mercoledì 15 ottobre 2014

“Fiorirà l’aspidistra” - George Orwell -

“Fiorirà l’aspidistra” - George Orwell - 



 L’aspidistra è l’albero della vita, Gordon si disse a un tratto.”

“Dopo tutto, c’era sempre il fatto del suo “scrivere”. Un giorno, forse, sarebbe riuscito a guadagnarsi la vita bene o male “scrivendo”; e ti saresti sentito affrancato dal puzzo dei quattrini, il giorno che fossi stato uno “scrittore”, nevvero? I tipi di cui si vedeva circondato, soprattutto i più anziani, lo facevano fremere di ribrezzo. Ecco, cosa significava adorare il dio quattrino! Sistemarsi, Far Bene, vendere l’anima per un nulla e per un’aspidistra! Diventare il tipico serpentello con la bombetta – l’ometto di Strube – il cittadino docile che rincasa alle diciotto e quindici, ogni sera, per consumare una cena a base di pasticcio di carne alla campagnola e di pere sciroppate in scatola, ascoltare per una mezz’oretta alla radio il concerto sinfonico della B.B.C. e infine, forse, un po’ di leciti rapporti sessuali, sempre che la moglie “si senta in vena”! Che destino! No, non era così che intendeva vivere. Uno aveva il dovere di tirarsi fuori da tutto ciò, fuori dal puzzo di quattrini. Era una specie di complotto che egli veniva tramando. Era come se egli si fosse votato a questa guerra contro il denaro. Ma era ancora un segreto. I suoi colleghi in ufficio non lo sospettarono mai di opinioni non ortodosse. Non scoprirono mai nemmeno che scrivesse versi: non che ci fosse poi molto da scoprire, dato che in sei anni egli aveva stampato meno di venti poesie su riviste. A guardarlo, aveva esattamente il tipo di ogni altro impiegato della City, soldato dell’esercito che ogni mattina, attaccato agli appositi sostegni, corre sussultando verso est e la sera ripete il viaggio verso ovest, nelle vetture della metropolitana”.

(George Orwell, “Fiorirà l’aspidistra”, Arnoldo Mondadori editore, collana “Medusa” diretta, all’epoca, da Elio Vittorini)

“Si chiese chi fosse la gente che abitava dietro quelle case. Dovevano essere, per esempio, piccoli impiegati, commessi di negozio, viaggiatori di commercio, galoppini di assicuratori, tranvieri. Sapevano di essere soltanto marionette che ballavano soltanto quando il denaro tirava i fili? C’era da scommettere la testa che non lo sapevano. E quand’anche lo avessero saputo, non gliene sarebbe importato nulla. Erano troppo occupati a nascere, a sposarsi, far figli, lavorare, morire. Poteva non essere poi una cosa malvagia, riuscendovi, sentirsi uno di loro, uno della folla di falliti. La nostra civiltà è fondata sull’avidità e la paura, ma nelle vite della genterella comune avidità e paura sono misteriosamente tramutate in qualcosa di più nobile. Quei piccoli borghesi là, dietro le loro tendine ricamate, coi loro figli, i loro mobili dozzinali e le loro aspidistre, essi vivevano secondo il codice del denaro, senza dubbio, e riuscivano ciò nonostante a conservare la loro dignità. Avevano le loro norme, i loro inviolabili punti d’onore. Si “mantenevano rispettabili”: facevano garrire le loro aspidistre, come bandiere. E poi, erano vivi. Erano avvolti nell’involto della vita. Generavano figli, cosa che i santi e i salvatori di anime non hanno mai avuto il modo di fare. 
L’aspidistra è l’albero della vita, Gordon si disse a un tratto”.

 - Alternative - 

- Ma non vedi come il tuo atteggiamento sia irragionevole? Passi la tua vita a prendertela col capitalismo e nello stesso tempo non vuoi accettare la sola alternativa possibile. Devi deciderti, a un certo punto. Uno o accetta il capitalismo o accetta il socialismo. Non c’è via d’uscita.
- E io ti dico che non voglio impicciarmi di socialismo. Il solo pensiero del socialismo mi fa sbadigliare.
- Ma qual è la tua obiezione al socialismo, se è lecito?
- C’è una sola obiezione al socialismo, ed è che nessuno lo vuole.
- Oh, ma che assurdità questa!
- O, per meglio dire, non c’è nessuno che possa vedere che cosa sia realmente il socialismo.
- Ma, secondo te, che cosa vorrebbe dire il socialismo?
- Oh, qualcosa di molto simile al Mondo nuovo di Huxley; ma non così divertente. Quattro ore al giorno in qualche stabilimento modello, ad avvitare il bullone n° 6003. Razioni servite in fogli di carta sterile nella cucina collettiva. Passeggiate collettive dall’Ostello Marx all’Ostello Lenin. Cliniche per il libero aborto in tutti gli angoli. Tutto molto bello, a suo modo; ma noi non lo vogliamo.
Ravelston trasse un profondo sospiro. Ogni mese, su Anticristo, egli ripudiava questa versione del socialismo. – Che cosa vogliamo allora?
- Dio solo lo sa. Tutto quello che sappiamo è ciò che non vogliamo. È questo il nostro guaio, al giorno d’oggi. Non possiamo scegliere, come l’asino di Buridano. Soltanto che ci sono tre alternative, invece di due, e tutt’e tre ci fanno venire il voltastomaco. Il socialismo è soltanto una delle alternative.
- E quali sono le altre due?
- Oh, il suicidio, direi, e la Chiesa cattolica.
Ravelston sorrise, scandalizzato nel suo anticlericalismo.
- La Chiesa cattolica! E ti sembra un’alternativa?
- Comunque, è una tentazione sempre presente per gli intellettuali, no?
- Non proprio quelli che io chiamerei gli intellettuali. Sebbene ci sia Eliot, naturalmente – ammise Ravelston.
- E chi sa quanti altri ce ne saranno, ci scommetto la testa. Direi che si sta bene al calduccio sotto l’ala di Madre Chiesa. Un po’ antigienico, naturalmente, ma che senso di sicurezza, là sotto!
Ravelston si stropicciò il naso con aria riflessiva.
- Mi sembra che anche questa comunque sia una forma di suicidio.
(George Orwell, “Fiorirà l’aspidistra”, 1936)

- George Orwell -     

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