L’Uomo e i suoi simboli
Carl Gustav Jung
(e Marie-Luoise von Franz, Joseph L. Henderson, J. Jacobi, A. Jaffé)
Longanesi, Milano 1980 (ed. orig. 1967)
Introduzione all’inconscio
L'importanza dei sogni
L'uomo usa la parola parlata o scritta per esprimere il
significato di quello che egli vuole comunicare. Il suo linguaggio è
pieno di simboli, ma egli spesso fa uso anche di segni o di immagini che
non sono descrittivi in senso stretto. Alcuni sono semplici
abbreviazioni o successioni di iniziali, come ONU, Unicef, o UNESCO;
altri sono familiari marchi di fabbrica, nomi di specialità medicinali,
simboli o insegne. Sebbene siano in se stessi privi di significato, essi
hanno acquistato un significato riconoscibile attraverso l'uso comune o
per un intento convenzionale. Tutti questi non sono simboli. Essi sono
segni e non hanno altro compito che quello di denotare gli oggetti a cui
sono riferiti.
Ciò che noi chiamiamo simbolo è un termine,
un nome, o anche una rappresentazione che può essere familiare nella
vita di tutti i giorni e che tuttavia possiede connotati specifici oltre
al suo significato ovvio e convenzionale. Esso implica qualcosa di
vago, di sconosciuto o di inaccessibile per noi. Per esempio,
molti monumenti cretesi sono contraddistinti dal disegno della doppia
ascia. Si tratta di un oggetto che ci è familiare ma di cui non
conosciamo le implicazioni simboliche. Per fare un altro esempio,
prendiamo il caso di quell'indiano che, dopo aver visitato
l'Inghilterra, tornato in patria raccontò ai suoi amici che gli Inglesi
venerano gli animali dal momento che egli aveva trovato aquile, leoni e
buoi nelle vecchie chiese che aveva visitato. Egli non sapeva, né lo
sanno molti cristiani, che questi animali simboleggiano gli Evangelisti e
derivano dalla visione di Ezechiele e che questa, a sua volta, ha
un'analogia con la divinità egiziana del sole, Horus, e i suoi quattro
figli. Ci sono poi altri oggetti, come la ruota e la croce, che sono
conosciuti in tutto il mondo e che tuttavia hanno un significato
simbolico in certe particolari condizioni. Ciò che essi simboleggino di
preciso è ancora materia di controversia.
Perciò una parola o un'immagine è simbolica
quando implica qualcosa che sta al di là del suo significato ovvio e
immediato. Essa possiede un aspetto più ampio, «inconscio», che non è
mai definito con precisione o compiutamente spiegato. Né si può sperare
di definirlo o spiegarlo. Quando la mente esplora il simbolo, essa viene
portata a contatto con idee che stanno al di là delle capacità
razionali. La ruota può condurre i nostri pensieri al concetto di
un sole «divino», ma a questo punto la ragione deve ammettere la
propria incompetenza: l'uomo è incapace di definire un essere “divino”.
Quando, con tutte le nostre limitazioni intellettuali, noi chiamiamo
qualcosa “divino”, non abbiamo fatto altro che attribuirgli un nome che
al massimo può esser fondato sopra un credo, non su prove di fatto.
Poiché ci sono innumerevoli cose che oltrepassano l'orizzonte
della comprensione umana, noi ricorriamo costantemente all'uso di
termini simbolici per rappresentare concetti che ci è impossibile
definire o comprendere completamente. Questa è una delle ragioni per cui
tutte le religioni impiegano un linguaggio simbolico o delle immagini.
Tuttavia questo uso consapevole dei simboli è soltanto un aspetto di un
fatto psicologico di grande importanza: anche l'uomo produce simboli
inconsciamente e spontaneamente sotto forma di sogni.
Non è facile afferrare questo punto, ma è necessario arrivare a
farlo se vogliamo conoscere qualcosa di più sul modo in cui opera la
mente umana. Se riflettiamo un momento ci rendiamo subito conto che
l'uomo non percepisce o comprende mai nulla completamente. Egli può
vedere, udire, toccare e gustare, ma la capacità della sua vista e del
suo udito, come pure ciò che gli viene rivelato dal tatto o dal gusto,
tutto dipende dal numero e dalla qualità dei suoi sensi. Questi limitano
la sua percezione del mondo che lo circonda. Usando strumenti
scientifici egli può compensare in parte le deficienze dei propri sensi.
Per esempio egli può estendere il suo campo visivo ricorrendo al
binocolo o il suo campo uditivo attraverso l'amplificazione elettrica;
tuttavia anche i più complessi apparati non possono far di più che
trasportare oggetti distanti o di piccole dimensioni nel suo campo
visivo o rendere più udibili suoni deboli. A prescindere dagli strumenti
da lui usati, a un certo punto l'uomo raggiunge un limite di certezza
al di là del quale la sua conoscenza non può procedere.
Ci sono, poi, aspetti inconsci della nostra percezione della
realtà. Il primo è costituito dal fatto che anche quando i nostri sensi
reagiscono a fenomeni reali, a visioni, a suoni, essi vengono in qualche
modo tradotti dal piano della realtà a quello della mente. Qui essi
diventano eventi psichici la cui sostanziale natura è inconoscibile, in
quanto la psiche non può conoscere la propria sostanza psichica. In tal
modo ogni esperienza contiene un numero infinito di fattori sconosciuti,
per non dire del fatto che ogni oggetto concreto è sempre sconosciuto
sotto certi aspetti dal momento che non siamo in grado di conoscere la
natura sostanziale della materia in sé.
Perciò esistono certi eventi che noi non abbiamo registrato
consapevolmente: essi sono rimasti, per così dire, al di sotto della
soglia della coscienza. Essi sono accaduti ma sono stati assorbiti
subliminalmente senza la partecipazione della nostra conoscenza
consapevole. Noi possiamo prender coscienza di questi avvenimenti solo
in un momento di intuizione o tramite un processo profondo di pensiero
che ci porti in un secondo momento alla consapevolezza del fatto che
essi debbono essersi necessariamente realizzati. E benché si possa
averne inizialmente ignorata l'importanza emotiva e vitale, essa
riaffiora dall'inconscio come una specie di fenomeno riflesso.
Essa può apparire, ad esempio, sotto forma di un sogno. Di regola, l'aspetto
inconscio di ogni evento si rivela a noi nei sogni, dove esso appare
non come pensiero razionale ma sotto forma di immagine simbolica.
Storicamente è stato lo studio dei sogni a porre gli psicologi in
condizione di investigare l'aspetto inconscio degli eventi psichici
manifestantisi al livello della coscienza.
È sulla base di questa evidenza che gli
psicologi suppongono l'esistenza di una psiche inconscia, sebbene molti
scienziati e filosofi neghino la sua esistenza. Essi argomentano
ingenuamente che una posizione di questo tipo implica l'esistenza di due
“soggetti”, o, per dirla in linguaggio comune, di due personalità
all'interno dello stesso individuo. Ma è proprio questa la sua precisa
implicazione ed è una delle più drammatiche caratteristiche dell'uomo
moderno il fatto che egli soffra di questa divisione della propria
personalità. Non si tratta assolutamente di un sintomo
patologico: è un fatto perfettamente normale che può essere osservato
ovunque e in ogni tempo. Non accade solo al nevrotico che la propria
mano destra non sappia che cosa fa la sinistra. Questa drammatica
situazione è un sintomo della condizione generale di incoscienza che
costituisce l'innegabile eredità comune di tutto il genere umano.
L'uomo ha sviluppato la coscienza con lentezza e
laboriosamente in un processo che condusse dopo numerosissimi secoli
allo stadio della civiltà (che arbitrariamente viene fatta risalire
all'invenzione della scrittura intorno al 4000 a.C.). Questa evoluzione è
tutt'altro che completa dal momento che larghe zone della mente umana
sono ancora avvolte dall'oscurità. Ciò che noi chiamiamo “psiche” non corrisponde affatto alla coscienza e ai suoi contenuti.
Chiunque neghi l'esistenza dell'inconscio suppone di fatto che
la nostra attuale conoscenza della psiche sia totale. Questa opinione è
altrettanto falsa quanto la supposizione che noi si conosca ormai tutto
ciò che c'è da conoscere dell'universo naturale. La nostra psiche è
parte della natura e i suoi enigmi sono infiniti. Ci è pertanto
impossibile definire sia la psiche che la natura: noi possiamo dire solo
ciò che esse sono per noi e descrivere, come meglio possiamo, il loro
funzionamento. Di conseguenza, a prescindere dall'evidenza accumulata
dalla ricerca medica, sussistono notevoli fondamenti logici per
respingere affermazioni come quelle secondo cui “l'inconscio non
esiste”. Coloro che fanno simili affermazioni denunciano un antiquato
“misoneismo”, cioè la paura del nuovo e dello sconosciuto.
Ci sono ragioni storiche che giustificano questa resistenza
all'idea di una parte sconosciuta della psiche umana. La coscienza è una
recentissima acquisizione della natura ed è tuttora nella sua fase
“sperimentale”. Essa è fragile, sottoposta alla minaccia di rischi
specifici e facilmente danneggiabile. Come hanno osservato gli
antropologi, una delle più comuni forme di alienazione mentale che si
manifesta fra i popoli primitivi è quella che essi chiamano “la perdita
dell'anima”: ciò significa, come indica il nome, una notevole spaccatura
(o, più tecnicamente, una dissociazione) della coscienza.
Fra questi popoli, in cui la coscienza si trova a un livello
di sviluppo diverso dal nostro, l'“anima” (o psiche) non è concepita
come un'unità. Molti primitivi sostengono che l'uomo possiede un'“anima
della foresta” oltre alla propria e chequest'anima è incarnata in un
animale selvaggio o in un albero, con i quali l'individuo umano ha una
specie di identità psichica. Questo è il fenomeno che il celebre
etnologo francese Lucien Lévy-Brùhl ha* definito “partecipazione
mistica”. Successivamente egli ha eliminato questo termine sotto la
pressione di una critica avversa, ma ritengo che i suoi critici fossero
in errore. È risaputo che, dal punto di vista psicologico, l'individuo
può possedere una identità inconscia di questo tipo con qualche altra
persona od oggetto.
Questa identità assume varie forme differenti tra i primitivi.
Se l'anima della foresta è quella di un animale, questo viene
considerato come una specie di fratello dell'uomo. L'uomo che sia
fratello di un coccodrillo, per esempio, viene considerato immune dagli
assalti dei coccodrilli quando nuota in un fiume. Se l'anima della
foresta è un albero, si suppone che questo possegga una specie di
autorità paterna sull'individuo in questione. In entrambi i casi
un'offesa recata all'anima della foresta viene interpretata come
un'offesa rivolta all'uomo.
In alcune tribù si suppone che l'uomo possegga numerose anime;
tale opinione esprime il sentimento di alcuni individui primitivi,
secondo il quale ognuno di essi è composto di diverse unità fra loro
collegate, ma singolarmente distinte. Ciò significa che la psiche
dell'individuo è tutt'altro che una unità perfettamente sintetica; al
contrario essa rischia di frantumarsi anche troppo facilmente sotto
l'urto di emozioni violente.
Mentre da una parte questa situazione ci è divenuta ormai
familiare per gli studi antropologici, dall'altra non manca di
esercitare tuttora il suo peso nella nostra avanzata civiltà, contro
ogni supposizione. Anche noi possiamo subire una dissociazione e perdere
la nostra identità. Possiamo esser posseduti e alterati dagli stati
d'animo o diventare irragionevoli e incapaci di ricordare fatti
importanti relativi a noi stessi o ad altre persone. A questo punto la
gente ci domanda: “che diavolo stai combinando?” Spendiamo parole
intorno all'autocontrollo, ma si tratta di una qualità rara ed
eccezionale; possiamo pensare di tenerci sotto controllo e tuttavia un
amico può dirci facilmente alcune cose sul nostro conto che noi non
conosciamo minimamente.
Senza dubbio la coscienza umana non ha raggiunto, neppure a
quello che noi chiamiamo un alto livello di civiltà, un grado
ragionevole di continuità. Essa è ancora vulnerabile e suscettibile di
sgretolarsi. In effetti questa capacità di isolare singole parti della
propria mente è una caratteristica notevole: essa ci mette in grado di
concentrarci volta a volta su una singola cosa, escludendo qualunque
altra cosa che possa attirare la nostra attenzione. Tuttavia c'è una
profonda differenza fra l'atto di prendere consapevolmente la decisione
di espungere e sopprimere temporaneamente una parte della nostra psiche e
la condizione in cui ciò avviene spontaneamente, senza la
partecipazione della nostra conoscenza e della nostra volontà e magari
contro le nostre stesse intenzioni. Il primo è un prodotto della
civiltà, la seconda è una “perdita dell'anima” al livello primitivo o la
causa patologica di una nevrosi.
Perciò anche ai nostri giorni l'unità della coscienza è un
fatto incerto: essa può essere spezzata anche troppo facilmente. La
capacità di controllare le proprie emozioni, se è una qualità
desiderabile da un certo punto di vista, dall'altro può rappresentare un
risultato discutibile nella misura in cui viene a togliere ai rapporti
sociali ogni varietà, colore, o calore umano.
È in questa prospettiva che noi dobbiamo riprendere in
considerazione l'importanza dei sogni, di queste fantasie inconsistenti,
evasive, incerte e vaghe. Per spiegare il mio punto di vista descriverò
il modo in cui esso si è venuto elaborando in me per un lungo arco di
anni e in che modo sono stato portato a concludere che i sogni
costituiscono la fonte più frequente e universalmente accessibile per lo
studio della facoltà di simbolizzazione dell'uomo.
Sigmund Freud è stato il pioniere che per primo ha tentato di
esplorare il fondo inconscio della coscienza. Egli si basava sul
presupposto generale che i sogni non sono eventi casuali, ma fatti
strettamente associati ai pensieri e ai problemi del conscio. Questa
supposizione non era del tutto arbitraria ed era fondata sulle
conclusioni di eminenti neurologi (per esempio di Pierre lanet), secondo
le quali i sintomi nevrotici sono collegati con qualche esperienza
cosciente. Essi risultano essere aree distaccate della mente conscia
che, in tempi e condizioni diverse, possono apparire nel conscio.
Prima dell'inizio del secolo, Freud e Joseph Breuer erano
arrivati alla conclusione che i sintomi nevrotici - l'isteria, certi
tipi di sofferenza e comportamento anormale - sono effettivamente
significativi dal punto di vista simbolico. Si tratta di un modo nel
quale la mente inconscia riesce a esprimersi, così come può avvenire nei
sogni, che sono altrettanto simbolici. Per esempio, un paziente che si
trovi di fronte a una situazione intollerabile può manifestare uno
spasmo ogni qualvolta cerca di deglutire: egli “non può mandarlo giù”.
In condizioni simili di tensione psicologica, un altro paziente ha un
attacco di asma: egli “non può respirare l'atmosfera di casa”. Un altro
soffre di una particolare paralisi alle gambe: egli non può camminare,
cioè “non ce la fa più ad andare avanti”. Un altro ancora, che vomita
quando mangia, “non può digerire” qualche fatto spiacevole. Potrei
citare molti esempi di questo tipo, ma tali reazioni fisiche sono solo
un modo attraverso il quale i problemi che ci travagliano inconsciamente
possono trovare espressione. Più spesso essi si manifestano nei sogni.
Qualunque psicologo che abbia ascoltato numerose descrizioni
di sogni sa bene che i simboli onirici hanno una varietà di gran lunga
superiore a quella dei sintomi fisici della nevrosi. Essi sono spesso
costituiti da elaborate e pittoresche fantasie. Ma se l'analista che si
trova di fronte a questo materiale di sogni ricorre alla tecnica
freudiana della “libera associazione”, egli trova che i sogni possono
essere conclusivamente ridotti a certi modelli fondamentali. Questa
tecnica ha svolto un ruolo importante nello sviluppo della psicoanalisi,
poiché permise a Freud di utilizzare i sogni come il punto di partenza
da cui intraprendere l'esplorazione del problema inconscio espresso dal
paziente.
Freud fece la semplice ma penetrante osservazione che se colui
che sogna viene incoraggiato a proseguire il suo racconto sulle
immagini apparsegli in sogno e sui pensieri che queste suscitano nella
sua mente, egli rivelerà esplicitamente la radice inconsapevole dei suoi
disturbi, sia in ciò che dice sia in ciò che omette deliberatamente. Le
sue idee possono apparire irrazionali e irrilevanti, ma in breve
diventa relativamente facile scoprire che cosa egli cerca di evitare e
afferrare il pensiero o l'esperienza spiacevole che egli sopprime. Non
importa il modo in cui egli cerca di camuffare tutto questo: qualunque
cosa egli dica essa si riferisce alle ragioni profonde della sua
condizione. Un medico è talmente abituato a cogliere gli aspetti più
reconditi della vita che raramente non colpisce nel vero quando
interpreta gli elementi che il paziente manifesta come segni di una
coscienza turbata. Sfortunatamente ciò che egli arriva a scoprire
conferma le sue previsioni. In questi termini nessuno può opporsi alla
teoria freudiana della rimozione e limitarsi a considerare il simbolismo
dei sogni come un effetto di appagamento.
Freud attribuì una particolare importanza ai sogni,
considerandoli come il punto di partenza di un processo di “libera
associazione”. Tuttavia, dopo un po' di tempo, cominciai a rendermi
conto che questa era una utilizzazione erronea e inadeguata delle ricche
fantasie che l'inconscio produce durante il sonno. Cominciai ad avere
dei dubbi quando un collega mi disse di un'esperienza che egli aveva
avuto durante un lungo viaggio in treno fatto in Russia. Benché egli non
conoscesse la lingua e non sapesse neppure decifrare la scrittura
cirillica, si trovò a fantasticare sulle strane lettere in cui erano
scritti gli avvisi ferroviari e piombò in una rêverie durante la quale
egli immaginava ogni sorta di significati.
Passando spontaneamente da un'idea all'altra, in questo stato
d'animo rilassato, egli si accorse che questo tipo di “libera
associazione” gli aveva ridestato molti vecchi ricordi. Fra questi egli
trovò con disappunto alcuni avvenimenti da lungo tempo sepolti nella
memoria: tutte cose che aveva voluto dimenticare e che di fatto aveva
dimenticato consciamente. Egli era arrivato a ciò che gli psicologi
chiamano “complessi”, cioè a temi emotivamente rimossi, che possono
provocare continui disturbi psicologici e, in molti casi, persino i
sintomi di una nevrosi.
Questo episodio mi rivelò che non era necessario usare il
sogno come punto di partenza del processo di “libera associazione” per
scoprire i complessi di un paziente. Esso mi dimostrò che si può
arrivare al centro partendo da qualsiasi punto della circonferenza. Si
poteva partire da alcune lettere cirilliche, da meditazioni su una sfera
di cristallo, una “ruota di preghiera” o un dipinto moderno o anche
prendendo le mosse da una conversazione casuale su qualche banale
avvenimento. In questo senso il sogno non era più utile di qualsiasi
altro possibile punto di partenza. Tuttavia, i sogni hanno un
significato particolare, sebbene nascano spesso da un turbamento emotivo
in cui sono coinvolti anche i complessi abituali. (I complessi abituali
sono i punti deboli della psiche che reagiscono nel modo più rapido a
uno stimolo esterno o a un disturbo.) È per questo motivo che la libera
associazione può condurre dai sogni, qualunque essi siano, al segreto
profondo dei pensieri.
A questo punto, tuttavia, riflettei che, se ero nel giusto, si
poteva ragionevolmente dedurre che i sogni avessero qualche funzione
speciale e più significativa. Molto spesso i sogni hanno una struttura
definita, evidentemente intenzionale, che esprime un'idea recondita o
un'intenzione, benché quest'ultima, di regola, non sia immediatamente
comprensibile. Cominciai perciò a riflettere sull'opportunità di
prestare una maggiore attenzione alla forma e al contenuto attuali del
sogno, piuttosto che permettere alla “libera” associazione di sviarci,
attraverso una catena di idee, verso i complessi che potevano essere
facilmente raggiunti con altri mezzi.
Questa riflessione segnò un momento decisivo nello sviluppo
della mia psicologia. Ciò significava che gradualmente io mi venivo
distaccando dalle associazioni concatenate ritenendo che esse
fuorviassero dal contesto del sogno. Io preferivo concentrarmi sul sogno
piuttosto che sulle associazioni, ritenendo che il primo esprimesse
qualcosa di specifico che l'inconscio tentava di manifestare.
Cambiando la mia interpretazione dei sogni dovetti cambiare
anche il metodo: la nuova tecnica da me elaborata poteva prendere in
considerazione tutti i vari aspetti del sogno. Una storia narrata dalla
mente conscia ha un suo inizio, uno sviluppo e una conclusione, mentre
la stessa cosa non è vera per il sogno. Le sue dimensioni spaziali e
temporali sono assai diverse: per comprenderlo dobbiamo esaminarlo in
tutti i suoi aspetti, così come siamo indotti a fare con un oggetto
sconosciuto che, una volta pervenuto nelle nostre mani, viene da noi
girato e rigirato fino a che ogni suo minimo dettaglio non ci è divenuto
familiare.
A questo punto risulterà probabilmente chiaro il modo in cui
io venni progressivamente distaccandomi dalla “libera” associazione, nel
senso che Freud le aveva inizialmente attribuito. Il mio scopo era
quello di avvicinarmi quanto più possibile al sogno in sé escludendo
tutte quelle idee e associazioni superflue che esso poteva evocare. Ciò
poteva condurre ai complessi del paziente, ma il mio scopo mirava al di
là della scoperta dei semplici complessi responsabili dei disturbi
nevrotici. Ci sono molti altri metodi per identificarli: ad esempio lo
psicologo può rinvenire tutti i sintomi di cui ha bisogno per mezzo dei
test di associazione di parole (cioè chiedendo al paziente che cosa egli
è portato ad associare a determinate serie di parole e studiando le sue
risposte). Tuttavia, per arrivare a conoscere e comprendere il processo
psichico che è proprio dell'intera personalità individuale, è
importante rendersi conto che i sogni dell'individuo e le loro
rispettive immagini simboliche possono avere una funzione molto più
importante di quella loro abitualmente attribuita.
Quasi tutti sanno, ad esempio, che l'atto sessuale può essere
simboleggiato (o allegoricamente rappresentato) da una enorme varietà di
immagini. Ciascuna di queste immagini può condurre, attraverso un
processo associativo, all'idea del rapporto sessuale e ai complessi
specifici che ciascun individuo può possedere nei riguardi dei propri
atteggiamenti sessuali. Tuttavia è possibile che l'individuo possa
mettere in evidenza tali complessi per mezzo di alcune riflessioni su un
gruppo di lettere russe indecifrabili, lo fui perciò indotto a ritenere
che il sogno può contenere qualche messaggio diverso da quelli
dell'allegoria sessuale e che ciò possa avvenire per ben precise
ragioni. Cerchiamo di illustrare questo punto.
Un uomo può sognare di infilare la chiave in una serratura, di
brandire un pesante bastone, o di abbattere una porta a colpi di
ariete. Ciascuna di queste immagini può essere considerata un'allegoria
sessuale: tuttavia, il fatto che l'inconscio abbia scelto per esprimersi
una di queste immagini specifiche - si tratti della chiave, del
bastone, oppure dell'ariete - ha un significato di gran lunga più
importante. Il problema è quello di capire perché la chiave sia stata
preferita al bastone, o il bastone all'ariete. In alcuni casi ciò può
portare a scoprire che il punto centrale della rappresentazione non è
l'atto sessuale ma qualcos'altro di diversa portata psicologica.
Seguendo questo corso di ragionamenti arrivai alla conclusione
che per interpretare il sogno si deve utilizzare solo il materiale di
esso che è chiaramente e visibilmente disponibile.
Il sogno ha i suoi limiti: la sua stessa costruzione ci dice
che cosa gli appartiene e che cosa non gli appartiene di fatto. Mentre
la “libera” associazione distoglie dallo studio del materiale secondo
una linea a zigzag, il metodo da me elaborato assomiglia di più a
un'indagine circolare il cui centro è rappresentato dall'immagine del
sogno. Io lavoro intorno a queste immagini e trascuro qualsiasi
tentativo che l'autore del sogno compia per distogliersene.
Progressivamente, a varie riprese, durante il mio lavoro professionale
ho dovuto ripetere la frase: “Torniamo al vostro sogno. Che cosa diceva
il vostro sogno?”
Ad esempio un mio paziente sognò una donna dall'aspetto
volgare, ubriaca e scarmigliata. Nel sogno questa donna era identificata
con la moglie, benché nella vita reale quest'ultima fosse del tutto
diversa. In apparenza, quindi, il sogno era del tutto falso e il
paziente lo rifiutava come una sciocca fantasticheria. Se io, come
medico, gli avessi consentito di seguire un processo associativo, egli
avrebbe inevitabilmente tentato di tirarsi il più lontano possibile
dalla spiacevole suggestione del sogno. In tal caso egli sarebbe
approdato a uno dei suoi complessi fondamentali - un complesso che
probabilmente non avrebbe avuto nulla a che fare con sua moglie - e io
non avrei appreso nulla intorno al significato particolare del sogno.
Qual era perciò il significato riposto di questo inconscio
tentativo? Evidentemente esso esprimeva in qualche modo l'idea di una
femmina degenerata, che era intimamente connessa con la vita
dell'individuo; ma poiché la proiezione di quest'immagine sulla persona
della moglie era ingiustificata e falsa in maniera palese, io dovevo
cercare altrove il significato di questa immagine repellente.
Nel Medioevo, molto tempo prima che i fisiologi dimostrassero
che, a causa della nostra struttura ghiandolare, noi possediamo elementi
sia maschili che femminili, si diceva che “ciascun uomo porta una donna
dentro di sé”. È questo elemento femminile presente in ciascun maschio
che io ho definito “anima”.
Questo aspetto “femminile” costituisce essenzialmente una
specie di rapporto inferiore verso l'ambiente circostante, e in
particolare verso le donne, che viene mantenuto accuratamente nascosto
sia agli altri che al soggetto medesimo. In altre parole, benché la
personalità dell'individuo si mostri apparentemente normale, essa può
tentare di nascondere agli altri - o addirittura al soggetto stesso - la
deplorevole “presenza della donna nell'individuo”.
Questo era il caso del paziente in esame: il suo lato
femminile non era gradevole. Il suo sogno sostanzialmente esprimeva
quanto segue: “Sotto certi aspetti ti comporti come una femmina
degenerata”, e di conseguenza il soggetto subiva una violenta emozione.
(Naturalmente un esempio di questo tipo non deve essere preso come prova
di qualche specie di imperativo “morale” inconscio. Il sogno non
suggeriva al paziente di “comportarsi meglio”, ma cercava semplicemente
di controbilanciare il lato squilibrato della mente conscia secondo il
quale il paziente era fittiziamente un perfetto gentiluomo.)
È facile capire per quale ragione coloro che sognano tendono a
ignorare o perfino a negare il messaggio dei loro sogni. Naturalmente
la coscienza si oppone a tutto ciò che di inconscio e di sconosciuto può
esistere. Ho già sottolineato il fatto che presso i popoli primitivi
esiste un profondo e superstizioso timore delle cose nuove, ciò che gli
antropologi definiscono “misoneismo”. I primitivi manifestano contro gli
eventi sfavorevoli reazioni simili a quelle degli animali selvaggi.
L'uomo “civile” reagisce verso le idee nuove più o meno nello stesso
modo, erigendo barriere psicologiche capaci di proteggerlo dall'emozione
di fronteggiare realtà insolite. Ciò può essere facilmente osservato
nelle reazioni che qualunque individuo esprime nei riguardi dei propri
sogni quando si trova costretto ad ammettere un pensiero particolarmente
fastidioso. Molti precursori nel campo della filosofia, della scienza e
della letteratura sono stati vittime dell'innato conservatorismo dei
loro contemporanei. La psicologia è una delle scienze più giovani:
poiché cerca di affrontare il problema dell'inconscio essa si è trovata
inevitabilmente di fronte a una fortissima reazione misoneistica.
Passato e futuro nell'inconscio
Fino a questo punto son venuto delineando alcuni principi
sulla base dei quali io affrontai il problema dei sogni: si tratta di
una questione importante poiché, quando intendiamo indagare sulla
facoltà simboleggiatrice dell'uomo, i sogni mostrano di essere il
materiale fondamentale e più accessibile per questo tipo di ricerca.
Nell'interpretazione dei sogni i due punti principali sono i
seguenti: prima di tutto il sogno deve essere considerato come un fatto
intorno al quale non è lecito elaborare alcuna tesi preconcetta tranne
quella che esso rivela qualche verità; in secondo luogo, il sogno
costituisce essenzialmente un modo di espressione dell'inconscio.
Sarebbe difficile limitare ulteriormente la portata di questi
principi. Per quanto possa essere limitata la valutazione della funzione
positiva dell'inconscio, è necessario ammettere che esso è degno di
essere esplorato; l'inconscio si trova per lo meno sul piano del
pidocchio che, dopo tutto, costituisce il legittimo motivo di interesse
per lo studio dell'entomologo. Se c'è chi ritiene, sulla base di una
scarsa esperienza e di una limitata conoscenza, che i sogni siano
semplicemente dei fatti casuali e caotici senza alcun significato, egli
ha pieno diritto di pensare come vuole. Ma se si ammette che essi siano
eventi normali (come, di fatto, è vero), si è costretti a ritenere che
essi siano o causali cioè che posseggano qualche causa razionale a
giustificazione della loro esistenza oppure intenzionali, o entrambe le
cose insieme.
Soffermiamoci un po' a considerare in che modo i contenuti
consci e inconsci della mente si connettono reciprocamente. Prendiamo un
esempio familiare a tutti: all'improvviso siete incapaci di ricordare
ciò che avevate intenzione di dire, mentre un momento fa il pensiero vi
era perfettamente chiaro. Oppure, per prendere un altro caso, state per
presentare un amico, e il suo nome vi sfugge proprio nel momento di
pronunciarlo. Voi dite che non ce la fate a ricordarlo, ma di fatto il
pensiero è divenuto inconscio o, almeno momentaneamente. si è scisso
dalla coscienza. Lo stesso fenomeno si verifica al livello dei sensi. Se
ascoltiamo una nota continua alla soglia dell'udibilità, il suono
sembra interrompersi a intervalli regolari per poi riprendere
normalmente. Tali oscillazioni sono dovute a una diminuzione e a un
aumento periodici della nostra attenzione, non a qualche cambiamento
dell'intensità della nota.
Quando qualcosa esce dal campo della nostra coscienza, essa
non cessa di esistere, allo stesso modo che un'auto scomparsa dietro
l'angolo della via non è scomparsa nell'aria: essa è semplicemente
inaccessibile alla nostra vista. Perciò, come è probabile che si possa
di nuovo vedere quella stessa automobile, così possiamo incontrarci di
nuovo con quei pensieri che temporaneamente sono venuti a mancare nella
nostra mente.
In altri termini, una parte dell'inconscio è
composta di una moltitudine di pensieri, impressioni e immagini,
temporaneamente oscurati che, lungi dall'esser venuti meno completamente
in noi, continuano a influenzare la nostra mente conscia.
Una persona distratta o “con la testa fra le nuvole”
attraversa la stanza per prendere qualcosa. A un tratto si ferma,
perplessa: ha dimenticato ciò che andava a prendere. Le sue mani tastano
gli oggetti disposti sul tavolo, come farebbe un sonnambulo:
l'individuo si è dimenticato il suo scopo originario, eppure continua a
essere inconsciamente guidato da esso. In un secondo tempo si ricorda
ciò che voleva: il suo inconscio glielo ha suggerito.
Se osserviamo il comportamento di un nevrotico vediamo che
egli compie un certo numero di azioni e sembra che faccia tutto in
maniera cosciente e intenzionale. Tuttavia se andiamo a chiedergliene la
ragione scopriremo che è inconscio di esse o che ha qualcosa di molto
diverso nella mente. Egli ascolta ma non ode, vede eppure è cieco, sa e
tuttavia è ignorante. Gli esempi di questo tipo sono così comuni che lo
specialista si rende subito conto del fatto che i contenuti inconsci
della mente si comportano come se fossero coscienti e che in questi casi
non si può mai essere certi se il pensiero, il linguaggio o l'azione
siano coscienti o meno.
È sulla base di questo tipo di comportamento che molti medici
respingono le affermazioni dei pazienti isterici come palesi menzogne.
Certamente queste persone dicono molte più cose false di noi, ma il
termine “menzogna” non è di uso appropriato in casi del genere. In
realtà il loro stato mentale provoca un'incertezza di comportamento,
poiché la loro coscienza è soggetta a eclissi imprevedibili provocate
dall'interferenza dell'inconscio. Anche le loro sensazioni cutanee
possono rivelare simili fluttuazioni di consapevolezza. In un
determinato momento la persona isterica può avvertire una puntura d'ago
nel braccio e un attimo dopo lo stesso fatto può passarle inosservato.
Se la sua attenzione si appunta totalmente su un certo oggetto, tutto
l'organismo può essere completamente anestetizzato, fino a che la
tensione responsabile di questo annebbiamento dei sensi non si è
rilassata. A questo punto la percezione si ricostituisce subito:
tuttavia, per tutto il tempo precedente, l'individuo è stato
inconsciamente consapevole di ciò che stava accadendo.
Il medico può osservare con estrema chiarezza tale processo
quando ipnotizza un paziente del genere sopra descritto. È facile
dimostrare che questi ha mantenuto una piena consapevolezza di ciascun
dettaglio. La puntura d'ago nel braccio o l'osservazione fatta durante
un'eclissi della coscienza possono essere accuratamente richiamate alla
mente come se non ci fosse stata alcuna anestesia o “dimenticanza”.
Ricordo una donna che venne un giorno ricoverata in clinica in preda a
uno stato totale d'incoscienza. Il giorno dopo, allorché riprese
coscienza, essa mostrò di conoscere la propria identità, ma non sapeva
dove era, come o perché vi era capitata e neppure la data. Tuttavia,
dopo che io l'ebbi ipnotizzata, essa mi raccontò le cause della sua
malattia, il modo in cui era stata condotta alla clinica e chi l'aveva
ricoverata. Tutti questi dettagli poterono essere verificati. Essa fu
persino in grado di dirmi l'ora del suo ricovero poiché aveva veduto un
orologio nell'atrio della clinica. In stato ipnotico la sua memoria era
chiara come se non avesse mai cessato di essere conscia.
Affrontando argomenti di questo tipo, dobbiamo di solito
fondarci sulle testimonianze fornite dalle osservazioni cliniche. Per
questo motivo molti critici sostengono che l'inconscio e tutte le
sottili manifestazioni a esso collegate appartengono unicamente alla
sfera della psicopatologia. Essi considerano ogni espressione
dell'inconscio come qualcosa di nevrotico o di psicotico che non ha
nulla a che fare con il normale stato della mente. Tuttavia i fenomeni
nevrotici non sono assolutamente prodotti esclusivi di disturbi: essi
non costituiscono di fatto altro che delle esagerazioni patologiche di
eventi normali e solo in grazia di questo essi risultano più evidenti
dei loro corrispondenti stati normali. Sintomi isterici possono essere
osservati in tutte le persone normali, ma essi sono così leggeri che di
solito passano inosservati.
Ad esempio l'oblio è un processo normale nel corso del quale
alcune idee consce vengono perdendo la loro specifica energia in seguito
a uno spostamento della tensione su qualche oggetto diverso. Quando
l'interesse si volge altrove, esso lascia in ombra le cose cui era
precedentemente riferito, nello stesso modo in cui un riflettore va a
illuminare un'area nuova lasciandone un'altra al buio. Tutto ciò è
inevitabile, poiché la coscienza può mantenere in piena luce solo poche
immagini contemporaneamente e anche questa luce è tutt'altro che
uniforme.
Tuttavia le idee dimenticate non hanno cessato di esistere.
Benché esse non possano venir riprodotte volontariamente, tuttavia
sussistono a un livello subliminale - al di sotto della soglia della
memoria - dal quale possono spontaneamente risorgere in ogni momento,
spesso dopo molti anni di oblio apparentemente totale.
Io mi riferisco qui a cose consciamente viste o udite e
successivamente dimenticate. Tuttavia, tutti noi vediamo, ascoltiamo,
odoriamo e gustiamo molte cose senza prestar loro attenzione immediata,
sia perché la nostra attenzione è sviata, sia perché lo stimolo che
arriva ai nostri sensi è troppo leggero per lasciare un'impressione
cosciente. In ogni modo, però, l'inconscio ha preso nota di tutto e
queste percezioni sensoriali al livello subliminale svolgono un ruolo
importante nella nostra vita di tutti i giorni. Senza che noi ce ne
rendiamo conto, esse influenzano il nostro modo di reagire sia verso gli
eventi che verso le persone.
Rinvenni un esempio particolarmente illuminante di questo
fenomeno nel caso di un professore che aveva fatto una passeggiata in
campagna con uno dei suoi allievi, tutto assorto in una impegnativa
conversazione. Improvvisamente egli notò che i suoi pensieri venivano
interrotti da un imprevisto flusso di ricordi della sua prima infanzia.
Non riusciva a spiegarsi questa distrazione: nulla di ciò che era stato
detto nella conversazione sembrava avere alcun rapporto con tali
memorie. Voltandosi indietro egli si accorse di esser passato davanti a
una fattoria proprio nel momento in cui il primo di questi ricordi
dell'infanzia era affiorato nella sua mente. Egli propose all'allievo di
tornare indietro fino al punto in cui era cominciata la sua
fantasticheria. Una volta giuntovi egli avvertì un odore di oche e
istantaneamente si rese conto che era stato proprio esso a liberare il
flusso delle memorie.
Da ragazzo egli aveva vissuto in una fattoria in cui si teneva
un allevamento di oche e il loro odore caratteristico gli aveva
lasciato un'impressione permanente anche se dimenticata. Attraversando
la fattoria nel corso della passeggiata egli aveva avvertito
subliminalmente l'odore e questa percezione inconscia aveva richiamato
esperienze infantili da lungo tempo dimenticate. La percezione era stata
subliminale poiché l'attenzione era impegnata altrove e lo stimolo non
era stato abbastanza forte da distoglierla e da raggiungere direttamente
la coscienza. Tuttavia esso aveva riportato in superficie ricordi
“dimenticati”.
Questo effetto “suggestivo” o “liberatore” può dar ragione
dell'insorgenza di sintomi nevrotici meglio di ricordi piacevoli
allorché una visione, un odore o un suono rievocano circostanze del
passato. Per fare un esempio, una ragazza può essere intenta al proprio
lavoro in ufficio, e godere apparentemente di buona salute e di un umore
perfetto. Un momento dopo viene aggredita da un formidabile mal di
testa e mostra altri sintomi di malessere. Senza avervi prestato
consciamente attenzione, essa ha nel frattempo udito risuonare lontano
la sirena di una nave e ciò le ha riportato inconsciamente il ricordo di
una dolorosa separazione dal fidanzato, che essa aveva fatto di tutto,
per dimenticare.
A parte i fatti di normale dimenticanza, Freud ha descritto
numerosi casi che implicano l'“oblio” di ricordi spiacevoli, che gli
individui fanno di tutto per dimenticare al più presto. Come osservò
Nietzsche, quanto più forte è l'orgoglio, tanto più i ricordi sono
sottoposti a scomparire. Perciò, fra le memorie perdute, non poche
derivano il loro stato subliminale (e la loro incapacità di essere
volontariamente riprodotte) dalla propria natura spiacevole e
incompatibile. Gli psicologi le definiscono contenuti rimossi.
Un caso indicativo potrebbe esser quello di una segretaria
gelosa di uno dei soci del suo principale. Essa dimentica abitualmente
di invitarlo alle riunioni benché il suo nome sia chiaramente registrato
nella lista degli invitati. Tuttavia, se viene costretta a
giustificarsi di questo suo atteggiamento, essa dice semplicemente di
“essersene dimenticata” o di “essere stata interrotta”. Non ammetterà
mai, neppure a se stessa, i motivi reali di questa omissione.
Molti sopravvalutano erroneamente il ruolo della forza di
volontà, ritenendo che tutto ciò che avviene nella loro mente venga
deciso e voluto deliberatamente da essi. In realtà bisogna imparare a
distinguere accuratamente fra i contenuti intenzionali e quelli non
intenzionali della mente. I primi derivano dalla personalità dell'ego; i
secondi nascono da una fonte che non è identica all'ego, ma costituisce
l'“altro lato” di esso. È quest'“altro lato” a essere responsabile
delle dimenticanze della segretaria.
Le ragioni per cui noi dimentichiamo cose osservate o
sperimentate sono numerose ed esistono altrettanti modi per richiamarle
alla mente. Un esempio interessante di ciò è rappresentato dalla
criptoamnesia o “ricordo riposto”. Ad esempio, un autore può essere
intento a scrivere di getto secondo un piano prestabilito, oppure a
elaborare un ragionamento o la trama di un racconto, quando
improvvisamente si perde in un argomento tangenziale. Probabilmente si
tratta di un'idea nuova, di un'immagine differente, o di un intero
intreccio secondario che gli si è presentato improvvisamente di fronte.
Se gli domandate che cosa ha provocato questa digressione, egli sarà
incapace di dirvelo. Può darsi che egli non abbia neppure notato il
cambiamento, benché abbia attualmente elaborato un materiale
completamente nuovo e che prima gli era almeno apparentemente ignoto.
Tuttavia qualche volta è possibile dimostrare in maniera convincente che
quanto egli è venuto scrivendo rivela una somiglianza sorprendente con
l'opera di un autore diverso - un'opera, magari, che egli crede di non
avere mai conosciuto.
Io stesso mi sono imbattuto in un esempio affascinante di
questo fenomeno: si tratta del libro Così parlò Zarathustra di
Nietzsche, dove l'autore riproduce quasi parola per parola un incidente
registrato su un giornale di bordo del 1686. Per un puro caso io avevo
letto questo episodio di vita marinara in un libro pubblicato intorno al
1835 (mezzo secolo prima che Nietzsche scrivesse la sua opera); quando
trovai lo stesso passo in Così parlò Zarathustra, rimasi colpito dalla
particolarità dello stile, che era diverso da quello abituale di
Nietzsche. Mi convinsi che egli doveva aver visto quel libro, anche se
non faceva riferimento a esso. Così scrissi a sua sorella ed essa mi
confermò che lei e suo fratello avevano effettivamente letto insieme
quel libro quando Nietzsche aveva circa undici anni. Dal contesto
risulta, a mio parere, che Nietzsche non aveva alcuna idea di plagiare
quel racconto: probabilmente dopo cinquant'anni esso era
inaspettatamente caduto sotto l'attenzione della sua mente conscia.1
In casi di questo genere si assiste a un tipo di ricordo
genuino anche se inconsapevole. Lo stesso fenomeno può capitare a un
musicista che abbia ascoltato da giovane un motivo o una canzone
popolare e che d'improvviso se lo veda ricomparire come tema di un
movimento sinfonico che egli sta componendo in età adulta. Anche qui
un'idea o un'immagine è risalita dall'inconscio al livello della mente
conscia.
Quanto sono venuto dicendo fino a ora intorno all'inconscio
non costituisce altro che un rapido profilo della natura e del
funzionamento di questa complessa componente della psiche umana.
Tuttavia ciò dovrebbe essere stato sufficiente a indicare il tipo di
materiale subliminale da cui possono essere spontaneamente prodotti i
simboli dei nostri sogni. Questo materiale può essere costituito da ogni
specie di stimolo, impulso, intenzione, percezione, intuizione,
pensiero razionale o irrazionale, conclusione, induzione, deduzione,
premessa e da ogni specie di sentimento. Singolarmente, oppure tutti
insieme, essi possono diventare inconsci parzialmente, temporaneamente,
ovvero in modo totale e permanente.
Questo materiale è divenuto per la maggior parte inconscio
perché, per così dire, non c'è più posto per esso nella mente conscia.
Alcuni dei nostri pensieri perdono la loro energia emotiva e diventano
subliminali (cioè non ricevono più la nostra attenzione conscia) per il
fatto che ci sembrano poco interessanti o di scarsa importanza, oppure
perché abbiamo qualche specifica ragione per perderli di vista.
In realtà, è per noi normale e necessario “dimenticare” in
questo modo affinché si possa far posto, nella mente conscia, alle idee e
impressioni nuove. Se ciò non avvenisse, tutto quello che noi
sperimentiamo resterebbe al di sopra della soglia della coscienza e la
nostra mente cadrebbe preda di una insopportabile confusione. Questo
fenomeno è talmente riconosciuto oggigiorno che la maggior parte di
coloro che abbiano qualche nozione di psicologia lo dà per scontato.
Come i contenuti consci possono svanire nell'inconscio, così
nuovi contenuti, mai affiorati prima al livello della coscienza, possono
emergere da esso. Si può avere, ad esempio, il presentimento che
qualcosa sta per rivelarsi alla coscienza, che “qualcosa è nell'aria” o
che “si avverte il sentore di qualcosa”. La scoperta
del fatto che l'inconscio non è un semplice deposito del passato, ma che
esso è altresì pieno dei germi di idee e di situazioni psichiche
future, mi portò a elaborare una nuova teoria psicologica. Tale
questione ha suscitato un gran numero di discussioni; tuttavia è un
fatto incontestabile che, oltre a ricordi provenienti da un lontano
passato conscio, possono affiorare dall'inconscio pensieri e idee
creative completamente nuovi - pensieri e idee che non sono mai stati
consci in precedenza. Essi crescono dalla buia profondità della psiche
come piante di loto e costituiscono una parte importante della psiche
subliminale.
Abbiamo esperienza di ciò nella vita di tutti i giorni,
allorché i dilemmi che ci si propongono vengono talvolta risolti da
proposte nuove e assolutamente sorprendenti; molti artisti, filosofi e
perfino scienziati debbono alcune delle loro idee migliori
all'ispirazione che emerge improvvisamente di fronte a loro
dall'inconscio. La capacità di raggiungere una ricca vena di questo
materiale e di tradurla compiutamente in un linguaggio filosofico,
letterario, musicale o scientifico assolutamente nuovo è una delle
qualità caratteristiche del cosiddetto genio.
Possiamo trovare chiare testimonianze di questo fatto nella
storia della scienza. Per esempio, il matematico francese Poincaré e il
chimico Kekulé giunsero a importanti scoperte scientifiche (secondo il
loro stesso racconto) in seguito alla suggestione ricevuta da improvvise
“rivelazioni” figurate dell'inconscio. La cosiddetta esperienza
“mistica” del filosofo francese Descartes implicò un'improvvisa
rivelazione di questo tipo, in cui egli scorse, per improvvisa
illuminazione, l”ordine di tutte le scienze”. Robert Louis Stevenson
aveva speso lunghi anni alla ricerca di un racconto che esprimesse
compiutamente la sua “forte convinzione della duplicità della natura
umana”, ed ecco che la trama de Lo strano caso del dottor Jekyll e del
signor Hyde gli fu improvvisamente rivelata da un sogno.2
In seguito descriverò più dettagliatamente il modo in cui
questo materiale emerge dall'inconscio ed esaminerò in che guisa esso si
esprime. Per il momento mi limiterò a mettere in evidenza il fatto che
la capacità, propria della psiche umana, di produrre questo materiale
nuovo è particolarmente significativa nel caso del simbolismo dei sogni,
in quanto ho personalmente riscontrato a più riprese, nel corso del mio
lavoro professionale, che le immagini e le idee contenute nei sogni non
possono essere spiegate solo in termini di memoria. Esse esprimono
pensieri nuovi che non hanno ancora mai raggiunto la soglia della
coscienza.
La funzione dei sogni
Sono entrato in qualche dettaglio nel descrivere le origini
della nostra vita onirica per il fatto che essa costituisce il terreno
da cui hanno origine la maggior parte dei simboli. Sfortunatamente, i
sogni sono difficili da interpretare: come ho già sottolineato, non è
possibile interpretare il sogno alla stessa stregua di un racconto della
mente conscia. Nella vita di tutti i giorni l'individuo riflette su ciò
che vuol dire, sceglie il modo più appropriato per dirlo e cerca di
fare osservazioni logicamente coerenti. Una persona colta, per esempio,
cercherà di evitare qualsiasi metafora confusa, poiché essa potrebbe
esprimere non chiaramente il suo punto di vista. I sogni, invece, hanno
una struttura diversa: colui che sogna si trova sommerso da immagini che
sembrano contraddittorie e ridicole, il senso normale del tempo viene
meno e le cose comuni possono assumere un aspetto affascinante o
minaccioso.
Può sembrare strano che la mente inconscia imprima al suo
materiale un ordine tanto diverso dalla struttura apparentemente
disciplinata che noi possiamo imporre ai nostri pensieri in stato di
veglia. Eppure, chiunque si soffermi per un attimo a rammentare un sogno
si renderà conto di questo contrasto che, di fatto, costituisce una
delle principali ragioni per cui ordinariamente i sogni sono ritenuti
così difficili da capire. Essi non hanno senso nei termini della nostra
esperienza cosciente di tutti i giorni e si è perciò indotti o a non
prenderli in considerazione, o a confessare che ci mettono francamente
in imbarazzo.
Forse questo punto risulterà più chiaramente comprensibile se
ci rendiamo conto subito del fatto che le idee con cui abbiamo a che
fare nella nostra vita cosciente apparentemente disciplinata non sono
affatto così precise come noi vorremmo credere. Al contrario, quanto più
da vicino le esaminiamo, tanto più impreciso diventa il loro
significato (e quindi la loro portata emotiva nei nostri riguardi). La
ragione di ciò consiste nel fatto che qualunque cosa abbiamo udito o
sperimentato, può diventare subliminale, cioè può passare
nell'inconscio. Inoltre, anche ciò che tratteniamo al livello della
coscienza e che possiamo volontariamente riprodurre, ha acquistato una
coloritura inconscia che caratterizzerà l'idea ogni qual volta essa sarà
richiamata alla memoria. Le nostre impressioni consce, infatti,
assumono rapidamente un elemento inconscio, che è per noi psichicamente
significativo anche se non siamo consapevoli consciamente dell'esistenza
di questo significato subliminale o del modo in cui esso interviene a
estendere e a confondere, contemporaneamente, il significato
convenzionale.
Naturalmente queste coloriture psichiche differiscono da
persona a persona. Ciascuno di noi accoglie qualunque nozione astratta o
generale nel contesto della propria mente individuale e quindi la
interpreta e l'applica in modo personale. Quando, nel corso di una
conversazione, io uso termini come “Stato”, “moneta”, “salute” o
“società”, suppongo che i miei ascoltatori li comprendano più o meno
nello stesso senso in cui li intendo io. Ma è proprio la frase “più o
meno” a dimostrare quanto dicevo prima. Ogni parola assume, da persona a
persona, un significato leggermente diverso, anche nel contesto della
medesima tradizione culturale. La ragione di questa variazione sta nel
fatto che una nozione generale viene accolta in un contesto individuale
ed è quindi interpretata e applicata in termini leggermente individuali.
Naturalmente, la differenza di significato è grandissima quando le
singole persone posseggono esperienze sociali, politiche, religiose o
psicologiche sensibilmente diverse.
Fino a che i concetti si identificano semplicemente con le
parole, le variazioni sono pressoché impercettibili e non hanno
conseguenze pratiche. Ma quando è necessaria una definizione esatta o
un'accurata spiegazione, si possono occasionalmente scoprire le
variazioni più sorprendenti, non solo nella pura interpretazione
intellettuale del termine, ma anche, in particolare, nella sua
coloritura emotiva e nella sua applicazione. Di regola, queste
variazioni sono subliminali e non possono essere perciò registrate.
Alcuni, probabilmente, sono portati a trascurare queste
differenze, considerandole alla stregua di superflue e trascurabili
sfumature di significato che non hanno alcuna rilevanza per le necessità
quotidiane. Ma il fatto che esse esistano dimostra che anche i
contenuti più reali della coscienza sono avvolti da una penombra
d'incertezza. Anche il concetto filosofico o matematico più
accuratamente definito, che sicuramente, a nostro parere, non contiene
nulla in più di quello che gli abbiamo attribuito, è pur sempre qualcosa
di più di quello che noi pensiamo. Esso è un evento psichico, e come
tale parzialmente inconoscibile. Anche gli stessi numeri che usiamo per
contare sono qualcosa di più di quello che si è soliti credere. Essi
sono contemporaneamente elementi mitologici (per i Pitagorici erano
anche divini), però quando adoperiamo i numeri per scopi pratici noi
siamo del tutto inconsapevoli di ciò.
In breve, ciascun concetto presente nella mente conscia
possiede sue particolari associazioni psichiche. Queste possono variare
d'intensità (in rapporto all'importanza relativa del concetto verso la
nostra personalità nel suo complesso, o in rapporto alle altre idee e ai
complessi cui esso è associato nel nostro inconscio), e possono mutare
il carattere “normale” del concetto. Questo può anche divenire qualcosa
di completamente diverso quando si immerge al di sotto del livello della
coscienza.
Questi aspetti subliminali di tutto ciò che ci accade possono
sembrare pressoché insignificanti nella nostra vita di tutti i giorni.
Eppure nell'analisi dei sogni, nel corso della quale lo psicologo
interpreta le espressioni dell'inconscio, essi assumono una grande
importanza poiché costituiscono le radici pressoché invisibili dei
nostri pensieri consci. Questa è la ragione per cui oggetti o idee
comuni possono assumere durante il sogno un significato psichico così
potente da provocarci un risveglio seriamente turbato, anche se ci siamo
limitati a sognare semplicemente una stanza chiusa a chiave o un treno
perduto.
Le immagini che si producono nei sogni sono molto più
pittoresche e vivide dei concetti e delle esperienze che rappresentano
le loro controparti al livello della coscienza. Una delle ragioni di
questo fenomeno è che, in sogno, questi concetti sono in grado di
esprimere il loro significato inconscio. Quando pensiamo consciamente
noi ci restringiamo invece entro i limiti di affermazioni razionali, che
sono molto meno colorite per essere state private da noi della maggior
parte delle loro associazioni psichiche.
Mi ricordo di un mio sogno che mi riuscì difficile
interpretare. In esso un uomo cercava di prendermi alle spalle e di
saltarmi addosso. Io non sapevo nulla di costui tranne il fatto che egli
aveva raccolto una mia osservazione e l'aveva deformata grottescamente
distorcendo il significato che io le avevo attribuito. Non riuscivo a
vedere il rapporto tra questo fatto e il tentativo di quest'uomo di
saltarmi addosso. Tuttavia, nel corso della mia carriera professionale,
mi è spesso capitato che qualcuno abbia distorto il senso di quanto
avevo detto e ciò si è verificato tante volte che mi sono raramente
preoccupato di domandarmi se questo genere di distorsioni mi facesse
irritare. Ora, è cosa di una certa importanza quella di mantenere un
controllo cosciente delle proprie reazioni emotive e questo, a quanto mi
apparve subito evidente, era l'indicazione fondamentale del sogno. Esso
aveva assunto una espressione familiare in lingua austriaca e l'aveva
tradotta in immagine. Questa frase, abbastanza comune nel linguaggio
parlato, è Du kannst mir auf den Buckel steigen (puoi saltarmi sulle
spalle), che significa “non m'importa di quel che dici sul mio conto”.
Un equivalente americano, che potrebbe facilmente comparire in un sogno
come questo, è Go jump in the lake.
Si può dire che la rappresentazione di questo sogno era
simbolica, poiché essa non definiva direttamente la situazione, ma
esprimeva il suo contenuto indirettamente per mezzo di una metafora che
lì per lì non seppi interpretare. Quando ciò accade (e ciò avviene non
di rado) non si tratta di una “finzione” deliberata introdotta dal
sogno: ciò riflette semplicemente le nostre deficienze nell'interpretare
un linguaggio figurato con implicazioni emotive. Nella nostra
esperienza quotidiana noi abbiamo bisogno di definire le cose il più
accuratamente possibile e abbiamo imparato perciò a scartare gli orpelli
della fantasia sia nel linguaggio che nei pensieri, venendo a perdere
in tal modo una qualità che è tuttora caratteristica della mentalità
primitiva. La maggior parte di noi ha depositato nell'inconscio tutte le
associazioni psichiche fantastiche che ogni oggetto o idea possiede.
D'altra parte, il primitivo è ancora consapevole di queste proprietà
psichiche e attribuisce ad animali, piante o pietre alcuni poteri che ai
nostri occhi appaiono strani e inaccettabili.
Per esempio, un abitatore della giungla africana scorge di
giorno un animale notturno e ritiene che si tratti di uno stregone che
abbia temporaneamente assunto quella sembianza. Oppure può considerarlo
come l'anima della foresta o lo spirito ancestrale di uno della sua
tribù. Un albero può svolgere un ruolo vitale nell'esistenza di un
primitivo in quanto esso possiede la sua anima e la sua voce e
l'individuo in questione sarà convinto di condividerne il destino. Nel
Sudamerica ci sono alcuni indiani che vi assicurano di essere pappagalli
Arara rossi benché siano ben consapevoli di non avere né penne né ali
né rostro. Ciò dipende dal fatto che nel mondo dei primitivi le cose non
hanno gli stessi netti contorni che esse possiedono nelle nostre
società “razionali”.
Ciò che gli psicologi chiamano identità psichica o
“partecipazione mistica” è stato tagliato fuori dal mondo della nostra
esperienza. Tuttavia è proprio questo alone di associazioni inconsce a
fornire un aspetto colorito e fantastico al mondo dei primitivi. Noi lo
abbiamo perduto a tal punto che, anche quando ci ritroviamo in sua
presenza, non siamo in grado di riconoscerlo. In noi queste cose
risiedono al di sotto della soglia della coscienza; quando tornano
occasionalmente ad affiorare insistiamo nel dire che c'è qualcosa che
non funziona.
Più di una volta sono stato consultato da persone colte e
intelligenti che avevano avuto sogni particolari, fantasie o perfino
visioni da cui erano rimaste profondamente impressionate. Esse partivano
dal presupposto che nessun essere normale di mente può soffrire di
questi disturbi e che chiunque abbia una visione deve inevitabilmente
soffrire di uno stato patologico. Un teologo mi disse una volta che le
visioni di Ezechiele altro non erano che sintomi morbosi e che quando
Mosè e gli altri profeti udivano “voci”, essi soffrivano di
allucinazioni. Potete immaginare il panico in cui cadde quando gli
capitò personalmente e in modo del tutto “spontaneo” un fenomeno di
questo tipo. Noi siamo talmente abituati alla natura apparentemente
razionale del mondo in cui viviamo, che ci è difficile immaginare il
verificarsi di un evento che non possa venire spiegato sulla base del
senso comune. Di fronte a un'impressione di questa specie, l'uomo
primitivo non dubiterebbe della sua integrità mentale, ma attribuirebbe
il fenomeno a feticci, spiriti o divinità.
Eppure le emozioni da noi provate sono esattamente le stesse.
In realtà i terrori che si sprigionano dalla nostra avanzata civiltà
possono essere molto più minacciosi di quelli che i popoli primitivi
attribuiscono ai demoni. L'atteggiamento caratteristico dell'uomo
moderno civilizzato mi riporta alla mente il caso di un paziente
psicotico, anch'egli medico, che fu ricoverato nella mia clinica. Una
mattina gli chiesi come stava. Egli mi rispose che aveva passato una
splendida nottata a disinfettare il cielo con cloruro di mercurio, ma
nel corso di questa disinfestazione integrale non aveva trovato alcuna
traccia di Dio. In questo caso ci troviamo di fronte a una nevrosi o a
qualcosa di peggio: invece di Dio o della “paura di Dio”, qui è presente
una nevrosi da ansia o qualche specie di fobia. L'emozione è rimasta la
stessa, ma l'oggetto di essa ha modificato in peggio il suo nome e la
sua natura.
Mi ricordo di un professore di filosofia che un giorno venne a
consultarmi intorno alla sua fobia causata dall'idea di avere un
cancro. Egli soffriva per l'assillante convinzione di essere affetto da
un tumore maligno, benché da una dozzina di radiografie non fosse mai
risultato nulla di simile. “So bene di non aver nulla”, diceva, “ma
potrebbe esserci qualcosa”. Cosa produceva quest'idea? Ovviamente essa
derivava da una forma di paura che non era suggerita da una convinzione
consapevole. Improvvisamente il pensiero morboso aveva preso il
sopravvento raggiungendo una tale forza che il soggetto non riusciva più
a controllarlo.
Era più diffìcile per questo uomo colto giungere a una
ammissione di questo tipo che per un primitivo affermare di essere stato
contagiato di peste da uno spirito. Mentre in una cultura primitiva
l'influenza maligna degli spiriti costituisce almeno un'ipotesi
ammissibile, per un uomo civilizzato è una esperienza sconvolgente
ammettere che i suoi disturbi non dipendono da altro che da uno sciocco
scherzo dell'immaginazione. Il fenomeno primitivo dell 'ossessione non è
scomparso ed è rimasto lo stesso di sempre: esso viene solo
interpretato in maniera diversa e molto più spiacevole.
Io ho compiuto molti confronti di questo tipo fra l'uomo
moderno e quello primitivo. Come mostrerò in seguito, tali confronti
sono essenziali per comprendere le inclinazioni simboleggiatrici
dell'uomo e del ruolo svolto dai sogni nell 'esprimerle. È facile
riscontrare, infatti, che molti sogni presentano immagini e associazioni
analoghe a idee, miti e riti primitivi. Queste immagini oniriche furono
definite da Freud “resti arcaici”: l'espressione implica che si tratta
di elementi psichici sopravvissuti nella mente umana da epoche remote.
Questo punto di vista è caratteristico di coloro che considerano
l'inconscio come una semplice appendice della coscienza (o, più
pittorescamente, come un bidone di immondizie che raccoglie tutti gli
scarti della mente conscia).
Ulteriori ricerche mi portarono alla convinzione che questa
posizione è insostenibile e da scartare. Mi resi conto che le
associazioni e le immagini di questo tipo costituiscono una parte
integrale dell'inconscio e possono essere osservate, ovunque, sia che il
sognante sia colto o illetterato, intelligente o sciocco. Esse non sono
in alcun modo “resti” senza vita o senza significato, ma svolgono
ancora una loro funzione e hanno un'importanza notevole proprio a causa
della loro natura “storica” (come viene dimostrato dal dottor Henderson
in un successivo capitolo di questo libro). Esse costituiscono un
tramite fra le guise in cui consciamente esprimiamo i nostri pensieri e
un genere di espressione più primitivo, colorito e pittoresco. È proprio
questa forma di espressione, del resto, che attrae direttamente il
sentimento e l'emozione. Queste associazioni “storiche” costituiscono il
legame fra il mondo razionale della coscienza e il mondo dell'istinto.
Ho già discusso l'interessante contrasto fra i pensieri
“controllati” da noi posseduti in stato di veglia e la ricchezza delle
immagini prodotte dai sogni. A questo punto è possibile scorgere
un'altra ragione di questa diversità: dal momento che, nella nostra vita
civilizzata, abbiamo privato tante idee della loro energia emotiva,
finiamo per non rispondere più a esse in maniera effettiva. Noi usiamo
tali idee nel parlare e mostriamo una reazione convenzionale quando
altri le usano, ma in realtà esse non producono in noi alcuna
impressione profonda. Occorre ben altro per farci aprire gli occhi
davanti a certe cose e per costringerci a cambiare in conseguenza di ciò
il nostro atteggiamento e il nostro comportamento. Ciò è compito del
“linguaggio dei sogni”: il suo simbolismo possiede tanta energia da
costringerci a prestargli attenzione.
Per esempio, una signora era ben nota per i suoi stupidi
pregiudizi e per la sua ottusa resistenza a qualunque argomento
ragionato. Si sarebbe potuto discutere con lei un giorno intero senza
ottenere alcun risultato: essa non avrebbe imparato la benché minima
cosa. Tuttavia i suoi sogni rivelavano un atteggiamento ben diverso. Una
notte essa sognò di intervenire a una importante riunione mondana. Essa
venne salutata dalla padrona di casa con queste parole: “È stato
gentile da parte sua venire. Tutti i suoi amici sono già qui e la stanno
aspettando”. Quindi la padrona di casa la condusse alla porta, l'aprì e
la signora fu introdotta in una... stalla!
Il linguaggio di questo sogno era tanto semplice da poter
essere compreso anche da uno sciocco. Inizialmente la donna non voleva
ammettere il significato effettivo di un sogno che ledeva in maniera
così diretta il suo prestigio personale. Tuttavia il messaggio del sogno
aveva raggiunto il segno e dopo un po' di tempo essa dovette accettarlo
perché non sopportava la vista della burla di cui era rimasta vittima
per suo stesso mezzo.
Questi messaggi dell'inconscio sono più importanti di quello
che si pensi comunemente. Al livello della vita conscia noi siamo
esposti a influenze di ogni specie: le altre persone ci stimolano o ci
deprimono, il lavoro d'ufficio o la vita sociale ci distraggono. Tutto
ciò ci porta ad assumere atteggiamenti che non si adattano alla nostra
personalità. Possiamo essere consapevoli o meno degli effetti subiti
dalla nostra coscienza: tuttavia essa ne è disturbata ed è esposta a
essi quasi senza alcuna possibilità di difesa. Ciò si verifica
specialmente nel caso di persone il cui atteggiamento mentale estroverso
è tutto assorbito dagli oggetti esterni, o di coloro che nutrono
sentimenti di inferiorità e di dubbio sul conto della propria
personalità interiore.
Quanto più la coscienza viene influenzata da pregiudizi,
errori, fantasie e desideri infantili, tanto più la lacuna già esistente
tenderà ad assumere le proporzioni di una dissociazione nevrotica e a
condurre a un genere di vita più o meno artificiale, lungi da ogni sano
istinto, dalla natura e dalla verità.
La funzione generale dei sogni consiste nel
restaurare il nostro normale status psicologico attraverso la produzione
di materiale onirico che ristabilisce, con una sottile operazione, il
nostro totale equilibrio psichico. Questo è ciò che io chiamo il ruolo
complementare (o compensatorio) dei sogni nell'ambito della nostra
struttura psichica. Ciò spiega perché le persone che hanno idee
non realistiche o una troppo alta opinione sul proprio conto, o che
fanno progetti grandiosi del tutto sproporzionati alle loro effettive
capacità, sognano di volare o di cadere. Il sogno compensa le deficienze
della loro personalità e contemporaneamente mette in guardia queste
persone contro i pericoli del loro comportamento. Se gli avvertimenti
dei sogni non vengono presi in considerazione, possono accadere veri e
propri incidenti; la vittima può cadere dalle scale o avere un incidente
d'auto.
Ricordo il caso di un uomo che era immerso fino ai capelli in
un gran numero di affari poco puliti. Egli maturò una passione pressoché
morbosa per le rischiose scalate alpinistiche, come una specie di
compensazione. Egli cercava “di superare se stesso”. Una notte sognò di
precipitare nel vuoto dalla sommità di un'alta montagna. Quando mi
raccontò il sogno compresi subito il pericolo cui andava incontro;
cercai perciò di fargli capire l'avvertimento del sogno e di persuaderlo
a contenersi. Gli dissi anche che il sogno prediceva la sua morte in un
incidente alpinistico. Tutto fu invano. Sei mesi dopo egli “precipitò
nel vuoto”. Una guida di montagna lo osservava mentre, insieme a un
amico, si stava calando con la corda in un tratto difficile. L'amico
aveva trovato un appiglio provvisorio su una sporgenza della parete e il
mio cliente lo seguiva. Improvvisamente, secondo il racconto della
guida, egli si staccò dalla corda “come se saltasse nel vuoto”. Cadde
addosso all'amico e precipitarono insieme. Tutti e due morirono.
Un altro caso tipico fu quello di una signora che aveva un
gran concetto di sé. Nella vita di tutti i giorni era molto orgogliosa,
ma faceva sogni impressionanti che le portavano alla mente ogni sorta di
cose disgustose. Quando io le scoprii, essa rifiutò con indignazione di
ammetterle. Allora i sogni si fecero minacciosi e pieni di riferimenti
alle passeggiate che essa era solita fare tutta sola nei boschi, dove si
abbandonava a fantasie sentimentali. Io compresi il pericolo cui andava
incontro, ma essa non volle prestare ascolto ai miei ripetuti
avvertimenti. Poco tempo dopo essa venne selvaggiamente aggredita in un
bosco da un pervertito sessuale e, se non fosse stato per l'intervento
di alcune persone che avevano udito le sue grida, sarebbe stata uccisa.
In tutto questo non c'è nulla di magico. Dai suoi sogni avevo
capito che essa nutriva la voglia segreta di vivere una simile
avventura, allo stesso modo che lo scalatore inconsciamente andava alla
ricerca di un modo definitivo di risolvere le sue difficoltà.
Ovviamente, nessuno dei due si aspettava di dover pagare un prezzo così
duro; la signora si ritrovò con varie ossa fratturate e lo scalatore
perdette la vita.
I sogni, perciò, possono talvolta annunciare certe situazioni
molto tempo prima che esse si verifichino attualmente. Non si tratta
necessariamente né di un miracolo né di una forma di prescienza. Molte
crisi della nostra vita hanno una lunga storia inconscia: noi avanziamo
verso di loro a poco a poco, inconsapevoli dei pericoli che si stanno
accumulando. Ma ciò che non riusciamo a vedere consciamente viene spesso
percepito dall'inconscio, che può trasmetterci l'informazione
attraverso i sogni.
I sogni possono spesso avvertirci in questo
modo, ma in molte occasioni sembra che ciò non avvenga. Di conseguenza
la supposizione dell'esistenza di una mano benevola che sopraggiunge in
tempo a trattenerci è discutibile. Ovvero, per dirla in termini più
positivi, sembra che una forza benevola di questo tipo a volte
intervenga e a volte no. La mano misteriosa può anche indicare la via
della perdizione: talvolta i sogni risultano trappole, o almeno tali
hanno l'aria di essere. A volte essi si comportano come l'oracolo
di Delfo quando disse al re Creso che se avesse attraversato il fiume
Halys avrebbe abbattuto un grande regno. Fu solo dopo averlo
attraversato ed essere stato completamente sconfìtto in battaglia, che
Creso scoprì che il regno indicato dall'oracolo era il suo.
Non possiamo permetterci di essere ingenui
nell'interpretazione dei sogni. Essi hanno origine in uno spirito che
non è affatto umano, ma che costituisce piuttosto un respiro della
natura: uno spirito di questa divinità altrettanto bella e generosa
quanto crudele. Se vogliamo caratterizzare tale spirito, dovremo andarlo
a studiare, più che nella coscienza dell'uomo moderno, nella sfera
delle antiche mitologie o nelle leggende primordiali della foresta. Non
voglio certo negare che siano risultati grandi vantaggi dall'evoluzione
della società civilizzata, ma tali vantaggi sono stati ottenuti al
prezzo di perdite enormi della cui entità abbiamo appena cominciato a
renderci conto. Facendo confronti tra lo stato primitivo e quello
civilizzato dell'uomo ho avuto per scopo, in parte, quello di mostrare
il rapporto tra le perdite e i vantaggi acquisiti.
L'uomo primitivo era governato dai propri istinti molto più
profondamente dei suoi moderni discendenti “razionali”, che hanno
imparato a “controllarsi”. Nel corso di questo processo di
civilizzazione noi siamo venuti scindendo sempre di più la nostra
coscienza dagli strati profondi istintivi della psiche umana e infine
anche dalla base somatica del fenomeno psichico. Fortunatamente non
abbiamo perduto questi strati istintivi di fondo: essi continuano a far
parte dell'inconscio anche se possono trovare espressione solo sotto
forma di immagini oniriche. Questi fenomeni istintivi, che possono anche
non venire sempre riconosciuti per quello che sono, dato il loro
carattere simbolico, svolgono un ruolo vitale in quella che io ho
definito la funzione compensatrice dei sogni.
Perché si abbiano stabilità mentale e salute fisiologica,
l'inconscio e il conscio debbono essere integralmente connessi fra loro e
muoversi su piani paralleli. Se vengono scissi o “dissociati”, si crea
un disturbo psicologico. Da questo punto di vista i simboli onirici sono
i principali portatori di simboli dalle parti istintive a quelle
razionali della mente umana e la loro interpretazione arricchisce la
coscienza, che in tal modo apprende a capire nuovamente il linguaggio
dimenticato degli istinti.
Naturalmente si è portati in generale a mettere in dubbio
questa funzione poiché i suoi simboli passano troppo spesso inosservati e
restano incompresi. Nella vita normale, l'interpretazione dei sogni
viene spesso considerata come una cosa superflua. Sono in grado di
illustrare questo punto sulla base di un'esperienza da me fatta in una
tribù primitiva dell'Africa Orientale. Con mio grande divertimento quei
selvaggi negavano di avere mai avuto sogni: tuttavia, attraverso
pazienti colloqui indiretti, scoprii ben presto che anche essi avevano i
loro sogni come qualunque altra persona, però erano convinti che essi
non avessero alcun significato. “I sogni degli uomini comuni non hanno
alcun significato”, mi dissero. Erano convinti che i soli sogni
importanti fossero quelli dei capi tribù e degli stregoni: questi
ultimi, in particolare, erano assai apprezzati in quanto da essi
dipendeva il benessere dell'intera tribù. L'unico inconveniente era che
tanto il capo quanto lo stregone andavano dicendo di aver smesso di
avere sogni significativi e facevano risalire questo cambiamento
all'arrivo degli Inglesi nel loro paese. Il commissario del distretto -
l'ufficiale inglese incaricato dell'amministrazione del territorio -
aveva assunto la funzione di avere i “grandi sogni” che fino a quel
momento avevano guidato il comportamento della tribù.
Quando gli uomini della tribù ammettevano di avere sogni, ma
aggiungevano di considerarli del tutto insignificanti, si comportavano
nello stesso modo dell'uomo moderno, per il quale un sogno non ha alcun
significato solo perché non riesce a comprenderlo. Tuttavia, anche un
uomo civilizzato può talvolta osservare che un sogno (da lui magari del
tutto dimenticato) è capace di alterare il suo stato d'animo in meglio o
in peggio. Il sogno è stato “acquisito”, ma solo al livello
subliminale. Questo è il caso più frequente; solo nelle rare occasioni
in cui un sogno si presenti con un risalto particolare o si ripeta a
intervalli regolari, la maggior parte delle persone propendono a
tentarne un'interpretazione.
A questo punto debbo aggiungere una parola di avvertimento
contro i tentativi sciocchi o incompetenti di analisi dei sogni. Alcune
persone si trovano in condizioni mentali così squilibrate che
l'interpretazione dei loro sogni può essere estremamente rischiosa; in
casi di questo tipo la coscienza è molto unilaterale e tagliata fuori
dall'inconscio che, a sua volta, è altrettanto irrazionale o
“irregolare”, cosicché essi non possono venire associati senza prendere
speciali precauzioni.
In termini più generali, è una pura sciocchezza riporre fede
in guide prefabbricate all'interpretazione dei sogni: ciò equivarrebbe a
comprare un libro di consultazione e ricercarvi un simbolo particolare.
Nessun simbolo onirico può essere separato dall'individuo che lo sogna e
non esiste alcun criterio definitivo o diretto di interpretazione dei
sogni individuali. Le persone si differenziano tanto l'una dall'altra
nel modo in cui l'inconscio completa o compensa il conscio di ciascuna,
che è impossibile stabilire fino a che punto i sogni e i loro simboli
possano venire rigorosamente classificati.
È vero che alcuni sogni e simboli singoli (io preferirei
chiamarli “motivi”) sono tipici e ricorrono spesso. Fra questi motivi
c'è quello della caduta, del volo, la sensazione di essere perseguitati
da animali feroci o da persone ostili, di essere vestiti in maniera
insufficiente o assurda in luoghi pubblici, di aver fretta o di perdersi
tra una folla assiepata, di combattere con armi inutili o di trovarsi
completamente indifesi, di correre a perdifiato senza arrivare in nessun
luogo. Un motivo tipicamente infantile è costituito dal sogno di
diventare infinitamente piccoli o infinitamente grandi, oppure di essere
trasformati dalla prima dimensione nella seconda, come si legge, ad
esempio, nel libro di Lewis Carroll, Alice nel paese delle meraviglie.
Occorre tuttavia insistere sul fatto che questi motivi debbono essere
considerati nel contesto individuale del sogno, non come elementi che si
spieghino da soli.
Il sogno ricorrente è un fenomeno interessante. Ci sono casi
di persone che hanno continuato ad avere lo stesso sogno dall'infanzia
fino all'età adulta. Un sogno di questo tipo rappresenta di solito un
tentativo di compensazione di qualche difetto particolare
dell'atteggiamento dell'individuo nei riguardi della vita; oppure può
avere avuto origine da qualche evento traumatizzante che ha lasciato
dietro di sé un pregiudizio specifico. Esso può talvolta anticipare un
importante evento del futuro.
Io stesso ho sognato il medesimo motivo per molti anni di
seguito: mi trovavo a “scoprire” una parte della mia casa di cui avevo
sempre ignorato l'esistenza. Qualche volta si trattava delle stanze in
cui avevano vissuto i miei genitori, morti da lungo tempo, e in cui mio
padre, con mia grande sorpresa, teneva un laboratorio dove studiava
l'anatomia comparata dei pesci e mia madre gestiva un albergo per ospiti
dell'aldilà. Di solito quest'ala sconosciuta era un antico edificio
storico, da gran tempo dimenticato eppure di mia proprietà ereditaria.
Esso conteneva un interessante arredamento antico e verso la fine di
questa serie di sogni scoprii una vecchia libreria contenente libri a me
sconosciuti. Finalmente, nell'ultimo sogno, aprii uno dei libri e vi
trovai riprodotte una grande quantità di figurazioni simboliche che
suscitarono la mia più profonda meraviglia. Quando mi svegliai, il cuore
mi batteva per l'eccitazione.
Poco tempo prima di fare questo sogno particolare, ultimo
della serie, avevo ordinato a un libraio antiquario una delle classiche
compilazioni di alchimisti medievali. Nel corso dei miei studi
sull'argomento avevo trovato una citazione che, a mio parere, aveva
qualche rapporto con l'antica alchimia bizantina e desideravo
controllarla. Alcune settimane dopo il sogno in cui mi era apparso quel
libro sconosciuto, ricevetti un pacco dal libraio. Esso conteneva un
volume del XVI secolo rilegato in pergamena. Era illustrato da
affascinanti rappresentazioni simboliche che istantaneamente mi
riportarono alla mente quelle che avevo visto nel sogno. Poiché la
riscoperta dei principi dell'alchimia venne a costituire una parte
importante del mio lavoro pionieristico nel campo della psicologia, il
motivo del mio sogno ricorrente può essere facilmente compreso.
Naturalmente la casa simboleggiava la mia personalità e l'area conscia
dei suoi interessi; l'ala sconosciuta dell'edificio rappresentava
l'anticipazione di un nuovo campo di interesse e di ricerca di cui la
mia mente conscia era a quel tempo inconsapevole. Da quel momento in
poi, cioè trent'anni fa, non ho più avuto quel sogno.
L'analisi dei sogni
All'inizio di questo saggio ho notato la differenza fra segno e
simbolo. Il segno è sempre qualcosa di meno rispetto al concetto da
esso rappresentato, mentre il simbolo rappresenta qualcosa che sta al di
là del suo significato ovvio e immediato. Inoltre, i simboli sono
prodotti naturali e spontanei. Nessun genio ha mai preso in mano la
penna o il pennello dicendo: “Ora inventerò un simbolo”. Nessuno può
prendere un pensiero più o meno razionale, raggiunto come logica
conclusione o per intento deliberato, e dargli una forma “simbolica”.
Per quanto si possa rivestire un'idea di questo tipo con orpelli
fantastici, essa rimarrà pur sempre un segno, legato al pensiero conscio
da cui deriva e non sarà mai un simbolo suggestivo di qualcosa non
ancora conosciuto. Nei sogni i simboli si presentano spontaneamente
poiché i sogni si offrono da soli senza il soccorso dell'invenzione:
perciò essi costituiscono la nostra fonte principale per la conoscenza
del simbolismo.
Tuttavia devo sottolineare il fatto che i
simboli non si presentano solo nei sogni. Essi compaiono in ogni sorta
di manifestazioni psichiche: ci sono pensieri, sentimenti, atti e
situazioni simbolici. Spesso anche gli oggetti inanimati sembrano
cooperare con l'inconscio nella elaborazione di modelli simbolici.
Sono numerosi i racconti del tutto autentici secondo i quali alcuni
orologi si sono fermati nell'attimo stesso della morte del loro
proprietario; uno di questi fu l'orologio a pendolo del palazzo di
Federico il Grande a Sans-Souci, che si fermò quando l'imperatore morì.
Altri esempi comuni sono quelli dello specchio che si rompe o del quadro
che cade nell'attimo stesso di una morte; oppure quello, di minore
rilievo ma altrettanto inspiegabile, di oggetti che si rompono
improvvisamente in una casa dove ci sia qualcuno assalito da una crisi
emotiva. Anche se gli scettici si rifiutano di dar credito a storie come
queste, esse si ripetono continuamente e l'alone da cui sono circondate
è un indice significativo della loro importanza psicologica.
Ci sono tuttavia molti simboli (fra cui i più importanti) che
non sono individuali, ma collettivi nella loro origine e nella loro
natura. Si tratta soprattutto di immagini religiose. Il credente suppone
che esse abbiano provenienza divina, cioè che siano state rivelate
all'uomo. Lo scettico sostiene recisamente che esse sono puro frutto di
invenzione. Entrambi sono in errore. È vero, come osserva lo scettico,
che i simboli e i concetti religiosi sono stati oggetto per secoli di
una elaborazione accurata e del tutto consapevole. D'altra parte, è
altrettanto vero, come nota il credente, che la loro origine è a tal
punto sepolta nel mistero del passato che essi non sembrano avere
un'origine umana. In realtà essi non sono altro che “rappresentazioni
collettive” emananti dai sogni primordiali e dalle fantasie creative. In
questi termini tali immagini sono manifestazioni del tutto spontanee e
non invenzioni intenzionali.
Questo fatto, come spiegherò in seguito, incide direttamente e
in misura rilevante sull'interpretazione dei sogni. È ovvio che se si
ammette la natura simbolica dei sogni, li interpreteremo in maniera
diversa da coloro per i quali il pensiero o l'emozione essenziale e
stimolante sono già noti precedentemente e vengono semplicemente
“camuffati” dal sogno. In questo caso l'interpretazione dei sogni ha
scarso significato poiché porta a scoprire solo ciò che si conosce di
già.
È per questa ragione che io non mi sono mai stancato di
ripetere ai miei allievi: “Imparate quanto più potete intorno al
simbolismo e poi dimenticatevi di tutto quando analizzate un sogno”.
Questo consiglio si è rivelato di una così grande importanza pratica che
io l'ho assunto come regola per ricordare a me stesso che non è mai
possibile comprendere tanto bene il sogno di una persona da essere in
grado di interpretarlo correttamente. Mi sono posto in quest'ordine di
idee per controllare il flusso delle mie stesse associazioni e reazioni,
che altrimenti potrebbero prendere il sopravvento sulle incertezze e le
esitazioni dei miei pazienti. Come è della massima importanza
terapeutica per l'analista cogliere quanto più accuratamente è possibile
il messaggio particolare di un sogno (cioè il contributo fornito
dall'inconscio al conscio), così è essenziale per lui esplorare il
contenuto di un sogno in tutta la sua totalità.
Quando lavoravo con Freud, feci un sogno che illustra bene
quanto sono venuto dicendo. Sognai di trovarmi “a casa mia”
apparentemente al primo piano, in un comodo e piacevole salotto arredato
in stile settecentesco. Mi stupivo di non avere mai visto prima questa
stanza e cominciai a chiedermi come fosse disposto il piano terreno.
Scesi dabbasso e mi trovai in un luogo piuttosto buio, dalle pareti
rivestite e con un arredamento cinquecentesco o anche di epoca
anteriore. La mia sorpresa e la mia curiosità aumentarono. Mi venne la
voglia di esplorare ulteriormente tutta la casa. Così scesi in cantina
dove trovai una porta che si apriva su una scalinata che conduceva in
una grande stanza coperta da una volta. Il pavimento era formato da
grandi lastre di pietra e le pareti sembravano molto antiche. Esaminai
la malta e mi accorsi che essa era mescolata a schegge di mattone.
Ovviamente le pareti erano di origine romana. La mia eccitazione
cresceva a dismisura. In un angolo vidi un anello di ferro infìsso in
una lastra di pietra. Sollevai la lastra e vidi un'altra scala stretta
che portava a una specie di caverna, simile a una tomba preistorica,
contenente due teschi, alcune ossa e cocci di ceramica frantumati. A
questo punto mi svegliai.3
Se Freud, analizzando questo sogno, avesse seguito il mio
metodo di esplorazione del suo contesto e delle sue associazioni
specifiche, avrebbe scoperto un racconto di grande importanza. Tuttavia
temo che egli lo avrebbe rifiutato nel tentativo di sfuggire a un
problema che era tipicamente suo. Il sogno rappresenta di fatto un breve
sommario della mia vita, o, più specificamente, del mio sviluppo
mentale. Io fui allevato in una casa vecchia di duecento anni, il cui
arredamento era composto da mobili antichi dì tre secoli e
intellettualmente la mia più grande avventura spirituale era stata, fino
a quel momento, lo studio della filosofia di Kant e di Schopenhauer. La
novità sensazionale del momento era la teoria di Charles Darwin. Fino a
poco tempo prima ero vissuto sotto il peso dei concetti medievali dei
miei genitori per i quali il mondo e l'umanità erano regolati
dall'onnipotenza e dalla provvidenza divine. Questa concezione ora
appariva antiquata e anacronistica. La mia fede cristiana si era
relativizzata a contatto con le religioni orientali e la filosofia
greca. È per questo motivo che il piano terreno era così silenzioso,
oscuro e ovviamente disabitato.
I miei interessi storici di allora si erano sviluppati sulla
base di una fondamentale inclinazione per l'anatomia comparata e la
paleontologia, mentre lavoravo come assistente presso l'istituto di
anatomia. Ero affascinato dalle ossa dei fossili umani, in particolare
dal molto discusso uomo di Neanderthal e dall'ancor più dibattuto
teschio del Pithecanthropus di Dubois. Queste erano le mie effettive
associazioni col sogno, ma non ebbi il coraggio di far menzione dei
teschi, degli scheletri e dei cadaveri in presenza di Freud, poiché mi
ero reso conto che questo tema non gli era gradito. Egli aveva l'idea
fìssa che io prevedessi la sua morte prematura. Arrivò a questa
conclusione quando mostrai un grande interesse per le mummie del museo
Bleikeller di Brema, che visitammo insieme nel 1909 prima di imbarcarci
per l'America.
Mi sentivo riluttante a rivelare i miei pensieri a Freud,
poiché di recente mi aveva profondamente impressionato la constatazione
che fra la sua concezione e i suoi presupposti mentali e i miei esisteva
un abisso pressoché incolmabile. Temevo di perdere la sua amicizia se
gli avessi rivelato il mio intimo che, a quanto supponevo, gli sarebbe
sembrato in preda ad assurde fantasie. Sentendomi ancora assai incerto
sul conto della mia psicologia, quasi automaticamente gli raccontai una
bugia sulle mie “libere associazioni” con il proposito di sottrarmi
all'impossibile compito di illustrargli la mia situazione estremamente
personale e del tutto diversa dalla sua.
È necessario che mi scusi per questa narrazione piuttosto
estesa del pasticcio in cui mi cacciai raccontando il mio sogno a Freud.
Tuttavia si tratta di un significativo esempio delle difficoltà a cui
si va incontro nel corso di una analisi accurata del significato dei
sogni. Esse dipendono dalle differenze personali esistenti fra analista e
analizzato.
Mi resi subito conto che Freud andava alla ricerca di qualche
mio desiderio incompatibile e perciò suggerii come ipotesi che i teschi
da me sognati potessero riferirsi ad alcuni membri della mia famiglia di
cui desiderassi, per qualche motivo, la morte. La mia proposta incontrò
la sua approvazione, ma io non rimasi soddisfatto di questa soluzione
“fittizia”.
Mentre cercavo di trovare una risposta adatta agli
interrogativi di Freud, mi trovai improvvisamente disorientato da
un'intuizione circa il ruolo che i fattori soggettivi occupano nella
interpretazione psicologica. La mia intuizione si era imposta con tanta
forza che ebbi solo la preoccupazione di cavarmi il più facilmente
possibile da quella delicata situazione e mi rifugiai nella menzogna.
Ciò non era né elegante né moralmente giustificabile, ma se mi fossi
comportato diversamente avrei rischiato di urtarmi fatalmente con Freud e
io non me la sentivo per molte ragioni.
La mia intuizione mi aveva rivelato improvvisamente e in
maniera del tutto imprevista la consapevolezza che il sogno da me fatto
si riferiva solo a me, alla mia vita, al mio mondo, alla mia intera
realtà in contrapposizione a una struttura teoretica che era stata
costruita dalla mente di un altro, di un estraneo, per ragioni e scopi
suoi personali. Il sogno era mio, non di Freud, e d'un colpo compresi il
suo significato, come in un'illuminazione.
Questo conflitto illustra un punto vitale dell'analisi dei
sogni. Non si tratta di una tecnica che possa essere appresa e applicata
secondo regole prestabilite come uno scambio dialettico fra due
personalità. Se essa viene utilizzata come una tecnica meccanica, la
personalità psichica dell'individuo che sogna va perduta e il problema
terapeutico si riduce semplicemente al problema di sapere quale fra le
due persone interessate - l'analista o l'analizzato - finirà col
prevalere sull'altra. Rinunciai proprio per questa ragione al
trattamento ipnotico poiché non volevo imporre agli altri la mia
volontà. Il mio scopo era quello di far sì che il processo di guarigione
maturasse dalla personalità stessa del paziente e non dalle mie
suggestioni che avrebbero avuto solo un effetto temporaneo. Miravo
essenzialmente a proteggere e preservare la dignità e la libertà del mio
paziente affinché egli potesse vivere la propria vita secondo i suoi
desideri. In questa fase dei miei rapporti con Freud mi resi conto per
la prima volta che prima di costruire teorie generali sull'uomo e la sua
psiche, dobbiamo imparare un gran numero di cose in più sulla realtà
dell'essere umano che è oggetto del nostro studio.
L'individuo è l'unica realtà. Quanto più ci
allontaniamo dall'individuo nell'elaborazione di idee astratte sull'Homo
sapiens, tanto più siamo sottoposti all'errore. In quest'epoca
di sconvolgimenti sociali e di rapidi mutamenti, è desiderabile arrivare
a sapere molto di più di quanto sappiamo attualmente sul conto
dell'essere umano individuale, dal momento che dalle sue qualità mentali
e morali dipendono tante cose importanti. Tuttavia, se vogliamo vedere
ogni cosa nella sua giusta prospettiva, dobbiamo metterci in grado di
capire il passato dell'uomo altrettanto bene del suo presente. È per
questa ragione che l'interpretazione dei miti e dei simboli è
d'importanza fondamentale.
Il problema dei tipi
In tutte le altre branche della scienza, è legittimo applicare
un'ipotesi a un argomento impersonale. Invece la psicologia si trova ad
avere a che fare inevitabilmente con le relazioni vive di due
individui, nessuno dei quali può essere spogliato della sua personalità
soggettiva né spersonalizzato in qualche altro modo. L'analista e il
paziente possono trovarsi d'accordo nell'affrontare un particolare
problema scelto da entrambi in modo impersonale e oggettivo; ma una
volta che essi abbiano intrapreso l'analisi, le loro personalità sono
interamente impegnate nella discussione. A questo punto è possibile fare
dei progressi solo a patto che venga raggiunto un accordo reciproco.
È possibile esprimere un giudizio oggettivo sul risultato
finale? Solo se facciamo un confronto fra le nostre conclusioni e i
criteri generali che sono validi nel milieu sociale a cui gli individui
singolarmente appartengono. Anche in questa fase di giudizio dobbiamo
tener presente l'equilibrio mentale dell'individuo analizzato. Infatti
il risultato non può approdare a un livellamento collettivo integrale
dell'individuo per adattarlo alle “norme” della società in cui vive. Ciò
corrisponderebbe a una condizione del tutto innaturale. Una società
sana e normale deve essere composta da persone che non condividono
abitualmente i reciproci punti di vista, poiché l'accordo generale è
relativamente raro al di fuori della sfera delle qualità umane
istintive.
Il disaccordo ha una funzione strumentale nella vita mentale
di una società e non rappresenta lo scopo principale: l'accordo,
infatti, è altrettanto importante. Siccome la psicologia dipende
fondamentalmente dal gioco degli opposti che si equilibrano
reciprocamente, nessun giudizio può essere considerato definitivo se non
implica un criterio di reversibilità. La ragione di ciò consiste nel
fatto che al di sopra o al di fuori della psicologia non esiste alcun
principio che ci consenta di esprimere un giudizio definitivo intorno
alla natura della psiche.
Nonostante che i sogni richiedano un trattamento individuale,
sono necessari alcuni criteri generali per classificare e chiarire il
materiale che lo psicologo viene raccogliendo attraverso lo studio di
molti individui. Naturalmente sarebbe impossibile formulare una
qualunque teoria psicologica, o insegnarla, attraverso la semplice
descrizione di un gran numero di casi separati senza che ci si
preoccupasse di scorgere i loro elementi comuni e quelli differenzianti.
Qualsiasi caratteristica generale deve essere scelta sulla base di un
criterio fondamentale. Per esempio si può adire a una distinzione
relativamente semplice fra individui con personalità “estroverse” e
altri individui con personalità “introverse”. Questa è solo una delle
molte generalizzazioni possibili, ma permette di scorgere immediatamente
le difficoltà che possono presentarsi nel caso che l'analista
appartenga a un tipo e il paziente all'altro.
Poiché un'analisi più approfondita dei sogni comporta il
confronto di due individui, ci sarà ovviamente una grande differenza a
seconda che essi abbiano lo stesso tipo di atteggiamento oppure no. Se
entrambi appartengono allo stesso tipo, essi possono collaborare insieme
felicemente per molto tempo. Ma se uno di loro è un estroverso e
l'altro un introverso, i loro diversi e contraddittori atteggiamenti
possono contrastarsi reciprocamente, soprattutto nel caso che essi siano
rispettivamente inconsapevoli del loro tipo di personalità o che siano
convinti di essere ciascuno dalla parte esclusiva della ragione.
L'estroverso, per esempio, sceglierà il punto di vista più comune e
l'introverso lo rifiuterà perché si tratta di un atteggiamento alla
moda. Una incomprensione di questo tipo è piuttosto frequente poiché ciò
che per l'uno è un valore, per l'altro è il contrario. Ad esempio,
Freud, interpretò il tipo introverso come un individuo morbosamente
interessato a se stesso. Tuttavia, l'introspezione e la conoscenza di sé
possono essere della massima importanza.
È necessario nel modo più assoluto prendere in considerazione
queste differenze di personalità nel corso dell'interpretazione dei
sogni. L'analista non deve essere considerato come una specie di
superuomo al di sopra di tutte queste differenze, solo per il fatto che è
un medico e che ha elaborato una teoria psicologica e una tecnica
corrispondente. Egli può ritenersi superiore solo nella misura in cui
supponga che la teoria e la tecnica da lui elaborate siano verità
assolute capaci di abbracciare l'intera psiche umana. Tuttavia, siccome
una supposizione di questo tipo è più che discutibile, egli non può
farvi sicuro affidamento. Di conseguenza egli verrà segretamente
assalito da dubbi nell'atto di confrontare la personalità umana globale
del suo paziente con una teoria o una tecnica (che rappresentano
esclusivamente ipotesi o tentativi) invece che con la sua vivente
personalità globale.
La personalità globale dell'analista è l'unico equivalente
adeguato della personalità del paziente. L'esperienza e la conoscenza
psicologiche pongono l'analista su un piano di mera superiorità pratica.
Esse non lo pongono al di fuori della mischia nella quale, anzi, si
trova implicato al pari del paziente. Perciò è un fattore di estrema
importanza che le loro personalità si armonizzino, ovvero siano in
conflitto o complementari.
L'estroversione e l'introversione
costituiscono solo due fra le molte particolarità del comportamento
umano; tuttavia esse sono spesso piuttosto ovvie e facilmente
identificabili. Se si studia, per esempio, l'individuo
estroverso, ci si rende subito conto che esso si differenzia sotto molti
punti di vista dagli altri individui del suo stesso tipo e che perciò
quello dell'estroversione è un criterio troppo superficiale e generico
per costituire una caratteristica indicativa. Per questo motivo, molto
tempo fa, io ho cercato di rinvenire altre peculiarità fondamentali che
fossero in grado di fornire qualche limite alle variazioni
apparentemente infinite dell'individualità u mana.
Mi ha sempre colpito il fatto che un numero sorprendentemente
elevato di individui non facciano uso della mente se possono farne a
meno e che un numero equivalente di essi usino la mente in un modo
sorprendentemente stupido. Io fui altresì sorpreso dal fatto che molte
persone intelligenti e aperte vivessero, almeno nella misura in cui era
possibile rilevarlo, come se non avessero mai appreso l'uso dei loro
organi sensoriali: non vedevano le cose più evidenti, non udivano le
parole che risuonavano loro negli orecchi, o non percepivano ciò che
toccavano o gustavano. Alcuni di loro vivevano senza esser consapevoli
della condizione del loro corpo.
C'erano poi altri che davano l'impressione di vivere in una
curiosissima condizione di coscienza, come se lo stato in cui si
trovavano attualmente dovesse essere definitivo, senza alcuna
possibilità di cambiamento, o come se il mondo e la psiche fossero
statici e immutabili per sempre. Essi sembravano privi di ogni
immaginazione e sensibili, in maniera totale ed esclusiva, alla
percezione dei sensi. Nel loro mondo non esistevano fattori casuali o
possibilità e nel loro “oggi” non era presupposto alcun effettivo
“domani”. Per essi il futuro era una semplice ripetizione del passato.
Io cerco qui di fornire al lettore un rapido panorama delle
prime impressioni da me provate quando cominciai a osservare le molte
persone che si presentavano alla mia attenzione. Mi apparve subito
chiaro, tuttavia, che a usare la mente erano solo le persone che
pensavano, cioè quelle che applicavano le loro facoltà intellettuali nel
tentativo di adattarsi alle altre persone e alle circostanze. Coloro
che, pur essendo dotati della medesima intelligenza, non ne facevano
uso, cercavano e trovavano la loro strada al livello del sentimento
(feeling).
“Sentimento” è una parola che ha bisogno di qualche
spiegazione. Per esempio c'è chi parla di “sentimento” quando è in gioco
il “sentimentalismo” (corrispondente alla parola francese sentiment).
Altri applicano la stessa parola per definire un'opinione: per esempio,
una comunicazione della Casa Bianca può cominciare nel seguente modo:
“Il Presidente sente...” Inoltre la parola può essere usata per
esprimere una intuizione: “Io sentivo che...”
Quando io uso la parola “sentimento” in contrasto con
“pensiero”, mi riferisco a un giudizio di valore - per esempio:
piacevole o spiacevole, buono o cattivo, e via dicendo. Secondo questa
definizione il sentimento non è un'emozione (che, come dice la parola, è
involontaria). Il sentimento, come l'intendo io, è (come il pensiero)
una funzione razionale (cioè imperativa), mentre l'intuizione è una
funzione irrazionale (cioè percettiva). Nella misura in cui l'intuizione
è una “impressione”, essa non costituisce il prodotto di un atto
volontario; essa è piuttosto un evento involontario, dipendente da
diverse circostanze esterne o interne, che un vero e proprio atto di
giudizio. L'intuizione assomiglia piuttosto alla percezione sensoriale,
che è un evento altrettanto irrazionale nella misura in cui dipende
essenzialmente da stimoli oggettivi fondati su cause fisiche e non
mentali.
Questi quattro tipi funzionali corrispondono ai mezzi naturali
tramite i quali la coscienza viene orientandosi nel corso
dell'esperienza. La sensazione (cioè la percezione sensoriale) ci dice
che qualcosa esiste; il pensiero ci mette al corrente di che cosa si
tratta; il sentimento ci rivela se si tratta di una cosa più o meno
piacevole; l'intuizione ci fa capire la provenienza e il fine di essa.
Il lettore si renderà conto che questi quattro criteri su cui
si fondano i corrispondenti tipi di comportamento umano sono solo
concetti relativi, come la volontà di potenza, il temperamento,
l'immaginazione, la memoria e così via. Essi non sono affatto dogmatici,
ma per la loro natura si rivelano validi criteri di classificazione, lo
li trovo particolarmente utili quando debbo spiegare il comportamento
dei figli ai genitori, quello delle mogli ai mariti, e viceversa. Essi
si rivelano utili anche per la comprensione dei nostri pregiudizi
personali.
Perciò, se vogliamo comprendere il sogno di un'altra persona,
dobbiamo sacrificare le nostre predilezioni e sopprimere i nostri
pregiudizi soggettivi. Ciò non è né facile né comodo poiché implica uno
sforzo morale che non tutti sono capaci di compiere. Ma se l'analista
non si sforza di criticare le proprie posizioni e di ammettere la
relatività del proprio punto di vista, egli non arriverà ad avere né una
corretta informazione né una comprensione sufficiente della mente del
paziente. L'analista deve poter contare almeno sulla buona disposizione
del paziente ad ascoltarlo e a prendere seriamente le sue parole, e lo
stesso diritto deve essere assicurato al paziente. Benché questo tipo di
rapporto sia indispensabile per una reciproca comprensione, e si
dimostri palesemente necessario, non bisogna mai dimenticare che nel
corso della terapia il fatto più importante è che il paziente capisca e
non che vengano soddisfatte le previsioni teoriche dell'analista. La
resistenza del paziente all'interpretazione dell'analista non è
necessariamente errata; si tratta piuttosto di un sintomo sicuro che
qualcosa non funziona. I casi sono due: o il paziente non ha ancora
raggiunto un grado sufficiente di comprensione, oppure l'interpretazione
non è adeguata.
I nostri tentativi di interpretazione dei simboli onirici di
un'altra persona sono pressoché invariabilmente condizionati dalla
nostra tendenza a colmare le inevitabili lacune dell'interpretazione
ricorrendo alla proiezione, cioè alla supposizione che quanto viene
percepito o pensato dall'analista sia ugualmente percepito o pensato dal
paziente. Per evitare questa causa di errore, io ho sempre insistito
sull'importanza di mirare direttamente al contesto del sogno particolare
escludendo ogni implicazione teorica sui sogni in generale, fatta
eccezione per quelle ipotesi che possono essere autorizzate
esplicitamente dal sogno.
Da quanto sono venuto dicendo risulterà chiaro che non si
possono assumere regole generali di interpretazione dei sogni. Quando
suggerivo che la funzione dei sogni sembra esaurirsi completamente nella
compensazione delle deficienze o delle distorsioni della mente conscia,
intendevo dire che questa ipotesi era in grado di fornire il più
adeguato procedimento per l'interpretazione della natura particolare dei
singoli sogni. In alcuni casi la validità di questa ipotesi è
chiaramente dimostrata.
Un mio paziente aveva una grande opinione di sé e non si
rendeva conto che quasi tutti i suoi conoscenti erano irritati da questo
suo atteggiamento di superiorità morale. Egli venne da me a raccontarmi
un sogno in cui aveva visto un vagabondo ubriaco che rotolava in un
fossato. Questa visione gli aveva suscitato solo questo commento
moralistico: “È terribile vedere quanto in basso possa cadere un uomo”.
Era chiaro che la spiacevole natura del sogno costituiva almeno in parte
un tentativo per controbilanciare l'alta opinione che egli aveva dei
suoi meriti. Tuttavia c'era di più: infatti venne fuori il fatto che
egli aveva un fratello alcoolizzato cronico. Il sogno rivelava altresì
che il suo atteggiamento di superiorità mirava a compensare il fratello
sia sotto il profilo esteriore che interiore.
Ricordo un altro caso di una signora che andava fiera della
sua conoscenza profonda della psicologia e che sognava ripetutamente una
donna. Quando la incontrava nella vita di tutti i giorni non le piaceva
e la considerava una intrigante fatua e disonesta. Invece in sogno la
donna le appariva quasi come una sorella, una persona amica e piacevole.
La mia paziente non riusciva a capire come mai potesse sognare in
termini così favorevoli di una persona che essa disprezzava; il fatto è
che questi sogni tendevano a significare che essa stessa possedeva
inconsciamente un carattere simile a quello dell'altra donna. La mia
paziente, che aveva idee ben chiare intorno alla propria personalità,
riusciva difficilmente a rendersi conto che il sogno le rivelava il
proprio complesso autoritario e le proprie motivazioni occulte: tutte
influenze inconsce che, in più di un caso, l'avevano portata ad avere
spiacevoli litigi con i suoi amici. Essa aveva sempre biasimato gli
altri per questi litigi, mai se stessa.
Noi siamo portati a trascurare, a non prendere in
considerazione e a rimuovere non soltanto l'aspetto recondito della
nostra personalità: possiamo fare lo stesso con le nostre qualità
positive. Mi viene in mente il caso di un uomo apparentemente modesto e
schivo, di squisite maniere. Egli dava sempre l'impressione di volersi
tenere in disparte, ma insisteva con discrezione per essere presente.
Quando veniva richiesta la sua opinione egli si dimostrava sempre ben
informato, ma non faceva nulla per imporre il proprio punto di vista.
Tuttavia egli faceva a volte capire che una determinata questione
avrebbe potuto essere affrontata molto meglio a un livello superiore
(anche se non spiegava mai in che modo).
In sogno, tuttavia, egli si trovava di fronte costantemente a
grandi personaggi storici, come Napoleone o Alessandro Magno. Questi
sogni miravano chiaramente a compensare un complesso di inferiorità, ma
avevano anche un'altra implicazione. Che razza d'uomo devo mai essere,
implicava il sogno, per avere visitatori così illustri? Da questo punto
di vista i sogni indicavano una megalomania segreta che controbilanciava
il sentimento di inferiorità del soggetto. Questa idea inconscia di
grandezza lo isolava dalla realtà del suo ambiente e gli consentiva di
sottrarsi agli obblighi che sarebbero stati imperativi per altre
persone. Egli non sentiva alcun bisogno di dimostrare, né a se stesso né
agli altri, che il suo superiore giudizio era basato su una superiorità
di meriti.
Egli, in realtà, giocava inconsciamente a un gioco insensato e
i sogni tentavano di portare questo gioco al livello della coscienza in
un modo curioso e ambiguo. Intrattenersi con Napoleone e parlare in
termini confidenziali con Alessandro Magno costituiscono le tipiche
fantasie prodotte da un complesso di inferiorità. Ci si potrebbe
domandare, tuttavia, come mai il sogno non rivelava tutto ciò in maniera
aperta e diretta, senza alcuna ambiguità.
Mi sono posto di frequente questo problema e sono arrivato a
dargli una risposta. Spesso mi sorprende il modo tortuoso attraverso il
quale i sogni sembrano sfuggire a una precisa informazione od omettere
il dato decisivo. Freud aveva ipotizzato l'esistenza di una speciale
funzione della psiche, da lui definita il “censore”. Secondo lui il
“censore” deformava le immagini del sogno rendendole irriconoscibili o
non più attendibili in modo da ingannare la coscienza del sognante
intorno all'oggetto reale del sogno. Mascherando il pensiero critico al
sognante, il “censore” proteggeva il suo sonno dall'emozione di ricordi
spiacevoli. Io sono scettico nei confronti di questa teoria secondo la
quale il sogno sarebbe un guardiano del sonno; in realtà, molto spesso i
sogni disturbano il sonno.
È più verosimile che l'approccio alla coscienza abbia un
effetto di “cancellamento” sopra i contenuti subliminali della psiche.
Lo stato subliminale trattiene le idee e le immagini a un livello di
tensione molto inferiore rispetto a quello che esse posseggono nella
coscienza. Al livello subliminale esse perdono in chiarezza e
definizione; le loro reciproche relazioni sono meno consequenziali e più
vagamente analoghe, meno razionali e perciò più “incomprensibili”. Ciò
può essere osservato anche in tutte le condizioni che si avvicinano allo
stato onirico, sia che dipendano da affaticamento, da febbre o da
tossine. Tuttavia se in qualche caso capita di fornire a qualcuna di
queste immagini una tensione maggiore, esse divengono subliminali e, in
quanto più prossime alla soglia della coscienza, meno vagamente
definite.4
Da ciò si può capire come mai i sogni si esprimano sovente
sotto forma di analogie, o perché un'immagine onirica si confonda con
un'altra senza che sia possibile applicare né il criterio logico né
quello temporale della nostra vita cosciente. La forma assunta dai sogni
è naturale per l'inconscio in quanto il materiale da cui essi sono
costituiti è trattenuto al livello subliminale esattamente in questo
modo. I sogni non difendono il sonno da ciò che Freud chiamava il
“desiderio incompatibile”. Ciò che egli definiva “camuffamento”
costituisce di fatto la veste naturale assunta da tutti gli impulsi
nell'inconscio. Per questi motivi il sogno non può produrre un pensiero
definito. Quando comincia a farlo, esso cessa di essere un sogno perché
varca la soglia della coscienza. È per questo motivo che i sogni
sembrano schivare proprio quegli elementi che sono più importanti per la
mente conscia e danno l'impressione di manifestare piuttosto la
“frangia della coscienza”, simile al tenue luccichio delle stelle
durante un'eclissi totale del sole.
È necessario rendersi conto che i simboli
onirici sono per la maggior parte manifestazioni di una psiche che sta
al di là del controllo della mente conscia. Il significato e
l'intenzionalità non sono prerogative della mente: essi operano nel
contesto totale della natura vivente. Non c'è alcuna differenza di
principio fra lo sviluppo organico e quello psichico: come la pianta
produce il fiore, così la psiche crea i propri simboli. Ciascun sogno
costituisce una prova di questo processo.
Perciò, per mezzo dei sogni (oltre che attraverso ogni specie
di intuizioni, impulsi e altri eventi spontanei), le forze istintive
influenzano l'attività della coscienza. Il fatto che tale influenza si
esprima positivamente o negativamente dipende dai contenuti attuali
dell'inconscio. Se esso contiene troppe cose che normalmente dovrebbero
esprimersi al livello della coscienza, la sua funzione viene distorta e
pregiudicata; i moventi non risultano fondati su istinti autentici, ma
derivano la loro ragion d'essere e la loro importanza psichica dal fatto
di essere stati consegnati all'inconscio per rimozione o trascuratezza.
Essi, per così dire, opprimono la normale psiche inconscia e deformano
la sua tendenza naturale a esprimere i simboli emotivi di fondo. Perciò è
legittimo, per uno psicoanalista che si occupi delle cause dei disturbi
mentali, condurre il proprio paziente al punto di confessare o di
rendersi conto più o meno consapevolmente di tutto ciò che costituisce
per lui motivo di disagio o di timore.
Ciò assomiglia all'antica confessione della Chiesa che, sotto
molti aspetti, ha anticipato le moderne tecniche psicologiche. Questa è,
almeno, la regola generale. In pratica, tuttavia, ciò può rivelarsi
controproducente: uno schiacciante senso di inferiorità o una grave
forma di debolezza può rendere al paziente assai difficile, o persino
impossibile, il compito di prendere direttamente coscienza della propria
inadeguatezza. Perciò mi è sembrato spesso utile cominciare col fornire
al paziente una visione positiva: ciò serve a dargli un utile senso di
sicurezza quando si appresta a intraprendere un penoso lavoro di
introspezione.
Si prenda, ad esempio, il caso di un sogno di “esaltazione
personale”, in cui il soggetto si immagini di prendere il tè con la
regina d'Inghilterra o di intrattenersi in intimo colloquio con il Papa.
Se il sognante non è uno schizofrenico, l'interpretazione pratica del
sogno dipende in misura decisiva dallo stato attuale della sua mente,
cioè dalla condizione del suo ego. Se il sognante sopravvaluta le
proprie capacità, è facile dimostrare (sulla base del materiale prodotto
dall'associazione di idee) quanto inappropriate e infantili siano le
sue intenzioni e quanto profondamente esse derivino da desideri
infantili di essere alla pari o superiore rispetto ai suoi genitori. Ma
se si tratta di un caso di inferiorità, in cui un sentimento integrale
di inutilità abbia già sopraffatto tutti gli aspetti positivi della
personalità del sognante, sarebbe un errore deprimerlo ancora di più
mostrandogli quanto infantile, ridicola e perfino perversa sia la sua
personalità. Ciò aumenterebbe crudelmente il suo complesso di
inferiorità e provocherebbe un atteggiamento di resistenza al
trattamento, non meno inopportuno che controproducente.
Non si tratta affatto di una tecnica terapeutica o di una
dottrina di generale applicazione, poiché ogni singolo caso che
l'analista si trova a sottoporre a trattamento è indicativo di
condizioni individuali del tutto specifiche. Mi ricordo di un paziente
che ebbi in trattamento per un periodo di nove anni. Lo vedevo solo per
poche settimane all'anno poiché viveva all'estero. Fin dall'inizio
compresi il suo problema reale, ma mi resi conto altrettanto bene che il
minimo tentativo di affrontare la verità produceva una violenta
reazione difensiva che minacciava di rompere completamente i nostri
rapporti reciproci. Sia che mi piacesse o no, dovevo far di tutto per
mantenere i nostri buoni rapporti e assecondare la sua inclinazione che
era sostenuta dai sogni e che portava la nostra discussione al di fuori
del campo in cui era radicata la sua nevrosi. Divagavamo a tal punto che
spesso mi sono accusato di fuorviare il mio paziente. Mi tratteneva dal
porlo brutalmente di fronte alla verità solo il fatto che la sua
condizione migliorava nettamente anche se con lentezza.
Dopo dieci anni, tuttavia, il paziente dichiarò spontaneamente
di essere guarito e di sentirsi liberato da tutti i sintomi. Io restai
sorpreso poiché, teoricamente, la sua condizione era incurabile. Notando
il mio stupore, egli sorrise dicendo: “Desidero ringraziarla
soprattutto per il suo sicuro intuito e per la pazienza con cui mi ha
aiutato ad aggirare la causa penosa della mia nevrosi. Sono disposto a
dirle tutto. Se mi fosse stato possibile parlarne liberamente con lei,
le avrei detto tutto nel corso della nostra prima consultazione; ma ciò
avrebbe distrutto i nostri buoni rapporti. Come mi sarei ritrovato dopo
una simile confessione? Di fronte a un fallimento morale. Durante questi
dieci anni ho imparato ad avere fiducia in lei e quanto più cresceva la
mia fiducia, tanto più le mie condizioni miglioravano. Io ho ottenuto
questo miglioramento proprio in seguito a questo lento processo che mi
ha restituito la fiducia in me stesso. Ora mi sento abbastanza forte da
discutere con lei il problema che mi tormentava”.
Egli mi confessò quindi con spietata franchezza il suo
problema, che mi fornì la giustificazione del particolare trattamento
che avevamo dovuto seguire. Il suo shock iniziale era stato tanto forte
da renderlo incapace di affrontarlo. Egli aveva bisogno dell'aiuto di
un'altra persona e il compito della terapia era quello di portare alla
lenta instaurazione di un rapporto di fiducia, piuttosto che alla
dimostrazione di una teoria clinica.
Da casi come questi ho imparato a adattare i miei metodi alle
necessità individuali del paziente, piuttosto che ad affidarmi a
considerazioni teoriche generali che potrebbero risultare inapplicabili
nei singoli casi individuali. La conoscenza della natura umana da me
accumulata nel corso di sessant’anni di esperienza pratica mi ha
insegnato a considerare ogni caso come un'esperienza nuova in cui,
predominante sugli altri, si pone il problema dell'instaurazione di un
rapporto personale. Talvolta non ho esitato a immergermi in uno studio
accurato di avvenimenti e di fantasie infantili; altre volte ho
cominciato dal fondo, anche se ciò significava immergersi direttamente
nelle più remote speculazioni metafisiche. L'importante è capire il
linguaggio individuale del paziente e seguire i suoi affannosi tentativi
per emergere dall'inconscio alla luce. In alcuni casi è necessario
applicare un certo metodo, in altri un metodo diverso.
Ciò è vero soprattutto per quanto riguarda l'interpretazione
dei simboli. Due diversi individui possono fare all'incirca lo stesso
sogno. (Questo fenomeno è meno infrequente di quanto non si pensi
comunemente e si manifesta ben presto nel corso dell'esperienza
clinica.) Eppure se, per esempio, un paziente è giovane e l'altro
vecchio, il problema che disturba ciascuno di loro è rispettivamente
diverso e sarebbe assolutamente assurdo voler interpretare tutti e due i
sogni nello stesso modo.
Mi viene alla mente un sogno in cui un gruppo di giovani
cavalca in una vasta prateria. Il sognante guida il gruppo e cade in un
fossato pieno d'acqua, rivelando agli altri il pericolo. Tuttavia anche
gli altri cavalieri cadono nel fossato.
Il giovane che venne a raccontarmi questo sogno era un tipo
cauto e introverso. Però io ascoltai lo stesso sogno da un vecchio di
carattere avventuroso che aveva vissuto una vita attiva e movimentata.
Quando egli fece questo sogno era ormai in una condizione di invalidità
che richiedeva le cure assidue di un'infermiera e di un medico: egli si
trovava in questo stato per aver trasgredito alle istruzioni del medico.
Chiaramente, questo sogno indicava al giovane ciò che egli
avrebbe dovuto fare e al vecchio ciò che stava tuttora facendo. Mentre
esso qui incoraggiava le esitazioni del giovane, non faceva altrettanto
con il vecchio: lo spirito avventuroso da cui era ancora pervaso
costituiva il suo maggior pericolo. Questo esempio dimostra come
l'interpretazione dei sogni e dei simboli dipenda largamente dalle
circostanze individuali in cui si trova il soggetto e dalle condizioni
della sua mente.
L'archetipo nel simbolismo dei sogni
Ho già indicato che i sogni assolvono una
funzione di compensazione. Ciò significa che il sogno è un normale
fenomeno psichico che trasmette reazioni inconsce o impulsi spontanei
alla coscienza. Molti sogni possono essere interpretati con la
partecipazione del sognante che fornisce le necessarie associazioni e il
contesto dell'immagine onirica per mezzo delle quali si può considerare
il sogno in tutti i suoi aspetti.
Questo metodo risulta adeguato nei casi ordinari, cioè quelli
in cui un parente, un amico o un paziente vi raccontano il proprio sogno
sommariamente nel corso di una conversazione. Ma quando si tratta di
sogni ossessivi o altamente emotivi, le associazioni personali fornite
dal sognante di solito non servono a indicare le linee di una
soddisfacente interpretazione. In questi casi dobbiamo prendere in
considerazione il fatto (osservato e commentato originariamente da
Freud) che in sogno ricorrono spesso elementi non individuali e non
ricavabili dall'esperienza personale del sognante. Tali elementi, come
ho indicato precedentemente, sono quelli che Freud chiamava “resti
arcaici”, cioè forme mentali la cui presenza non può essere spiegata da
alcun elemento della vita individuale del paziente e che si rivelano
come dati primordiali, innati ed ereditari della mente umana.
Come il corpo umano costituisce un complesso museo di organi,
ciascuno dei quali possiede una lunga storia evolutiva dietro di sé,
così dobbiamo prevedere che la mente sia organizzata in modo simile.
Essa deve essere un prodotto storico alla stessa stregua del corpo in
cui si trova a esistere.
Per “storia” non intendo il fatto che la mente
si venga sviluppando da sola attraverso riferimenti coscienti al passato
tramite il linguaggio e altre tradizioni culturali. Io mi riferisco
bensì allo sviluppo biologico, preistorico e inconscio della mente
nell'uomo arcaico, la cui psiche era altrettanto chiusa di quella
dell'animale.
Questa psiche straordinariamente antica
costituisce la base della nostra mente, così come la struttura del
nostro corpo è fondata sul modello anatomico generale del mammifero.
L'occhio esercitato dell'anatomista o del biologo rinviene nel nostro
corpo molte tracce di questo modello originario. Lo studioso
sperimentato della mente può ugualmente rinvenire analogie equivalenti
fra le raffigurazioni oniriche dell'uomo moderno e i prodotti della
mente primitiva, le sue “immagini collettive” e i suoi motivi
mitologici.
Tuttavia, come il biologo ha necessità di
far ricorso all'anatomia comparata, così lo psicologo non può fare a
meno di un'“anatomia comparata della psiche”. In altri termini, lo
psicologo non solo deve avere una sufficiente esperienza pratica dei
sogni e degli altri prodotti dell'attività inconscia, ma anche della
mitologia nella sua più larga accezione. Senza questa
preparazione è impossibile cogliere le analogie importanti: per esempio,
è impossibile scorgere l'analogia fra un caso di nevrosi da coercizione
e quello classico di ossessione demoniaca, senza avere una effettiva
conoscenza di entrambi.
La mia teoria sui “resti arcaici”, da me
definiti “archetipi” o “immagini primordiali”, è stata sempre criticata
da coloro che non hanno una conoscenza appropriata dei sogni e della
mitologia. Il termine “archetipo” è spesso frainteso in quanto viene
identificato con certe immagini definite o precisi motivi mitologici.
Questi, in realtà, non sono altro che rappresentazioni consce; sarebbe
assurdo pensare che tali rappresentazioni variabili fossero ereditarie.
L'archetipo è invece la tendenza a formare singole rappresentazioni di
uno stesso motivo che, pur nelle loro variazioni individuali anche
sensibili, continuano a derivare dal medesimo modello fondamentale.
Esistono, per esempio, molte rappresentazioni del motivo dei fratelli
nemici, ma il motivo rimane sempre lo stesso. I miei critici hanno
sempre erroneamente sostenuto che io presupponga l'esistenza di
“rappresentazioni ereditarie” e su questa base hanno liquidato l'idea di
archetipo come mera superstizione. Essi non hanno preso in
considerazione il fatto che se gli archetipi fossero veramente
rappresentazioni create (o acquisite) dalla nostra coscienza, noi
dovremmo essere sicuramente in grado di comprenderle senza trovarci
stupefatti e perplessi quando essi si presentano alla coscienza. Essi,
in realtà, sono tendenze istintive altrettanto marcate quanto lo è
l'impulso degli uccelli a costruire il nido, o quello delle formiche a
dar vita a colonie organizzate.
A questo punto è necessario chiarire la
relazione fra istinti e archetipi. Quelli che noi chiamiamo propriamente
istinti, sono costituiti da stimoli fisiologici e risultano percepibili
dai sensi. Essi però si manifestano contemporaneamente anche in veste
di fantasie e spesso rivelano la loro presenza solo per mezzo di
immagini simboliche. Queste manifestazioni sono ciò che io chiamo
archetipi. La loro origine è ignota e si riproducono in ogni tempo e in
qualunque parte del mondo, anche laddove bisogna escludere qualsiasi
fattore di trasmissione ereditaria diretta o per “incrocio”.
Mi ricordo numerosi casi di persone che sono venute a
consultarmi perché erano sconcertate dai loro sogni o da quelli dei
propri figli. Esse erano assolutamente incapaci di comprendere il loro
significato. Ciò dipendeva dal fatto che i sogni contenevano immagini
non riferibili ad alcuno dei loro ricordi o ad alcunché che potesse
essere stato trasmesso ai figli dai genitori stessi. Eppure alcuni di
questi pazienti erano individui di eccellente cultura; qualcuno era
addirittura psichiatra.
Mi rammento assai bene il caso di un professore che, in
seguito a un'improvvisa visione, si era messo in testa di essere matto.
Egli venne a trovarmi in preda a un panico totale, lo mi limitai a
prendere da uno scaffale un libro stampato quattro secoli prima e a
mostrargli un'antica incisione che raffigurava esattamente la sua
visione. “Lei non ha alcun motivo per ritenersi matto”, gli dissi. “La
sua visione era già nota quattro secoli fa.” A queste mie parole, egli
si lasciò cadere sopra una sedia completamente rilassato e di nuovo
normale.
Un caso molto interessante mi venne offerto da uno psichiatra.
Un giorno egli mi portò un quadernetto scritto a mano che aveva
ricevuto in dono per Natale dalla propria figlia di 10 anni. Esso
conteneva tutta una serie di sogni che la bambina aveva fatto all'età di
otto anni, i sogni più misteriosi che mi fosse mai capitato di
osservare. Mi rendevo ben conto dell'imbarazzo del padre: benché
infantili, erano strani e inquietanti e contenevano immagini che egli
non riusciva assolutamente a comprendere. I motivi principali erano i
seguenti:
1. “l'animale infernale”, un mostro a forma di serpente
provvisto di numerose corna, uccide e divora tutti gli altri animali. Ma
Dio interviene dai quattro angoli (si tratta in realtà di quattro dèi
separati) e resuscita tutti gli animali morti;
2. una ascesa al cielo, dove si stanno celebrando danze
pagane, e una discesa all'inferno, dove si trovano angeli intenti a
compiere buone azioni;
3. un'orda di animali atterrisce la sognante: essi assumono dimensioni spaventose e uno di loro divora la bambina;
4. in un topolino si introducono vermi, serpenti, pesci ed
esseri umani, ed esso si trasforma in uomo: ciò raffigura le quattro
fasi dell'origine del genere umano;
5. appare una goccia d'acqua, come vista attraverso il
microscopio e la bambina vede che essa è piena di rami d'albero: ciò
raffigura l'origine del mondo;
6. un ragazzo malvagio tiene in mano una zolla di terra e ne
scaglia un po' su tutti i passanti: in seguito a ciò anch'essi diventano
cattivi;
7. una donna ubriaca cade nell'acqua e ne esce rinnovata e sobria;
8. la scena si svolge in America: un gran numero di persone si
rotolano sopra una distesa di formiche e vengono da esse attaccate; la
sognante, in preda al panico, cade in un fiume:
9. sulla luna c'è un deserto: la bambina vi sprofonda fino a raggiungere l'inferno;
10. in questo sogno la bambina ha la visione di una sfera
luminosa; la tocca e ne emana vapore; sopraggiunge un uomo e la uccide;
11. la bambina sogna di essere gravemente ammalata; dalla sua
pelle spuntano improvvisamente tanti uccelli che la ricoprono
completamente;
12. sciami di zanzare oscurano il sole, la luna e tutte le altre stelle, tranne una: essa cade sulla sognante.
Nel testo completo originale, scritto in tedesco, ciascun
sogno comincia con le antiche parole della favola: “C'era una volta...”.
Esse stanno a significare che per la bambina ogni sogno è una specie di
favola che essa vuole raccontare al padre come dono di Natale. Il padre
cercò di spiegare i sogni sulla base del loro contesto, ma non vi
riuscì perché erano privi di qualunque associazione personale.
Naturalmente la possibilità che questi sogni costituissero
mere elaborazioni consapevoli può essere esclusa solo da chi abbia
conosciuto la bambina sufficientemente a fondo da garantire della
veridicità del suo racconto. (Tuttavia, anche se si trattasse di
semplici fantasie, questi sogni esigerebbero pur sempre un'adeguata
interpretazione.) Nel nostro caso, il padre era convinto che i sogni
fossero autentici e io non ho alcuna ragione per dubitarne. Ho
conosciuto personalmente la bambina, ma in epoca anteriore a quella in
cui essa consegnò il quaderno dei sogni a suo padre e perciò non ho
avuto la possibilità di farle domande in proposito. Essa viveva
all'estero e morì di malattia infettiva circa un anno dopo quel Natale.
I suoi sogni hanno un carattere decisamente peculiare: i loro
concetti fondamentali sono essenzialmente filosofici. Il primo, ad
esempio, allude a un mostro infernale che uccide gli altri animali, ma
Dio interviene a resuscitarli attraverso una restituzione divina o
Apokatastasis. Nel mondo occidentale questa idea è conosciuta dalla
tradizione cristiana. Essa è presente negli Atti degli Apostoli, in, 21:
“[Cristo] che il cielo deve accogliere fino ai tempi della restituzione
di tutte le cose...” I primi Padri greci della Chiesa (per esempio
Origene) insisterono in particolare sull'idea che, alla fine dei tempi,
ogni cosa verrà restaurata dal Redentore nel suo stato originario e
perfetto. Tuttavia, secondo S. Matteo, XVI, 11, esisteva anche un'antica
tradizione ebraica secondo la quale Elia “in verità verrà a restaurare
tutte le cose”. Nella I Lettera ai Corinzi, XV, 22, si ritrova la stessa
idea in questi termini: “Poiché come tutti muoiono in Adamo, così anche
in Cristo tutti torneranno a vivere”.
Qualcuno potrebbe sospettare che la bambina si sia imbattuta
in questo pensiero nel corso della sua educazione religiosa. Ma essa
aveva una ridottissima preparazione di questo genere. I suoi genitori
erano formalmente protestanti, ma di fatto conoscevano la Bibbia solo
per sentito dire. In particolare, è estremamente improbabile che
l'immagine recondita dell’Apokatastasis sia stata spiegata alla bambina.
È certo che suo padre non aveva mai sentito parlare di questa idea
mitica.
Nove dei dodici sogni sono influenzati dal tema della
distruzione e della restaurazione e nessuno di essi mostra tracce di una
educazione o di qualche influenza specificamente cristiane. Al
contrario, essi si rivelano strettamente connessi con i miti primitivi.
Questa relazione è corroborata dall'altro motivo, quello del “mito
cosmogonico” (cioè la creazione del mondo e dell'uomo), che appare nel
quarto e nel quinto sogno. La stessa connessione si rinviene nella I
Lettera ai Corinzi, XV, 22, da me già citata. Anche in questo passo
Adamo e Cristo (cioè la morte e la resurrezione) sono legati fra loro.
L'idea generale del Cristo Redentore appartiene al tema
universale e precristiano dell'eroe e del salvatore che, benché divorato
da un mostro, torna di nuovo ad apparire in modo miracoloso, dopo aver
sconfitto il mostro che lo aveva ingoiato. Nessuno sa quando e dove
questo motivo abbia avuto origine. Noi non sappiamo neppure in che modo
sia possibile affrontare il problema di questo tipo di ricerca. L'unico
elemento certo è che tutte le generazioni hanno conosciuto questo motivo
sotto forma di una tradizione tramandata dalle epoche precedenti.
Perciò possiamo legittimamente supporre che esso “abbia avuto origine”
in un periodo in cui l'uomo non sapeva ancora di possedere un mito
eroico; in un'età cioè, in cui egli non era ancora in grado di
riflettere consapevolmente su ciò che diceva. La figura dell'eroe è un
archetipo che è esistito fin da tempo immemorabile.
La produzione di archetipi da parte di bambini è
particolarmente significativa, poiché in alcuni casi si può essere
assolutamente sicuri che il bambino non ha avuto alcun accesso alla
tradizione concernente questo motivo.
Nel nostro caso la famiglia della bambina aveva solo una
conoscenza superficiale della tradizione cristiana. Naturalmente i temi
cristiani possono essere rappresentati da idee come quelle di Dio, degli
angeli, del cielo, dell'inferno e del demonio. Però il modo in cui essi
sono trattati dalla fantasia di questa bambina rivela un'origine
assolutamente non cristiana.
Prendiamo il primo sogno in cui Dio compare nelle spoglie
distinte di quattro dèi, ciascuno proveniente da uno dei “quattro
angoli”. Gli angoli di che cosa? Nel sogno non si fa alcuna allusione a
una stanza. D'altra parte l'immagine di una stanza non si sarebbe
adeguata alla raffigurazione di quello che, in questo caso, è
evidentemente un evento cosmico, in cui interviene direttamente l'Essere
universale. Il motivo quaternario è in se stesso un'idea strana, ma
occupa un ruolo molto importante in molte religioni e filosofie. Nella
religione cristiana esso è stato soppiantato dalla Trinità, una nozione
che dobbiamo supporre essere stata familiare alla bambina. Ma chi
conosce, oggigiorno, in una ordinaria famiglia media, il concetto di una
quadruplice divinità? È un'idea che un tempo era assai nota fra gli
studiosi della filosofia ermetica medievale, ma che poi si esaurì verso
l'inizio del XVI secolo e che ha continuato a restare nell'ombra per
almeno altri duecento anni dopo di allora. E allora, da dove può averla
ricavata la bambina? Forse dalla visione di Ezechiele? Ma non esiste
alcun insegnamento cristiano che identifichi i Serafini con Dio.
La stessa questione può essere sollevata per quanto riguarda
l'immagine del serpente cornuto. Nella Bibbia, è vero, ricorrono molti
animali con le corna, per esempio nel libro della Rivelazione. Ma si
tratta sempre, a quanto risulta, di quadrupedi, sebbene su tutti loro
domini il dragone, parola questa che in greco significa anche serpente
(drakon). Il serpente cornuto appare nei trattati latini di alchimia del
XVI secolo come quadricornutus serpens (serpente a quattro corna),
simbolo di Mercurio che si oppone a quello della Trinità cristiana.
Tuttavia si tratta di un riferimento eccezionalmente insolito. Per
quanto ho potuto saperne io, tale motivo ricorre in un solo autore e la
bambina non ne sapeva nulla.
Nel secondo sogno appare un motivo decisamente non cristiano
in cui i valori tradizionali sono rovesciati: per esempio il motivo
delle danze pagane degli uomini in cielo e delle buone azioni degli
angeli nell'inferno. Questo simbolo suggerisce il criterio della
relatività dei valori morali. Dove ha potuto trovare la bambina un
concetto così rivoluzionario, degno del genio di Nietzsche?
Si arriva così a un'altra questione: qual è il significato
compensatorio di questi sogni, un significato cui la bambina ovviamente
attribuiva una grande importanza dal momento che dette il suo
quadernetto al padre come regalo di Natale?
Se il soggetto sognante fosse stato uno stregone primitivo, si
sarebbe potuto ragionevolmente supporre che essi rappresentassero
alcune variazioni dei temi filosofici della morte, della resurrezione o
restituzione, dell'origine del mondo, della creazione dell'uomo e della
relatività dei valori. Ma se si cerca di interpretare questi sogni da un
punto di vista personale, bisogna rinunciare a ogni spiegazione, data
la loro intrinseca, inestricabile difficoltà. Essi contengono
indubbiamente alcune “immagini collettive”, e queste in un certo senso
sono analoghe alle dottrine impartite ai giovani delle tribù primitive
quando si accingono a essere iniziati come uomini. In quest'età essi
imparano a conoscere ciò che Dio, o gli dèi, o gli animali “originari”
hanno fatto, in che modo il mondo e l'uomo furono creati, come
sopraggiungerà la fine del mondo e quale sia il significato della morte.
Nella civiltà cristiana ci sono occasioni in cui riceviamo simili
istruzioni? Sì, durante l'adolescenza. Ma molte persone cominciano a
riflettere di nuovo a cose come queste durante la vecchiaia o
nell'imminenza della morte.
La bambina si trovava in entrambe queste situazioni. Essa si
avviava alla pubertà e, contemporaneamente, alla fine della vita. Nel
simbolismo dei suoi sogni c'è poco o nulla che indichi l'inizio di una
normale vita adulta, mentre invece si trovano molte allusioni alla
distruzione e alla restaurazione. In verità, quando lessi per la prima
volta i suoi sogni provai la strana sensazione che essi suggerissero una
tragedia imminente. Derivai questa mia impressione dalla natura
particolare della compensazione che ero riuscito a dedurre da quel
genere di simbolismo. Essa era esattamente l'opposto di ciò che ci si
sarebbe aspettati di trovare nella coscienza di una bambina di
quell'età.
Sogni come questi rivelano un aspetto nuovo e terrorizzante
della vita e della morte. Ci si aspetterebbe di trovare immagini di
questo tipo in una persona adulta che si volga a riflettere
retrospettivamente sulla propria vita, ma non in una bambina che
normalmente dovrebbe guardare solo davanti a sé. La loro atmosfera
riporta alla mente quel vecchio proverbio romano secondo il quale “la
vita è un breve sogno”, piuttosto che la gioia e l'esuberanza della
fanciullezza. La vita di questa bambina assomigliava davvero al ver
sacrum vovendum del poeta romano. L'esperienza mostra che l'ignoto
approssimarsi della morte getta una adumbratio sulla vita e i sogni
della vittima. Anche l'altare delle chiese cristiane rappresenta da una
parte la tomba e dall'altra il luogo della resurrezione, cioè la
trasformazione della morte in vita eterna.
Queste erano le idee che in sogno si rivelarono alla bambina.
Esse non erano altro che una preparazione alla morte espressa in brevi
racconti, simili a quelli caratteristici delle iniziazioni primitive
come i Koan del Buddismo Zen. Questo messaggio non assomiglia alla
dottrina cristiana ortodossa, ma piuttosto all'antico pensiero
primitivo. Si ha l'impressione che esso abbia avuto origine, al di fuori
della tradizione storica, nei fondamenti psichici primordiali che, fin
dalle epoche preistoriche, hanno fornito nutrimento alle speculazioni
filosofiche e religiose intorno alla vita e alla morte. Era come se gli
eventi futuri proiettassero all'indietro la loro ombra, facendo sorgere
nella bambina certi pensieri che, sebbene normalmente restino assopiti,
descrivono o accompagnano l'approssimarsi di un esito fatale. Benché le
guise specifiche in cui essi si esprimono siano più o meno personali, il
loro modello generale è collettivo. È possibile rinvenirli ovunque e in
ogni epoca, così come gli istinti animali, pur variando notevolmente a
seconda delle differenti specie, mirano allo stesso scopo generale. Noi
non supponiamo che ogni animale, appena nato, crei i suoi propri istinti
nei termini di un'acquisizione individuale e non dobbiamo neppure
supporre che gli individui umani vengano inventando i loro specifici
modi di condotta umana dopo ogni singola nascita. Allo stesso modo degli
istinti, i modelli di pensiero collettivi della mente umana sono innati
ed ereditari. Quando si presenta l'occasione, essi funzionano più o
meno nello stesso modo in tutti noi.
Le manifestazioni emotive, cui questi modelli di pensiero
appartengono, sono riconoscibili ovunque. Possiamo identificarle anche
negli animali ed essi stessi si comprendono reciprocamente in questo
modo anche se appartengono a specie differenti. E che dire degli
insetti, con le loro complicate funzioni simbiotiche? La maggior parte
di loro non conosce neppure i propri genitori e non hanno nessuno che li
addestri. Perché dovremmo supporre allora che l'uomo sia l'unico essere
vivente privo di istinti specifici o che la sua psiche non presenti
alcuna traccia della propria evoluzione?
Naturalmente se identifichiamo la psiche con la coscienza, è
facile cadere nel concetto erroneo che l'uomo faccia il suo ingresso nel
mondo con la psiche nelle condizioni di una tabula rasa e che
successivamente essa venga a contenere solo gli elementi appresi
dall'esperienza individuale. Ma la psiche è qualcosa di più della
coscienza. Gli animali hanno scarsa coscienza, ma in compenso molti
impulsi e reazioni che denotano l'esistenza di una psiche; inoltre i
primitivi compiono un gran numero di cose il cui significato è per essi
sconosciuto.
Invano chiedereste a molte persone del cosiddetto mondo
civilizzato il significato reale dell'albero di Natale o dell'uovo di
Pasqua. Il fatto è che esse fanno cose di cui non conoscono la ragione.
Io sono incline a ritenere che dapprima si siano fatte certe cose e che
solo dopo molto tempo, in genere, qualcuno si sia chiesto il loro
significato. Il medico psicologo si trova continuamente di fronte a
pazienti indubbiamente intelligenti, che tuttavia si comportano in
maniera tutta particolare e imprevedibile e che non hanno alcuna idea di
ciò che fanno o di ciò che dicono. Essi si trovano improvvisamente
assaliti da stati d'animo inspiegabili di cui essi per primi non sanno
darsi ragione.
A un esame superficiale queste reazioni e questi impulsi
sembrano possedere una natura del tutto personale e perciò siamo portati
a trascurarli come indici di un comportamento idiosincratico. In
realtà, tuttavia, essi sono fondati su un sistema preformato e
assolutamente istintivo che è caratteristico dell'uomo. Le forme di
pensiero, i gesti universalmente comprensibili e molti atteggiamenti
corrispondono a un modello che è stato costituito molto prima che l'uomo
sviluppasse una coscienza riflessiva.
Si può altresì pensare che le prime origini delle capacità
riflessive dell'uomo siano derivate dalle conseguenze dolorose di
violenti conflitti emotivi. A puro titolo di esempio, prendo il caso di
un boscimano che, in un momento di rabbia e di delusione per non essere
riuscito a pescare alcun pesce, strangola il suo adorato unico figlio e
viene quindi assalito da un immenso rimpianto quando solleva con le
braccia il piccolo corpo inanimato. Quest'uomo può essere indicativo in
assoluto di questo attimo di angoscia.
Non siamo in grado di sapere se questo tipo di esperienza
costituì veramente la causa iniziale dello sviluppo della coscienza
umana. Tuttavia non c'è alcun dubbio sul fatto che l'impressione di una
simile esperienza emotiva sia spesso necessaria per destare gli uomini e
renderli sensibili a ciò che stanno facendo. Questa circostanza si
rivela nel caso famoso di Raimondo Lullo, hidalgo spagnolo del XV secolo
che, dopo lunghe peripezie, riuscì finalmente a incontrarsi con la
donna da lui ammirata a un appuntamento segreto. Senza profferire parola
essa si aprì la veste e gli mostrò il seno, devastato dal cancro.
Questa impressione sconvolgente cambiò radicalmente la vita di Lullo ed
egli diventò un eminente teologo e uno dei più grandi missionari della
Chiesa. Di fronte a un improvviso cambiamento di questo tipo, è facile
dimostrare che un archetipo ha continuato per lungo tempo a essere
attivo nell'inconscio, combinando abilmente tutte le circostanze che in
seguito produrranno la crisi.
Esperienze come questa sembrano dimostrare che le
forme archetipiche non sono modelli statici; esse sono piuttosto
fattori dinamici che si manifestano sotto forma di impulsi altrettanto
spontaneamente che gli istinti. Certi sogni, certi pensieri o visioni,
possono comparire improvvisamente e, per quanto si possa accuratamente
cercare di spiegarli, ci riesce impossibile rinvenire la loro causa. Ciò
non significa che essi non abbiano una causa, poiché ce l'hanno
sicuramente; tuttavia essa è così remota od oscura che è impossibile
recuperarla.
In casi come questo è necessario attendere fino a che il sogno
o il suo significato risultino sufficientemente comprensibili, oppure
fino a che non intervenga qualche avvenimento esterno a spiegare il
sogno.
Nel momento del sogno, tale avvenimento può ancora appartenere
al futuro; ma, come i nostri pensieri consci rivelano spesso il futuro e
le sue possibilità, così, in maniera del tutto simile, si comportano
l'inconscio e i suoi sogni. Per molto tempo si è creduto che la funzione
fondamentale dei sogni fosse quella di pronosticare il futuro.
Nell'antichità, fino a tutto il Medioevo, i sogni hanno avuto una parte
importante nella prognosi medica. Io sono in grado di confermare, sulla
base di un sogno dei nostri tempi, il fattore di prognosi (o di
precognizione) che può essere rinvenuto, ad esempio, in un antico sogno
citato da Artemidoro di Daldis, nel II secolo d.C.: un uomo sognò di
vedere il proprio padre perire nel rogo della casa. Non molto tempo dopo
egli stesso morì per un phlegmone (cioè fuoco o febbre alta), che
probabilmente era un attacco di polmonite.
Capitò altresì che un mio collega fosse assalito una volta da
febbre cancrenosa, cioè da un phlegmone. Un suo vecchio paziente, che
non conosceva la natura della malattia del suo medico, sognò che egli
morisse in un grande fuoco. In quel tempo il medico era stato appena
ricoverato e la malattia era all'inizio. Il sognante non sapeva altro
all'infuori del fatto che il suo medico curante era ammalato e degente
in ospedale. Tre settimane dopo il medico morì.
Come dimostra questo esempio, i sogni possono avere un aspetto
anticipatorio o pronosticatorio e chiunque si accinga a tentarne una
interpretazione deve prendere in considerazione questo elemento,
soprattutto nel caso che un sogno non fornisca, pur nella chiarezza del
suo significato evidente, un sufficiente contesto adatto a spiegarlo.
Sogni come questi spesso si manifestano come fulmini a ciel sereno e si è
portati a chiederci da che cosa possano essere stati provocati.
Naturalmente, se si conoscesse il loro messaggio ulteriore, la loro
causa apparirebbe evidente. Infatti solo la coscienza rimane all'oscuro,
mentre l'inconscio sembra già informato e in possesso della conclusione
espressa dal sogno. In realtà, l'inconscio risulta capace di esaminare e
di trarre conclusioni solo sulla base di fatti precisi,
approssimativamente nello stesso modo in cui agisce la coscienza. Esso
può anche utilizzare certi fatti, e anticipare i loro possibili
risultati, proprio perché noi non siamo consapevoli di essi.
Ma quando si è in grado di decifrare i sogni, l'inconscio
rivela istintivamente le proprie deliberazioni. Questa distinzione è
importante. L'analisi logica è una prerogativa della
coscienza: noi selezioniamo attraverso la ragione e con cognizione di
causa; l'inconscio, viceversa, risulta guidato essenzialmente da
tendenze istintive, rappresentate da forme di pensiero corrispondenti,
cioè dagli archetipi. Un medico cui venga chiesto di descrivere
il decorso di una malattia farà ricorso a concetti razionali come quello
di “infezione” o di “febbre”. Il sogno è di gran lunga più poetico:
esso presenta l'organismo ammalato come la dimora terrestre dell'uomo e
la febbre come il fuoco che la distrugge.
Come dimostrano i sogni riferiti sopra, la mente archetipica
ha trattato la situazione nello stesso modo in cui essa appariva al
tempo di Artemidoro. Ciò che rivela una natura più o meno sconosciuta è
stato afferrato dall'inconscio e sottoposto a un trattamento
archetipico. Ciò suggerisce il fatto che la mente archetipica, invece di
assumersi il compito di esprimere i propri contenuti razionalmente alla
stessa stregua del pensiero conscio, si è assunta una funzione
pronosticatoria. Perciò gli archetipi hanno una loro iniziativa e una
loro specifica energia. Ciò li rende suscettibili sia di produrre una
interpretazione significativa (nel loro stile simbolico caratteristico),
sia di interferire in una determinata situazione con i loro specifici
impulsi e le loro particolari conformazioni di pensiero. Da questo punto
di vista essi funzionano allo stesso modo dei complessi: essi vanno e
vengono a loro piacimento e spesso ostruiscono o modificano in maniera
imbarazzante le nostre intenzioni consce.
Si riesce a percepire l'energia specifica
degli archetipi quando sperimentiamo il fascino tutto particolare che li
accompagna. Essi possiedono una speciale attrattiva. Questa qualità è
caratteristica anche dei complessi personali; allo stesso modo di questi
ultimi, anche i complessi sociali a carattere archetipico hanno una
loro storia individuale. Ma mentre i complessi personali producono solo
una inclinazione individuale, gli archetipi danno vita a miti, religioni
e filosofie che influenzano e caratterizzano intere nazioni ed epoche
storiche. Noi consideriamo i complessi personali come
compensazioni di atteggiamenti unilaterali o imperfetti della coscienza;
nello stesso modo i miti a sfondo religioso possono essere interpretati
come una specie di terapia mentale per le sofferenze e le ansietà del
genere umano nel suo complesso: fame, guerre, malattie, vecchiaia,
morte.
Il mito dell'eroe universale, ad esempio, si riferisce sempre a
un uomo potente o a un uomo-dio che annienta le forze del male
materializzate in dragoni, serpenti, mostri, demoni e così via, e che
libera il proprio popolo dalla distruzione e dalla morte. La narrazione e
la ripetizione rituale di testi sacri e di cerimonie, insieme alla
venerazione della figura dell'eroe per mezzo di danze, musiche, inni,
preghiere e sacrifici, trasmettono ai fedeli emozioni soprannaturali
(quasi una attrazione magica) ed esaltano l'individuo fino a portarlo a
identificarsi con l'eroe.
Se cerchiamo di considerare questo tipo di situazione con gli
occhi del credente, arriveremo forse a renderci conto di come l'uomo
comune possa sentirsi liberato dal sentimento di impotenza personale e
dalla propria infelicità e trovarsi ripieno (almeno temporaneamente) di
una qualità quasi sovrumana. In molti casi questa convinzione si
manterrà viva in lui per molto tempo e conferirà un certo stile alla sua
vita. Essa può anche imprimere uno speciale carattere a tutta una
società. Un esempio notevole di questo fenomeno può rinvenirsi nei
misteri eleusini, che furono definitivamente soppressi all'inizio del
VII secolo dell'era cristiana. Essi esprimevano, insieme all'oracolo di
Delfo, l'essenza e lo spirito dell'antica Grecia. Su scala molto
maggiore, la stessa èra cristiana deriva il proprio nome e il proprio
significato dall'antico mistero dell'uomo-dio, che ha le sue radici nel
mito archetipico di Horus-Osiride dell'antico Egitto.
Comunemente si ammette che, durante la preistoria, in alcune
particolari circostanze, le principali idee mitologiche siano state
“inventate” da un intelligente vecchio filosofo o profeta e solo in
seguito siano state trasformate in “fede” da gente credula e priva di
senso critico. Si dice altresì che le storie narrate da sacerdoti in
cerca di prestigio non sono “vere”, ma costituiscono un classico esempio
di come si possa credere vera qualcosa solo perché la si desidera
fortemente. Ma la parola “inventare” deriva dal latino invenire e
significa “trovare”, cioè trovare qualcosa dopo averla “cercata”. In
quest'ultimo caso la parola implica una qualche prescienza di ciò che
siamo rivolti a trovare.
Torniamo un momento a considerare le strane idee contenute nei
sogni della bambina. È estremamente improbabile che essa sia andata a
cercarle deliberatamente dal momento che rimase sorpresa di trovarsi in
loro presenza. Esse le apparvero sotto forma di storie del tutto
peculiari e impreviste, e dotate di sufficiente interesse per essere
date a suo padre come dono di Natale. Così facendo, tuttavia, essa le
inserì nella sfera del tuttora vivo mistero cristiano - cioè l'episodio
della nascita di Nostro Signore, mescolato al segreto dell'albero
sempreverde scintillante della luce del nuovo nato. (Ciò è indicato dal
quinto sogno.)
Benché ci siano numerose testimonianze storiche sulla
relazione simbolica fra il Cristo e il simbolo dell'albero, i genitori
della bambina si sarebbero trovati in un grave imbarazzo se avessero
dovuto spiegare il significato del decorare un albero con candeline
accese per celebrare la natività di Cristo. “Oh, si tratta semplicemente
di una tradizione natalizia!” avrebbero detto. Una risposta seria
richiederebbe una lunga dissertazione intorno all'antico simbolismo del
Dio morente e delle sue relazioni con il culto della Grande Madre e del
simbolo di questa: l'albero - per ricordare solo un aspetto di questo
complesso problema.
Quanto più ci immergiamo nello studio delle origini di una
“immagine collettiva” (o, per esprimersi in linguaggio ecclesiastico, di
un dogma), tanto più ci troviamo a scoprire una serie infinita di
modelli archetipici fra loro connessi che, prima dei tempi moderni, non
sono mai stati oggetto di riflessione consapevole. Perciò,
paradossalmente, noi ci troviamo in condizione di sapere intorno al
simbolismo mitologico molte più cose di qualunque generazione fra quelle
che ci hanno preceduto. Ciò dipende dal fatto che in epoche precedenti
alla nostra gli uomini non riflettevano sui propri simboli, ma si
limitavano a viverli e a essere inconsciamente animati dal loro
significato.
Illustrerò questo punto sulla base di una esperienza da me
compiuta una volta fra i primitivi del monte Elgon in Africa. Ogni
mattina, all'alba, essi escono dalle capanne e alitano o sputano nelle
proprie mani, tendendole poi verso i primi raggi del sole, come se
offrissero il proprio respiro o la propria saliva alla divinità
nascente, il mungu. (Questa parola swahili, da essi usata per spiegare
l'atto rituale, deriva da una radice polinesiana equivalente a mana o
murungu. Termini come questi, o altri simili, designano una “forza” di
straordinaria efficacia e penetrazione, che noi chiameremmo divina. In
altre parole, mungu è per essi l'equivalente di Allah o di Dio.) Quando
domandavo loro quale fosse il significato di questo atto o perché lo
compissero, essi si dimostravano completamente disorientati. Le uniche
cose che riuscissero a dire erano: “Abbiamo sempre fatto così. Tutti
hanno sempre fatto così al sorgere del sole”. L'ovvia conclusione che il
sole è il mungu li faceva ridere. In realtà il sole non è il mungu
quando si è già levato sull'orizzonte; il mungu rappresenta il momento
preciso del sorgere del sole.
Il loro rituale era ovvio per me ma non per loro: essi
sapevano solo ripeterlo senza riflettere alle loro azioni. Di
conseguenza non erano in grado di darsi una spiegazione. Io conclusi che
essi offrivano la loro anima al mungu in quanto l'alito (vitale) e la
saliva significano “sostanza psichica”. L'alito o lo sputo diretti su
qualcosa producono un effetto “magico”, come quando, per esempio, Cristo
usava la saliva per sanare i ciechi, o quando un figlio respira
l'ultimo alito del padre morente per ricevere dentro di sé l'anima
paterna. È del tutto improbabile che questi africani abbiano mai
conosciuto qualcosa di più intorno al significato della loro cerimonia,
neppure nelle epoche più remote. Di fatto, i loro antenati ne sapevano
ancora meno poiché erano molto più inconsapevoli dei loro moventi e
riflettevano ancora meno sulle proprie azioni.
Opportunamente il Faust di Goethe afferma: “Im Anfang war die
Tat [in principio era l'azione]”. Le “azioni” non furono mai inventate,
ma semplicemente compiute; i pensieri, d'altra parte, costituiscono una
scoperta relativamente recente dell'uomo. Dapprima egli era spinto
all'azione da fattori inconsci e solo dopo molto tempo cominciò a
riflettere sulle cause da cui era stato mosso; infine c'è voluto un
periodo di tempo ancora più lungo prima che egli arrivasse all'idea
assurda di essere stato spinto ad agire dai propri impulsi soggettivi -
essendo la sua mente incapace di identificare qualunque altra forza
stimolante al di fuori della propria.
L'idea che una pianta o un animale si inventino da soli ci fa
ridere, eppure molti credono che la psiche o la mente si siano inventate
da sé e che abbiano creato la propria esistenza. In realtà, la mente si
è sviluppata fino alla sua fase attuale di consapevolezza nello stesso
modo in cui la ghianda si viene trasformando in quercia o i sauri sono
diventati progressivamente mammiferi. Essa si è venuta sviluppando per
un lunghissimo arco di tempo e continua tuttora a svilupparsi; noi siamo
perciò sottoposti all'azione sia di forze interiori che di stimoli
esterni.
Questi moventi interiori scaturiscono da una sorgente
profonda, che non è costituita dalla coscienza e resta al di fuori del
suo controllo. Nella mitologia primitiva queste forze erano chiamate
mana, ovvero spiriti, demoni e divinità. Esse sono altrettanto attive
oggigiorno quanto lo sono sempre state in passato. Se si conformano ai
nostri desideri noi attribuiamo loro il significato di sentimenti o
impulsi positivi e ci congratuliamo con noi stessi per essere benvoluti
dalla sorte. Se invece esse ci contrastano, allora diciamo di essere
perseguitati dalla sfortuna, che certa gente ci vuol male o che la causa
delle nostre disgrazie deve essere patologica. L'unica cosa che ci
rifiutiamo di ammettere è di essere in balìa di “forze” che non siano
riducibili al nostro controllo.
È pur vero, d'altra parte, che nei tempi recenti l'uomo
civilizzato ha acquisito una energica forza di volontà che egli applica
nelle più diverse occasioni. Egli ha imparato a svolgere efficacemente
il proprio lavoro senza ricorrere a canti o a tamburi per ipnotizzarsi e
spingersi ad agire. Egli può anche fare a meno della preghiera
quotidiana per invocare l'aiuto divino; egli arriva a fare da solo ciò
che vuole e a tradurre apparentemente le sue idee in azione senza alcun
inciampo, mentre l'uomo primitivo sembra condizionato a ogni passo da
timori, superstizioni e altri ostacoli invisibili che si frappongono fra
lui e l'azione. Il motto “Volere è potere” è la superstizione dell'uomo
moderno.
Eppure l'uomo contemporaneo, pur di mantener viva questa fede,
paga lo scotto di una grave mancanza di introspezione. Egli resta cieco
al fatto che, pur con tutta la sua razionalità e la sua efficienza,
“forze” non controllabili lo tengono ancora in loro balìa. I suoi dèi e i
suoi demoni non sono affatto scomparsi: hanno solo cambiato nome. Essi
lo tengono in uno stato d'agitazione incessante attraverso vaghe
apprensioni, complicazioni psicologiche, un bisogno insaziabile di
pillole, di alcool, di tabacco, di cibo e soprattutto imponendogli un
pesante fardello di nevrosi.
L'anima dell'uomo
La cosiddetta coscienza civilizzata si è
nettamente separata dagli istinti di fondo senza, però, che questi
ultimi siano scomparsi. Essi hanno
semplicemente perduto ogni contatto con la nostra coscienza e perciò
sono costretti ad affermarsi in maniera indiretta. Ciò può
verificarsi per mezzo di sintomi fisici nel caso della nevrosi, o
attraverso inconvenienti di vario tipo, come stati d'animo inspiegabili,
improvvise dimenticanze o errori di linguaggio.
All'uomo piace credere di essere padrone della propria anima.
Ma nella misura in cui egli si dimostra incapace di controllare i propri
stati d'animo e le proprie emozioni, o di prendere coscienza degli
infiniti modi segreti in cui i fattori inconsci arrivano a insinuarsi
nei suoi propositi e nelle sue decisioni, egli non è affatto padrone di
se stesso. Questi fattori inconsci debbono la loro esistenza
all'autonomia degli archetipi. L'uomo moderno cerca di evitare di
prendere coscienza di questa spaccatura della sua personalità istituendo
un sistema di compartimenti stagni. Certi aspetti della sua vita
esteriore e del suo comportamento sono mantenuti, per così dire, in zone
separate e non sono mai messi a confronto fra di loro.
Come esempio di questa cosiddetta psicologia a compartimenti,
ricordo il caso di un alcoolizzato che si era lasciato lodevolmente
influenzare da un certo movimento religioso e, affascinato
dall'entusiasmo di quegli adepti, si era dimenticato di aver bisogno di
bere. Ovviamente si era sparsa la voce che egli era stato
miracolosamente guarito da Gesù e che perciò rappresentava un esempio
vivente della grazia divina e dell'efficacia di quella particolare
organizzazione religiosa. Tuttavia, dopo poche settimane di confessioni
pubbliche, la attrazione per questo avvenimento cominciò a venir meno e
il buon uomo tornò a sentire il bisogno di rifocillarsi con qualche
bicchierino. Così ricominciò a bere. Ma questa volta la solerte
organizzazione concluse che il caso era “patologico” e non suscettibile
di essere invocato a testimonianza di un intervento di Gesù e perciò lo
ricoverarono in una clinica per consentire al medico di ottenere un
risultato migliore di quello conseguito dal Guaritore divino.
Questo è un aspetto della moderna mentalità “culturale” che è
degno di essere esplorato in quanto mostra un grado allarmante di
dissociazione e di confusione psicologica.
Se, per un momento, paragoniamo il genere umano a un
individuo, ci accorgiamo che esso è nelle stesse condizioni di una
persona dominata da forze sconosciute; anche la razza umana si compiace
di isolare alcuni problemi in compartimenti separati. Proprio per questa
ragione noi dobbiamo prestare una grande attenzione a ciò che facciamo,
poiché il genere umano è attualmente minacciato da pericoli mortali da
esso stesso creati e che si ingigantiscono progressivamente sfuggendo al
nostro controllo. Il mondo in cui viviamo è, per così dire, dissociato
allo stesso modo di un nevrotico, e la Cortina di ferro denota questa
simbolica linea di divisione. L'uomo occidentale, divenuto consapevole
dell'aggressiva volontà di potenza dell'Est, si trova costretto ad
apprestare misure di difesa di straordinaria entità, mentre va fiero,
contemporaneamente, della sua virtù e delle sue buone intenzioni.
Ciò che non gli riesce di vedere è il fatto che i suoi stessi
vizi, da esso ammantati di buone maniere internazionali, si vengono
ritorcendo contro di lui dal mondo comunista, in maniera spudorata e
sistematica. Ciò che l'Occidente ha tollerato, ma segretamente e con un
leggero senso di vergogna (cioè la menzogna diplomatica, il tradimento
sistematico, minacce dissimulate), ci viene restituito esplicitamente e
integralmente dall'Oriente e ci inviluppa in nodi nevrotici. È il volto
della sua stessa ombra demoniaca che sogghigna dall'altro versante della
Cortina di ferro in faccia all'uomo occidentale.
È questo stato di cose a spiegare quel particolare sentimento
di impotenza di tante persone delle società occidentali. Esse hanno
cominciato a rendersi conto che le difficoltà contro cui ci dibattiamo
sono essenzialmente problemi morali e che il tentativo di reagire a essi
attraverso una politica di intenso armamento nucleare o di
“competizione” economica è destinato a scarsi risultati poiché si tratta
di un'arma a doppio taglio. Molti di noi ora capiscono che mezzi
mentali e morali sarebbero più efficaci in quanto ci fornirebbero una
immunità psichica contro questa dilagante infezione.
Tuttavia questi tentativi si sono dimostrati tutti
singolarmente inefficaci e tali continueranno a essere fino a che
cercheremo di convincere noi stessi e il resto del mondo che solo essi
(cioè gli avversari) hanno torto. Sarebbe molto più produttivo compiere
un serio tentativo di prendere coscienza dell'ombra della nostra civiltà
e dei suoi terribili misfatti. Se potessimo vedere la
nostra ombra (cioè il lato oscuro della nostra natura), riusciremmo a
immunizzarci da qualsiasi infezione e penetrazione sia morale che
mentale. Allo stato attuale delle cose, noi ci rendiamo invece
disponibili per ogni infezione poiché ci comportiamo praticamente nello
stesso modo in cui essi agiscono. Solo che a nostro ulteriore
svantaggio c'è il fatto di non vedere né di voler capire ciò che noi
stessi veniamo facendo con le nostre mani, mascherandoci sotto il manto
delle buone maniere.
CONTINUA - II PARTE -
Testo tratto da:
http://www.nilalienum.it/Sezioni/Freud/Materiali%20bibliografici/Jung/JungUSS.html
CONTINUA - II PARTE -
Testo tratto da:
http://www.nilalienum.it/Sezioni/Freud/Materiali%20bibliografici/Jung/JungUSS.html
Nessun commento:
Posta un commento