote e senza valore. Esse prenderanno vita e significato solo se cercheremo di afferrare la loro numinosità, cioè il loro rapporto specifico con l'individuo vivente. Solo allora cominceremo a capire che i termini in sé significano ben poco e che ciò che più conta è il modo in cui essi sono in rapporto con noi.
La funzione simboleggiatrice dei sogni è perciò un tentativo di trasferire la mente originaria dell'uomo nel contesto della coscienza “avanzata” o differenziata, dove essa non è mai entrata prima e non è stata quindi mai sottoposta a una autoriflessione critica. In età antichissima la mente originaria costituiva l'intera personalità dell'uomo. A mano a mano che in lui si è venuta sviluppando la coscienza, la sua mente conscia ha perduto progressivamente il contatto con parte di quella primitiva energia psichica. La mente conscia, da parte sua, non ha perciò mai conosciuto la mente originaria: essa è stata a poco a poco lasciata nell'ombra durante il processo di evoluzione della coscienza profondamente differenziata che, sola, sarebbe stata in grado di prendere consapevolezza di essa.
Tuttavia, quello che noi chiamiamo inconscio sembra aver conservato caratteristiche primitive che un tempo facevano parte della mente originaria. Ed è proprio a queste caratteristiche che si riferiscono costantemente i simboli onirici, come se l'inconscio tentasse di recuperare tutte quelle cose vetuste di cui la mente si è venuta progressivamente liberando - illusioni, fantasie, forme di pensiero arcaiche, istinti fondamentali, e via dicendo.
Ciò spiega la resistenza, e perfino la paura, con cui le persone comuni affrontano la realtà dell'inconscio. Questi contenuti arcaici non sono affatto neutrali o indifferenti; al contrario, essi sono a tal punto carichi di significato da essere spesso, più che motivo di semplice fastidio, causa di autentica paura. Quanto più vengono rimossi, tanto più impregnano l'intera personalità sotto forma di nevrosi.
È questa energia psichica a conferire loro tanta importanza vitale. È come se un uomo appena uscito da un lungo periodo di incoscienza si accorgesse improvvisamente di avere una lacuna nella memoria, di essere incapace di ricordare importanti avvenimenti verosimilmente verificatisi nel frattempo. Nella misura in cui considererà la psiche un affare esclusivamente personale (e questo è il caso più frequente), egli cercherà di recuperare le memorie infantili apparentemente perdute. Ma le lacune della sua memoria infantile sono semplicemente il sintomo di una perdita ben più grande: quella della psiche primitiva.
Come l'evoluzione del corpo embrionale ripete la sua preistoria, così anche la mente si sviluppa attraverso una serie di stadi preistorici. La funzione principale dei sogni è quella di ricostituire una specie di “ricordo” del mondo sia preistorico che infantile, partendo dal livello degli istinti più primitivi. Questi ricordi possono avere in alcuni casi un effetto notevolmente salutare, come capì Freud molti anni fa. Questa osservazione conferma l'opinione che una lacuna della memoria (una cosiddetta amnesia) infantile rappresenta una perdita positiva e che il suo risanamento può produrre un incremento altrettanto positivo nella vita e nel benessere dell'individuo.
Poiché il bambino è fisicamente piccolo e i suoi pensieri consci sono scarsi e semplici, non riusciamo a renderci conto facilmente delle profonde complicazioni della mente infantile, basate sulla sua identità originaria con la psiche preistorica. Questa “mente originaria” è presente e funzionante nel bambino nella stessa misura in cui lo sono gli stadi evoluzionistici del genere umano nel suo corpo ancora embrionale. Se il lettore rammenta ciò che son venuto dicendo in precedenza a proposito dei sogni fatti dalla bambina e da essa donati al padre, non stenterà a farsi un'idea di ciò che intendo dire.
Nell'amnesia infantile si rinvengono strani frammenti mitologici che spesso appaiono anche in successive psicosi. Le immagini di questo tipo hanno un carattere profondamente numinoso e sono perciò assai importanti. Se tornano ad apparire nella vita adulta questi ricordi possono in certi casi provocare sensibili disturbi psicologici, mentre in altre persone possono dar luogo a guarigioni miracolose o a conversioni religiose. Sovente essi recuperano un segmento di esistenza venuto a mancare per lungo tempo e che restituisce senso e pienezza alla vita umana.
Il ricordo di memorie infantili e la riproduzione di modi archetipici di comportamento psichico possono creare un orizzonte più vasto e una più estesa coscienza, a condizione, però, che si riesca ad assimilare e a integrare nella mente conscia i contenuti perduti e poi recuperati. Poiché non sono neutrali, la loro assimilazione porterà ad alcune modificazioni della personalità ed essi stessi subiranno a loro volta certe alterazioni. In questa fase del cosiddetto “processo di individuazione” (che la dottoressa M.-L. von Franz descrive in un'altra parte di questo libro), l'interpretazione dei simboli svolge un ruolo di grande importanza pratica. Infatti i simboli sono tentativi naturali di riconciliare e di riunire gli opposti all'interno della psiche.
Naturalmente, limitarsi a osservare i simboli, mettendoli poi subito da parte, non fornirebbe risultati di questo tipo e servirebbe solo a ristabilire l'antica condizione nevrotica e ad annullare ogni tentativo di sintesi. Ma, sfortunatamente, quelle rare persone che pure non negano l'esistenza in sé degli archetipi, quasi sempre li trattano alla stregua di semplici parole e dimenticano la loro vivente realtà. Quando la loro numinosità viene messa al bando con questo atteggiamento (e perciò illegittimamente), comincia un processo incessante di sostituzione: in altre parole, si passa con disinvoltura da un archetipo all'altro e tutti i significati diventano possibili. È pur vero che, fino a un certo punto, le forme degli archetipi sono considerevolmente interscambiabili; ma la loro numinosità è e resta un fatto fondamentale, e rappresenta il valore di un evento archetipico.
Questo valore emozionale deve essere tenuto sempre presente e valutato nel suo giusto peso nel corso dell'intero processo intellettuale di interpretazione dei sogni. È anche troppo facile perdere di vista questo valore, poiché pensiero e sentimento sono così diametralmente opposti da far sì che il pensiero scarti quasi automaticamente i valori sentimentali e viceversa. La psicologia è l'unica scienza a dover prendere in considerazione il fattore del valore (cioè del sentimento), dal momento che esso costituisce il tramite fra gli eventi psichici e la vita. Spesso si accusa la psicologia di non essere scientifica a questo riguardo; ma i suoi critici non riescono a capire la necessità scientifica e pratica di prendere adeguatamente in considerazione il sentimento.  
CONTINUA -  III PARTE - 
Testo tratto da:
http://www.nilalienum.it/Sezioni/Freud/Materiali%20bibliografici/Jung/JungUSS.html 

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