martedì 7 ottobre 2014

L’Uomo e i suoi simboli - Carl Gustav Jung - I PARTE -


L’Uomo e i suoi simboli 

Carl Gustav Jung 

(e Marie-Luoise von Franz, Joseph L. Henderson, J. Jacobi, A. Jaffé)

Longanesi, Milano 1980 (ed. orig. 1967) 
Introduzione all’inconscio 
L'importanza dei sogni
L'uomo usa la parola parlata o scritta per esprimere il significato di quello che egli vuole comunicare. Il suo linguaggio è pieno di simboli, ma egli spesso fa uso anche di segni o di immagini che non sono descrittivi in senso stretto. Alcuni sono semplici abbreviazioni o successioni di iniziali, come ONU, Unicef, o UNESCO; altri sono familiari marchi di fabbrica, nomi di specialità medicinali, simboli o insegne. Sebbene siano in se stessi privi di significato, essi hanno acquistato un significato riconoscibile attraverso l'uso comune o per un intento convenzionale. Tutti questi non sono simboli. Essi sono segni e non hanno altro compito che quello di denotare gli oggetti a cui sono riferiti.
Ciò che noi chiamiamo simbolo è un termine, un nome, o anche una rappresentazione che può essere familiare nella vita di tutti i giorni e che tuttavia possiede connotati specifici oltre al suo significato ovvio e convenzionale. Esso implica qualcosa di vago, di sconosciuto o di inaccessibile per noi. Per esempio, molti monumenti cretesi sono contraddistinti dal disegno della doppia ascia. Si tratta di un oggetto che ci è familiare ma di cui non conosciamo le implicazioni simboliche. Per fare un altro esempio, prendiamo il caso di quell'indiano che, dopo aver visitato l'Inghilterra, tornato in patria raccontò ai suoi amici che gli Inglesi venerano gli animali dal momento che egli aveva trovato aquile, leoni e buoi nelle vecchie chiese che aveva visitato. Egli non sapeva, né lo sanno molti cristiani, che questi animali simboleggiano gli Evangelisti e derivano dalla visione di Ezechiele e che questa, a sua volta, ha un'analogia con la divinità egiziana del sole, Horus, e i suoi quattro figli. Ci sono poi altri oggetti, come la ruota e la croce, che sono conosciuti in tutto il mondo e che tuttavia hanno un significato simbolico in certe particolari condizioni. Ciò che essi simboleggino di preciso è ancora materia di controversia.
Perciò una parola o un'immagine è simbolica quando implica qualcosa che sta al di là del suo significato ovvio e immediato. Essa possiede un aspetto più ampio, «inconscio», che non è mai definito con precisione o compiutamente spiegato. Né si può sperare di definirlo o spiegarlo. Quando la mente esplora il simbolo, essa viene portata a contatto con idee che stanno al di là delle capacità razionali. La ruota può condurre i nostri pensieri al concetto di un sole «divino», ma a questo punto la ragione deve ammettere la propria incompetenza: l'uomo è incapace di definire un essere “divino”. Quando, con tutte le nostre limitazioni intellettuali, noi chiamiamo qualcosa “divino”, non abbiamo fatto altro che attribuirgli un nome che al massimo può esser fondato sopra un credo, non su prove di fatto.
Poiché ci sono innumerevoli cose che oltrepassano l'orizzonte della comprensione umana, noi ricorriamo costantemente all'uso di termini simbolici per rappresentare concetti che ci è impossibile definire o comprendere completamente. Questa è una delle ragioni per cui tutte le religioni impiegano un linguaggio simbolico o delle immagini. Tuttavia questo uso consapevole dei simboli è soltanto un aspetto di un fatto psicologico di grande importanza: anche l'uomo produce simboli inconsciamente e spontaneamente sotto forma di sogni.
Non è facile afferrare questo punto, ma è necessario arrivare a farlo se vogliamo conoscere qualcosa di più sul modo in cui opera la mente umana. Se riflettiamo un momento ci rendiamo subito conto che l'uomo non percepisce o comprende mai nulla completamente. Egli può vedere, udire, toccare e gustare, ma la capacità della sua vista e del suo udito, come pure ciò che gli viene rivelato dal tatto o dal gusto, tutto dipende dal numero e dalla qualità dei suoi sensi. Questi limitano la sua percezione del mondo che lo circonda. Usando strumenti scientifici egli può compensare in parte le deficienze dei propri sensi. Per esempio egli può estendere il suo campo visivo ricorrendo al binocolo o il suo campo uditivo attraverso l'amplificazione elettrica; tuttavia anche i più complessi apparati non possono far di più che trasportare oggetti distanti o di piccole dimensioni nel suo campo visivo o rendere più udibili suoni deboli. A prescindere dagli strumenti da lui usati, a un certo punto l'uomo raggiunge un limite di certezza al di là del quale la sua conoscenza non può procedere.
Ci sono, poi, aspetti inconsci della nostra percezione della realtà. Il primo è costituito dal fatto che anche quando i nostri sensi reagiscono a fenomeni reali, a visioni, a suoni, essi vengono in qualche modo tradotti dal piano della realtà a quello della mente. Qui essi diventano eventi psichici la cui sostanziale natura è inconoscibile, in quanto la psiche non può conoscere la propria sostanza psichica. In tal modo ogni esperienza contiene un numero infinito di fattori sconosciuti, per non dire del fatto che ogni oggetto concreto è sempre sconosciuto sotto certi aspetti dal momento che non siamo in grado di conoscere la natura sostanziale della materia in sé.
Perciò esistono certi eventi che noi non abbiamo registrato consapevolmente: essi sono rimasti, per così dire, al di sotto della soglia della coscienza. Essi sono accaduti ma sono stati assorbiti subliminalmente senza la partecipazione della nostra conoscenza consapevole. Noi possiamo prender coscienza di questi avvenimenti solo in un momento di intuizione o tramite un processo profondo di pensiero che ci porti in un secondo momento alla consapevolezza del fatto che essi debbono essersi necessariamente realizzati. E benché si possa averne inizialmente ignorata l'importanza emotiva e vitale, essa riaffiora dall'inconscio come una specie di fenomeno riflesso.
Essa può apparire, ad esempio, sotto forma di un sogno. Di regola, l'aspetto inconscio di ogni evento si rivela a noi nei sogni, dove esso appare non come pensiero razionale ma sotto forma di immagine simbolica. Storicamente è stato lo studio dei sogni a porre gli psicologi in condizione di investigare l'aspetto inconscio degli eventi psichici manifestantisi al livello della coscienza.
È sulla base di questa evidenza che gli psicologi suppongono l'esistenza di una psiche inconscia, sebbene molti scienziati e filosofi neghino la sua esistenza. Essi argomentano ingenuamente che una posizione di questo tipo implica l'esistenza di due “soggetti”, o, per dirla in linguaggio comune, di due personalità all'interno dello stesso individuo. Ma è proprio questa la sua precisa implicazione ed è una delle più drammatiche caratteristiche dell'uomo moderno il fatto che egli soffra di questa divisione della propria personalità. Non si tratta assolutamente di un sintomo patologico: è un fatto perfettamente normale che può essere osservato ovunque e in ogni tempo. Non accade solo al nevrotico che la propria mano destra non sappia che cosa fa la sinistra. Questa drammatica situazione è un sintomo della condizione generale di incoscienza che costituisce l'innegabile eredità comune di tutto il genere umano.
L'uomo ha sviluppato la coscienza con lentezza e laboriosamente in un processo che condusse dopo numerosissimi secoli allo stadio della civiltà (che arbitrariamente viene fatta risalire all'invenzione della scrittura intorno al 4000 a.C.). Questa evoluzione è tutt'altro che completa dal momento che larghe zone della mente umana sono ancora avvolte dall'oscurità. Ciò che noi chiamiamo “psiche” non corrisponde affatto alla coscienza e ai suoi contenuti.
Chiunque neghi l'esistenza dell'inconscio suppone di fatto che la nostra attuale conoscenza della psiche sia totale. Questa opinione è altrettanto falsa quanto la supposizione che noi si conosca ormai tutto ciò che c'è da conoscere dell'universo naturale. La nostra psiche è parte della natura e i suoi enigmi sono infiniti. Ci è pertanto impossibile definire sia la psiche che la natura: noi possiamo dire solo ciò che esse sono per noi e descrivere, come meglio possiamo, il loro funzionamento. Di conseguenza, a prescindere dall'evidenza accumulata dalla ricerca medica, sussistono notevoli fondamenti logici per respingere affermazioni come quelle secondo cui “l'inconscio non esiste”. Coloro che fanno simili affermazioni denunciano un antiquato “misoneismo”, cioè la paura del nuovo e dello sconosciuto.
Ci sono ragioni storiche che giustificano questa resistenza all'idea di una parte sconosciuta della psiche umana. La coscienza è una recentissima acquisizione della natura ed è tuttora nella sua fase “sperimentale”. Essa è fragile, sottoposta alla minaccia di rischi specifici e facilmente danneggiabile. Come hanno osservato gli antropologi, una delle più comuni forme di alienazione mentale che si manifesta fra i popoli primitivi è quella che essi chiamano “la perdita dell'anima”: ciò significa, come indica il nome, una notevole spaccatura (o, più tecnicamente, una dissociazione) della coscienza.
Fra questi popoli, in cui la coscienza si trova a un livello di sviluppo diverso dal nostro, l'“anima” (o psiche) non è concepita come un'unità. Molti primitivi sostengono che l'uomo possiede un'“anima della foresta” oltre alla propria e chequest'anima è incarnata in un animale selvaggio o in un albero, con i quali l'individuo umano ha una specie di identità psichica. Questo è il fenomeno che il celebre etnologo francese Lucien Lévy-Brùhl ha* definito “partecipazione mistica”. Successivamente egli ha eliminato questo termine sotto la pressione di una critica avversa, ma ritengo che i suoi critici fossero in errore. È risaputo che, dal punto di vista psicologico, l'individuo può possedere una identità inconscia di questo tipo con qualche altra persona od oggetto.
Questa identità assume varie forme differenti tra i primitivi. Se l'anima della foresta è quella di un animale, questo viene considerato come una specie di fratello dell'uomo. L'uomo che sia fratello di un coccodrillo, per esempio, viene considerato immune dagli assalti dei coccodrilli quando nuota in un fiume. Se l'anima della foresta è un albero, si suppone che questo possegga una specie di autorità paterna sull'individuo in questione. In entrambi i casi un'offesa recata all'anima della foresta viene interpretata come un'offesa rivolta all'uomo.
In alcune tribù si suppone che l'uomo possegga numerose anime; tale opinione esprime il sentimento di alcuni individui primitivi, secondo il quale ognuno di essi è composto di diverse unità fra loro collegate, ma singolarmente distinte. Ciò significa che la psiche dell'individuo è tutt'altro che una unità perfettamente sintetica; al contrario essa rischia di frantumarsi anche troppo facilmente sotto l'urto di emozioni violente.
Mentre da una parte questa situazione ci è divenuta ormai familiare per gli studi antropologici, dall'altra non manca di esercitare tuttora il suo peso nella nostra avanzata civiltà, contro ogni supposizione. Anche noi possiamo subire una dissociazione e perdere la nostra identità. Possiamo esser posseduti e alterati dagli stati d'animo o diventare irragionevoli e incapaci di ricordare fatti importanti relativi a noi stessi o ad altre persone. A questo punto la gente ci domanda: “che diavolo stai combinando?” Spendiamo parole intorno all'autocontrollo, ma si tratta di una qualità rara ed eccezionale; possiamo pensare di tenerci sotto controllo e tuttavia un amico può dirci facilmente alcune cose sul nostro conto che noi non conosciamo minimamente.
Senza dubbio la coscienza umana non ha raggiunto, neppure a quello che noi chiamiamo un alto livello di civiltà, un grado ragionevole di continuità. Essa è ancora vulnerabile e suscettibile di sgretolarsi. In effetti questa capacità di isolare singole parti della propria mente è una caratteristica notevole: essa ci mette in grado di concentrarci volta a volta su una singola cosa, escludendo qualunque altra cosa che possa attirare la nostra attenzione. Tuttavia c'è una profonda differenza fra l'atto di prendere consapevolmente la decisione di espungere e sopprimere temporaneamente una parte della nostra psiche e la condizione in cui ciò avviene spontaneamente, senza la partecipazione della nostra conoscenza e della nostra volontà e magari contro le nostre stesse intenzioni. Il primo è un prodotto della civiltà, la seconda è una “perdita dell'anima” al livello primitivo o la causa patologica di una nevrosi.
Perciò anche ai nostri giorni l'unità della coscienza è un fatto incerto: essa può essere spezzata anche troppo facilmente. La capacità di controllare le proprie emozioni, se è una qualità desiderabile da un certo punto di vista, dall'altro può rappresentare un risultato discutibile nella misura in cui viene a togliere ai rapporti sociali ogni varietà, colore, o calore umano.
È in questa prospettiva che noi dobbiamo riprendere in considerazione l'importanza dei sogni, di queste fantasie inconsistenti, evasive, incerte e vaghe. Per spiegare il mio punto di vista descriverò il modo in cui esso si è venuto elaborando in me per un lungo arco di anni e in che modo sono stato portato a concludere che i sogni costituiscono la fonte più frequente e universalmente accessibile per lo studio della facoltà di simbolizzazione dell'uomo.
Sigmund Freud è stato il pioniere che per primo ha tentato di esplorare il fondo inconscio della coscienza. Egli si basava sul presupposto generale che i sogni non sono eventi casuali, ma fatti strettamente associati ai pensieri e ai problemi del conscio. Questa supposizione non era del tutto arbitraria ed era fondata sulle conclusioni di eminenti neurologi (per esempio di Pierre lanet), secondo le quali i sintomi nevrotici sono collegati con qualche esperienza cosciente. Essi risultano essere aree distaccate della mente conscia che, in tempi e condizioni diverse, possono apparire nel conscio.
Prima dell'inizio del secolo, Freud e Joseph Breuer erano arrivati alla conclusione che i sintomi nevrotici - l'isteria, certi tipi di sofferenza e comportamento anormale - sono effettivamente significativi dal punto di vista simbolico. Si tratta di un modo nel quale la mente inconscia riesce a esprimersi, così come può avvenire nei sogni, che sono altrettanto simbolici. Per esempio, un paziente che si trovi di fronte a una situazione intollerabile può manifestare uno spasmo ogni qualvolta cerca di deglutire: egli “non può mandarlo giù”. In condizioni simili di tensione psicologica, un altro paziente ha un attacco di asma: egli “non può respirare l'atmosfera di casa”. Un altro soffre di una particolare paralisi alle gambe: egli non può camminare, cioè “non ce la fa più ad andare avanti”. Un altro ancora, che vomita quando mangia, “non può digerire” qualche fatto spiacevole. Potrei citare molti esempi di questo tipo, ma tali reazioni fisiche sono solo un modo attraverso il quale i problemi che ci travagliano inconsciamente possono trovare espressione. Più spesso essi si manifestano nei sogni.
Qualunque psicologo che abbia ascoltato numerose descrizioni di sogni sa bene che i simboli onirici hanno una varietà di gran lunga superiore a quella dei sintomi fisici della nevrosi. Essi sono spesso costituiti da elaborate e pittoresche fantasie. Ma se l'analista che si trova di fronte a questo materiale di sogni ricorre alla tecnica freudiana della “libera associazione”, egli trova che i sogni possono essere conclusivamente ridotti a certi modelli fondamentali. Questa tecnica ha svolto un ruolo importante nello sviluppo della psicoanalisi, poiché permise a Freud di utilizzare i sogni come il punto di partenza da cui intraprendere l'esplorazione del problema inconscio espresso dal paziente.
Freud fece la semplice ma penetrante osservazione che se colui che sogna viene incoraggiato a proseguire il suo racconto sulle immagini apparsegli in sogno e sui pensieri che queste suscitano nella sua mente, egli rivelerà esplicitamente la radice inconsapevole dei suoi disturbi, sia in ciò che dice sia in ciò che omette deliberatamente. Le sue idee possono apparire irrazionali e irrilevanti, ma in breve diventa relativamente facile scoprire che cosa egli cerca di evitare e afferrare il pensiero o l'esperienza spiacevole che egli sopprime. Non importa il modo in cui egli cerca di camuffare tutto questo: qualunque cosa egli dica essa si riferisce alle ragioni profonde della sua condizione. Un medico è talmente abituato a cogliere gli aspetti più reconditi della vita che raramente non colpisce nel vero quando interpreta gli elementi che il paziente manifesta come segni di una coscienza turbata. Sfortunatamente ciò che egli arriva a scoprire conferma le sue previsioni. In questi termini nessuno può opporsi alla teoria freudiana della rimozione e limitarsi a considerare il simbolismo dei sogni come un effetto di appagamento.
Freud attribuì una particolare importanza ai sogni, considerandoli come il punto di partenza di un processo di “libera associazione”. Tuttavia, dopo un po' di tempo, cominciai a rendermi conto che questa era una utilizzazione erronea e inadeguata delle ricche fantasie che l'inconscio produce durante il sonno. Cominciai ad avere dei dubbi quando un collega mi disse di un'esperienza che egli aveva avuto durante un lungo viaggio in treno fatto in Russia. Benché egli non conoscesse la lingua e non sapesse neppure decifrare la scrittura cirillica, si trovò a fantasticare sulle strane lettere in cui erano scritti gli avvisi ferroviari e piombò in una rêverie durante la quale egli immaginava ogni sorta di significati.
Passando spontaneamente da un'idea all'altra, in questo stato d'animo rilassato, egli si accorse che questo tipo di “libera associazione” gli aveva ridestato molti vecchi ricordi. Fra questi egli trovò con disappunto alcuni avvenimenti da lungo tempo sepolti nella memoria: tutte cose che aveva voluto dimenticare e che di fatto aveva dimenticato consciamente. Egli era arrivato a ciò che gli psicologi chiamano “complessi”, cioè a temi emotivamente rimossi, che possono provocare continui disturbi psicologici e, in molti casi, persino i sintomi di una nevrosi.
Questo episodio mi rivelò che non era necessario usare il sogno come punto di partenza del processo di “libera associazione” per scoprire i complessi di un paziente. Esso mi dimostrò che si può arrivare al centro partendo da qualsiasi punto della circonferenza. Si poteva partire da alcune lettere cirilliche, da meditazioni su una sfera di cristallo, una “ruota di preghiera” o un dipinto moderno o anche prendendo le mosse da una conversazione casuale su qualche banale avvenimento. In questo senso il sogno non era più utile di qualsiasi altro possibile punto di partenza. Tuttavia, i sogni hanno un significato particolare, sebbene nascano spesso da un turbamento emotivo in cui sono coinvolti anche i complessi abituali. (I complessi abituali sono i punti deboli della psiche che reagiscono nel modo più rapido a uno stimolo esterno o a un disturbo.) È per questo motivo che la libera associazione può condurre dai sogni, qualunque essi siano, al segreto profondo dei pensieri.
A questo punto, tuttavia, riflettei che, se ero nel giusto, si poteva ragionevolmente dedurre che i sogni avessero qualche funzione speciale e più significativa. Molto spesso i sogni hanno una struttura definita, evidentemente intenzionale, che esprime un'idea recondita o un'intenzione, benché quest'ultima, di regola, non sia immediatamente comprensibile. Cominciai perciò a riflettere sull'opportunità di prestare una maggiore attenzione alla forma e al contenuto attuali del sogno, piuttosto che permettere alla “libera” associazione di sviarci, attraverso una catena di idee, verso i complessi che potevano essere facilmente raggiunti con altri mezzi.
Questa riflessione segnò un momento decisivo nello sviluppo della mia psicologia. Ciò significava che gradualmente io mi venivo distaccando dalle associazioni concatenate ritenendo che esse fuorviassero dal contesto del sogno. Io preferivo concentrarmi sul sogno piuttosto che sulle associazioni, ritenendo che il primo esprimesse qualcosa di specifico che l'inconscio tentava di manifestare.
Cambiando la mia interpretazione dei sogni dovetti cambiare anche il metodo: la nuova tecnica da me elaborata poteva prendere in considerazione tutti i vari aspetti del sogno. Una storia narrata dalla mente conscia ha un suo inizio, uno sviluppo e una conclusione, mentre la stessa cosa non è vera per il sogno. Le sue dimensioni spaziali e temporali sono assai diverse: per comprenderlo dobbiamo esaminarlo in tutti i suoi aspetti, così come siamo indotti a fare con un oggetto sconosciuto che, una volta pervenuto nelle nostre mani, viene da noi girato e rigirato fino a che ogni suo minimo dettaglio non ci è divenuto familiare.
A questo punto risulterà probabilmente chiaro il modo in cui io venni progressivamente distaccandomi dalla “libera” associazione, nel senso che Freud le aveva inizialmente attribuito. Il mio scopo era quello di avvicinarmi quanto più possibile al sogno in sé escludendo tutte quelle idee e associazioni superflue che esso poteva evocare. Ciò poteva condurre ai complessi del paziente, ma il mio scopo mirava al di là della scoperta dei semplici complessi responsabili dei disturbi nevrotici. Ci sono molti altri metodi per identificarli: ad esempio lo psicologo può rinvenire tutti i sintomi di cui ha bisogno per mezzo dei test di associazione di parole (cioè chiedendo al paziente che cosa egli è portato ad associare a determinate serie di parole e studiando le sue risposte). Tuttavia, per arrivare a conoscere e comprendere il processo psichico che è proprio dell'intera personalità individuale, è importante rendersi conto che i sogni dell'individuo e le loro rispettive immagini simboliche possono avere una funzione molto più importante di quella loro abitualmente attribuita.
Quasi tutti sanno, ad esempio, che l'atto sessuale può essere simboleggiato (o allegoricamente rappresentato) da una enorme varietà di immagini. Ciascuna di queste immagini può condurre, attraverso un processo associativo, all'idea del rapporto sessuale e ai complessi specifici che ciascun individuo può possedere nei riguardi dei propri atteggiamenti sessuali. Tuttavia è possibile che l'individuo possa mettere in evidenza tali complessi per mezzo di alcune riflessioni su un gruppo di lettere russe indecifrabili, lo fui perciò indotto a ritenere che il sogno può contenere qualche messaggio diverso da quelli dell'allegoria sessuale e che ciò possa avvenire per ben precise ragioni. Cerchiamo di illustrare questo punto.
Un uomo può sognare di infilare la chiave in una serratura, di brandire un pesante bastone, o di abbattere una porta a colpi di ariete. Ciascuna di queste immagini può essere considerata un'allegoria sessuale: tuttavia, il fatto che l'inconscio abbia scelto per esprimersi una di queste immagini specifiche - si tratti della chiave, del bastone, oppure dell'ariete - ha un significato di gran lunga più importante. Il problema è quello di capire perché la chiave sia stata preferita al bastone, o il bastone all'ariete. In alcuni casi ciò può portare a scoprire che il punto centrale della rappresentazione non è l'atto sessuale ma qualcos'altro di diversa portata psicologica.
Seguendo questo corso di ragionamenti arrivai alla conclusione che per interpretare il sogno si deve utilizzare solo il materiale di esso che è chiaramente e visibilmente disponibile.
Il sogno ha i suoi limiti: la sua stessa costruzione ci dice che cosa gli appartiene e che cosa non gli appartiene di fatto. Mentre la “libera” associazione distoglie dallo studio del materiale secondo una linea a zigzag, il metodo da me elaborato assomiglia di più a un'indagine circolare il cui centro è rappresentato dall'immagine del sogno. Io lavoro intorno a queste immagini e trascuro qualsiasi tentativo che l'autore del sogno compia per distogliersene. Progressivamente, a varie riprese, durante il mio lavoro professionale ho dovuto ripetere la frase: “Torniamo al vostro sogno. Che cosa diceva il vostro sogno?”
Ad esempio un mio paziente sognò una donna dall'aspetto volgare, ubriaca e scarmigliata. Nel sogno questa donna era identificata con la moglie, benché nella vita reale quest'ultima fosse del tutto diversa. In apparenza, quindi, il sogno era del tutto falso e il paziente lo rifiutava come una sciocca fantasticheria. Se io, come medico, gli avessi consentito di seguire un processo associativo, egli avrebbe inevitabilmente tentato di tirarsi il più lontano possibile dalla spiacevole suggestione del sogno. In tal caso egli sarebbe approdato a uno dei suoi complessi fondamentali - un complesso che probabilmente non avrebbe avuto nulla a che fare con sua moglie - e io non avrei appreso nulla intorno al significato particolare del sogno.
Qual era perciò il significato riposto di questo inconscio tentativo? Evidentemente esso esprimeva in qualche modo l'idea di una femmina degenerata, che era intimamente connessa con la vita dell'individuo; ma poiché la proiezione di quest'immagine sulla persona della moglie era ingiustificata e falsa in maniera palese, io dovevo cercare altrove il significato di questa immagine repellente.
Nel Medioevo, molto tempo prima che i fisiologi dimostrassero che, a causa della nostra struttura ghiandolare, noi possediamo elementi sia maschili che femminili, si diceva che “ciascun uomo porta una donna dentro di sé”. È questo elemento femminile presente in ciascun maschio che io ho definito “anima”.
Questo aspetto “femminile” costituisce essenzialmente una specie di rapporto inferiore verso l'ambiente circostante, e in particolare verso le donne, che viene mantenuto accuratamente nascosto sia agli altri che al soggetto medesimo. In altre parole, benché la personalità dell'individuo si mostri apparentemente normale, essa può tentare di nascondere agli altri - o addirittura al soggetto stesso - la deplorevole “presenza della donna nell'individuo”.
Questo era il caso del paziente in esame: il suo lato femminile non era gradevole. Il suo sogno sostanzialmente esprimeva quanto segue: “Sotto certi aspetti ti comporti come una femmina degenerata”, e di conseguenza il soggetto subiva una violenta emozione. (Naturalmente un esempio di questo tipo non deve essere preso come prova di qualche specie di imperativo “morale” inconscio. Il sogno non suggeriva al paziente di “comportarsi meglio”, ma cercava semplicemente di controbilanciare il lato squilibrato della mente conscia secondo il quale il paziente era fittiziamente un perfetto gentiluomo.)
È facile capire per quale ragione coloro che sognano tendono a ignorare o perfino a negare il messaggio dei loro sogni. Naturalmente la coscienza si oppone a tutto ciò che di inconscio e di sconosciuto può esistere. Ho già sottolineato il fatto che presso i popoli primitivi esiste un profondo e superstizioso timore delle cose nuove, ciò che gli antropologi definiscono “misoneismo”. I primitivi manifestano contro gli eventi sfavorevoli reazioni simili a quelle degli animali selvaggi. L'uomo “civile” reagisce verso le idee nuove più o meno nello stesso modo, erigendo barriere psicologiche capaci di proteggerlo dall'emozione di fronteggiare realtà insolite. Ciò può essere facilmente osservato nelle reazioni che qualunque individuo esprime nei riguardi dei propri sogni quando si trova costretto ad ammettere un pensiero particolarmente fastidioso. Molti precursori nel campo della filosofia, della scienza e della letteratura sono stati vittime dell'innato conservatorismo dei loro contemporanei. La psicologia è una delle scienze più giovani: poiché cerca di affrontare il problema dell'inconscio essa si è trovata inevitabilmente di fronte a una fortissima reazione misoneistica.
Passato e futuro nell'inconscio
Fino a questo punto son venuto delineando alcuni principi sulla base dei quali io affrontai il problema dei sogni: si tratta di una questione importante poiché, quando intendiamo indagare sulla facoltà simboleggiatrice dell'uomo, i sogni mostrano di essere il materiale fondamentale e più accessibile per questo tipo di ricerca.
Nell'interpretazione dei sogni i due punti principali sono i seguenti: prima di tutto il sogno deve essere considerato come un fatto intorno al quale non è lecito elaborare alcuna tesi preconcetta tranne quella che esso rivela qualche verità; in secondo luogo, il sogno costituisce essenzialmente un modo di espressione dell'inconscio.
Sarebbe difficile limitare ulteriormente la portata di questi principi. Per quanto possa essere limitata la valutazione della funzione positiva dell'inconscio, è necessario ammettere che esso è degno di essere esplorato; l'inconscio si trova per lo meno sul piano del pidocchio che, dopo tutto, costituisce il legittimo motivo di interesse per lo studio dell'entomologo. Se c'è chi ritiene, sulla base di una scarsa esperienza e di una limitata conoscenza, che i sogni siano semplicemente dei fatti casuali e caotici senza alcun significato, egli ha pieno diritto di pensare come vuole. Ma se si ammette che essi siano eventi normali (come, di fatto, è vero), si è costretti a ritenere che essi siano o causali cioè che posseggano qualche causa razionale a giustificazione della loro esistenza oppure intenzionali, o entrambe le cose insieme.
Soffermiamoci un po' a considerare in che modo i contenuti consci e inconsci della mente si connettono reciprocamente. Prendiamo un esempio familiare a tutti: all'improvviso siete incapaci di ricordare ciò che avevate intenzione di dire, mentre un momento fa il pensiero vi era perfettamente chiaro. Oppure, per prendere un altro caso, state per presentare un amico, e il suo nome vi sfugge proprio nel momento di pronunciarlo. Voi dite che non ce la fate a ricordarlo, ma di fatto il pensiero è divenuto inconscio o, almeno momentaneamente. si è scisso dalla coscienza. Lo stesso fenomeno si verifica al livello dei sensi. Se ascoltiamo una nota continua alla soglia dell'udibilità, il suono sembra interrompersi a intervalli regolari per poi riprendere normalmente. Tali oscillazioni sono dovute a una diminuzione e a un aumento periodici della nostra attenzione, non a qualche cambiamento dell'intensità della nota.
Quando qualcosa esce dal campo della nostra coscienza, essa non cessa di esistere, allo stesso modo che un'auto scomparsa dietro l'angolo della via non è scomparsa nell'aria: essa è semplicemente inaccessibile alla nostra vista. Perciò, come è probabile che si possa di nuovo vedere quella stessa automobile, così possiamo incontrarci di nuovo con quei pensieri che temporaneamente sono venuti a mancare nella nostra mente.
In altri termini, una parte dell'inconscio è composta di una moltitudine di pensieri, impressioni e immagini, temporaneamente oscurati che, lungi dall'esser venuti meno completamente in noi, continuano a influenzare la nostra mente conscia.
Una persona distratta o “con la testa fra le nuvole” attraversa la stanza per prendere qualcosa. A un tratto si ferma, perplessa: ha dimenticato ciò che andava a prendere. Le sue mani tastano gli oggetti disposti sul tavolo, come farebbe un sonnambulo: l'individuo si è dimenticato il suo scopo originario, eppure continua a essere inconsciamente guidato da esso. In un secondo tempo si ricorda ciò che voleva: il suo inconscio glielo ha suggerito.
Se osserviamo il comportamento di un nevrotico vediamo che egli compie un certo numero di azioni e sembra che faccia tutto in maniera cosciente e intenzionale. Tuttavia se andiamo a chiedergliene la ragione scopriremo che è inconscio di esse o che ha qualcosa di molto diverso nella mente. Egli ascolta ma non ode, vede eppure è cieco, sa e tuttavia è ignorante. Gli esempi di questo tipo sono così comuni che lo specialista si rende subito conto del fatto che i contenuti inconsci della mente si comportano come se fossero coscienti e che in questi casi non si può mai essere certi se il pensiero, il linguaggio o l'azione siano coscienti o meno.
È sulla base di questo tipo di comportamento che molti medici respingono le affermazioni dei pazienti isterici come palesi menzogne. Certamente queste persone dicono molte più cose false di noi, ma il termine “menzogna” non è di uso appropriato in casi del genere. In realtà il loro stato mentale provoca un'incertezza di comportamento, poiché la loro coscienza è soggetta a eclissi imprevedibili provocate dall'interferenza dell'inconscio. Anche le loro sensazioni cutanee possono rivelare simili fluttuazioni di consapevolezza. In un determinato momento la persona isterica può avvertire una puntura d'ago nel braccio e un attimo dopo lo stesso fatto può passarle inosservato. Se la sua attenzione si appunta totalmente su un certo oggetto, tutto l'organismo può essere completamente anestetizzato, fino a che la tensione responsabile di questo annebbiamento dei sensi non si è rilassata. A questo punto la percezione si ricostituisce subito: tuttavia, per tutto il tempo precedente, l'individuo è stato inconsciamente consapevole di ciò che stava accadendo.
Il medico può osservare con estrema chiarezza tale processo quando ipnotizza un paziente del genere sopra descritto. È facile dimostrare che questi ha mantenuto una piena consapevolezza di ciascun dettaglio. La puntura d'ago nel braccio o l'osservazione fatta durante un'eclissi della coscienza possono essere accuratamente richiamate alla mente come se non ci fosse stata alcuna anestesia o “dimenticanza”. Ricordo una donna che venne un giorno ricoverata in clinica in preda a uno stato totale d'incoscienza. Il giorno dopo, allorché riprese coscienza, essa mostrò di conoscere la propria identità, ma non sapeva dove era, come o perché vi era capitata e neppure la data. Tuttavia, dopo che io l'ebbi ipnotizzata, essa mi raccontò le cause della sua malattia, il modo in cui era stata condotta alla clinica e chi l'aveva ricoverata. Tutti questi dettagli poterono essere verificati. Essa fu persino in grado di dirmi l'ora del suo ricovero poiché aveva veduto un orologio nell'atrio della clinica. In stato ipnotico la sua memoria era chiara come se non avesse mai cessato di essere conscia.
Affrontando argomenti di questo tipo, dobbiamo di solito fondarci sulle testimonianze fornite dalle osservazioni cliniche. Per questo motivo molti critici sostengono che l'inconscio e tutte le sottili manifestazioni a esso collegate appartengono unicamente alla sfera della psicopatologia. Essi considerano ogni espressione dell'inconscio come qualcosa di nevrotico o di psicotico che non ha nulla a che fare con il normale stato della mente. Tuttavia i fenomeni nevrotici non sono assolutamente prodotti esclusivi di disturbi: essi non costituiscono di fatto altro che delle esagerazioni patologiche di eventi normali e solo in grazia di questo essi risultano più evidenti dei loro corrispondenti stati normali. Sintomi isterici possono essere osservati in tutte le persone normali, ma essi sono così leggeri che di solito passano inosservati.
Ad esempio l'oblio è un processo normale nel corso del quale alcune idee consce vengono perdendo la loro specifica energia in seguito a uno spostamento della tensione su qualche oggetto diverso. Quando l'interesse si volge altrove, esso lascia in ombra le cose cui era precedentemente riferito, nello stesso modo in cui un riflettore va a illuminare un'area nuova lasciandone un'altra al buio. Tutto ciò è inevitabile, poiché la coscienza può mantenere in piena luce solo poche immagini contemporaneamente e anche questa luce è tutt'altro che uniforme.
Tuttavia le idee dimenticate non hanno cessato di esistere. Benché esse non possano venir riprodotte volontariamente, tuttavia sussistono a un livello subliminale - al di sotto della soglia della memoria - dal quale possono spontaneamente risorgere in ogni momento, spesso dopo molti anni di oblio apparentemente totale.
Io mi riferisco qui a cose consciamente viste o udite e successivamente dimenticate. Tuttavia, tutti noi vediamo, ascoltiamo, odoriamo e gustiamo molte cose senza prestar loro attenzione immediata, sia perché la nostra attenzione è sviata, sia perché lo stimolo che arriva ai nostri sensi è troppo leggero per lasciare un'impressione cosciente. In ogni modo, però, l'inconscio ha preso nota di tutto e queste percezioni sensoriali al livello subliminale svolgono un ruolo importante nella nostra vita di tutti i giorni. Senza che noi ce ne rendiamo conto, esse influenzano il nostro modo di reagire sia verso gli eventi che verso le persone.
Rinvenni un esempio particolarmente illuminante di questo fenomeno nel caso di un professore che aveva fatto una passeggiata in campagna con uno dei suoi allievi, tutto assorto in una impegnativa conversazione. Improvvisamente egli notò che i suoi pensieri venivano interrotti da un imprevisto flusso di ricordi della sua prima infanzia. Non riusciva a spiegarsi questa distrazione: nulla di ciò che era stato detto nella conversazione sembrava avere alcun rapporto con tali memorie. Voltandosi indietro egli si accorse di esser passato davanti a una fattoria proprio nel momento in cui il primo di questi ricordi dell'infanzia era affiorato nella sua mente. Egli propose all'allievo di tornare indietro fino al punto in cui era cominciata la sua fantasticheria. Una volta giuntovi egli avvertì un odore di oche e istantaneamente si rese conto che era stato proprio esso a liberare il flusso delle memorie.
Da ragazzo egli aveva vissuto in una fattoria in cui si teneva un allevamento di oche e il loro odore caratteristico gli aveva lasciato un'impressione permanente anche se dimenticata. Attraversando la fattoria nel corso della passeggiata egli aveva avvertito subliminalmente l'odore e questa percezione inconscia aveva richiamato esperienze infantili da lungo tempo dimenticate. La percezione era stata subliminale poiché l'attenzione era impegnata altrove e lo stimolo non era stato abbastanza forte da distoglierla e da raggiungere direttamente la coscienza. Tuttavia esso aveva riportato in superficie ricordi “dimenticati”.
Questo effetto “suggestivo” o “liberatore” può dar ragione dell'insorgenza di sintomi nevrotici meglio di ricordi piacevoli allorché una visione, un odore o un suono rievocano circostanze del passato. Per fare un esempio, una ragazza può essere intenta al proprio lavoro in ufficio, e godere apparentemente di buona salute e di un umore perfetto. Un momento dopo viene aggredita da un formidabile mal di testa e mostra altri sintomi di malessere. Senza avervi prestato consciamente attenzione, essa ha nel frattempo udito risuonare lontano la sirena di una nave e ciò le ha riportato inconsciamente il ricordo di una dolorosa separazione dal fidanzato, che essa aveva fatto di tutto, per dimenticare.
A parte i fatti di normale dimenticanza, Freud ha descritto numerosi casi che implicano l'“oblio” di ricordi spiacevoli, che gli individui fanno di tutto per dimenticare al più presto. Come osservò Nietzsche, quanto più forte è l'orgoglio, tanto più i ricordi sono sottoposti a scomparire. Perciò, fra le memorie perdute, non poche derivano il loro stato subliminale (e la loro incapacità di essere volontariamente riprodotte) dalla propria natura spiacevole e incompatibile. Gli psicologi le definiscono contenuti rimossi.
Un caso indicativo potrebbe esser quello di una segretaria gelosa di uno dei soci del suo principale. Essa dimentica abitualmente di invitarlo alle riunioni benché il suo nome sia chiaramente registrato nella lista degli invitati. Tuttavia, se viene costretta a giustificarsi di questo suo atteggiamento, essa dice semplicemente di “essersene dimenticata” o di “essere stata interrotta”. Non ammetterà mai, neppure a se stessa, i motivi reali di questa omissione.
Molti sopravvalutano erroneamente il ruolo della forza di volontà, ritenendo che tutto ciò che avviene nella loro mente venga deciso e voluto deliberatamente da essi. In realtà bisogna imparare a distinguere accuratamente fra i contenuti intenzionali e quelli non intenzionali della mente. I primi derivano dalla personalità dell'ego; i secondi nascono da una fonte che non è identica all'ego, ma costituisce l'“altro lato” di esso. È quest'“altro lato” a essere responsabile delle dimenticanze della segretaria.
Le ragioni per cui noi dimentichiamo cose osservate o sperimentate sono numerose ed esistono altrettanti modi per richiamarle alla mente. Un esempio interessante di ciò è rappresentato dalla criptoamnesia o “ricordo riposto”. Ad esempio, un autore può essere intento a scrivere di getto secondo un piano prestabilito, oppure a elaborare un ragionamento o la trama di un racconto, quando improvvisamente si perde in un argomento tangenziale. Probabilmente si tratta di un'idea nuova, di un'immagine differente, o di un intero intreccio secondario che gli si è presentato improvvisamente di fronte. Se gli domandate che cosa ha provocato questa digressione, egli sarà incapace di dirvelo. Può darsi che egli non abbia neppure notato il cambiamento, benché abbia attualmente elaborato un materiale completamente nuovo e che prima gli era almeno apparentemente ignoto. Tuttavia qualche volta è possibile dimostrare in maniera convincente che quanto egli è venuto scrivendo rivela una somiglianza sorprendente con l'opera di un autore diverso - un'opera, magari, che egli crede di non avere mai conosciuto.
Io stesso mi sono imbattuto in un esempio affascinante di questo fenomeno: si tratta del libro Così parlò Zarathustra di Nietzsche, dove l'autore riproduce quasi parola per parola un incidente registrato su un giornale di bordo del 1686. Per un puro caso io avevo letto questo episodio di vita marinara in un libro pubblicato intorno al 1835 (mezzo secolo prima che Nietzsche scrivesse la sua opera); quando trovai lo stesso passo in Così parlò Zarathustra, rimasi colpito dalla particolarità dello stile, che era diverso da quello abituale di Nietzsche. Mi convinsi che egli doveva aver visto quel libro, anche se non faceva riferimento a esso. Così scrissi a sua sorella ed essa mi confermò che lei e suo fratello avevano effettivamente letto insieme quel libro quando Nietzsche aveva circa undici anni. Dal contesto risulta, a mio parere, che Nietzsche non aveva alcuna idea di plagiare quel racconto: probabilmente dopo cinquant'anni esso era inaspettatamente caduto sotto l'attenzione della sua mente conscia.1
In casi di questo genere si assiste a un tipo di ricordo genuino anche se inconsapevole. Lo stesso fenomeno può capitare a un musicista che abbia ascoltato da giovane un motivo o una canzone popolare e che d'improvviso se lo veda ricomparire come tema di un movimento sinfonico che egli sta componendo in età adulta. Anche qui un'idea o un'immagine è risalita dall'inconscio al livello della mente conscia.
Quanto sono venuto dicendo fino a ora intorno all'inconscio non costituisce altro che un rapido profilo della natura e del funzionamento di questa complessa componente della psiche umana. Tuttavia ciò dovrebbe essere stato sufficiente a indicare il tipo di materiale subliminale da cui possono essere spontaneamente prodotti i simboli dei nostri sogni. Questo materiale può essere costituito da ogni specie di stimolo, impulso, intenzione, percezione, intuizione, pensiero razionale o irrazionale, conclusione, induzione, deduzione, premessa e da ogni specie di sentimento. Singolarmente, oppure tutti insieme, essi possono diventare inconsci parzialmente, temporaneamente, ovvero in modo totale e permanente.
Questo materiale è divenuto per la maggior parte inconscio perché, per così dire, non c'è più posto per esso nella mente conscia. Alcuni dei nostri pensieri perdono la loro energia emotiva e diventano subliminali (cioè non ricevono più la nostra attenzione conscia) per il fatto che ci sembrano poco interessanti o di scarsa importanza, oppure perché abbiamo qualche specifica ragione per perderli di vista.
In realtà, è per noi normale e necessario “dimenticare” in questo modo affinché si possa far posto, nella mente conscia, alle idee e impressioni nuove. Se ciò non avvenisse, tutto quello che noi sperimentiamo resterebbe al di sopra della soglia della coscienza e la nostra mente cadrebbe preda di una insopportabile confusione. Questo fenomeno è talmente riconosciuto oggigiorno che la maggior parte di coloro che abbiano qualche nozione di psicologia lo dà per scontato.
Come i contenuti consci possono svanire nell'inconscio, così nuovi contenuti, mai affiorati prima al livello della coscienza, possono emergere da esso. Si può avere, ad esempio, il presentimento che qualcosa sta per rivelarsi alla coscienza, che “qualcosa è nell'aria” o che “si avverte il sentore di qualcosa”. La scoperta del fatto che l'inconscio non è un semplice deposito del passato, ma che esso è altresì pieno dei germi di idee e di situazioni psichiche future, mi portò a elaborare una nuova teoria psicologica. Tale questione ha suscitato un gran numero di discussioni; tuttavia è un fatto incontestabile che, oltre a ricordi provenienti da un lontano passato conscio, possono affiorare dall'inconscio pensieri e idee creative completamente nuovi - pensieri e idee che non sono mai stati consci in precedenza. Essi crescono dalla buia profondità della psiche come piante di loto e costituiscono una parte importante della psiche subliminale.
Abbiamo esperienza di ciò nella vita di tutti i giorni, allorché i dilemmi che ci si propongono vengono talvolta risolti da proposte nuove e assolutamente sorprendenti; molti artisti, filosofi e perfino scienziati debbono alcune delle loro idee migliori all'ispirazione che emerge improvvisamente di fronte a loro dall'inconscio. La capacità di raggiungere una ricca vena di questo materiale e di tradurla compiutamente in un linguaggio filosofico, letterario, musicale o scientifico assolutamente nuovo è una delle qualità caratteristiche del cosiddetto genio.
Possiamo trovare chiare testimonianze di questo fatto nella storia della scienza. Per esempio, il matematico francese Poincaré e il chimico Kekulé giunsero a importanti scoperte scientifiche (secondo il loro stesso racconto) in seguito alla suggestione ricevuta da improvvise “rivelazioni” figurate dell'inconscio. La cosiddetta esperienza “mistica” del filosofo francese Descartes implicò un'improvvisa rivelazione di questo tipo, in cui egli scorse, per improvvisa illuminazione, l”ordine di tutte le scienze”. Robert Louis Stevenson aveva speso lunghi anni alla ricerca di un racconto che esprimesse compiutamente la sua “forte convinzione della duplicità della natura umana”, ed ecco che la trama de Lo strano caso del dottor Jekyll e del signor Hyde gli fu improvvisamente rivelata da un sogno.2
In seguito descriverò più dettagliatamente il modo in cui questo materiale emerge dall'inconscio ed esaminerò in che guisa esso si esprime. Per il momento mi limiterò a mettere in evidenza il fatto che la capacità, propria della psiche umana, di produrre questo materiale nuovo è particolarmente significativa nel caso del simbolismo dei sogni, in quanto ho personalmente riscontrato a più riprese, nel corso del mio lavoro professionale, che le immagini e le idee contenute nei sogni non possono essere spiegate solo in termini di memoria. Esse esprimono pensieri nuovi che non hanno ancora mai raggiunto la soglia della coscienza.
La funzione dei sogni
Sono entrato in qualche dettaglio nel descrivere le origini della nostra vita onirica per il fatto che essa costituisce il terreno da cui hanno origine la maggior parte dei simboli. Sfortunatamente, i sogni sono difficili da interpretare: come ho già sottolineato, non è possibile interpretare il sogno alla stessa stregua di un racconto della mente conscia. Nella vita di tutti i giorni l'individuo riflette su ciò che vuol dire, sceglie il modo più appropriato per dirlo e cerca di fare osservazioni logicamente coerenti. Una persona colta, per esempio, cercherà di evitare qualsiasi metafora confusa, poiché essa potrebbe esprimere non chiaramente il suo punto di vista. I sogni, invece, hanno una struttura diversa: colui che sogna si trova sommerso da immagini che sembrano contraddittorie e ridicole, il senso normale del tempo viene meno e le cose comuni possono assumere un aspetto affascinante o minaccioso.
Può sembrare strano che la mente inconscia imprima al suo materiale un ordine tanto diverso dalla struttura apparentemente disciplinata che noi possiamo imporre ai nostri pensieri in stato di veglia. Eppure, chiunque si soffermi per un attimo a rammentare un sogno si renderà conto di questo contrasto che, di fatto, costituisce una delle principali ragioni per cui ordinariamente i sogni sono ritenuti così difficili da capire. Essi non hanno senso nei termini della nostra esperienza cosciente di tutti i giorni e si è perciò indotti o a non prenderli in considerazione, o a confessare che ci mettono francamente in imbarazzo.
Forse questo punto risulterà più chiaramente comprensibile se ci rendiamo conto subito del fatto che le idee con cui abbiamo a che fare nella nostra vita cosciente apparentemente disciplinata non sono affatto così precise come noi vorremmo credere. Al contrario, quanto più da vicino le esaminiamo, tanto più impreciso diventa il loro significato (e quindi la loro portata emotiva nei nostri riguardi). La ragione di ciò consiste nel fatto che qualunque cosa abbiamo udito o sperimentato, può diventare subliminale, cioè può passare nell'inconscio. Inoltre, anche ciò che tratteniamo al livello della coscienza e che possiamo volontariamente riprodurre, ha acquistato una coloritura inconscia che caratterizzerà l'idea ogni qual volta essa sarà richiamata alla memoria. Le nostre impressioni consce, infatti, assumono rapidamente un elemento inconscio, che è per noi psichicamente significativo anche se non siamo consapevoli consciamente dell'esistenza di questo significato subliminale o del modo in cui esso interviene a estendere e a confondere, contemporaneamente, il significato convenzionale.
Naturalmente queste coloriture psichiche differiscono da persona a persona. Ciascuno di noi accoglie qualunque nozione astratta o generale nel contesto della propria mente individuale e quindi la interpreta e l'applica in modo personale. Quando, nel corso di una conversazione, io uso termini come “Stato”, “moneta”, “salute” o “società”, suppongo che i miei ascoltatori li comprendano più o meno nello stesso senso in cui li intendo io. Ma è proprio la frase “più o meno” a dimostrare quanto dicevo prima. Ogni parola assume, da persona a persona, un significato leggermente diverso, anche nel contesto della medesima tradizione culturale. La ragione di questa variazione sta nel fatto che una nozione generale viene accolta in un contesto individuale ed è quindi interpretata e applicata in termini leggermente individuali. Naturalmente, la differenza di significato è grandissima quando le singole persone posseggono esperienze sociali, politiche, religiose o psicologiche sensibilmente diverse.
Fino a che i concetti si identificano semplicemente con le parole, le variazioni sono pressoché impercettibili e non hanno conseguenze pratiche. Ma quando è necessaria una definizione esatta o un'accurata spiegazione, si possono occasionalmente scoprire le variazioni più sorprendenti, non solo nella pura interpretazione intellettuale del termine, ma anche, in particolare, nella sua coloritura emotiva e nella sua applicazione. Di regola, queste variazioni sono subliminali e non possono essere perciò registrate.
Alcuni, probabilmente, sono portati a trascurare queste differenze, considerandole alla stregua di superflue e trascurabili sfumature di significato che non hanno alcuna rilevanza per le necessità quotidiane. Ma il fatto che esse esistano dimostra che anche i contenuti più reali della coscienza sono avvolti da una penombra d'incertezza. Anche il concetto filosofico o matematico più accuratamente definito, che sicuramente, a nostro parere, non contiene nulla in più di quello che gli abbiamo attribuito, è pur sempre qualcosa di più di quello che noi pensiamo. Esso è un evento psichico, e come tale parzialmente inconoscibile. Anche gli stessi numeri che usiamo per contare sono qualcosa di più di quello che si è soliti credere. Essi sono contemporaneamente elementi mitologici (per i Pitagorici erano anche divini), però quando adoperiamo i numeri per scopi pratici noi siamo del tutto inconsapevoli di ciò.
In breve, ciascun concetto presente nella mente conscia possiede sue particolari associazioni psichiche. Queste possono variare d'intensità (in rapporto all'importanza relativa del concetto verso la nostra personalità nel suo complesso, o in rapporto alle altre idee e ai complessi cui esso è associato nel nostro inconscio), e possono mutare il carattere “normale” del concetto. Questo può anche divenire qualcosa di completamente diverso quando si immerge al di sotto del livello della coscienza.
Questi aspetti subliminali di tutto ciò che ci accade possono sembrare pressoché insignificanti nella nostra vita di tutti i giorni. Eppure nell'analisi dei sogni, nel corso della quale lo psicologo interpreta le espressioni dell'inconscio, essi assumono una grande importanza poiché costituiscono le radici pressoché invisibili dei nostri pensieri consci. Questa è la ragione per cui oggetti o idee comuni possono assumere durante il sogno un significato psichico così potente da provocarci un risveglio seriamente turbato, anche se ci siamo limitati a sognare semplicemente una stanza chiusa a chiave o un treno perduto.
Le immagini che si producono nei sogni sono molto più pittoresche e vivide dei concetti e delle esperienze che rappresentano le loro controparti al livello della coscienza. Una delle ragioni di questo fenomeno è che, in sogno, questi concetti sono in grado di esprimere il loro significato inconscio. Quando pensiamo consciamente noi ci restringiamo invece entro i limiti di affermazioni razionali, che sono molto meno colorite per essere state private da noi della maggior parte delle loro associazioni psichiche.
Mi ricordo di un mio sogno che mi riuscì difficile interpretare. In esso un uomo cercava di prendermi alle spalle e di saltarmi addosso. Io non sapevo nulla di costui tranne il fatto che egli aveva raccolto una mia osservazione e l'aveva deformata grottescamente distorcendo il significato che io le avevo attribuito. Non riuscivo a vedere il rapporto tra questo fatto e il tentativo di quest'uomo di saltarmi addosso. Tuttavia, nel corso della mia carriera professionale, mi è spesso capitato che qualcuno abbia distorto il senso di quanto avevo detto e ciò si è verificato tante volte che mi sono raramente preoccupato di domandarmi se questo genere di distorsioni mi facesse irritare. Ora, è cosa di una certa importanza quella di mantenere un controllo cosciente delle proprie reazioni emotive e questo, a quanto mi apparve subito evidente, era l'indicazione fondamentale del sogno. Esso aveva assunto una espressione familiare in lingua austriaca e l'aveva tradotta in immagine. Questa frase, abbastanza comune nel linguaggio parlato, è Du kannst mir auf den Buckel steigen (puoi saltarmi sulle spalle), che significa “non m'importa di quel che dici sul mio conto”. Un equivalente americano, che potrebbe facilmente comparire in un sogno come questo, è Go jump in the lake.
Si può dire che la rappresentazione di questo sogno era simbolica, poiché essa non definiva direttamente la situazione, ma esprimeva il suo contenuto indirettamente per mezzo di una metafora che lì per lì non seppi interpretare. Quando ciò accade (e ciò avviene non di rado) non si tratta di una “finzione” deliberata introdotta dal sogno: ciò riflette semplicemente le nostre deficienze nell'interpretare un linguaggio figurato con implicazioni emotive. Nella nostra esperienza quotidiana noi abbiamo bisogno di definire le cose il più accuratamente possibile e abbiamo imparato perciò a scartare gli orpelli della fantasia sia nel linguaggio che nei pensieri, venendo a perdere in tal modo una qualità che è tuttora caratteristica della mentalità primitiva. La maggior parte di noi ha depositato nell'inconscio tutte le associazioni psichiche fantastiche che ogni oggetto o idea possiede. D'altra parte, il primitivo è ancora consapevole di queste proprietà psichiche e attribuisce ad animali, piante o pietre alcuni poteri che ai nostri occhi appaiono strani e inaccettabili.
Per esempio, un abitatore della giungla africana scorge di giorno un animale notturno e ritiene che si tratti di uno stregone che abbia temporaneamente assunto quella sembianza. Oppure può considerarlo come l'anima della foresta o lo spirito ancestrale di uno della sua tribù. Un albero può svolgere un ruolo vitale nell'esistenza di un primitivo in quanto esso possiede la sua anima e la sua voce e l'individuo in questione sarà convinto di condividerne il destino. Nel Sudamerica ci sono alcuni indiani che vi assicurano di essere pappagalli Arara rossi benché siano ben consapevoli di non avere né penne né ali né rostro. Ciò dipende dal fatto che nel mondo dei primitivi le cose non hanno gli stessi netti contorni che esse possiedono nelle nostre società “razionali”.
Ciò che gli psicologi chiamano identità psichica o “partecipazione mistica” è stato tagliato fuori dal mondo della nostra esperienza. Tuttavia è proprio questo alone di associazioni inconsce a fornire un aspetto colorito e fantastico al mondo dei primitivi. Noi lo abbiamo perduto a tal punto che, anche quando ci ritroviamo in sua presenza, non siamo in grado di riconoscerlo. In noi queste cose risiedono al di sotto della soglia della coscienza; quando tornano occasionalmente ad affiorare insistiamo nel dire che c'è qualcosa che non funziona.
Più di una volta sono stato consultato da persone colte e intelligenti che avevano avuto sogni particolari, fantasie o perfino visioni da cui erano rimaste profondamente impressionate. Esse partivano dal presupposto che nessun essere normale di mente può soffrire di questi disturbi e che chiunque abbia una visione deve inevitabilmente soffrire di uno stato patologico. Un teologo mi disse una volta che le visioni di Ezechiele altro non erano che sintomi morbosi e che quando Mosè e gli altri profeti udivano “voci”, essi soffrivano di allucinazioni. Potete immaginare il panico in cui cadde quando gli capitò personalmente e in modo del tutto “spontaneo” un fenomeno di questo tipo. Noi siamo talmente abituati alla natura apparentemente razionale del mondo in cui viviamo, che ci è difficile immaginare il verificarsi di un evento che non possa venire spiegato sulla base del senso comune. Di fronte a un'impressione di questa specie, l'uomo primitivo non dubiterebbe della sua integrità mentale, ma attribuirebbe il fenomeno a feticci, spiriti o divinità.
Eppure le emozioni da noi provate sono esattamente le stesse. In realtà i terrori che si sprigionano dalla nostra avanzata civiltà possono essere molto più minacciosi di quelli che i popoli primitivi attribuiscono ai demoni. L'atteggiamento caratteristico dell'uomo moderno civilizzato mi riporta alla mente il caso di un paziente psicotico, anch'egli medico, che fu ricoverato nella mia clinica. Una mattina gli chiesi come stava. Egli mi rispose che aveva passato una splendida nottata a disinfettare il cielo con cloruro di mercurio, ma nel corso di questa disinfestazione integrale non aveva trovato alcuna traccia di Dio. In questo caso ci troviamo di fronte a una nevrosi o a qualcosa di peggio: invece di Dio o della “paura di Dio”, qui è presente una nevrosi da ansia o qualche specie di fobia. L'emozione è rimasta la stessa, ma l'oggetto di essa ha modificato in peggio il suo nome e la sua natura.
Mi ricordo di un professore di filosofia che un giorno venne a consultarmi intorno alla sua fobia causata dall'idea di avere un cancro. Egli soffriva per l'assillante convinzione di essere affetto da un tumore maligno, benché da una dozzina di radiografie non fosse mai risultato nulla di simile. “So bene di non aver nulla”, diceva, “ma potrebbe esserci qualcosa”. Cosa produceva quest'idea? Ovviamente essa derivava da una forma di paura che non era suggerita da una convinzione consapevole. Improvvisamente il pensiero morboso aveva preso il sopravvento raggiungendo una tale forza che il soggetto non riusciva più a controllarlo.
Era più diffìcile per questo uomo colto giungere a una ammissione di questo tipo che per un primitivo affermare di essere stato contagiato di peste da uno spirito. Mentre in una cultura primitiva l'influenza maligna degli spiriti costituisce almeno un'ipotesi ammissibile, per un uomo civilizzato è una esperienza sconvolgente ammettere che i suoi disturbi non dipendono da altro che da uno sciocco scherzo dell'immaginazione. Il fenomeno primitivo dell 'ossessione non è scomparso ed è rimasto lo stesso di sempre: esso viene solo interpretato in maniera diversa e molto più spiacevole.
Io ho compiuto molti confronti di questo tipo fra l'uomo moderno e quello primitivo. Come mostrerò in seguito, tali confronti sono essenziali per comprendere le inclinazioni simboleggiatrici dell'uomo e del ruolo svolto dai sogni nell 'esprimerle. È facile riscontrare, infatti, che molti sogni presentano immagini e associazioni analoghe a idee, miti e riti primitivi. Queste immagini oniriche furono definite da Freud “resti arcaici”: l'espressione implica che si tratta di elementi psichici sopravvissuti nella mente umana da epoche remote. Questo punto di vista è caratteristico di coloro che considerano l'inconscio come una semplice appendice della coscienza (o, più pittorescamente, come un bidone di immondizie che raccoglie tutti gli scarti della mente conscia).
Ulteriori ricerche mi portarono alla convinzione che questa posizione è insostenibile e da scartare. Mi resi conto che le associazioni e le immagini di questo tipo costituiscono una parte integrale dell'inconscio e possono essere osservate, ovunque, sia che il sognante sia colto o illetterato, intelligente o sciocco. Esse non sono in alcun modo “resti” senza vita o senza significato, ma svolgono ancora una loro funzione e hanno un'importanza notevole proprio a causa della loro natura “storica” (come viene dimostrato dal dottor Henderson in un successivo capitolo di questo libro). Esse costituiscono un tramite fra le guise in cui consciamente esprimiamo i nostri pensieri e un genere di espressione più primitivo, colorito e pittoresco. È proprio questa forma di espressione, del resto, che attrae direttamente il sentimento e l'emozione. Queste associazioni “storiche” costituiscono il legame fra il mondo razionale della coscienza e il mondo dell'istinto.
Ho già discusso l'interessante contrasto fra i pensieri “controllati” da noi posseduti in stato di veglia e la ricchezza delle immagini prodotte dai sogni. A questo punto è possibile scorgere un'altra ragione di questa diversità: dal momento che, nella nostra vita civilizzata, abbiamo privato tante idee della loro energia emotiva, finiamo per non rispondere più a esse in maniera effettiva. Noi usiamo tali idee nel parlare e mostriamo una reazione convenzionale quando altri le usano, ma in realtà esse non producono in noi alcuna impressione profonda. Occorre ben altro per farci aprire gli occhi davanti a certe cose e per costringerci a cambiare in conseguenza di ciò il nostro atteggiamento e il nostro comportamento. Ciò è compito del “linguaggio dei sogni”: il suo simbolismo possiede tanta energia da costringerci a prestargli attenzione.
Per esempio, una signora era ben nota per i suoi stupidi pregiudizi e per la sua ottusa resistenza a qualunque argomento ragionato. Si sarebbe potuto discutere con lei un giorno intero senza ottenere alcun risultato: essa non avrebbe imparato la benché minima cosa. Tuttavia i suoi sogni rivelavano un atteggiamento ben diverso. Una notte essa sognò di intervenire a una importante riunione mondana. Essa venne salutata dalla padrona di casa con queste parole: “È stato gentile da parte sua venire. Tutti i suoi amici sono già qui e la stanno aspettando”. Quindi la padrona di casa la condusse alla porta, l'aprì e la signora fu introdotta in una... stalla!
Il linguaggio di questo sogno era tanto semplice da poter essere compreso anche da uno sciocco. Inizialmente la donna non voleva ammettere il significato effettivo di un sogno che ledeva in maniera così diretta il suo prestigio personale. Tuttavia il messaggio del sogno aveva raggiunto il segno e dopo un po' di tempo essa dovette accettarlo perché non sopportava la vista della burla di cui era rimasta vittima per suo stesso mezzo.
Questi messaggi dell'inconscio sono più importanti di quello che si pensi comunemente. Al livello della vita conscia noi siamo esposti a influenze di ogni specie: le altre persone ci stimolano o ci deprimono, il lavoro d'ufficio o la vita sociale ci distraggono. Tutto ciò ci porta ad assumere atteggiamenti che non si adattano alla nostra personalità. Possiamo essere consapevoli o meno degli effetti subiti dalla nostra coscienza: tuttavia essa ne è disturbata ed è esposta a essi quasi senza alcuna possibilità di difesa. Ciò si verifica specialmente nel caso di persone il cui atteggiamento mentale estroverso è tutto assorbito dagli oggetti esterni, o di coloro che nutrono sentimenti di inferiorità e di dubbio sul conto della propria personalità interiore.
Quanto più la coscienza viene influenzata da pregiudizi, errori, fantasie e desideri infantili, tanto più la lacuna già esistente tenderà ad assumere le proporzioni di una dissociazione nevrotica e a condurre a un genere di vita più o meno artificiale, lungi da ogni sano istinto, dalla natura e dalla verità.
La funzione generale dei sogni consiste nel restaurare il nostro normale status psicologico attraverso la produzione di materiale onirico che ristabilisce, con una sottile operazione, il nostro totale equilibrio psichico. Questo è ciò che io chiamo il ruolo complementare (o compensatorio) dei sogni nell'ambito della nostra struttura psichica. Ciò spiega perché le persone che hanno idee non realistiche o una troppo alta opinione sul proprio conto, o che fanno progetti grandiosi del tutto sproporzionati alle loro effettive capacità, sognano di volare o di cadere. Il sogno compensa le deficienze della loro personalità e contemporaneamente mette in guardia queste persone contro i pericoli del loro comportamento. Se gli avvertimenti dei sogni non vengono presi in considerazione, possono accadere veri e propri incidenti; la vittima può cadere dalle scale o avere un incidente d'auto.
Ricordo il caso di un uomo che era immerso fino ai capelli in un gran numero di affari poco puliti. Egli maturò una passione pressoché morbosa per le rischiose scalate alpinistiche, come una specie di compensazione. Egli cercava “di superare se stesso”. Una notte sognò di precipitare nel vuoto dalla sommità di un'alta montagna. Quando mi raccontò il sogno compresi subito il pericolo cui andava incontro; cercai perciò di fargli capire l'avvertimento del sogno e di persuaderlo a contenersi. Gli dissi anche che il sogno prediceva la sua morte in un incidente alpinistico. Tutto fu invano. Sei mesi dopo egli “precipitò nel vuoto”. Una guida di montagna lo osservava mentre, insieme a un amico, si stava calando con la corda in un tratto difficile. L'amico aveva trovato un appiglio provvisorio su una sporgenza della parete e il mio cliente lo seguiva. Improvvisamente, secondo il racconto della guida, egli si staccò dalla corda “come se saltasse nel vuoto”. Cadde addosso all'amico e precipitarono insieme. Tutti e due morirono.
Un altro caso tipico fu quello di una signora che aveva un gran concetto di sé. Nella vita di tutti i giorni era molto orgogliosa, ma faceva sogni impressionanti che le portavano alla mente ogni sorta di cose disgustose. Quando io le scoprii, essa rifiutò con indignazione di ammetterle. Allora i sogni si fecero minacciosi e pieni di riferimenti alle passeggiate che essa era solita fare tutta sola nei boschi, dove si abbandonava a fantasie sentimentali. Io compresi il pericolo cui andava incontro, ma essa non volle prestare ascolto ai miei ripetuti avvertimenti. Poco tempo dopo essa venne selvaggiamente aggredita in un bosco da un pervertito sessuale e, se non fosse stato per l'intervento di alcune persone che avevano udito le sue grida, sarebbe stata uccisa.
In tutto questo non c'è nulla di magico. Dai suoi sogni avevo capito che essa nutriva la voglia segreta di vivere una simile avventura, allo stesso modo che lo scalatore inconsciamente andava alla ricerca di un modo definitivo di risolvere le sue difficoltà. Ovviamente, nessuno dei due si aspettava di dover pagare un prezzo così duro; la signora si ritrovò con varie ossa fratturate e lo scalatore perdette la vita.
I sogni, perciò, possono talvolta annunciare certe situazioni molto tempo prima che esse si verifichino attualmente. Non si tratta necessariamente né di un miracolo né di una forma di prescienza. Molte crisi della nostra vita hanno una lunga storia inconscia: noi avanziamo verso di loro a poco a poco, inconsapevoli dei pericoli che si stanno accumulando. Ma ciò che non riusciamo a vedere consciamente viene spesso percepito dall'inconscio, che può trasmetterci l'informazione attraverso i sogni.
I sogni possono spesso avvertirci in questo modo, ma in molte occasioni sembra che ciò non avvenga. Di conseguenza la supposizione dell'esistenza di una mano benevola che sopraggiunge in tempo a trattenerci è discutibile. Ovvero, per dirla in termini più positivi, sembra che una forza benevola di questo tipo a volte intervenga e a volte no. La mano misteriosa può anche indicare la via della perdizione: talvolta i sogni risultano trappole, o almeno tali hanno l'aria di essere. A volte essi si comportano come l'oracolo di Delfo quando disse al re Creso che se avesse attraversato il fiume Halys avrebbe abbattuto un grande regno. Fu solo dopo averlo attraversato ed essere stato completamente sconfìtto in battaglia, che Creso scoprì che il regno indicato dall'oracolo era il suo.
Non possiamo permetterci di essere ingenui nell'interpretazione dei sogni. Essi hanno origine in uno spirito che non è affatto umano, ma che costituisce piuttosto un respiro della natura: uno spirito di questa divinità altrettanto bella e generosa quanto crudele. Se vogliamo caratterizzare tale spirito, dovremo andarlo a studiare, più che nella coscienza dell'uomo moderno, nella sfera delle antiche mitologie o nelle leggende primordiali della foresta. Non voglio certo negare che siano risultati grandi vantaggi dall'evoluzione della società civilizzata, ma tali vantaggi sono stati ottenuti al prezzo di perdite enormi della cui entità abbiamo appena cominciato a renderci conto. Facendo confronti tra lo stato primitivo e quello civilizzato dell'uomo ho avuto per scopo, in parte, quello di mostrare il rapporto tra le perdite e i vantaggi acquisiti.
L'uomo primitivo era governato dai propri istinti molto più profondamente dei suoi moderni discendenti “razionali”, che hanno imparato a “controllarsi”. Nel corso di questo processo di civilizzazione noi siamo venuti scindendo sempre di più la nostra coscienza dagli strati profondi istintivi della psiche umana e infine anche dalla base somatica del fenomeno psichico. Fortunatamente non abbiamo perduto questi strati istintivi di fondo: essi continuano a far parte dell'inconscio anche se possono trovare espressione solo sotto forma di immagini oniriche. Questi fenomeni istintivi, che possono anche non venire sempre riconosciuti per quello che sono, dato il loro carattere simbolico, svolgono un ruolo vitale in quella che io ho definito la funzione compensatrice dei sogni.
Perché si abbiano stabilità mentale e salute fisiologica, l'inconscio e il conscio debbono essere integralmente connessi fra loro e muoversi su piani paralleli. Se vengono scissi o “dissociati”, si crea un disturbo psicologico. Da questo punto di vista i simboli onirici sono i principali portatori di simboli dalle parti istintive a quelle razionali della mente umana e la loro interpretazione arricchisce la coscienza, che in tal modo apprende a capire nuovamente il linguaggio dimenticato degli istinti.
Naturalmente si è portati in generale a mettere in dubbio questa funzione poiché i suoi simboli passano troppo spesso inosservati e restano incompresi. Nella vita normale, l'interpretazione dei sogni viene spesso considerata come una cosa superflua. Sono in grado di illustrare questo punto sulla base di un'esperienza da me fatta in una tribù primitiva dell'Africa Orientale. Con mio grande divertimento quei selvaggi negavano di avere mai avuto sogni: tuttavia, attraverso pazienti colloqui indiretti, scoprii ben presto che anche essi avevano i loro sogni come qualunque altra persona, però erano convinti che essi non avessero alcun significato. “I sogni degli uomini comuni non hanno alcun significato”, mi dissero. Erano convinti che i soli sogni importanti fossero quelli dei capi tribù e degli stregoni: questi ultimi, in particolare, erano assai apprezzati in quanto da essi dipendeva il benessere dell'intera tribù. L'unico inconveniente era che tanto il capo quanto lo stregone andavano dicendo di aver smesso di avere sogni significativi e facevano risalire questo cambiamento all'arrivo degli Inglesi nel loro paese. Il commissario del distretto - l'ufficiale inglese incaricato dell'amministrazione del territorio - aveva assunto la funzione di avere i “grandi sogni” che fino a quel momento avevano guidato il comportamento della tribù.
Quando gli uomini della tribù ammettevano di avere sogni, ma aggiungevano di considerarli del tutto insignificanti, si comportavano nello stesso modo dell'uomo moderno, per il quale un sogno non ha alcun significato solo perché non riesce a comprenderlo. Tuttavia, anche un uomo civilizzato può talvolta osservare che un sogno (da lui magari del tutto dimenticato) è capace di alterare il suo stato d'animo in meglio o in peggio. Il sogno è stato “acquisito”, ma solo al livello subliminale. Questo è il caso più frequente; solo nelle rare occasioni in cui un sogno si presenti con un risalto particolare o si ripeta a intervalli regolari, la maggior parte delle persone propendono a tentarne un'interpretazione.
A questo punto debbo aggiungere una parola di avvertimento contro i tentativi sciocchi o incompetenti di analisi dei sogni. Alcune persone si trovano in condizioni mentali così squilibrate che l'interpretazione dei loro sogni può essere estremamente rischiosa; in casi di questo tipo la coscienza è molto unilaterale e tagliata fuori dall'inconscio che, a sua volta, è altrettanto irrazionale o “irregolare”, cosicché essi non possono venire associati senza prendere speciali precauzioni.
In termini più generali, è una pura sciocchezza riporre fede in guide prefabbricate all'interpretazione dei sogni: ciò equivarrebbe a comprare un libro di consultazione e ricercarvi un simbolo particolare. Nessun simbolo onirico può essere separato dall'individuo che lo sogna e non esiste alcun criterio definitivo o diretto di interpretazione dei sogni individuali. Le persone si differenziano tanto l'una dall'altra nel modo in cui l'inconscio completa o compensa il conscio di ciascuna, che è impossibile stabilire fino a che punto i sogni e i loro simboli possano venire rigorosamente classificati.
È vero che alcuni sogni e simboli singoli (io preferirei chiamarli “motivi”) sono tipici e ricorrono spesso. Fra questi motivi c'è quello della caduta, del volo, la sensazione di essere perseguitati da animali feroci o da persone ostili, di essere vestiti in maniera insufficiente o assurda in luoghi pubblici, di aver fretta o di perdersi tra una folla assiepata, di combattere con armi inutili o di trovarsi completamente indifesi, di correre a perdifiato senza arrivare in nessun luogo. Un motivo tipicamente infantile è costituito dal sogno di diventare infinitamente piccoli o infinitamente grandi, oppure di essere trasformati dalla prima dimensione nella seconda, come si legge, ad esempio, nel libro di Lewis Carroll, Alice nel paese delle meraviglie. Occorre tuttavia insistere sul fatto che questi motivi debbono essere considerati nel contesto individuale del sogno, non come elementi che si spieghino da soli.
Il sogno ricorrente è un fenomeno interessante. Ci sono casi di persone che hanno continuato ad avere lo stesso sogno dall'infanzia fino all'età adulta. Un sogno di questo tipo rappresenta di solito un tentativo di compensazione di qualche difetto particolare dell'atteggiamento dell'individuo nei riguardi della vita; oppure può avere avuto origine da qualche evento traumatizzante che ha lasciato dietro di sé un pregiudizio specifico. Esso può talvolta anticipare un importante evento del futuro.
Io stesso ho sognato il medesimo motivo per molti anni di seguito: mi trovavo a “scoprire” una parte della mia casa di cui avevo sempre ignorato l'esistenza. Qualche volta si trattava delle stanze in cui avevano vissuto i miei genitori, morti da lungo tempo, e in cui mio padre, con mia grande sorpresa, teneva un laboratorio dove studiava l'anatomia comparata dei pesci e mia madre gestiva un albergo per ospiti dell'aldilà. Di solito quest'ala sconosciuta era un antico edificio storico, da gran tempo dimenticato eppure di mia proprietà ereditaria. Esso conteneva un interessante arredamento antico e verso la fine di questa serie di sogni scoprii una vecchia libreria contenente libri a me sconosciuti. Finalmente, nell'ultimo sogno, aprii uno dei libri e vi trovai riprodotte una grande quantità di figurazioni simboliche che suscitarono la mia più profonda meraviglia. Quando mi svegliai, il cuore mi batteva per l'eccitazione.
Poco tempo prima di fare questo sogno particolare, ultimo della serie, avevo ordinato a un libraio antiquario una delle classiche compilazioni di alchimisti medievali. Nel corso dei miei studi sull'argomento avevo trovato una citazione che, a mio parere, aveva qualche rapporto con l'antica alchimia bizantina e desideravo controllarla. Alcune settimane dopo il sogno in cui mi era apparso quel libro sconosciuto, ricevetti un pacco dal libraio. Esso conteneva un volume del XVI secolo rilegato in pergamena. Era illustrato da affascinanti rappresentazioni simboliche che istantaneamente mi riportarono alla mente quelle che avevo visto nel sogno. Poiché la riscoperta dei principi dell'alchimia venne a costituire una parte importante del mio lavoro pionieristico nel campo della psicologia, il motivo del mio sogno ricorrente può essere facilmente compreso. Naturalmente la casa simboleggiava la mia personalità e l'area conscia dei suoi interessi; l'ala sconosciuta dell'edificio rappresentava l'anticipazione di un nuovo campo di interesse e di ricerca di cui la mia mente conscia era a quel tempo inconsapevole. Da quel momento in poi, cioè trent'anni fa, non ho più avuto quel sogno.
L'analisi dei sogni
All'inizio di questo saggio ho notato la differenza fra segno e simbolo. Il segno è sempre qualcosa di meno rispetto al concetto da esso rappresentato, mentre il simbolo rappresenta qualcosa che sta al di là del suo significato ovvio e immediato. Inoltre, i simboli sono prodotti naturali e spontanei. Nessun genio ha mai preso in mano la penna o il pennello dicendo: “Ora inventerò un simbolo”. Nessuno può prendere un pensiero più o meno razionale, raggiunto come logica conclusione o per intento deliberato, e dargli una forma “simbolica”. Per quanto si possa rivestire un'idea di questo tipo con orpelli fantastici, essa rimarrà pur sempre un segno, legato al pensiero conscio da cui deriva e non sarà mai un simbolo suggestivo di qualcosa non ancora conosciuto. Nei sogni i simboli si presentano spontaneamente poiché i sogni si offrono da soli senza il soccorso dell'invenzione: perciò essi costituiscono la nostra fonte principale per la conoscenza del simbolismo.
Tuttavia devo sottolineare il fatto che i simboli non si presentano solo nei sogni. Essi compaiono in ogni sorta di manifestazioni psichiche: ci sono pensieri, sentimenti, atti e situazioni simbolici. Spesso anche gli oggetti inanimati sembrano cooperare con l'inconscio nella elaborazione di modelli simbolici. Sono numerosi i racconti del tutto autentici secondo i quali alcuni orologi si sono fermati nell'attimo stesso della morte del loro proprietario; uno di questi fu l'orologio a pendolo del palazzo di Federico il Grande a Sans-Souci, che si fermò quando l'imperatore morì. Altri esempi comuni sono quelli dello specchio che si rompe o del quadro che cade nell'attimo stesso di una morte; oppure quello, di minore rilievo ma altrettanto inspiegabile, di oggetti che si rompono improvvisamente in una casa dove ci sia qualcuno assalito da una crisi emotiva. Anche se gli scettici si rifiutano di dar credito a storie come queste, esse si ripetono continuamente e l'alone da cui sono circondate è un indice significativo della loro importanza psicologica.
Ci sono tuttavia molti simboli (fra cui i più importanti) che non sono individuali, ma collettivi nella loro origine e nella loro natura. Si tratta soprattutto di immagini religiose. Il credente suppone che esse abbiano provenienza divina, cioè che siano state rivelate all'uomo. Lo scettico sostiene recisamente che esse sono puro frutto di invenzione. Entrambi sono in errore. È vero, come osserva lo scettico, che i simboli e i concetti religiosi sono stati oggetto per secoli di una elaborazione accurata e del tutto consapevole. D'altra parte, è altrettanto vero, come nota il credente, che la loro origine è a tal punto sepolta nel mistero del passato che essi non sembrano avere un'origine umana. In realtà essi non sono altro che “rappresentazioni collettive” emananti dai sogni primordiali e dalle fantasie creative. In questi termini tali immagini sono manifestazioni del tutto spontanee e non invenzioni intenzionali.
Questo fatto, come spiegherò in seguito, incide direttamente e in misura rilevante sull'interpretazione dei sogni. È ovvio che se si ammette la natura simbolica dei sogni, li interpreteremo in maniera diversa da coloro per i quali il pensiero o l'emozione essenziale e stimolante sono già noti precedentemente e vengono semplicemente “camuffati” dal sogno. In questo caso l'interpretazione dei sogni ha scarso significato poiché porta a scoprire solo ciò che si conosce di già.
È per questa ragione che io non mi sono mai stancato di ripetere ai miei allievi: “Imparate quanto più potete intorno al simbolismo e poi dimenticatevi di tutto quando analizzate un sogno”. Questo consiglio si è rivelato di una così grande importanza pratica che io l'ho assunto come regola per ricordare a me stesso che non è mai possibile comprendere tanto bene il sogno di una persona da essere in grado di interpretarlo correttamente. Mi sono posto in quest'ordine di idee per controllare il flusso delle mie stesse associazioni e reazioni, che altrimenti potrebbero prendere il sopravvento sulle incertezze e le esitazioni dei miei pazienti. Come è della massima importanza terapeutica per l'analista cogliere quanto più accuratamente è possibile il messaggio particolare di un sogno (cioè il contributo fornito dall'inconscio al conscio), così è essenziale per lui esplorare il contenuto di un sogno in tutta la sua totalità.
Quando lavoravo con Freud, feci un sogno che illustra bene quanto sono venuto dicendo. Sognai di trovarmi “a casa mia” apparentemente al primo piano, in un comodo e piacevole salotto arredato in stile settecentesco. Mi stupivo di non avere mai visto prima questa stanza e cominciai a chiedermi come fosse disposto il piano terreno. Scesi dabbasso e mi trovai in un luogo piuttosto buio, dalle pareti rivestite e con un arredamento cinquecentesco o anche di epoca anteriore. La mia sorpresa e la mia curiosità aumentarono. Mi venne la voglia di esplorare ulteriormente tutta la casa. Così scesi in cantina dove trovai una porta che si apriva su una scalinata che conduceva in una grande stanza coperta da una volta. Il pavimento era formato da grandi lastre di pietra e le pareti sembravano molto antiche. Esaminai la malta e mi accorsi che essa era mescolata a schegge di mattone. Ovviamente le pareti erano di origine romana. La mia eccitazione cresceva a dismisura. In un angolo vidi un anello di ferro infìsso in una lastra di pietra. Sollevai la lastra e vidi un'altra scala stretta che portava a una specie di caverna, simile a una tomba preistorica, contenente due teschi, alcune ossa e cocci di ceramica frantumati. A questo punto mi svegliai.3
Se Freud, analizzando questo sogno, avesse seguito il mio metodo di esplorazione del suo contesto e delle sue associazioni specifiche, avrebbe scoperto un racconto di grande importanza. Tuttavia temo che egli lo avrebbe rifiutato nel tentativo di sfuggire a un problema che era tipicamente suo. Il sogno rappresenta di fatto un breve sommario della mia vita, o, più specificamente, del mio sviluppo mentale. Io fui allevato in una casa vecchia di duecento anni, il cui arredamento era composto da mobili antichi dì tre secoli e intellettualmente la mia più grande avventura spirituale era stata, fino a quel momento, lo studio della filosofia di Kant e di Schopenhauer. La novità sensazionale del momento era la teoria di Charles Darwin. Fino a poco tempo prima ero vissuto sotto il peso dei concetti medievali dei miei genitori per i quali il mondo e l'umanità erano regolati dall'onnipotenza e dalla provvidenza divine. Questa concezione ora appariva antiquata e anacronistica. La mia fede cristiana si era relativizzata a contatto con le religioni orientali e la filosofia greca. È per questo motivo che il piano terreno era così silenzioso, oscuro e ovviamente disabitato.
I miei interessi storici di allora si erano sviluppati sulla base di una fondamentale inclinazione per l'anatomia comparata e la paleontologia, mentre lavoravo come assistente presso l'istituto di anatomia. Ero affascinato dalle ossa dei fossili umani, in particolare dal molto discusso uomo di Neanderthal e dall'ancor più dibattuto teschio del Pithecanthropus di Dubois. Queste erano le mie effettive associazioni col sogno, ma non ebbi il coraggio di far menzione dei teschi, degli scheletri e dei cadaveri in presenza di Freud, poiché mi ero reso conto che questo tema non gli era gradito. Egli aveva l'idea fìssa che io prevedessi la sua morte prematura. Arrivò a questa conclusione quando mostrai un grande interesse per le mummie del museo Bleikeller di Brema, che visitammo insieme nel 1909 prima di imbarcarci per l'America.
Mi sentivo riluttante a rivelare i miei pensieri a Freud, poiché di recente mi aveva profondamente impressionato la constatazione che fra la sua concezione e i suoi presupposti mentali e i miei esisteva un abisso pressoché incolmabile. Temevo di perdere la sua amicizia se gli avessi rivelato il mio intimo che, a quanto supponevo, gli sarebbe sembrato in preda ad assurde fantasie. Sentendomi ancora assai incerto sul conto della mia psicologia, quasi automaticamente gli raccontai una bugia sulle mie “libere associazioni” con il proposito di sottrarmi all'impossibile compito di illustrargli la mia situazione estremamente personale e del tutto diversa dalla sua.
È necessario che mi scusi per questa narrazione piuttosto estesa del pasticcio in cui mi cacciai raccontando il mio sogno a Freud. Tuttavia si tratta di un significativo esempio delle difficoltà a cui si va incontro nel corso di una analisi accurata del significato dei sogni. Esse dipendono dalle differenze personali esistenti fra analista e analizzato.
Mi resi subito conto che Freud andava alla ricerca di qualche mio desiderio incompatibile e perciò suggerii come ipotesi che i teschi da me sognati potessero riferirsi ad alcuni membri della mia famiglia di cui desiderassi, per qualche motivo, la morte. La mia proposta incontrò la sua approvazione, ma io non rimasi soddisfatto di questa soluzione “fittizia”.
Mentre cercavo di trovare una risposta adatta agli interrogativi di Freud, mi trovai improvvisamente disorientato da un'intuizione circa il ruolo che i fattori soggettivi occupano nella interpretazione psicologica. La mia intuizione si era imposta con tanta forza che ebbi solo la preoccupazione di cavarmi il più facilmente possibile da quella delicata situazione e mi rifugiai nella menzogna. Ciò non era né elegante né moralmente giustificabile, ma se mi fossi comportato diversamente avrei rischiato di urtarmi fatalmente con Freud e io non me la sentivo per molte ragioni.
La mia intuizione mi aveva rivelato improvvisamente e in maniera del tutto imprevista la consapevolezza che il sogno da me fatto si riferiva solo a me, alla mia vita, al mio mondo, alla mia intera realtà in contrapposizione a una struttura teoretica che era stata costruita dalla mente di un altro, di un estraneo, per ragioni e scopi suoi personali. Il sogno era mio, non di Freud, e d'un colpo compresi il suo significato, come in un'illuminazione.
Questo conflitto illustra un punto vitale dell'analisi dei sogni. Non si tratta di una tecnica che possa essere appresa e applicata secondo regole prestabilite come uno scambio dialettico fra due personalità. Se essa viene utilizzata come una tecnica meccanica, la personalità psichica dell'individuo che sogna va perduta e il problema terapeutico si riduce semplicemente al problema di sapere quale fra le due persone interessate - l'analista o l'analizzato - finirà col prevalere sull'altra. Rinunciai proprio per questa ragione al trattamento ipnotico poiché non volevo imporre agli altri la mia volontà. Il mio scopo era quello di far sì che il processo di guarigione maturasse dalla personalità stessa del paziente e non dalle mie suggestioni che avrebbero avuto solo un effetto temporaneo. Miravo essenzialmente a proteggere e preservare la dignità e la libertà del mio paziente affinché egli potesse vivere la propria vita secondo i suoi desideri. In questa fase dei miei rapporti con Freud mi resi conto per la prima volta che prima di costruire teorie generali sull'uomo e la sua psiche, dobbiamo imparare un gran numero di cose in più sulla realtà dell'essere umano che è oggetto del nostro studio.
L'individuo è l'unica realtà. Quanto più ci allontaniamo dall'individuo nell'elaborazione di idee astratte sull'Homo sapiens, tanto più siamo sottoposti all'errore. In quest'epoca di sconvolgimenti sociali e di rapidi mutamenti, è desiderabile arrivare a sapere molto di più di quanto sappiamo attualmente sul conto dell'essere umano individuale, dal momento che dalle sue qualità mentali e morali dipendono tante cose importanti. Tuttavia, se vogliamo vedere ogni cosa nella sua giusta prospettiva, dobbiamo metterci in grado di capire il passato dell'uomo altrettanto bene del suo presente. È per questa ragione che l'interpretazione dei miti e dei simboli è d'importanza fondamentale.
Il problema dei tipi
In tutte le altre branche della scienza, è legittimo applicare un'ipotesi a un argomento impersonale. Invece la psicologia si trova ad avere a che fare inevitabilmente con le relazioni vive di due individui, nessuno dei quali può essere spogliato della sua personalità soggettiva né spersonalizzato in qualche altro modo. L'analista e il paziente possono trovarsi d'accordo nell'affrontare un particolare problema scelto da entrambi in modo impersonale e oggettivo; ma una volta che essi abbiano intrapreso l'analisi, le loro personalità sono interamente impegnate nella discussione. A questo punto è possibile fare dei progressi solo a patto che venga raggiunto un accordo reciproco.
È possibile esprimere un giudizio oggettivo sul risultato finale? Solo se facciamo un confronto fra le nostre conclusioni e i criteri generali che sono validi nel milieu sociale a cui gli individui singolarmente appartengono. Anche in questa fase di giudizio dobbiamo tener presente l'equilibrio mentale dell'individuo analizzato. Infatti il risultato non può approdare a un livellamento collettivo integrale dell'individuo per adattarlo alle “norme” della società in cui vive. Ciò corrisponderebbe a una condizione del tutto innaturale. Una società sana e normale deve essere composta da persone che non condividono abitualmente i reciproci punti di vista, poiché l'accordo generale è relativamente raro al di fuori della sfera delle qualità umane istintive.
Il disaccordo ha una funzione strumentale nella vita mentale di una società e non rappresenta lo scopo principale: l'accordo, infatti, è altrettanto importante. Siccome la psicologia dipende fondamentalmente dal gioco degli opposti che si equilibrano reciprocamente, nessun giudizio può essere considerato definitivo se non implica un criterio di reversibilità. La ragione di ciò consiste nel fatto che al di sopra o al di fuori della psicologia non esiste alcun principio che ci consenta di esprimere un giudizio definitivo intorno alla natura della psiche.
Nonostante che i sogni richiedano un trattamento individuale, sono necessari alcuni criteri generali per classificare e chiarire il materiale che lo psicologo viene raccogliendo attraverso lo studio di molti individui. Naturalmente sarebbe impossibile formulare una qualunque teoria psicologica, o insegnarla, attraverso la semplice descrizione di un gran numero di casi separati senza che ci si preoccupasse di scorgere i loro elementi comuni e quelli differenzianti. Qualsiasi caratteristica generale deve essere scelta sulla base di un criterio fondamentale. Per esempio si può adire a una distinzione relativamente semplice fra individui con personalità “estroverse” e altri individui con personalità “introverse”. Questa è solo una delle molte generalizzazioni possibili, ma permette di scorgere immediatamente le difficoltà che possono presentarsi nel caso che l'analista appartenga a un tipo e il paziente all'altro.
Poiché un'analisi più approfondita dei sogni comporta il confronto di due individui, ci sarà ovviamente una grande differenza a seconda che essi abbiano lo stesso tipo di atteggiamento oppure no. Se entrambi appartengono allo stesso tipo, essi possono collaborare insieme felicemente per molto tempo. Ma se uno di loro è un estroverso e l'altro un introverso, i loro diversi e contraddittori atteggiamenti possono contrastarsi reciprocamente, soprattutto nel caso che essi siano rispettivamente inconsapevoli del loro tipo di personalità o che siano convinti di essere ciascuno dalla parte esclusiva della ragione. L'estroverso, per esempio, sceglierà il punto di vista più comune e l'introverso lo rifiuterà perché si tratta di un atteggiamento alla moda. Una incomprensione di questo tipo è piuttosto frequente poiché ciò che per l'uno è un valore, per l'altro è il contrario. Ad esempio, Freud, interpretò il tipo introverso come un individuo morbosamente interessato a se stesso. Tuttavia, l'introspezione e la conoscenza di sé possono essere della massima importanza.
È necessario nel modo più assoluto prendere in considerazione queste differenze di personalità nel corso dell'interpretazione dei sogni. L'analista non deve essere considerato come una specie di superuomo al di sopra di tutte queste differenze, solo per il fatto che è un medico e che ha elaborato una teoria psicologica e una tecnica corrispondente. Egli può ritenersi superiore solo nella misura in cui supponga che la teoria e la tecnica da lui elaborate siano verità assolute capaci di abbracciare l'intera psiche umana. Tuttavia, siccome una supposizione di questo tipo è più che discutibile, egli non può farvi sicuro affidamento. Di conseguenza egli verrà segretamente assalito da dubbi nell'atto di confrontare la personalità umana globale del suo paziente con una teoria o una tecnica (che rappresentano esclusivamente ipotesi o tentativi) invece che con la sua vivente personalità globale.
La personalità globale dell'analista è l'unico equivalente adeguato della personalità del paziente. L'esperienza e la conoscenza psicologiche pongono l'analista su un piano di mera superiorità pratica. Esse non lo pongono al di fuori della mischia nella quale, anzi, si trova implicato al pari del paziente. Perciò è un fattore di estrema importanza che le loro personalità si armonizzino, ovvero siano in conflitto o complementari.
L'estroversione e l'introversione costituiscono solo due fra le molte particolarità del comportamento umano; tuttavia esse sono spesso piuttosto ovvie e facilmente identificabili. Se si studia, per esempio, l'individuo estroverso, ci si rende subito conto che esso si differenzia sotto molti punti di vista dagli altri individui del suo stesso tipo e che perciò quello dell'estroversione è un criterio troppo superficiale e generico per costituire una caratteristica indicativa. Per questo motivo, molto tempo fa, io ho cercato di rinvenire altre peculiarità fondamentali che fossero in grado di fornire qualche limite alle variazioni apparentemente infinite dell'individualità u mana.
Mi ha sempre colpito il fatto che un numero sorprendentemente elevato di individui non facciano uso della mente se possono farne a meno e che un numero equivalente di essi usino la mente in un modo sorprendentemente stupido. Io fui altresì sorpreso dal fatto che molte persone intelligenti e aperte vivessero, almeno nella misura in cui era possibile rilevarlo, come se non avessero mai appreso l'uso dei loro organi sensoriali: non vedevano le cose più evidenti, non udivano le parole che risuonavano loro negli orecchi, o non percepivano ciò che toccavano o gustavano. Alcuni di loro vivevano senza esser consapevoli della condizione del loro corpo.
C'erano poi altri che davano l'impressione di vivere in una curiosissima condizione di coscienza, come se lo stato in cui si trovavano attualmente dovesse essere definitivo, senza alcuna possibilità di cambiamento, o come se il mondo e la psiche fossero statici e immutabili per sempre. Essi sembravano privi di ogni immaginazione e sensibili, in maniera totale ed esclusiva, alla percezione dei sensi. Nel loro mondo non esistevano fattori casuali o possibilità e nel loro “oggi” non era presupposto alcun effettivo “domani”. Per essi il futuro era una semplice ripetizione del passato.
Io cerco qui di fornire al lettore un rapido panorama delle prime impressioni da me provate quando cominciai a osservare le molte persone che si presentavano alla mia attenzione. Mi apparve subito chiaro, tuttavia, che a usare la mente erano solo le persone che pensavano, cioè quelle che applicavano le loro facoltà intellettuali nel tentativo di adattarsi alle altre persone e alle circostanze. Coloro che, pur essendo dotati della medesima intelligenza, non ne facevano uso, cercavano e trovavano la loro strada al livello del sentimento (feeling).
“Sentimento” è una parola che ha bisogno di qualche spiegazione. Per esempio c'è chi parla di “sentimento” quando è in gioco il “sentimentalismo” (corrispondente alla parola francese sentiment). Altri applicano la stessa parola per definire un'opinione: per esempio, una comunicazione della Casa Bianca può cominciare nel seguente modo: “Il Presidente sente...” Inoltre la parola può essere usata per esprimere una intuizione: “Io sentivo che...”
Quando io uso la parola “sentimento” in contrasto con “pensiero”, mi riferisco a un giudizio di valore - per esempio: piacevole o spiacevole, buono o cattivo, e via dicendo. Secondo questa definizione il sentimento non è un'emozione (che, come dice la parola, è involontaria). Il sentimento, come l'intendo io, è (come il pensiero) una funzione razionale (cioè imperativa), mentre l'intuizione è una funzione irrazionale (cioè percettiva). Nella misura in cui l'intuizione è una “impressione”, essa non costituisce il prodotto di un atto volontario; essa è piuttosto un evento involontario, dipendente da diverse circostanze esterne o interne, che un vero e proprio atto di giudizio. L'intuizione assomiglia piuttosto alla percezione sensoriale, che è un evento altrettanto irrazionale nella misura in cui dipende essenzialmente da stimoli oggettivi fondati su cause fisiche e non mentali.
Questi quattro tipi funzionali corrispondono ai mezzi naturali tramite i quali la coscienza viene orientandosi nel corso dell'esperienza. La sensazione (cioè la percezione sensoriale) ci dice che qualcosa esiste; il pensiero ci mette al corrente di che cosa si tratta; il sentimento ci rivela se si tratta di una cosa più o meno piacevole; l'intuizione ci fa capire la provenienza e il fine di essa.
Il lettore si renderà conto che questi quattro criteri su cui si fondano i corrispondenti tipi di comportamento umano sono solo concetti relativi, come la volontà di potenza, il temperamento, l'immaginazione, la memoria e così via. Essi non sono affatto dogmatici, ma per la loro natura si rivelano validi criteri di classificazione, lo li trovo particolarmente utili quando debbo spiegare il comportamento dei figli ai genitori, quello delle mogli ai mariti, e viceversa. Essi si rivelano utili anche per la comprensione dei nostri pregiudizi personali.
Perciò, se vogliamo comprendere il sogno di un'altra persona, dobbiamo sacrificare le nostre predilezioni e sopprimere i nostri pregiudizi soggettivi. Ciò non è né facile né comodo poiché implica uno sforzo morale che non tutti sono capaci di compiere. Ma se l'analista non si sforza di criticare le proprie posizioni e di ammettere la relatività del proprio punto di vista, egli non arriverà ad avere né una corretta informazione né una comprensione sufficiente della mente del paziente. L'analista deve poter contare almeno sulla buona disposizione del paziente ad ascoltarlo e a prendere seriamente le sue parole, e lo stesso diritto deve essere assicurato al paziente. Benché questo tipo di rapporto sia indispensabile per una reciproca comprensione, e si dimostri palesemente necessario, non bisogna mai dimenticare che nel corso della terapia il fatto più importante è che il paziente capisca e non che vengano soddisfatte le previsioni teoriche dell'analista. La resistenza del paziente all'interpretazione dell'analista non è necessariamente errata; si tratta piuttosto di un sintomo sicuro che qualcosa non funziona. I casi sono due: o il paziente non ha ancora raggiunto un grado sufficiente di comprensione, oppure l'interpretazione non è adeguata.
I nostri tentativi di interpretazione dei simboli onirici di un'altra persona sono pressoché invariabilmente condizionati dalla nostra tendenza a colmare le inevitabili lacune dell'interpretazione ricorrendo alla proiezione, cioè alla supposizione che quanto viene percepito o pensato dall'analista sia ugualmente percepito o pensato dal paziente. Per evitare questa causa di errore, io ho sempre insistito sull'importanza di mirare direttamente al contesto del sogno particolare escludendo ogni implicazione teorica sui sogni in generale, fatta eccezione per quelle ipotesi che possono essere autorizzate esplicitamente dal sogno.
Da quanto sono venuto dicendo risulterà chiaro che non si possono assumere regole generali di interpretazione dei sogni. Quando suggerivo che la funzione dei sogni sembra esaurirsi completamente nella compensazione delle deficienze o delle distorsioni della mente conscia, intendevo dire che questa ipotesi era in grado di fornire il più adeguato procedimento per l'interpretazione della natura particolare dei singoli sogni. In alcuni casi la validità di questa ipotesi è chiaramente dimostrata.
Un mio paziente aveva una grande opinione di sé e non si rendeva conto che quasi tutti i suoi conoscenti erano irritati da questo suo atteggiamento di superiorità morale. Egli venne da me a raccontarmi un sogno in cui aveva visto un vagabondo ubriaco che rotolava in un fossato. Questa visione gli aveva suscitato solo questo commento moralistico: “È terribile vedere quanto in basso possa cadere un uomo”. Era chiaro che la spiacevole natura del sogno costituiva almeno in parte un tentativo per controbilanciare l'alta opinione che egli aveva dei suoi meriti. Tuttavia c'era di più: infatti venne fuori il fatto che egli aveva un fratello alcoolizzato cronico. Il sogno rivelava altresì che il suo atteggiamento di superiorità mirava a compensare il fratello sia sotto il profilo esteriore che interiore.
Ricordo un altro caso di una signora che andava fiera della sua conoscenza profonda della psicologia e che sognava ripetutamente una donna. Quando la incontrava nella vita di tutti i giorni non le piaceva e la considerava una intrigante fatua e disonesta. Invece in sogno la donna le appariva quasi come una sorella, una persona amica e piacevole. La mia paziente non riusciva a capire come mai potesse sognare in termini così favorevoli di una persona che essa disprezzava; il fatto è che questi sogni tendevano a significare che essa stessa possedeva inconsciamente un carattere simile a quello dell'altra donna. La mia paziente, che aveva idee ben chiare intorno alla propria personalità, riusciva difficilmente a rendersi conto che il sogno le rivelava il proprio complesso autoritario e le proprie motivazioni occulte: tutte influenze inconsce che, in più di un caso, l'avevano portata ad avere spiacevoli litigi con i suoi amici. Essa aveva sempre biasimato gli altri per questi litigi, mai se stessa.
Noi siamo portati a trascurare, a non prendere in considerazione e a rimuovere non soltanto l'aspetto recondito della nostra personalità: possiamo fare lo stesso con le nostre qualità positive. Mi viene in mente il caso di un uomo apparentemente modesto e schivo, di squisite maniere. Egli dava sempre l'impressione di volersi tenere in disparte, ma insisteva con discrezione per essere presente. Quando veniva richiesta la sua opinione egli si dimostrava sempre ben informato, ma non faceva nulla per imporre il proprio punto di vista. Tuttavia egli faceva a volte capire che una determinata questione avrebbe potuto essere affrontata molto meglio a un livello superiore (anche se non spiegava mai in che modo).
In sogno, tuttavia, egli si trovava di fronte costantemente a grandi personaggi storici, come Napoleone o Alessandro Magno. Questi sogni miravano chiaramente a compensare un complesso di inferiorità, ma avevano anche un'altra implicazione. Che razza d'uomo devo mai essere, implicava il sogno, per avere visitatori così illustri? Da questo punto di vista i sogni indicavano una megalomania segreta che controbilanciava il sentimento di inferiorità del soggetto. Questa idea inconscia di grandezza lo isolava dalla realtà del suo ambiente e gli consentiva di sottrarsi agli obblighi che sarebbero stati imperativi per altre persone. Egli non sentiva alcun bisogno di dimostrare, né a se stesso né agli altri, che il suo superiore giudizio era basato su una superiorità di meriti.
Egli, in realtà, giocava inconsciamente a un gioco insensato e i sogni tentavano di portare questo gioco al livello della coscienza in un modo curioso e ambiguo. Intrattenersi con Napoleone e parlare in termini confidenziali con Alessandro Magno costituiscono le tipiche fantasie prodotte da un complesso di inferiorità. Ci si potrebbe domandare, tuttavia, come mai il sogno non rivelava tutto ciò in maniera aperta e diretta, senza alcuna ambiguità.
Mi sono posto di frequente questo problema e sono arrivato a dargli una risposta. Spesso mi sorprende il modo tortuoso attraverso il quale i sogni sembrano sfuggire a una precisa informazione od omettere il dato decisivo. Freud aveva ipotizzato l'esistenza di una speciale funzione della psiche, da lui definita il “censore”. Secondo lui il “censore” deformava le immagini del sogno rendendole irriconoscibili o non più attendibili in modo da ingannare la coscienza del sognante intorno all'oggetto reale del sogno. Mascherando il pensiero critico al sognante, il “censore” proteggeva il suo sonno dall'emozione di ricordi spiacevoli. Io sono scettico nei confronti di questa teoria secondo la quale il sogno sarebbe un guardiano del sonno; in realtà, molto spesso i sogni disturbano il sonno.
È più verosimile che l'approccio alla coscienza abbia un effetto di “cancellamento” sopra i contenuti subliminali della psiche. Lo stato subliminale trattiene le idee e le immagini a un livello di tensione molto inferiore rispetto a quello che esse posseggono nella coscienza. Al livello subliminale esse perdono in chiarezza e definizione; le loro reciproche relazioni sono meno consequenziali e più vagamente analoghe, meno razionali e perciò più “incomprensibili”. Ciò può essere osservato anche in tutte le condizioni che si avvicinano allo stato onirico, sia che dipendano da affaticamento, da febbre o da tossine. Tuttavia se in qualche caso capita di fornire a qualcuna di queste immagini una tensione maggiore, esse divengono subliminali e, in quanto più prossime alla soglia della coscienza, meno vagamente definite.4
Da ciò si può capire come mai i sogni si esprimano sovente sotto forma di analogie, o perché un'immagine onirica si confonda con un'altra senza che sia possibile applicare né il criterio logico né quello temporale della nostra vita cosciente. La forma assunta dai sogni è naturale per l'inconscio in quanto il materiale da cui essi sono costituiti è trattenuto al livello subliminale esattamente in questo modo. I sogni non difendono il sonno da ciò che Freud chiamava il “desiderio incompatibile”. Ciò che egli definiva “camuffamento” costituisce di fatto la veste naturale assunta da tutti gli impulsi nell'inconscio. Per questi motivi il sogno non può produrre un pensiero definito. Quando comincia a farlo, esso cessa di essere un sogno perché varca la soglia della coscienza. È per questo motivo che i sogni sembrano schivare proprio quegli elementi che sono più importanti per la mente conscia e danno l'impressione di manifestare piuttosto la “frangia della coscienza”, simile al tenue luccichio delle stelle durante un'eclissi totale del sole.
È necessario rendersi conto che i simboli onirici sono per la maggior parte manifestazioni di una psiche che sta al di là del controllo della mente conscia. Il significato e l'intenzionalità non sono prerogative della mente: essi operano nel contesto totale della natura vivente. Non c'è alcuna differenza di principio fra lo sviluppo organico e quello psichico: come la pianta produce il fiore, così la psiche crea i propri simboli. Ciascun sogno costituisce una prova di questo processo.
Perciò, per mezzo dei sogni (oltre che attraverso ogni specie di intuizioni, impulsi e altri eventi spontanei), le forze istintive influenzano l'attività della coscienza. Il fatto che tale influenza si esprima positivamente o negativamente dipende dai contenuti attuali dell'inconscio. Se esso contiene troppe cose che normalmente dovrebbero esprimersi al livello della coscienza, la sua funzione viene distorta e pregiudicata; i moventi non risultano fondati su istinti autentici, ma derivano la loro ragion d'essere e la loro importanza psichica dal fatto di essere stati consegnati all'inconscio per rimozione o trascuratezza. Essi, per così dire, opprimono la normale psiche inconscia e deformano la sua tendenza naturale a esprimere i simboli emotivi di fondo. Perciò è legittimo, per uno psicoanalista che si occupi delle cause dei disturbi mentali, condurre il proprio paziente al punto di confessare o di rendersi conto più o meno consapevolmente di tutto ciò che costituisce per lui motivo di disagio o di timore.
Ciò assomiglia all'antica confessione della Chiesa che, sotto molti aspetti, ha anticipato le moderne tecniche psicologiche. Questa è, almeno, la regola generale. In pratica, tuttavia, ciò può rivelarsi controproducente: uno schiacciante senso di inferiorità o una grave forma di debolezza può rendere al paziente assai difficile, o persino impossibile, il compito di prendere direttamente coscienza della propria inadeguatezza. Perciò mi è sembrato spesso utile cominciare col fornire al paziente una visione positiva: ciò serve a dargli un utile senso di sicurezza quando si appresta a intraprendere un penoso lavoro di introspezione.
Si prenda, ad esempio, il caso di un sogno di “esaltazione personale”, in cui il soggetto si immagini di prendere il tè con la regina d'Inghilterra o di intrattenersi in intimo colloquio con il Papa. Se il sognante non è uno schizofrenico, l'interpretazione pratica del sogno dipende in misura decisiva dallo stato attuale della sua mente, cioè dalla condizione del suo ego. Se il sognante sopravvaluta le proprie capacità, è facile dimostrare (sulla base del materiale prodotto dall'associazione di idee) quanto inappropriate e infantili siano le sue intenzioni e quanto profondamente esse derivino da desideri infantili di essere alla pari o superiore rispetto ai suoi genitori. Ma se si tratta di un caso di inferiorità, in cui un sentimento integrale di inutilità abbia già sopraffatto tutti gli aspetti positivi della personalità del sognante, sarebbe un errore deprimerlo ancora di più mostrandogli quanto infantile, ridicola e perfino perversa sia la sua personalità. Ciò aumenterebbe crudelmente il suo complesso di inferiorità e provocherebbe un atteggiamento di resistenza al trattamento, non meno inopportuno che controproducente.
Non si tratta affatto di una tecnica terapeutica o di una dottrina di generale applicazione, poiché ogni singolo caso che l'analista si trova a sottoporre a trattamento è indicativo di condizioni individuali del tutto specifiche. Mi ricordo di un paziente che ebbi in trattamento per un periodo di nove anni. Lo vedevo solo per poche settimane all'anno poiché viveva all'estero. Fin dall'inizio compresi il suo problema reale, ma mi resi conto altrettanto bene che il minimo tentativo di affrontare la verità produceva una violenta reazione difensiva che minacciava di rompere completamente i nostri rapporti reciproci. Sia che mi piacesse o no, dovevo far di tutto per mantenere i nostri buoni rapporti e assecondare la sua inclinazione che era sostenuta dai sogni e che portava la nostra discussione al di fuori del campo in cui era radicata la sua nevrosi. Divagavamo a tal punto che spesso mi sono accusato di fuorviare il mio paziente. Mi tratteneva dal porlo brutalmente di fronte alla verità solo il fatto che la sua condizione migliorava nettamente anche se con lentezza.
Dopo dieci anni, tuttavia, il paziente dichiarò spontaneamente di essere guarito e di sentirsi liberato da tutti i sintomi. Io restai sorpreso poiché, teoricamente, la sua condizione era incurabile. Notando il mio stupore, egli sorrise dicendo: “Desidero ringraziarla soprattutto per il suo sicuro intuito e per la pazienza con cui mi ha aiutato ad aggirare la causa penosa della mia nevrosi. Sono disposto a dirle tutto. Se mi fosse stato possibile parlarne liberamente con lei, le avrei detto tutto nel corso della nostra prima consultazione; ma ciò avrebbe distrutto i nostri buoni rapporti. Come mi sarei ritrovato dopo una simile confessione? Di fronte a un fallimento morale. Durante questi dieci anni ho imparato ad avere fiducia in lei e quanto più cresceva la mia fiducia, tanto più le mie condizioni miglioravano. Io ho ottenuto questo miglioramento proprio in seguito a questo lento processo che mi ha restituito la fiducia in me stesso. Ora mi sento abbastanza forte da discutere con lei il problema che mi tormentava”.
Egli mi confessò quindi con spietata franchezza il suo problema, che mi fornì la giustificazione del particolare trattamento che avevamo dovuto seguire. Il suo shock iniziale era stato tanto forte da renderlo incapace di affrontarlo. Egli aveva bisogno dell'aiuto di un'altra persona e il compito della terapia era quello di portare alla lenta instaurazione di un rapporto di fiducia, piuttosto che alla dimostrazione di una teoria clinica.
Da casi come questi ho imparato a adattare i miei metodi alle necessità individuali del paziente, piuttosto che ad affidarmi a considerazioni teoriche generali che potrebbero risultare inapplicabili nei singoli casi individuali. La conoscenza della natura umana da me accumulata nel corso di sessant’anni di esperienza pratica mi ha insegnato a considerare ogni caso come un'esperienza nuova in cui, predominante sugli altri, si pone il problema dell'instaurazione di un rapporto personale. Talvolta non ho esitato a immergermi in uno studio accurato di avvenimenti e di fantasie infantili; altre volte ho cominciato dal fondo, anche se ciò significava immergersi direttamente nelle più remote speculazioni metafisiche. L'importante è capire il linguaggio individuale del paziente e seguire i suoi affannosi tentativi per emergere dall'inconscio alla luce. In alcuni casi è necessario applicare un certo metodo, in altri un metodo diverso.
Ciò è vero soprattutto per quanto riguarda l'interpretazione dei simboli. Due diversi individui possono fare all'incirca lo stesso sogno. (Questo fenomeno è meno infrequente di quanto non si pensi comunemente e si manifesta ben presto nel corso dell'esperienza clinica.) Eppure se, per esempio, un paziente è giovane e l'altro vecchio, il problema che disturba ciascuno di loro è rispettivamente diverso e sarebbe assolutamente assurdo voler interpretare tutti e due i sogni nello stesso modo.
Mi viene alla mente un sogno in cui un gruppo di giovani cavalca in una vasta prateria. Il sognante guida il gruppo e cade in un fossato pieno d'acqua, rivelando agli altri il pericolo. Tuttavia anche gli altri cavalieri cadono nel fossato.
Il giovane che venne a raccontarmi questo sogno era un tipo cauto e introverso. Però io ascoltai lo stesso sogno da un vecchio di carattere avventuroso che aveva vissuto una vita attiva e movimentata. Quando egli fece questo sogno era ormai in una condizione di invalidità che richiedeva le cure assidue di un'infermiera e di un medico: egli si trovava in questo stato per aver trasgredito alle istruzioni del medico.
Chiaramente, questo sogno indicava al giovane ciò che egli avrebbe dovuto fare e al vecchio ciò che stava tuttora facendo. Mentre esso qui incoraggiava le esitazioni del giovane, non faceva altrettanto con il vecchio: lo spirito avventuroso da cui era ancora pervaso costituiva il suo maggior pericolo. Questo esempio dimostra come l'interpretazione dei sogni e dei simboli dipenda largamente dalle circostanze individuali in cui si trova il soggetto e dalle condizioni della sua mente.
L'archetipo nel simbolismo dei sogni
Ho già indicato che i sogni assolvono una funzione di compensazione. Ciò significa che il sogno è un normale fenomeno psichico che trasmette reazioni inconsce o impulsi spontanei alla coscienza. Molti sogni possono essere interpretati con la partecipazione del sognante che fornisce le necessarie associazioni e il contesto dell'immagine onirica per mezzo delle quali si può considerare il sogno in tutti i suoi aspetti.
Questo metodo risulta adeguato nei casi ordinari, cioè quelli in cui un parente, un amico o un paziente vi raccontano il proprio sogno sommariamente nel corso di una conversazione. Ma quando si tratta di sogni ossessivi o altamente emotivi, le associazioni personali fornite dal sognante di solito non servono a indicare le linee di una soddisfacente interpretazione. In questi casi dobbiamo prendere in considerazione il fatto (osservato e commentato originariamente da Freud) che in sogno ricorrono spesso elementi non individuali e non ricavabili dall'esperienza personale del sognante. Tali elementi, come ho indicato precedentemente, sono quelli che Freud chiamava “resti arcaici”, cioè forme mentali la cui presenza non può essere spiegata da alcun elemento della vita individuale del paziente e che si rivelano come dati primordiali, innati ed ereditari della mente umana.
Come il corpo umano costituisce un complesso museo di organi, ciascuno dei quali possiede una lunga storia evolutiva dietro di sé, così dobbiamo prevedere che la mente sia organizzata in modo simile. Essa deve essere un prodotto storico alla stessa stregua del corpo in cui si trova a esistere. 
Per “storia” non intendo il fatto che la mente si venga sviluppando da sola attraverso riferimenti coscienti al passato tramite il linguaggio e altre tradizioni culturali. Io mi riferisco bensì allo sviluppo biologico, preistorico e inconscio della mente nell'uomo arcaico, la cui psiche era altrettanto chiusa di quella dell'animale.
Questa psiche straordinariamente antica costituisce la base della nostra mente, così come la struttura del nostro corpo è fondata sul modello anatomico generale del mammifero. L'occhio esercitato dell'anatomista o del biologo rinviene nel nostro corpo molte tracce di questo modello originario. Lo studioso sperimentato della mente può ugualmente rinvenire analogie equivalenti fra le raffigurazioni oniriche dell'uomo moderno e i prodotti della mente primitiva, le sue “immagini collettive” e i suoi motivi mitologici.
Tuttavia, come il biologo ha necessità di far ricorso all'anatomia comparata, così lo psicologo non può fare a meno di un'“anatomia comparata della psiche”. In altri termini, lo psicologo non solo deve avere una sufficiente esperienza pratica dei sogni e degli altri prodotti dell'attività inconscia, ma anche della mitologia nella sua più larga accezione. Senza questa preparazione è impossibile cogliere le analogie importanti: per esempio, è impossibile scorgere l'analogia fra un caso di nevrosi da coercizione e quello classico di ossessione demoniaca, senza avere una effettiva conoscenza di entrambi.
La mia teoria sui “resti arcaici”, da me definiti “archetipi” o “immagini primordiali”, è stata sempre criticata da coloro che non hanno una conoscenza appropriata dei sogni e della mitologia. Il termine “archetipo” è spesso frainteso in quanto viene identificato con certe immagini definite o precisi motivi mitologici. Questi, in realtà, non sono altro che rappresentazioni consce; sarebbe assurdo pensare che tali rappresentazioni variabili fossero ereditarie.
L'archetipo è invece la tendenza a formare singole rappresentazioni di uno stesso motivo che, pur nelle loro variazioni individuali anche sensibili, continuano a derivare dal medesimo modello fondamentale. Esistono, per esempio, molte rappresentazioni del motivo dei fratelli nemici, ma il motivo rimane sempre lo stesso. I miei critici hanno sempre erroneamente sostenuto che io presupponga l'esistenza di “rappresentazioni ereditarie” e su questa base hanno liquidato l'idea di archetipo come mera superstizione. Essi non hanno preso in considerazione il fatto che se gli archetipi fossero veramente rappresentazioni create (o acquisite) dalla nostra coscienza, noi dovremmo essere sicuramente in grado di comprenderle senza trovarci stupefatti e perplessi quando essi si presentano alla coscienza. Essi, in realtà, sono tendenze istintive altrettanto marcate quanto lo è l'impulso degli uccelli a costruire il nido, o quello delle formiche a dar vita a colonie organizzate.
A questo punto è necessario chiarire la relazione fra istinti e archetipi. Quelli che noi chiamiamo propriamente istinti, sono costituiti da stimoli fisiologici e risultano percepibili dai sensi. Essi però si manifestano contemporaneamente anche in veste di fantasie e spesso rivelano la loro presenza solo per mezzo di immagini simboliche. Queste manifestazioni sono ciò che io chiamo archetipi. La loro origine è ignota e si riproducono in ogni tempo e in qualunque parte del mondo, anche laddove bisogna escludere qualsiasi fattore di trasmissione ereditaria diretta o per “incrocio”.
Mi ricordo numerosi casi di persone che sono venute a consultarmi perché erano sconcertate dai loro sogni o da quelli dei propri figli. Esse erano assolutamente incapaci di comprendere il loro significato. Ciò dipendeva dal fatto che i sogni contenevano immagini non riferibili ad alcuno dei loro ricordi o ad alcunché che potesse essere stato trasmesso ai figli dai genitori stessi. Eppure alcuni di questi pazienti erano individui di eccellente cultura; qualcuno era addirittura psichiatra.
Mi rammento assai bene il caso di un professore che, in seguito a un'improvvisa visione, si era messo in testa di essere matto. Egli venne a trovarmi in preda a un panico totale, lo mi limitai a prendere da uno scaffale un libro stampato quattro secoli prima e a mostrargli un'antica incisione che raffigurava esattamente la sua visione. “Lei non ha alcun motivo per ritenersi matto”, gli dissi. “La sua visione era già nota quattro secoli fa.” A queste mie parole, egli si lasciò cadere sopra una sedia completamente rilassato e di nuovo normale.
Un caso molto interessante mi venne offerto da uno psichiatra. Un giorno egli mi portò un quadernetto scritto a mano che aveva ricevuto in dono per Natale dalla propria figlia di 10 anni. Esso conteneva tutta una serie di sogni che la bambina aveva fatto all'età di otto anni, i sogni più misteriosi che mi fosse mai capitato di osservare. Mi rendevo ben conto dell'imbarazzo del padre: benché infantili, erano strani e inquietanti e contenevano immagini che egli non riusciva assolutamente a comprendere. I motivi principali erano i seguenti:
1. “l'animale infernale”, un mostro a forma di serpente provvisto di numerose corna, uccide e divora tutti gli altri animali. Ma Dio interviene dai quattro angoli (si tratta in realtà di quattro dèi separati) e resuscita tutti gli animali morti;
2. una ascesa al cielo, dove si stanno celebrando danze pagane, e una discesa all'inferno, dove si trovano angeli intenti a compiere buone azioni;
3. un'orda di animali atterrisce la sognante: essi assumono dimensioni spaventose e uno di loro divora la bambina;
4. in un topolino si introducono vermi, serpenti, pesci ed esseri umani, ed esso si trasforma in uomo: ciò raffigura le quattro fasi dell'origine del genere umano;
5. appare una goccia d'acqua, come vista attraverso il microscopio e la bambina vede che essa è piena di rami d'albero: ciò raffigura l'origine del mondo;
6. un ragazzo malvagio tiene in mano una zolla di terra e ne scaglia un po' su tutti i passanti: in seguito a ciò anch'essi diventano cattivi;
7. una donna ubriaca cade nell'acqua e ne esce rinnovata e sobria;
8. la scena si svolge in America: un gran numero di persone si rotolano sopra una distesa di formiche e vengono da esse attaccate; la sognante, in preda al panico, cade in un fiume:
9. sulla luna c'è un deserto: la bambina vi sprofonda fino a raggiungere l'inferno;
10. in questo sogno la bambina ha la visione di una sfera luminosa; la tocca e ne emana vapore; sopraggiunge un uomo e la uccide;
11. la bambina sogna di essere gravemente ammalata; dalla sua pelle spuntano improvvisamente tanti uccelli che la ricoprono completamente;
12. sciami di zanzare oscurano il sole, la luna e tutte le altre stelle, tranne una: essa cade sulla sognante.
Nel testo completo originale, scritto in tedesco, ciascun sogno comincia con le antiche parole della favola: “C'era una volta...”. Esse stanno a significare che per la bambina ogni sogno è una specie di favola che essa vuole raccontare al padre come dono di Natale. Il padre cercò di spiegare i sogni sulla base del loro contesto, ma non vi riuscì perché erano privi di qualunque associazione personale.
Naturalmente la possibilità che questi sogni costituissero mere elaborazioni consapevoli può essere esclusa solo da chi abbia conosciuto la bambina sufficientemente a fondo da garantire della veridicità del suo racconto. (Tuttavia, anche se si trattasse di semplici fantasie, questi sogni esigerebbero pur sempre un'adeguata interpretazione.) Nel nostro caso, il padre era convinto che i sogni fossero autentici e io non ho alcuna ragione per dubitarne. Ho conosciuto personalmente la bambina, ma in epoca anteriore a quella in cui essa consegnò il quaderno dei sogni a suo padre e perciò non ho avuto la possibilità di farle domande in proposito. Essa viveva all'estero e morì di malattia infettiva circa un anno dopo quel Natale.
I suoi sogni hanno un carattere decisamente peculiare: i loro concetti fondamentali sono essenzialmente filosofici. Il primo, ad esempio, allude a un mostro infernale che uccide gli altri animali, ma Dio interviene a resuscitarli attraverso una restituzione divina o Apokatastasis. Nel mondo occidentale questa idea è conosciuta dalla tradizione cristiana. Essa è presente negli Atti degli Apostoli, in, 21: “[Cristo] che il cielo deve accogliere fino ai tempi della restituzione di tutte le cose...” I primi Padri greci della Chiesa (per esempio Origene) insisterono in particolare sull'idea che, alla fine dei tempi, ogni cosa verrà restaurata dal Redentore nel suo stato originario e perfetto. Tuttavia, secondo S. Matteo, XVI, 11, esisteva anche un'antica tradizione ebraica secondo la quale Elia “in verità verrà a restaurare tutte le cose”. Nella I Lettera ai Corinzi, XV, 22, si ritrova la stessa idea in questi termini: “Poiché come tutti muoiono in Adamo, così anche in Cristo tutti torneranno a vivere”.
Qualcuno potrebbe sospettare che la bambina si sia imbattuta in questo pensiero nel corso della sua educazione religiosa. Ma essa aveva una ridottissima preparazione di questo genere. I suoi genitori erano formalmente protestanti, ma di fatto conoscevano la Bibbia solo per sentito dire. In particolare, è estremamente improbabile che l'immagine recondita dell’Apokatastasis sia stata spiegata alla bambina. È certo che suo padre non aveva mai sentito parlare di questa idea mitica.
Nove dei dodici sogni sono influenzati dal tema della distruzione e della restaurazione e nessuno di essi mostra tracce di una educazione o di qualche influenza specificamente cristiane. Al contrario, essi si rivelano strettamente connessi con i miti primitivi. Questa relazione è corroborata dall'altro motivo, quello del “mito cosmogonico” (cioè la creazione del mondo e dell'uomo), che appare nel quarto e nel quinto sogno. La stessa connessione si rinviene nella I Lettera ai Corinzi, XV, 22, da me già citata. Anche in questo passo Adamo e Cristo (cioè la morte e la resurrezione) sono legati fra loro.
L'idea generale del Cristo Redentore appartiene al tema universale e precristiano dell'eroe e del salvatore che, benché divorato da un mostro, torna di nuovo ad apparire in modo miracoloso, dopo aver sconfitto il mostro che lo aveva ingoiato. Nessuno sa quando e dove questo motivo abbia avuto origine. Noi non sappiamo neppure in che modo sia possibile affrontare il problema di questo tipo di ricerca. L'unico elemento certo è che tutte le generazioni hanno conosciuto questo motivo sotto forma di una tradizione tramandata dalle epoche precedenti. Perciò possiamo legittimamente supporre che esso “abbia avuto origine” in un periodo in cui l'uomo non sapeva ancora di possedere un mito eroico; in un'età cioè, in cui egli non era ancora in grado di riflettere consapevolmente su ciò che diceva. La figura dell'eroe è un archetipo che è esistito fin da tempo immemorabile.
La produzione di archetipi da parte di bambini è particolarmente significativa, poiché in alcuni casi si può essere assolutamente sicuri che il bambino non ha avuto alcun accesso alla tradizione concernente questo motivo.
Nel nostro caso la famiglia della bambina aveva solo una conoscenza superficiale della tradizione cristiana. Naturalmente i temi cristiani possono essere rappresentati da idee come quelle di Dio, degli angeli, del cielo, dell'inferno e del demonio. Però il modo in cui essi sono trattati dalla fantasia di questa bambina rivela un'origine assolutamente non cristiana.
Prendiamo il primo sogno in cui Dio compare nelle spoglie distinte di quattro dèi, ciascuno proveniente da uno dei “quattro angoli”. Gli angoli di che cosa? Nel sogno non si fa alcuna allusione a una stanza. D'altra parte l'immagine di una stanza non si sarebbe adeguata alla raffigurazione di quello che, in questo caso, è evidentemente un evento cosmico, in cui interviene direttamente l'Essere universale. Il motivo quaternario è in se stesso un'idea strana, ma occupa un ruolo molto importante in molte religioni e filosofie. Nella religione cristiana esso è stato soppiantato dalla Trinità, una nozione che dobbiamo supporre essere stata familiare alla bambina. Ma chi conosce, oggigiorno, in una ordinaria famiglia media, il concetto di una quadruplice divinità? È un'idea che un tempo era assai nota fra gli studiosi della filosofia ermetica medievale, ma che poi si esaurì verso l'inizio del XVI secolo e che ha continuato a restare nell'ombra per almeno altri duecento anni dopo di allora. E allora, da dove può averla ricavata la bambina? Forse dalla visione di Ezechiele? Ma non esiste alcun insegnamento cristiano che identifichi i Serafini con Dio.
La stessa questione può essere sollevata per quanto riguarda l'immagine del serpente cornuto. Nella Bibbia, è vero, ricorrono molti animali con le corna, per esempio nel libro della Rivelazione. Ma si tratta sempre, a quanto risulta, di quadrupedi, sebbene su tutti loro domini il dragone, parola questa che in greco significa anche serpente (drakon). Il serpente cornuto appare nei trattati latini di alchimia del XVI secolo come quadricornutus serpens (serpente a quattro corna), simbolo di Mercurio che si oppone a quello della Trinità cristiana. Tuttavia si tratta di un riferimento eccezionalmente insolito. Per quanto ho potuto saperne io, tale motivo ricorre in un solo autore e la bambina non ne sapeva nulla.
Nel secondo sogno appare un motivo decisamente non cristiano in cui i valori tradizionali sono rovesciati: per esempio il motivo delle danze pagane degli uomini in cielo e delle buone azioni degli angeli nell'inferno. Questo simbolo suggerisce il criterio della relatività dei valori morali. Dove ha potuto trovare la bambina un concetto così rivoluzionario, degno del genio di Nietzsche?
Si arriva così a un'altra questione: qual è il significato compensatorio di questi sogni, un significato cui la bambina ovviamente attribuiva una grande importanza dal momento che dette il suo quadernetto al padre come regalo di Natale?
Se il soggetto sognante fosse stato uno stregone primitivo, si sarebbe potuto ragionevolmente supporre che essi rappresentassero alcune variazioni dei temi filosofici della morte, della resurrezione o restituzione, dell'origine del mondo, della creazione dell'uomo e della relatività dei valori. Ma se si cerca di interpretare questi sogni da un punto di vista personale, bisogna rinunciare a ogni spiegazione, data la loro intrinseca, inestricabile difficoltà. Essi contengono indubbiamente alcune “immagini collettive”, e queste in un certo senso sono analoghe alle dottrine impartite ai giovani delle tribù primitive quando si accingono a essere iniziati come uomini. In quest'età essi imparano a conoscere ciò che Dio, o gli dèi, o gli animali “originari” hanno fatto, in che modo il mondo e l'uomo furono creati, come sopraggiungerà la fine del mondo e quale sia il significato della morte. Nella civiltà cristiana ci sono occasioni in cui riceviamo simili istruzioni? Sì, durante l'adolescenza. Ma molte persone cominciano a riflettere di nuovo a cose come queste durante la vecchiaia o nell'imminenza della morte.
La bambina si trovava in entrambe queste situazioni. Essa si avviava alla pubertà e, contemporaneamente, alla fine della vita. Nel simbolismo dei suoi sogni c'è poco o nulla che indichi l'inizio di una normale vita adulta, mentre invece si trovano molte allusioni alla distruzione e alla restaurazione. In verità, quando lessi per la prima volta i suoi sogni provai la strana sensazione che essi suggerissero una tragedia imminente. Derivai questa mia impressione dalla natura particolare della compensazione che ero riuscito a dedurre da quel genere di simbolismo. Essa era esattamente l'opposto di ciò che ci si sarebbe aspettati di trovare nella coscienza di una bambina di quell'età.
Sogni come questi rivelano un aspetto nuovo e terrorizzante della vita e della morte. Ci si aspetterebbe di trovare immagini di questo tipo in una persona adulta che si volga a riflettere retrospettivamente sulla propria vita, ma non in una bambina che normalmente dovrebbe guardare solo davanti a sé. La loro atmosfera riporta alla mente quel vecchio proverbio romano secondo il quale “la vita è un breve sogno”, piuttosto che la gioia e l'esuberanza della fanciullezza. La vita di questa bambina assomigliava davvero al ver sacrum vovendum del poeta romano. L'esperienza mostra che l'ignoto approssimarsi della morte getta una adumbratio sulla vita e i sogni della vittima. Anche l'altare delle chiese cristiane rappresenta da una parte la tomba e dall'altra il luogo della resurrezione, cioè la trasformazione della morte in vita eterna.
Queste erano le idee che in sogno si rivelarono alla bambina. Esse non erano altro che una preparazione alla morte espressa in brevi racconti, simili a quelli caratteristici delle iniziazioni primitive come i Koan del Buddismo Zen. Questo messaggio non assomiglia alla dottrina cristiana ortodossa, ma piuttosto all'antico pensiero primitivo. Si ha l'impressione che esso abbia avuto origine, al di fuori della tradizione storica, nei fondamenti psichici primordiali che, fin dalle epoche preistoriche, hanno fornito nutrimento alle speculazioni filosofiche e religiose intorno alla vita e alla morte. Era come se gli eventi futuri proiettassero all'indietro la loro ombra, facendo sorgere nella bambina certi pensieri che, sebbene normalmente restino assopiti, descrivono o accompagnano l'approssimarsi di un esito fatale. Benché le guise specifiche in cui essi si esprimono siano più o meno personali, il loro modello generale è collettivo. È possibile rinvenirli ovunque e in ogni epoca, così come gli istinti animali, pur variando notevolmente a seconda delle differenti specie, mirano allo stesso scopo generale. Noi non supponiamo che ogni animale, appena nato, crei i suoi propri istinti nei termini di un'acquisizione individuale e non dobbiamo neppure supporre che gli individui umani vengano inventando i loro specifici modi di condotta umana dopo ogni singola nascita. Allo stesso modo degli istinti, i modelli di pensiero collettivi della mente umana sono innati ed ereditari. Quando si presenta l'occasione, essi funzionano più o meno nello stesso modo in tutti noi.
Le manifestazioni emotive, cui questi modelli di pensiero appartengono, sono riconoscibili ovunque. Possiamo identificarle anche negli animali ed essi stessi si comprendono reciprocamente in questo modo anche se appartengono a specie differenti. E che dire degli insetti, con le loro complicate funzioni simbiotiche? La maggior parte di loro non conosce neppure i propri genitori e non hanno nessuno che li addestri. Perché dovremmo supporre allora che l'uomo sia l'unico essere vivente privo di istinti specifici o che la sua psiche non presenti alcuna traccia della propria evoluzione?
Naturalmente se identifichiamo la psiche con la coscienza, è facile cadere nel concetto erroneo che l'uomo faccia il suo ingresso nel mondo con la psiche nelle condizioni di una tabula rasa e che successivamente essa venga a contenere solo gli elementi appresi dall'esperienza individuale. Ma la psiche è qualcosa di più della coscienza. Gli animali hanno scarsa coscienza, ma in compenso molti impulsi e reazioni che denotano l'esistenza di una psiche; inoltre i primitivi compiono un gran numero di cose il cui significato è per essi sconosciuto.
Invano chiedereste a molte persone del cosiddetto mondo civilizzato il significato reale dell'albero di Natale o dell'uovo di Pasqua. Il fatto è che esse fanno cose di cui non conoscono la ragione. Io sono incline a ritenere che dapprima si siano fatte certe cose e che solo dopo molto tempo, in genere, qualcuno si sia chiesto il loro significato. Il medico psicologo si trova continuamente di fronte a pazienti indubbiamente intelligenti, che tuttavia si comportano in maniera tutta particolare e imprevedibile e che non hanno alcuna idea di ciò che fanno o di ciò che dicono. Essi si trovano improvvisamente assaliti da stati d'animo inspiegabili di cui essi per primi non sanno darsi ragione.
A un esame superficiale queste reazioni e questi impulsi sembrano possedere una natura del tutto personale e perciò siamo portati a trascurarli come indici di un comportamento idiosincratico. In realtà, tuttavia, essi sono fondati su un sistema preformato e assolutamente istintivo che è caratteristico dell'uomo. Le forme di pensiero, i gesti universalmente comprensibili e molti atteggiamenti corrispondono a un modello che è stato costituito molto prima che l'uomo sviluppasse una coscienza riflessiva.
Si può altresì pensare che le prime origini delle capacità riflessive dell'uomo siano derivate dalle conseguenze dolorose di violenti conflitti emotivi. A puro titolo di esempio, prendo il caso di un boscimano che, in un momento di rabbia e di delusione per non essere riuscito a pescare alcun pesce, strangola il suo adorato unico figlio e viene quindi assalito da un immenso rimpianto quando solleva con le braccia il piccolo corpo inanimato. Quest'uomo può essere indicativo in assoluto di questo attimo di angoscia.
Non siamo in grado di sapere se questo tipo di esperienza costituì veramente la causa iniziale dello sviluppo della coscienza umana. Tuttavia non c'è alcun dubbio sul fatto che l'impressione di una simile esperienza emotiva sia spesso necessaria per destare gli uomini e renderli sensibili a ciò che stanno facendo. Questa circostanza si rivela nel caso famoso di Raimondo Lullo, hidalgo spagnolo del XV secolo che, dopo lunghe peripezie, riuscì finalmente a incontrarsi con la donna da lui ammirata a un appuntamento segreto. Senza profferire parola essa si aprì la veste e gli mostrò il seno, devastato dal cancro. Questa impressione sconvolgente cambiò radicalmente la vita di Lullo ed egli diventò un eminente teologo e uno dei più grandi missionari della Chiesa. Di fronte a un improvviso cambiamento di questo tipo, è facile dimostrare che un archetipo ha continuato per lungo tempo a essere attivo nell'inconscio, combinando abilmente tutte le circostanze che in seguito produrranno la crisi.
Esperienze come questa sembrano dimostrare che le forme archetipiche non sono modelli statici; esse sono piuttosto fattori dinamici che si manifestano sotto forma di impulsi altrettanto spontaneamente che gli istinti. Certi sogni, certi pensieri o visioni, possono comparire improvvisamente e, per quanto si possa accuratamente cercare di spiegarli, ci riesce impossibile rinvenire la loro causa. Ciò non significa che essi non abbiano una causa, poiché ce l'hanno sicuramente; tuttavia essa è così remota od oscura che è impossibile recuperarla.
In casi come questo è necessario attendere fino a che il sogno o il suo significato risultino sufficientemente comprensibili, oppure fino a che non intervenga qualche avvenimento esterno a spiegare il sogno.
Nel momento del sogno, tale avvenimento può ancora appartenere al futuro; ma, come i nostri pensieri consci rivelano spesso il futuro e le sue possibilità, così, in maniera del tutto simile, si comportano l'inconscio e i suoi sogni. Per molto tempo si è creduto che la funzione fondamentale dei sogni fosse quella di pronosticare il futuro. Nell'antichità, fino a tutto il Medioevo, i sogni hanno avuto una parte importante nella prognosi medica. Io sono in grado di confermare, sulla base di un sogno dei nostri tempi, il fattore di prognosi (o di precognizione) che può essere rinvenuto, ad esempio, in un antico sogno citato da Artemidoro di Daldis, nel II secolo d.C.: un uomo sognò di vedere il proprio padre perire nel rogo della casa. Non molto tempo dopo egli stesso morì per un phlegmone (cioè fuoco o febbre alta), che probabilmente era un attacco di polmonite.
Capitò altresì che un mio collega fosse assalito una volta da febbre cancrenosa, cioè da un phlegmone. Un suo vecchio paziente, che non conosceva la natura della malattia del suo medico, sognò che egli morisse in un grande fuoco. In quel tempo il medico era stato appena ricoverato e la malattia era all'inizio. Il sognante non sapeva altro all'infuori del fatto che il suo medico curante era ammalato e degente in ospedale. Tre settimane dopo il medico morì.
Come dimostra questo esempio, i sogni possono avere un aspetto anticipatorio o pronosticatorio e chiunque si accinga a tentarne una interpretazione deve prendere in considerazione questo elemento, soprattutto nel caso che un sogno non fornisca, pur nella chiarezza del suo significato evidente, un sufficiente contesto adatto a spiegarlo. Sogni come questi spesso si manifestano come fulmini a ciel sereno e si è portati a chiederci da che cosa possano essere stati provocati. Naturalmente, se si conoscesse il loro messaggio ulteriore, la loro causa apparirebbe evidente. Infatti solo la coscienza rimane all'oscuro, mentre l'inconscio sembra già informato e in possesso della conclusione espressa dal sogno. In realtà, l'inconscio risulta capace di esaminare e di trarre conclusioni solo sulla base di fatti precisi, approssimativamente nello stesso modo in cui agisce la coscienza. Esso può anche utilizzare certi fatti, e anticipare i loro possibili risultati, proprio perché noi non siamo consapevoli di essi.
Ma quando si è in grado di decifrare i sogni, l'inconscio rivela istintivamente le proprie deliberazioni. Questa distinzione è importante. L'analisi logica è una prerogativa della coscienza: noi selezioniamo attraverso la ragione e con cognizione di causa; l'inconscio, viceversa, risulta guidato essenzialmente da tendenze istintive, rappresentate da forme di pensiero corrispondenti, cioè dagli archetipi. Un medico cui venga chiesto di descrivere il decorso di una malattia farà ricorso a concetti razionali come quello di “infezione” o di “febbre”. Il sogno è di gran lunga più poetico: esso presenta l'organismo ammalato come la dimora terrestre dell'uomo e la febbre come il fuoco che la distrugge.
Come dimostrano i sogni riferiti sopra, la mente archetipica ha trattato la situazione nello stesso modo in cui essa appariva al tempo di Artemidoro. Ciò che rivela una natura più o meno sconosciuta è stato afferrato dall'inconscio e sottoposto a un trattamento archetipico. Ciò suggerisce il fatto che la mente archetipica, invece di assumersi il compito di esprimere i propri contenuti razionalmente alla stessa stregua del pensiero conscio, si è assunta una funzione pronosticatoria. Perciò gli archetipi hanno una loro iniziativa e una loro specifica energia. Ciò li rende suscettibili sia di produrre una interpretazione significativa (nel loro stile simbolico caratteristico), sia di interferire in una determinata situazione con i loro specifici impulsi e le loro particolari conformazioni di pensiero. Da questo punto di vista essi funzionano allo stesso modo dei complessi: essi vanno e vengono a loro piacimento e spesso ostruiscono o modificano in maniera imbarazzante le nostre intenzioni consce.
Si riesce a percepire l'energia specifica degli archetipi quando sperimentiamo il fascino tutto particolare che li accompagna. Essi possiedono una speciale attrattiva. Questa qualità è caratteristica anche dei complessi personali; allo stesso modo di questi ultimi, anche i complessi sociali a carattere archetipico hanno una loro storia individuale. Ma mentre i complessi personali producono solo una inclinazione individuale, gli archetipi danno vita a miti, religioni e filosofie che influenzano e caratterizzano intere nazioni ed epoche storiche. Noi consideriamo i complessi personali come compensazioni di atteggiamenti unilaterali o imperfetti della coscienza; nello stesso modo i miti a sfondo religioso possono essere interpretati come una specie di terapia mentale per le sofferenze e le ansietà del genere umano nel suo complesso: fame, guerre, malattie, vecchiaia, morte.
Il mito dell'eroe universale, ad esempio, si riferisce sempre a un uomo potente o a un uomo-dio che annienta le forze del male materializzate in dragoni, serpenti, mostri, demoni e così via, e che libera il proprio popolo dalla distruzione e dalla morte. La narrazione e la ripetizione rituale di testi sacri e di cerimonie, insieme alla venerazione della figura dell'eroe per mezzo di danze, musiche, inni, preghiere e sacrifici, trasmettono ai fedeli emozioni soprannaturali (quasi una attrazione magica) ed esaltano l'individuo fino a portarlo a identificarsi con l'eroe.
Se cerchiamo di considerare questo tipo di situazione con gli occhi del credente, arriveremo forse a renderci conto di come l'uomo comune possa sentirsi liberato dal sentimento di impotenza personale e dalla propria infelicità e trovarsi ripieno (almeno temporaneamente) di una qualità quasi sovrumana. In molti casi questa convinzione si manterrà viva in lui per molto tempo e conferirà un certo stile alla sua vita. Essa può anche imprimere uno speciale carattere a tutta una società. Un esempio notevole di questo fenomeno può rinvenirsi nei misteri eleusini, che furono definitivamente soppressi all'inizio del VII secolo dell'era cristiana. Essi esprimevano, insieme all'oracolo di Delfo, l'essenza e lo spirito dell'antica Grecia. Su scala molto maggiore, la stessa èra cristiana deriva il proprio nome e il proprio significato dall'antico mistero dell'uomo-dio, che ha le sue radici nel mito archetipico di Horus-Osiride dell'antico Egitto.
Comunemente si ammette che, durante la preistoria, in alcune particolari circostanze, le principali idee mitologiche siano state “inventate” da un intelligente vecchio filosofo o profeta e solo in seguito siano state trasformate in “fede” da gente credula e priva di senso critico. Si dice altresì che le storie narrate da sacerdoti in cerca di prestigio non sono “vere”, ma costituiscono un classico esempio di come si possa credere vera qualcosa solo perché la si desidera fortemente. Ma la parola “inventare” deriva dal latino invenire e significa “trovare”, cioè trovare qualcosa dopo averla “cercata”. In quest'ultimo caso la parola implica una qualche prescienza di ciò che siamo rivolti a trovare.
Torniamo un momento a considerare le strane idee contenute nei sogni della bambina. È estremamente improbabile che essa sia andata a cercarle deliberatamente dal momento che rimase sorpresa di trovarsi in loro presenza. Esse le apparvero sotto forma di storie del tutto peculiari e impreviste, e dotate di sufficiente interesse per essere date a suo padre come dono di Natale. Così facendo, tuttavia, essa le inserì nella sfera del tuttora vivo mistero cristiano - cioè l'episodio della nascita di Nostro Signore, mescolato al segreto dell'albero sempreverde scintillante della luce del nuovo nato. (Ciò è indicato dal quinto sogno.)
Benché ci siano numerose testimonianze storiche sulla relazione simbolica fra il Cristo e il simbolo dell'albero, i genitori della bambina si sarebbero trovati in un grave imbarazzo se avessero dovuto spiegare il significato del decorare un albero con candeline accese per celebrare la natività di Cristo. “Oh, si tratta semplicemente di una tradizione natalizia!” avrebbero detto. Una risposta seria richiederebbe una lunga dissertazione intorno all'antico simbolismo del Dio morente e delle sue relazioni con il culto della Grande Madre e del simbolo di questa: l'albero - per ricordare solo un aspetto di questo complesso problema.
Quanto più ci immergiamo nello studio delle origini di una “immagine collettiva” (o, per esprimersi in linguaggio ecclesiastico, di un dogma), tanto più ci troviamo a scoprire una serie infinita di modelli archetipici fra loro connessi che, prima dei tempi moderni, non sono mai stati oggetto di riflessione consapevole. Perciò, paradossalmente, noi ci troviamo in condizione di sapere intorno al simbolismo mitologico molte più cose di qualunque generazione fra quelle che ci hanno preceduto. Ciò dipende dal fatto che in epoche precedenti alla nostra gli uomini non riflettevano sui propri simboli, ma si limitavano a viverli e a essere inconsciamente animati dal loro significato.
Illustrerò questo punto sulla base di una esperienza da me compiuta una volta fra i primitivi del monte Elgon in Africa. Ogni mattina, all'alba, essi escono dalle capanne e alitano o sputano nelle proprie mani, tendendole poi verso i primi raggi del sole, come se offrissero il proprio respiro o la propria saliva alla divinità nascente, il mungu. (Questa parola swahili, da essi usata per spiegare l'atto rituale, deriva da una radice polinesiana equivalente a mana o murungu. Termini come questi, o altri simili, designano una “forza” di straordinaria efficacia e penetrazione, che noi chiameremmo divina. In altre parole, mungu è per essi l'equivalente di Allah o di Dio.) Quando domandavo loro quale fosse il significato di questo atto o perché lo compissero, essi si dimostravano completamente disorientati. Le uniche cose che riuscissero a dire erano: “Abbiamo sempre fatto così. Tutti hanno sempre fatto così al sorgere del sole”. L'ovvia conclusione che il sole è il mungu li faceva ridere. In realtà il sole non è il mungu quando si è già levato sull'orizzonte; il mungu rappresenta il momento preciso del sorgere del sole.
Il loro rituale era ovvio per me ma non per loro: essi sapevano solo ripeterlo senza riflettere alle loro azioni. Di conseguenza non erano in grado di darsi una spiegazione. Io conclusi che essi offrivano la loro anima al mungu in quanto l'alito (vitale) e la saliva significano “sostanza psichica”. L'alito o lo sputo diretti su qualcosa producono un effetto “magico”, come quando, per esempio, Cristo usava la saliva per sanare i ciechi, o quando un figlio respira l'ultimo alito del padre morente per ricevere dentro di sé l'anima paterna. È del tutto improbabile che questi africani abbiano mai conosciuto qualcosa di più intorno al significato della loro cerimonia, neppure nelle epoche più remote. Di fatto, i loro antenati ne sapevano ancora meno poiché erano molto più inconsapevoli dei loro moventi e riflettevano ancora meno sulle proprie azioni.
Opportunamente il Faust di Goethe afferma: “Im Anfang war die Tat [in principio era l'azione]”. Le “azioni” non furono mai inventate, ma semplicemente compiute; i pensieri, d'altra parte, costituiscono una scoperta relativamente recente dell'uomo. Dapprima egli era spinto all'azione da fattori inconsci e solo dopo molto tempo cominciò a riflettere sulle cause da cui era stato mosso; infine c'è voluto un periodo di tempo ancora più lungo prima che egli arrivasse all'idea assurda di essere stato spinto ad agire dai propri impulsi soggettivi - essendo la sua mente incapace di identificare qualunque altra forza stimolante al di fuori della propria.
L'idea che una pianta o un animale si inventino da soli ci fa ridere, eppure molti credono che la psiche o la mente si siano inventate da sé e che abbiano creato la propria esistenza. In realtà, la mente si è sviluppata fino alla sua fase attuale di consapevolezza nello stesso modo in cui la ghianda si viene trasformando in quercia o i sauri sono diventati progressivamente mammiferi. Essa si è venuta sviluppando per un lunghissimo arco di tempo e continua tuttora a svilupparsi; noi siamo perciò sottoposti all'azione sia di forze interiori che di stimoli esterni.
Questi moventi interiori scaturiscono da una sorgente profonda, che non è costituita dalla coscienza e resta al di fuori del suo controllo. Nella mitologia primitiva queste forze erano chiamate mana, ovvero spiriti, demoni e divinità. Esse sono altrettanto attive oggigiorno quanto lo sono sempre state in passato. Se si conformano ai nostri desideri noi attribuiamo loro il significato di sentimenti o impulsi positivi e ci congratuliamo con noi stessi per essere benvoluti dalla sorte. Se invece esse ci contrastano, allora diciamo di essere perseguitati dalla sfortuna, che certa gente ci vuol male o che la causa delle nostre disgrazie deve essere patologica. L'unica cosa che ci rifiutiamo di ammettere è di essere in balìa di “forze” che non siano riducibili al nostro controllo.
È pur vero, d'altra parte, che nei tempi recenti l'uomo civilizzato ha acquisito una energica forza di volontà che egli applica nelle più diverse occasioni. Egli ha imparato a svolgere efficacemente il proprio lavoro senza ricorrere a canti o a tamburi per ipnotizzarsi e spingersi ad agire. Egli può anche fare a meno della preghiera quotidiana per invocare l'aiuto divino; egli arriva a fare da solo ciò che vuole e a tradurre apparentemente le sue idee in azione senza alcun inciampo, mentre l'uomo primitivo sembra condizionato a ogni passo da timori, superstizioni e altri ostacoli invisibili che si frappongono fra lui e l'azione. Il motto “Volere è potere” è la superstizione dell'uomo moderno.
Eppure l'uomo contemporaneo, pur di mantener viva questa fede, paga lo scotto di una grave mancanza di introspezione. Egli resta cieco al fatto che, pur con tutta la sua razionalità e la sua efficienza, “forze” non controllabili lo tengono ancora in loro balìa. I suoi dèi e i suoi demoni non sono affatto scomparsi: hanno solo cambiato nome. Essi lo tengono in uno stato d'agitazione incessante attraverso vaghe apprensioni, complicazioni psicologiche, un bisogno insaziabile di pillole, di alcool, di tabacco, di cibo e soprattutto imponendogli un pesante fardello di nevrosi.
L'anima dell'uomo
La cosiddetta coscienza civilizzata si è nettamente separata dagli istinti di fondo senza, però, che questi ultimi siano scomparsi. Essi hanno semplicemente perduto ogni contatto con la nostra coscienza e perciò sono costretti ad affermarsi in maniera indiretta. Ciò può verificarsi per mezzo di sintomi fisici nel caso della nevrosi, o attraverso inconvenienti di vario tipo, come stati d'animo inspiegabili, improvvise dimenticanze o errori di linguaggio.
All'uomo piace credere di essere padrone della propria anima. Ma nella misura in cui egli si dimostra incapace di controllare i propri stati d'animo e le proprie emozioni, o di prendere coscienza degli infiniti modi segreti in cui i fattori inconsci arrivano a insinuarsi nei suoi propositi e nelle sue decisioni, egli non è affatto padrone di se stesso. Questi fattori inconsci debbono la loro esistenza all'autonomia degli archetipi. L'uomo moderno cerca di evitare di prendere coscienza di questa spaccatura della sua personalità istituendo un sistema di compartimenti stagni. Certi aspetti della sua vita esteriore e del suo comportamento sono mantenuti, per così dire, in zone separate e non sono mai messi a confronto fra di loro.
Come esempio di questa cosiddetta psicologia a compartimenti, ricordo il caso di un alcoolizzato che si era lasciato lodevolmente influenzare da un certo movimento religioso e, affascinato dall'entusiasmo di quegli adepti, si era dimenticato di aver bisogno di bere. Ovviamente si era sparsa la voce che egli era stato miracolosamente guarito da Gesù e che perciò rappresentava un esempio vivente della grazia divina e dell'efficacia di quella particolare organizzazione religiosa. Tuttavia, dopo poche settimane di confessioni pubbliche, la attrazione per questo avvenimento cominciò a venir meno e il buon uomo tornò a sentire il bisogno di rifocillarsi con qualche bicchierino. Così ricominciò a bere. Ma questa volta la solerte organizzazione concluse che il caso era “patologico” e non suscettibile di essere invocato a testimonianza di un intervento di Gesù e perciò lo ricoverarono in una clinica per consentire al medico di ottenere un risultato migliore di quello conseguito dal Guaritore divino.
Questo è un aspetto della moderna mentalità “culturale” che è degno di essere esplorato in quanto mostra un grado allarmante di dissociazione e di confusione psicologica.
Se, per un momento, paragoniamo il genere umano a un individuo, ci accorgiamo che esso è nelle stesse condizioni di una persona dominata da forze sconosciute; anche la razza umana si compiace di isolare alcuni problemi in compartimenti separati. Proprio per questa ragione noi dobbiamo prestare una grande attenzione a ciò che facciamo, poiché il genere umano è attualmente minacciato da pericoli mortali da esso stesso creati e che si ingigantiscono progressivamente sfuggendo al nostro controllo. Il mondo in cui viviamo è, per così dire, dissociato allo stesso modo di un nevrotico, e la Cortina di ferro denota questa simbolica linea di divisione. L'uomo occidentale, divenuto consapevole dell'aggressiva volontà di potenza dell'Est, si trova costretto ad apprestare misure di difesa di straordinaria entità, mentre va fiero, contemporaneamente, della sua virtù e delle sue buone intenzioni.
Ciò che non gli riesce di vedere è il fatto che i suoi stessi vizi, da esso ammantati di buone maniere internazionali, si vengono ritorcendo contro di lui dal mondo comunista, in maniera spudorata e sistematica. Ciò che l'Occidente ha tollerato, ma segretamente e con un leggero senso di vergogna (cioè la menzogna diplomatica, il tradimento sistematico, minacce dissimulate), ci viene restituito esplicitamente e integralmente dall'Oriente e ci inviluppa in nodi nevrotici. È il volto della sua stessa ombra demoniaca che sogghigna dall'altro versante della Cortina di ferro in faccia all'uomo occidentale.
È questo stato di cose a spiegare quel particolare sentimento di impotenza di tante persone delle società occidentali. Esse hanno cominciato a rendersi conto che le difficoltà contro cui ci dibattiamo sono essenzialmente problemi morali e che il tentativo di reagire a essi attraverso una politica di intenso armamento nucleare o di “competizione” economica è destinato a scarsi risultati poiché si tratta di un'arma a doppio taglio. Molti di noi ora capiscono che mezzi mentali e morali sarebbero più efficaci in quanto ci fornirebbero una immunità psichica contro questa dilagante infezione.
Tuttavia questi tentativi si sono dimostrati tutti singolarmente inefficaci e tali continueranno a essere fino a che cercheremo di convincere noi stessi e il resto del mondo che solo essi (cioè gli avversari) hanno torto. Sarebbe molto più produttivo compiere un serio tentativo di prendere coscienza dell'ombra della nostra civiltà e dei suoi terribili misfatti. Se potessimo vedere la nostra ombra (cioè il lato oscuro della nostra natura), riusciremmo a immunizzarci da qualsiasi infezione e penetrazione sia morale che mentale. Allo stato attuale delle cose, noi ci rendiamo invece disponibili per ogni infezione poiché ci comportiamo praticamente nello stesso modo in cui essi agiscono. Solo che a nostro ulteriore svantaggio c'è il fatto di non vedere né di voler capire ciò che noi stessi veniamo facendo con le nostre mani, mascherandoci sotto il manto delle buone maniere.
CONTINUA - II PARTE -

Testo tratto da:
http://www.nilalienum.it/Sezioni/Freud/Materiali%20bibliografici/Jung/JungUSS.html 

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