L’Uomo e i suoi simboli
Carl Gustav Jung
(e Marie-Luoise von Franz, Joseph L. Henderson, J. Jacobi, A. Jaffé)
Longanesi, Milano 1980 (ed. orig. 1967)
Introduzione all’inconscio
L'importanza dei sogni
Il mondo comunista, bisogna riconoscerlo, ha un grande mito
(che noi chiamiamo un'illusione, nella vana speranza che il nostro
superiore giudizio valga a farlo scomparire). Si tratta
dell'antichissimo sogno archetipico di un'Età dell'Oro (o Paradiso),
dove ci sarà abbondanza di tutto per tutti e grandi, giuste e sagge
leggi a regolare una specie di giardino d'infanzia del genere umano.
Questo potente archetipo nella sua versione infantile si è impadronito
di loro, ma esso non scomparirà mai dal mondo alla semplice vista della
nostra superiore civiltà. Anzi, noi ce lo trasciniamo dietro fin dalla
fanciullezza poiché la civiltà occidentale è prigioniera della stessa
mitologia. Inconsciamente noi nutriamo i medesimi pregiudizi, le
medesime speranze, le medesime attese. Anche noi crediamo in una civiltà
del benessere, nella pace universale, nell'eguaglianza degli uomini,
nei suoi eterni diritti umani, nella giustizia, nella verità e (ma non
diciamolo troppo ad alta voce) nel Regno di Dio sulla terra.
La triste verità è che la vera vita dell'uomo è dilacerata da
un complesso di inesorabili contrari: giorno e notte, nascita e morte,
felicità e sventura, bene e male. Non possiamo neppure esser certi che
l'uno prevarrà sull'altro, che il bene sconfiggerà il male, o la gioia
si affermerà sul dolore. La vita è un campo di battaglia: così è sempre
stata e così sarà sempre; se così non fosse finirebbe la vita.
Fu proprio questo conflitto interiore a guidare i primi
cristiani verso l'attesa e la speranza di una prossima fine del mondo, o
i buddisti a rifiutare tutti i desideri e le aspirazioni terrene.
Questi atteggiamenti sarebbero stati nettamente suicidi se non fossero
stati connessi con particolari idee e consuetudini mentali e morali che
costituiscono il nocciolo di entrambe queste religioni e che, fino a un
certo punto, tendono a modificare la loro radicale negazione del mondo.
Sottolineo questo punto perché, oggigiorno, ci sono milioni di
persone che hanno perso la fede per ogni specie di religione. Esse non
comprendono più la loro religione. Finché la vita scorre liscia senza la
religione, la perdita non viene sentita; ma quando entra in gioco la
sofferenza le cose cambiano. È a questo punto che la gente comincia a
cercare una via d'uscita e a riflettere sul significato della vita e
sulle sue sconcertanti e dolorose esperienze.
È significativo che lo psicologo (per mia stessa esperienza)
venga consultato più da ebrei e da protestanti che da cattolici. Ciò è
facilmente prevedibile poiché la Chiesa cattolica si sente ancora
responsabile della cura animarum. Ma in questa epoca scientifica lo
psichiatra è suscettibile di sentirsi rivolgere domande che un tempo
erano prerogativa esclusiva del teologo. La gente si rende conto che
molte cose sarebbero diverse per loro se credessero positivamente in un
sistema significativo di vita o in Dio e nell'immortalità. Lo spettro
dell'approssimarsi della morte spesso fornisce un potente incentivo a
questo genere di pensieri. Fin da tempi immemorabili, gli uomini hanno
nutrito idee sul conto di un Essere Supremo (uno o diversi) e sul
Signore dell'Aldilà. Solo ai nostri giorni essi pensano di poter fare a
meno di queste idee.
Poiché non possiamo scoprire in cielo il trono di Dio usando
un radiotelescopio o stabilire (con sicurezza) che un padre o una madre
amorosi sopravvivano ancora in una forma più o meno corporea, si
sostiene generalmente che queste idee “non sono vere”. Io direi
piuttosto che esse non sono sufficientemente “vere” poiché si tratta di
concezioni che hanno accompagnato la vita degli uomini sin dai tempi
preistorici e che tuttora irrompono nella coscienza a ogni minima
provocazione.
L'uomo moderno può affermare di poterne fare a meno e può
sostenere la sua opinione insistendo nel dire che non esiste alcuna
prova scientifica a sostegno della loro veridicità. Ovvero egli può
anche rimpiangere la perdita delle sue convinzioni. Ma dal momento che
si tratta di cose invisibili e inconoscibili (poiché Dio sta al di là di
ogni capacità di comprensione umana e l'immortalità non è dimostrabile
in alcun modo), perché dobbiamo perderci nella ricerca di prove
razionali? Anche se non fossimo consapevoli della nostra necessità di
consumare il sale insieme al cibo, continueremmo pur sempre a trarre
vantaggio dal suo uso. Anche se sostenessimo che l'uso del sale è una
semplice illusione del palato o una superstizione, esso continuerebbe a
produrre un benefico effetto sulle nostre condizioni di vita. E allora,
perché dovremmo fare a meno di concezioni che si dimostrano utili nei
momenti di crisi e che danno un significato alla nostra esistenza?
E inoltre, come possiamo essere sicuri che tali idee non
corrispondano a verità? Molti mi darebbero ragione se dicessi che esse
sono probabilmente semplici illusioni; essi però non arrivano a capire
che la negazione di ogni fede religiosa è altrettanto non dimostrativa
quanto la sua affermazione. Noi siamo assolutamente liberi di scegliere
l'uno o l'altro dei due punti di vista; tuttavia si tratta sempre di una
decisione arbitraria.
In ogni caso c'è una importante ragione pratica per la quale
dovremmo essere inclini a coltivare pensieri non suscettibili di
ottenere una conferma positiva: tale ragione è che essi sono
notoriamente utili. L'uomo ha assolutamente bisogno di idee e
convinzioni generali che diano un significato alla sua vita e che gli
permettano di individuare il suo posto nell'universo. Quando è convinto
che esse abbiano un senso, egli trova la forza di affrontare le più
incredibili avversità; viceversa egli si sente sopraffatto quando, nel
colmo della sventura, si trova costretto ad ammettere di essere
coinvolto in una vicenda senza senso.
La funzione dei simboli religiosi è quella di dare un
significato alla vita dell'uomo. Gli Indiani Pueblo credono di essere
figli del Padre Sole e questa fede conferisce alla loro vita una
prospettiva (e uno scopo) che supera di gran lunga la loro limitata
esistenza. Essa consente loro di dispiegare largamente la propria
personalità e di vivere una vita piena, da persone integrali. La loro
condizione è infinitamente più soddisfacente di quella dell'uomo
civilizzato, che è consapevole di essere (e di restare) nient'altro che
uno sconfitto senza alcun profondo significato esistenziale.
Il senso di un significato superiore
dell'esistenza è ciò che innalza l'uomo al di sopra della sua condizione
elementare. Se gli manca questo senso egli è perduto e infelice.
Se san Paolo fosse stato convinto di non essere nulla più che un
errabondo tessitore di tappeti, certamente non sarebbe stato l'uomo che
fu. La sua vita vera e significativa riposava sull'intima certezza di
essere il messaggero del Signore. Qualcuno potrà accusarlo di essere
stato un megalomane, ma una opinione come questa si rivela inconsistente
di fronte alla testimonianza della storia e al giudizio di intere
generazioni. Il mito che s'impossessò di lui lo rese qualcosa di più
grande del semplice artigiano che era.
Un mito di questo genere, tuttavia, è costituito da simboli
che non sono stati inventati consciamente: essi si sono prodotti
spontaneamente. Non fu l'uomo Gesù a creare il mito dell'uomo-Dio. Esso
esisteva già da molti secoli prima della sua nascita. Egli stesso fu
conquistato da questa idea simbolica che, come ci narra san Marco, lo
spinse a uscire dall'ambiente ristretto della famiglia del falegname di
Nazareth.
I miti risalgono a un narratore primitivo e ai suoi sogni, a
uomini mossi dallo stimolo appassionato delle loro fantasie. Costoro non
si differenziavano gran che da coloro che dopo molte generazioni sono
stati chiamati poeti o filosofi. I narratori primitivi non si
preoccupavano di conoscere l'origine delle loro fantasie; fu solo in
epoche molto posteriori che ci si cominciò a chiedere da dove i racconti
avessero avuto origine. Eppure, molti secoli fa, nella cosiddetta
“antica” Grecia, la mente degli uomini era già sufficientemente avanzata
da supporre che le storie degli dèi non fossero altro che tradizioni
arcaiche deformate relative ad antichissimi re e condottieri. In altre
parole si era già arrivati alla conclusione che i miti erano troppo
inverosimili per significare esattamente ciò che narravano: perciò si
cercò di ridurli a una forma generalmente comprensibile.
In tempi più vicini a noi abbiamo visto trattare allo stesso
modo il simbolismo dei sogni. Nelle prime fasi di sviluppo della
psicologia ci si rese conto dell'importanza dei sogni, ma come i greci
erano giunti alla conclusione che i loro miti altro non erano che
semplici elaborazioni della storia razionale o “normale”, così alcuni
pionieri della psicologia conclusero che il significato dei sogni non
era quello letterale. Le immagini o i simboli onirici vennero così messi
in disparte alla stregua di forme bizzarre in cui i contenuti rimossi
della psiche si manifestavano alla mente conscia. Perciò diventò un
luogo comune il concetto che i sogni avessero un significato del tutto
diverso da quello esplicito.
Ho già descritto il modo in cui giunsi a dissentire da
quest'idea e a intraprendere lo studio sia della forma che del contenuto
dei sogni. Per quale ragione essi dovrebbero significare qualcosa di
diverso dai loro contenuti? Esiste forse qualcosa in natura che sia
diverso da quello che è attualmente? Il sogno è un fenomeno normale e
naturale e non significa ciò che esso non è. Anche il Talmud dice che
“il sogno è tale quale viene interpretato”. La confusione nasce solo per
il fatto che i contenuti del sogno sono simbolici e possiedono perciò
più di un significato. I simboli sono orientati in direzioni differenti
da quelle che noi riusciamo a ravvisare con la mente conscia e perciò si
riferiscono a qualcosa di inconscio o almeno di non completamente
conscio.
Per una mentalità scientifica fenomeni come
quelli rappresentati dalle idee simboliche costituiscono un serio motivo
di imbarazzo poiché non possono venire formulati in termini
intellettualmente e logicamente soddisfacenti. Essi però non sono
l'unico caso del genere in psicologia. Le difficoltà cominciano col
tentativo di definire il fenomeno dell'“affetto” o emozione che sfugge a
tutti i tentativi dello psicologo di racchiuderlo in una definizione
conclusiva. La causa di questa difficoltà è la stessa in entrambi i
casi: si tratta cioè dell'intervento dell'inconscio.
Ho una sufficiente esperienza scientifica per rendermi conto
di quanto sia imbarazzante dover studiare fatti che non possono venire
completamente o adeguatamente compresi. La difficoltà di affrontare
fenomeni come questi è che i fatti sono innegabili, eppure non possono
essere formulati in termini razionali. Perciò bisognerebbe essere in
grado di comprendere la vita in se stessa, poiché è la vita che produce
emozioni e idee simboliche.
Lo psicologo accademico è perfettamente libero di non prendere
in considerazione il fenomeno dell'emozione o il concetto di inconscio
(o nessuno dei due contemporaneamente). Tuttavia essi rimangono fatti
cui almeno lo psicologo medico deve prestare la necessaria attenzione,
poiché i conflitti e l'intervento dell'inconscio sono i tratti
caratteristici della sua scienza. Se tratta a fondo un paziente egli si
trova a dover fare i conti con questi elementi irrazionali, duri a
essere formulati in termini razionali. Perciò è del tutto normale che le
persone sprovviste dell'esperienza propria dello psicologo medico
riescano difficilmente a adeguarsi quando la psicologia cessa di essere
una tranquilla attività di laboratorio e diventa invece parte attiva
dell'avventura della vita reale. Altro è esercitarsi al bersaglio in un
poligono di tiro, altro è partecipare a una vera battaglia: il medico si
trova di fronte a tutta una serie di fattori casuali caratteristici di
una guerra autentica. Egli si trova ad avere a che fare con realtà
psichiche, anche se non è in grado di ridurle in definizioni
scientifiche. È per questo motivo che nessun manuale può insegnare la
psicologia: si può imparare solo dall'esperienza diretta.
Possiamo renderci conto chiaramente di questo punto esaminando alcuni simboli ben noti.
Per esempio la croce è, nella religione cristiana, un simbolo
significativo che esprime tutta una moltitudine di aspetti, idee ed
emozioni; ma una croce apposta dopo un nome in una lista serve solo a
indicare che quell'individuo è morto. Il fallo funge da simbolo
universale nella religione indù, ma se un monello di strada ne disegna
uno sopra un muro esso riflette solo il suo interesse per il proprio
pene. Poiché le fantasie dell'infanzia e dell'adolescenza si prolungano
spesso nella vita adulta, molti sogni rivelano inequivocabili allusioni
sessuali. Sarebbe assurdo interpretarle come qualcosa d'altro. Ma quando
un massone sostiene che frati e monache si debbano congiungere insieme,
o un elettricista parla di maschio e di femmina a proposito della spina
e della presa di corrente, sarebbe ridicolo supporre che essi indulgano
a fantasie infantili ancora vive. L'elettricista usa nomi coloriti per
descrivere semplicemente i suoi materiali. Quando un indù colto vi parla
del Ungarn (il fallo che rappresenta il dio Siva nella mitologia indù),
vi sentite raccontare delle cose che noi occidentali non connetteremmo
mai al pene. Il Ungarn non è certamente un'allusione oscena, né la croce
è soltanto un segno di morte. Molto dipende dalla maturità del sognante
che produce queste immagini.
L'interpretazione dei sogni e dei simboli richiede
intelligenza; essa non può essere ridotta a un sistema meccanico con cui
imbottire cervelli privi di immaginazione. Essa richiede
contemporaneamente una sempre più approfondita conoscenza
dell'individualità del sognante e un corrispondente affinamento della
personale consapevolezza dell'interprete. Ogni esperto in questo campo
ammetterà la possibilità di ricorrere ad alcuni utili criteri empirici,
ma essi devono essere tuttavia applicati con prudenza e acume. Si
possono seguire scrupolosamente tutte le regole e tuttavia trovarsi a
cadere nelle più terribili sciocchezze solo per il fatto di aver
trascurato un dettaglio apparentemente di scarso rilievo, che tuttavia
una intelligenza più acuta non si sarebbe lasciato sfuggire. Anche un
uomo di grande intelligenza può compiere gravi errori per mancanza di
intuizione o di sentimento.
Quando tentiamo di interpretare i simboli ci troviamo di
fronte non solo il simbolo in sé, ma l'intera totalità dell'individuo
produttore del simbolo. Ciò implica lo studio della sua formazione
culturale e nel corso di questo processo ci si imbatte in numerose
lacune della nostra educazione. Io stesso mi sono imposto come regola di
considerare ogni singolo caso come un'esperienza completamente nuova
sul conto della quale non conosca neppure l'abbicci. Le risposte usuali
possono rivelarsi pratiche e utili finché si studia la superficie, ma
quando si affrontano i problemi di fondo è la vita stessa a imporsi in
primo piano e anche i princìpi teorici più brillanti diventano semplici
parole prive di senso.
L'immaginazione e l'intuizione sono di
importanza vitale per la nostra comprensione. Sebbene, secondo
l'opinione popolare corrente, esse siano necessarie soprattutto al poeta
e all'artista (e che per le faccende “pratiche” si debba loro prestare
scarso affidamento), esse sono in realtà di altrettanta vitale
importanza a tutti i livelli superiori della scienza. In questa
sede svolgono un ruolo sempre più importante che soppianta quello
dell'intelletto “razionale” e la sua applicazione a un problema
specifico. Anche la fisica, la più rigorosa di tutte le scienze
applicate, si fonda in maniera sbalorditiva sopra l'intuizione che opera
per mezzo dell'inconscio (benché sia possibile dimostrare a posteriori i
procedimenti logici che avrebbero potuto condurre allo stesso risultato
di quello raggiunto intuitivamente).
L'intuizione è pressoché indispensabile nella interpretazione
dei simboli e spesso può assicurare la loro immediata comprensione da
parte del sognante. Tuttavia una fortunata intuizione può essere
altrettanto convincente da un punto di vista soggettivo, quanto
pericolosa. Essa può suggerire un falso sentimento di sicurezza. Per
esempio, può spingere sia l'interprete che il sognante a proseguire in
una comoda e relativamente facile relazione suscettibile di sfociare in
una specie di sogno reciproco. La base sicura di un'effettiva conoscenza
intellettuale e di una comprensione morale va perduta se ci si lascia
sopraffare dalla soddisfazione di aver capito per intuito. Si può
giungere a spiegare e conoscere davvero solo riducendo le intuizioni a
un'esatta conoscenza dei fatti e delle loro connessioni logiche.
Un onesto ricercatore deve ammettere di non essere sempre in
grado di seguire questo procedimento; tuttavia, sarebbe disonesto non
tenerlo sempre presente. Anche lo scienziato è un essere umano e perciò è
naturale che egli, come tanti altri, sia portato a odiare le cose che
non riesce a spiegare. È un'illusione comune credere che quanto
conosciamo oggigiorno esaurisca il campo totale dello scibile. Nulla è
più vulnerabile della teoria scientifica, che costituisce solo un
tentativo effimero di spiegare alcuni fatti e non una verità eterna in
sé compiuta.
Il ruolo dei simboli
Quando lo psicologo medico si accinge a
interpretare i simboli, egli deve operare una distinzione preliminare
fra simboli “naturali” e simboli “culturali”. I primi originano dai
contenuti inconsci della psiche e rappresentano perciò un numero enorme
di variazioni sulle immagini archetipiche fondamentali. In molti casi
essi possono essere ricostruiti fino alle loro radici arcaiche, cioè
fino alle idee e alle immagini reperibili nelle più antiche
testimonianze e nelle società primitive. I simboli culturali, d'altra
parte, sono quelli impiegati per esprimere “verità eterne” e che
compaiono tuttora in molte religioni. Essi hanno subito molte
trasformazioni e percorso un lungo processo di sviluppo più o meno
consapevole, diventando così immagini collettive accettate dalle società
civilizzate.5
Tuttavia questi simboli culturali continuano a possedere molto
del loro originario carattere soprannaturale o “fascino”. Siamo
consapevoli del fatto che essi possono evocare profonde risposte emotive
in certi individui e questa carica psichica spesso li trasforma in
pregiudizi. Essi costituiscono un fattore con cui lo psicologo deve fare
i conti; è pura follia metterli in disparte solo per il fatto che, da
un punto di vista razionale, essi sembrano assurdi o irrilevanti. Essi
sono componenti essenziali della nostra struttura mentale e forze vitali
nella costruzione della società umana: perciò non possono venire
eliminati senza produrre gravi perdite. Quando vengono rimossi o
trascurati, la loro specifica energia scompare nell'inconscio dando
luogo a conseguenze imprevedibili. L'energia psichica che è venuta meno
in questo modo serve infatti a resuscitare e intensificare tutto ciò che
si trova al livello più alto dell'inconscio, quelle tendenze, magari,
che finora non hanno avuto possibilità di esprimersi o a cui almeno non è
stata consentita una libera esistenza nell'ambito della nostra
coscienza.
Queste tendenze formano un'“ombra” sempre presente e potenzialmente distruttiva che offusca la nostra mente conscia.
Anche quelle tendenze che in alcune circostanze potrebbero esercitare
un'influenza benefica si trasformano in inclinazioni demoniache quando
vengono rimosse. Questa è la ragione per cui molte persone ben
intenzionate provano una paura comprensibile per l'inconscio ed
eventualmente per la psicologia.
Nella nostra epoca è stato dimostrato che cosa accada quando
vengono dischiuse le porte del mondo sotterraneo. Cose la cui enormità
nessuno avrebbe potuto immaginare nell'atmosfera idillica e innocua del
primo decennio di questo secolo sono effettivamente accadute e hanno
stravolto il mondo intero. Da allora il mondo è rimasto in preda a uno
stato di schizofrenia. Non solo la civilizzata Germania ha sprigionato
la sua terribile istintività primitiva, ma anche la Russia ne è rimasta
dominata e l'Africa è in fiamme. Non c'è da stupirsi che l'Occidente si
senta turbato.
L'uomo moderno non si rende conto di quanto il suo
“razionalismo” (che ha distrutto le sue capacità di rispondere ai
simboli e alle idee soprannaturali) lo abbia posto alla mercé del mondo
sotterraneo della psiche. Egli si è liberato (o crede di essersi
liberato) dalla “superstizione”, ma in questo processo egli è venuto
perdendo i suoi valori spirituali in misura profondamente pericolosa. La
sua tradizione morale e spirituale si è disintegrata, e ora egli paga
lo scotto di questo suo naufragio nel disorientamento e nella
dissociazione generali.
Gli antropologi hanno spesso descritto ciò che accade a una
società primitiva allorché i suoi valori spirituali si trovano esposti
all'influenza della civiltà moderna. Gli uomini perdono il significato
della propria vita, la loro organizzazione sociale si disintegra ed essi
stessi decadono moralmente. Noi ci troviamo attualmente nella medesima
condizione senza però esserci mai resi conto di ciò che abbiamo perduto,
poiché i nostri capi spirituali, sfortunatamente, erano più interessati
a proteggere le loro istituzioni che a comprendere il mistero offerto
dai simboli. Secondo me, la fede non esclude la ragione (che è l'arma
più potente dell'uomo), ma disgraziatamente molti credenti sembrano così
impauriti dalla scienza (e, incidentalmente, dalla psicologia) da
essere completamente ciechi di fronte alle forze psichiche
soprannaturali che dominano incessantemente il destino degli uomini.
Abbiamo spogliato ogni cosa del suo mistero e del suo carattere
soprannaturale; non c'è più nulla di sacro.
Nell'età primitiva, quando i concetti istintivi zampillavano
nella mente dell'uomo, non era diffìcile per lui integrarli consciamente
in una coerente struttura psichica. Ma l'uomo “civilizzato” non è più
capace di ciò: la sua coscienza “avanzata” lo ha privato dei mezzi
attraverso i quali è possibile assimilare all'inconscio i contributi
ausiliari degli istinti. Questi organi di assimilazione e d'integrazione
erano i simboli soprannaturali, da tutti considerati sacri.
Oggi, per esempio, si fa un gran parlare di “materia”:
descriviamo le sue proprietà fisiche, conduciamo esperimenti di
laboratorio per dimostrarne alcuni aspetti. Tuttavia la parola “materia”
rimane un concetto arido, disumano e puramente intellettuale, privo per
noi di qualunque significato psichico. Quanto diversa era l'antica
immagine della materia - la Grande Madre -, capace di abbracciare e di
esprimere il profondo significato emotivo della Madre Terra! Nello
stesso modo, ciò che prima era lo spirito, ora viene identificato con
l'intelletto, cessando così di essere il Padre di tutte le cose. Esso è
degenerato al rango dei limitati pensieri soggettivi dell'uomo e
l'immensa energia emotiva espressa nell'immagine del “Padre nostro” è
svanita nella sabbia di un deserto intellettuale.
Questi due princìpi archetipici stanno alla base degli opposti
sistemi dell'Oriente e dell'Occidente. Tuttavia le masse e i loro
leader non si rendono conto che non c'è alcuna differenza sostanziale
fra definire il principio del mondo come maschile e paterno (lo
spirito), caratteristica, questa, dell'Occidente, o come femminile e
materno (la materia), secondo la concezione dei comunisti. In fondo, noi
sappiamo altrettanto poco dell'uno quanto dell'altra. Nell'antichità
questi principi erano venerati con ogni specie di rituali, indicativi,
in fondo, del significato psichico che essi avevano per l'uomo.
Oggigiorno, invece, essi sono diventati meri concetti astratti.
Quanto più si è sviluppata la conoscenza
scientifica, tanto più il mondo si è disumanizzato. L'uomo si sente
isolato nel cosmo, poiché non è più inserito nella natura e ha perduto
la sua “identità inconscia” emotiva con i fenomeni naturali. Questi, a
loro volta, hanno perduto a poco a poco le loro implicazioni simboliche.
Il tuono non è più la voce di una divinità irata, né il fulmine il suo
dardo vendicatore. I fiumi non sono più dimora di spiriti, né gli alberi
il principio vitale dell'uomo, né il serpente l'incarnazione della
saggezza o l'antro incavato della montagna il ricetto di un grande
demonio. Nessuna voce giunge più all'uomo da pietre, piante o animali,
né l'uomo si rivolge a essi sicuro di venire ascoltato. Il suo contatto
con la natura è perduto, e con esso è venuta meno quella profonda
energia emotiva che questo contatto simbolico sprigionava.
Questa perdita enorme è compensata solo dai simboli dei sogni.
Essi ci ripropongono la nostra natura originaria, con i suoi istinti e
il suo particolare pensiero. Sfortunatamente, però, essi esprimono i
loro contenuti nel linguaggio della natura, che per noi è strano e
incomprensibile. Ci troviamo perciò di fronte alla difficoltà di
tradurlo nelle parole e nei concetti razionali del linguaggio moderno,
che si è liberato dalle sue implicazioni primitive e in particolare da
ogni partecipazione mistica con le cose da esso descritte. Oggigiorno,
quando parliamo di spiriti e di altre figure soprannaturali, non li
evochiamo più. Queste parole un tempo magiche hanno ora perduto tutta la
loro potenza e il loro fascino. Abbiamo smesso di credere alle formule
magiche; i tabù e le altre restrizioni di questo tipo sopravvivono in
numero sparuto; il nostro mondo sembra essersi disinfestato da tutte le
creature della “superstizione”, come “streghe, maghi e fattucchiere”,
per tacere dei lupi mannari, dei vampiri, delle anime della foresta e di
tutti gli altri esseri bizzarri che popolavano la foresta primeva.
Per dirla con linguaggio più preciso, la superficie del nostro
mondo sembra essere stata ripulita di tutte le superstizioni e di tutti
gli elementi irrazionali. Se poi il vero mondo interiore dell'uomo (e
non quello da noi semplicemente immaginato per nostra tranquillità) sia
altrettanto libero da scorie primitive, è un'altra questione. Forse il
numero 13 non è ancora tabù per molte persone? e non ci sono forse
ancora molti individui posseduti da pregiudizi, proiezioni e illusioni
infantili del tutto irrazionali? Un quadro realistico della mente umana
rivela ancora molti tratti e sopravvivenze primitive di questo tipo, che
continuano a persistere come se nulla fosse accaduto negli ultimi
cinque secoli.
È essenziale rendersi conto di questo fatto. L'uomo moderno è
infatti una curiosa mescolanza di caratteristiche volta a volta
acquistate nelle lunghe fasi del suo sviluppo mentale. Questo essere
composito è costituito dall'uomo e i suoi simboli, oggetto del nostro
studio, ed è nostro compito analizzare molto a fondo i suoi prodotti
mentali. Scetticismo e convinzione scientifica coesistono in lui fianco a
fianco con inveterati pregiudizi, abitudini di pensiero e di sentimento
anacronistiche, ostinate interpretazioni erronee e cieca ignoranza.
Questi sono gli esseri umani contemporanei produttori dei
simboli che noi psicologi abbiamo il compito di interpretare. Per
spiegare questi simboli e il loro significato è d'importanza vitale
capire se le loro rappresentazioni si riferiscono a una esperienza
esclusivamente personale o se invece essi sono stati appositamente
scelti da un sogno in un contesto di conoscenze consce di tipo generale.
Prendiamo, per esempio, il caso di un sogno in cui ricorre il
motivo del numero 13. Il problema è di sapere se il sognante sia
personalmente convinto della qualità sfortunata del numero o se il sogno
alluda semplicemente a coloro che indulgono tuttora a questa
superstizione. A seconda del tipo di risposta l'interpretazione varia
considerevolmente. Nel primo caso si deve prendere in considerazione il
fatto che quell'individuo è ancora soggetto al fascino iettatorio del
numero 13 e perciò egli si sentirà estremamente a disagio se in un
albergo gli verrà assegnata la stanza numero 13 o se si troverà a una
tavola con 13 persone. Nel secondo caso il numero in questione può non
significare altro che un commento scortese e ingiurioso. Il sognante
“superstizioso” sente ancora il “fascino” del 13; il sognante più
“razionale”, invece, ha spogliato il 13 di ogni sua originaria accezione
emotiva.
Questo esempio serve a illustrare il modo in cui gli archetipi
appaiono nell'esperienza pratica: essi sono contemporaneamente sia
immagini che emozioni. Si può parlare di archetipi solo quando questi
due aspetti si manifestino simultaneamente. Quando c'è solo l'immagine
si tratta di una notazione di scarso rilievo, ma quando è implicata
l'emozione, l'immagine acquista un carattere numinoso (o un'energia
psichica): essa diventa dinamica e deve produrre conseguenze di qualche
rilievo.
Mi rendo conto che è difficile afferrare questo concetto,
anche perché sto cercando di descrivere con parole qualcosa la cui
essenziale natura sfugge a ogni esatta definizione. Ma poiché tante
persone hanno intrapreso a trattare gli archetipi come semplici parti di
un sistema meccanico che può essere appreso a memoria, è necessario
insistere sul fatto che essi non sono né nomi puri e semplici, né
concetti filosofici. Essi appartengono alla vita stessa, sono immagini
integralmente connesse con l'individuo vivente per il tramite delle
emozioni. Perciò è impossibile dare una interpretazione arbitraria (o
universale) degli archetipi. Essi devono essere spiegati nel modo
indicato dall'intera situazione esistenziale dei singoli individui
particolari cui rispettivamente si riferiscono.
Perciò nel caso di un cristiano fervente il simbolo della
croce può essere interpretato solo nel suo contesto cristiano, a meno
che il sogno non suggerisca forti e fondati motivi nel senso di una sua
interpretazione diversa, non immediata o letterale. Anche in questo
caso, tuttavia, il significato specificamente cristiano non deve essere
perduto di vista. D'altra parte non si può certo affermare che il
simbolo della croce abbia sempre e in ogni circostanza il medesimo
significato. Se così fosse gli verrebbe meno il carattere numinoso,
perderebbe tutta la sua vitalità e diventerebbe una semplice parola.
Coloro che non avvertono lo speciale tono di
sentimento caratteristico dell'archetipo finiscono per considerare solo
un groviglio di concetti mitologici suscettibili di venire accozzati
insieme in modi diversi per dimostrare che ogni cosa può avere tutti i
significati - o non averne alcuno. Tutti i cadaveri sono
chimicamente identici, ma gli individui viventi non lo sono. Gli
archetipi cominciano a vivere solo quando si cerca pazientemente di
scoprire perché e in quali guise essi sono significativi per un
determinato individuo vivente.
L'uso puro e semplice delle parole è cosa inutile quando non
se ne conosca il significato. Ciò è vero in modo particolare per la
psicologia, dove si parla di archetipi come l'anima e l'animo, il
saggio, la grande madre, e via dicendo. Noi possiamo sapere tutto sul
conto dei santi, dei savi, dei profeti e degli altri uomini pii, e di
tutte le grandi madri della terra; ma se essi non sono altro per noi che
mere immagini di cui non abbiamo mai sperimentato il carattere
numinoso, sarà come se parlassimo in sogno, senza conoscere il
significato di ciò che diciamo. Le parole pure e semplici da noi usate
saranno vuote e senza valore. Esse prenderanno vita e significato solo
se cercheremo di afferrare la loro numinosità, cioè il loro rapporto
specifico con l'individuo vivente. Solo allora cominceremo a capire che i
termini in sé significano ben poco e che ciò che più conta è il modo in
cui essi sono in rapporto con noi.
La funzione simboleggiatrice dei sogni è perciò un tentativo
di trasferire la mente originaria dell'uomo nel contesto della coscienza
“avanzata” o differenziata, dove essa non è mai entrata prima e non è
stata quindi mai sottoposta a una autoriflessione critica. In età
antichissima la mente originaria costituiva l'intera personalità
dell'uomo. A mano a mano che in lui si è venuta sviluppando la
coscienza, la sua mente conscia ha perduto progressivamente il contatto
con parte di quella primitiva energia psichica. La mente conscia, da
parte sua, non ha perciò mai conosciuto la mente originaria: essa è
stata a poco a poco lasciata nell'ombra durante il processo di
evoluzione della coscienza profondamente differenziata che, sola,
sarebbe stata in grado di prendere consapevolezza di essa.
Tuttavia, quello che noi chiamiamo inconscio sembra aver
conservato caratteristiche primitive che un tempo facevano parte della
mente originaria. Ed è proprio a queste caratteristiche che si
riferiscono costantemente i simboli onirici, come se l'inconscio
tentasse di recuperare tutte quelle cose vetuste di cui la mente si è
venuta progressivamente liberando - illusioni, fantasie, forme di
pensiero arcaiche, istinti fondamentali, e via dicendo.
Ciò spiega la resistenza, e perfino la paura, con cui le
persone comuni affrontano la realtà dell'inconscio. Questi contenuti
arcaici non sono affatto neutrali o indifferenti; al contrario, essi
sono a tal punto carichi di significato da essere spesso, più che motivo
di semplice fastidio, causa di autentica paura. Quanto più vengono
rimossi, tanto più impregnano l'intera personalità sotto forma di
nevrosi.
È questa energia psichica a conferire loro tanta importanza
vitale. È come se un uomo appena uscito da un lungo periodo di
incoscienza si accorgesse improvvisamente di avere una lacuna nella
memoria, di essere incapace di ricordare importanti avvenimenti
verosimilmente verificatisi nel frattempo. Nella misura in cui
considererà la psiche un affare esclusivamente personale (e questo è il
caso più frequente), egli cercherà di recuperare le memorie infantili
apparentemente perdute. Ma le lacune della sua memoria infantile sono
semplicemente il sintomo di una perdita ben più grande: quella della
psiche primitiva.
Come l'evoluzione del corpo embrionale
ripete la sua preistoria, così anche la mente si sviluppa attraverso una
serie di stadi preistorici. La funzione principale dei sogni è quella
di ricostituire una specie di “ricordo” del mondo sia preistorico che
infantile, partendo dal livello degli istinti più primitivi.
Questi ricordi possono avere in alcuni casi un effetto notevolmente
salutare, come capì Freud molti anni fa. Questa osservazione conferma
l'opinione che una lacuna della memoria (una cosiddetta amnesia)
infantile rappresenta una perdita positiva e che il suo risanamento può
produrre un incremento altrettanto positivo nella vita e nel benessere
dell'individuo.
Poiché il bambino è fisicamente piccolo e i suoi pensieri
consci sono scarsi e semplici, non riusciamo a renderci conto facilmente
delle profonde complicazioni della mente infantile, basate sulla sua
identità originaria con la psiche preistorica. Questa “mente originaria”
è presente e funzionante nel bambino nella stessa misura in cui lo sono
gli stadi evoluzionistici del genere umano nel suo corpo ancora
embrionale. Se il lettore rammenta ciò che son venuto dicendo in
precedenza a proposito dei sogni fatti dalla bambina e da essa donati al
padre, non stenterà a farsi un'idea di ciò che intendo dire.
Nell'amnesia infantile si rinvengono strani frammenti
mitologici che spesso appaiono anche in successive psicosi. Le immagini
di questo tipo hanno un carattere profondamente numinoso e sono perciò
assai importanti. Se tornano ad apparire nella vita adulta questi
ricordi possono in certi casi provocare sensibili disturbi psicologici,
mentre in altre persone possono dar luogo a guarigioni miracolose o a
conversioni religiose. Sovente essi recuperano un segmento di esistenza
venuto a mancare per lungo tempo e che restituisce senso e pienezza alla
vita umana.
Il ricordo di memorie infantili e la riproduzione di modi
archetipici di comportamento psichico possono creare un orizzonte più
vasto e una più estesa coscienza, a condizione, però, che si riesca ad
assimilare e a integrare nella mente conscia i contenuti perduti e poi
recuperati. Poiché non sono neutrali, la loro assimilazione porterà ad
alcune modificazioni della personalità ed essi stessi subiranno a loro
volta certe alterazioni. In questa fase del cosiddetto “processo di
individuazione” (che la dottoressa M.-L. von Franz descrive in un'altra
parte di questo libro), l'interpretazione dei simboli svolge un ruolo di
grande importanza pratica. Infatti i simboli sono tentativi naturali di
riconciliare e di riunire gli opposti all'interno della psiche.
Naturalmente, limitarsi a osservare i simboli, mettendoli poi
subito da parte, non fornirebbe risultati di questo tipo e servirebbe
solo a ristabilire l'antica condizione nevrotica e ad annullare ogni
tentativo di sintesi. Ma, sfortunatamente, quelle rare persone che pure
non negano l'esistenza in sé degli archetipi, quasi sempre li trattano
alla stregua di semplici parole e dimenticano la loro vivente realtà.
Quando la loro numinosità viene messa al bando con questo atteggiamento
(e perciò illegittimamente), comincia un processo incessante di
sostituzione: in altre parole, si passa con disinvoltura da un archetipo
all'altro e tutti i significati diventano possibili. È pur vero che,
fino a un certo punto, le forme degli archetipi sono considerevolmente
interscambiabili; ma la loro numinosità è e resta un fatto fondamentale,
e rappresenta il valore di un evento archetipico.
Questo valore emozionale deve essere tenuto sempre presente e
valutato nel suo giusto peso nel corso dell'intero processo
intellettuale di interpretazione dei sogni. È anche troppo facile
perdere di vista questo valore, poiché pensiero e sentimento sono così
diametralmente opposti da far sì che il pensiero scarti quasi
automaticamente i valori sentimentali e viceversa. La psicologia è
l'unica scienza a dover prendere in considerazione il fattore del valore
(cioè del sentimento), dal momento che esso costituisce il tramite fra
gli eventi psichici e la vita. Spesso si accusa la psicologia di non
essere scientifica a questo riguardo; ma i suoi critici non riescono a
capire la necessità scientifica e pratica di prendere adeguatamente in
considerazione il sentimento.
CONTINUA - III PARTE -
Testo tratto da:
http://www.nilalienum.it/Sezioni/Freud/Materiali%20bibliografici/Jung/JungUSS.html
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http://www.nilalienum.it/Sezioni/Freud/Materiali%20bibliografici/Jung/JungUSS.html
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