martedì 7 ottobre 2014

L’Uomo e i suoi simboli - Carl Gustav Jung - III PARTE -

L’Uomo e i suoi simboli 

Carl Gustav Jung 

(e Marie-Luoise von Franz, Joseph L. Henderson, J. Jacobi, A. Jaffé)

Longanesi, Milano 1980 (ed. orig. 1967)
Introduzione all’inconscio 
 
Come sanare la frattura
Il nostro intelletto ha creato un mondo nuovo che domina la natura e lo ha popolato di macchine mostruose. Quest'ultime presentano una utilità così indiscutibile che non possiamo neanche immaginarci la possibilità di fare a meno di esse o di rinunciare a essere loro subordinati. L'uomo è costretto a seguire inevitabilmente i suggerimenti della sua mente scientifica e inventiva e a inebriarsi delle proprie splendide conquiste. Contemporaneamente, però, il suo genio rivela una terrificante tendenza a inventare cose che diventano sempre più pericolose, in quanto suscettibili di trasformarsi in micidiali strumenti di un suicidio universale.
Di fronte alla valanga crescente dell'aumento della popolazione mondiale, l'uomo ha già intrapreso la ricerca di metodi e strumenti per arginare questo pericolo. Ma la natura può anticipare tutti i nostri tentativi ritorcendo contro l'uomo la sua stessa mente creativa. La bomba h, per esempio, arresterebbe senz'altro la sovrappopolazione. Malgrado il nostro orgoglioso sentimento di dominio sulla natura, restiamo tuttora sue vittime, poiché non abbiamo ancora imparato a controllare la nostra intima natura. Lentamente ma, a quanto pare, con ostinazione irrevocabile, stiamo cercando il disastro.
Non ci sono più dèi cui si possa ricorrere per invocare aiuto. Le grandi religioni del mondo soffrono di una crescente anemia: le soccorrevoli divinità hanno per sempre abbandonato i boschi, i fiumi, le montagne, gli animali e gli uomini-dèi sono scomparsi nel profondo dell'inconscio. Poi inganniamo noi stessi tentando di persuaderci che colà essi conducano un'esistenza ignominiosa fra le reliquie del nostro passato. La nostra vita presente è dominata dalla dea Ragione che costituisce la nostra maggiore e più tragica illusione. Con l'aiuto della ragione - così tentiamo di rassicurarci - abbiamo “conquistato la natura”.
Però si tratta di un semplice slogan, poiché la cosiddetta conquista della natura si dimostra al di là delle nostre possibilità per il semplice fenomeno naturale della sovrappopolazione e si aggiunge agli altri nostri travagli dovuti alla nostra incapacità psicologica di realizzare i necessari ordinamenti politici. Per gli uomini resta più che naturale contrastarsi e combattersi reciprocamente per affermare la propria superiorità gli uni sugli altri. In che modo, quindi, abbiamo “conquistato la natura”?
Poiché ogni cambiamento deve originare da qualche parte, è il singolo individuo che dovrà sperimentarlo e condurlo a buon fine. Il cambiamento deve necessariamente avviarsi in un individuo e questi potrebbe essere chiunque di noi. Nessuno ha il diritto di starsi a guardare intorno aspettando che altri facciano quello che egli non è disposto a mettere in atto personalmente. Ma poiché nessuno sembra sapere ciò che deve fare, varrebbe la pena che ognuno di noi si chiedesse se per caso il proprio inconscio non sia a conoscenza di qualcosa che possa aiutarlo. Ciò che è certo è che la mente conscia appare incapace di rendere qualsiasi servigio di questo tipo. L'uomo è oggigiorno dolorosamente consapevole del fatto che né le grandi religioni, né le diverse filosofie risultano in grado di fornirgli quelle potenti idee animatrici che sole potrebbero dargli la sicurezza di cui ha attualmente bisogno per fronteggiare le condizioni del mondo contemporaneo.
Ricordo l'antico detto buddista: tutto andrebbe per il suo giusto verso se gli uomini si limitassero a seguire il “nobile sentiero dalle otto diramazioni” del Dharma (dottrina, legge) e se penetrassero a fondo la verità del Sé. Il cristiano ci dice che se gli uomini avessero fede in Dio, il mondo diventerebbe migliore. Il razionalista, infine, insiste nel dire che se gli uomini fossero intelligenti e ragionevoli, tutti i nostri problemi troverebbero una soluzione. Il guaio è che nessuno di loro si dà da fare per risolvere personalmente tutti questi problemi.
I Cristiani spesso si domandano come mai Dio non parli più loro, come si crede che abbia fatto nei tempi antichi. Quando sento porre questa domanda mi viene sempre in mente l'episodio di quel rabbino cui era stato chiesto come mai Dio si fosse mostrato spesso agli uomini nell'antichità e così non avvenisse più, invece, al giorno d'oggi. Il rabbino rispose: “Oggigiorno non c'è più nessuno che sappia inchinarsi di fronte alla legge”.
Questa risposta coglie nel cuore della questione. Noi siamo a tal punto prigionieri della nostra coscienza soggettiva da esserci dimenticati del fatto, antico quanto il mondo, che Dio parla soprattutto per sogni e per visioni. Il buddista rinnega come illusioni senza senso l'intero mondo delle fantasie inconsce; il cristiano, da parte sua, interpone fra sé e il proprio inconscio la Chiesa e la Bibbia; l'intellettuale razionalista, infine, non arriva a capire che la coscienza non esaurisce la totalità della psiche. Questa forma d'ignoranza resiste nel nostro tempo nonostante il fatto che da più di settantanni l'inconscio si sia affermato come concetto scientifico fondamentale senza il quale non è più possibile condurre alcuna seria indagine psicologica.
Noi non abbiamo più il diritto di considerarci tanto onnipotenti da porci come giudici dei meriti o dei demeriti dei fenomeni naturali. Noi non fondiamo più la botanica sull'antiquata divisione fra piante utili e piante inutili, o la zoologia sull'ingenua distinzione fra animali inermi e animali pericolosi. Eppure continuiamo a trastullarci col concetto che la coscienza rappresenti il senso e l'inconscio il non senso. In sede scientifica una opinione come questa verrebbe subito scartata per la sua ridicola inconsistenza. Forse si può dire che i microbi abbiano o non abbiano senso?
Qualunque cosa possa essere l'inconscio, esso è un fenomeno naturale produttore di simboli che si dimostrano significativi. Come non possiamo attenderci che una persona che non abbia mai guardato attraverso un microscopio possa esprimere interpretazioni autorevoli sul conto dei microbi, così nessuno che non abbia mai condotto un serio studio sui simboli naturali può essere considerato un giudice competente in materia. Tuttavia la generale scarsa stima sul conto dell'anima umana è così grande che né le grandi religioni, né le varie filosofie, né il razionalismo scientifico si sono voluti soffermare a considerarla a fondo.
Malgrado il fatto che la chiesa cattolica ammetta la realtà dei somnia a Deo missa, la maggioranza dei filosofi suoi seguaci non ha fatto alcun tentativo per interpretare a fondo i sogni. Io dubito che esista anche un solo trattato o una sola dottrina di confessione protestante che si sia abbassato fino al punto di ammettere la possibilità che la vox Dei possa venire avvertita in sogno. Ma se un teologo crede veramente in Dio, sulla base di quale autorità egli crede di poter affermare che Dio non possa parlare per mezzo dei sogni?
Io ho trascorso più di cinquant'anni a studiare i simboli naturali e sono giunto alla conclusione che né i sogni né i loro simboli sono delle sciocchezze. Al contrario, i sogni sono in grado di fornire informazioni del massimo interesse a coloro che si danno da fare per comprendere i loro simboli. I risultati che ne derivano, è vero, hanno poco a che fare con quelle che sono fra le principali occupazioni degli uomini, come vendere e comperare. Ma il significato della vita non si esaurisce nel mondo degli affari, né alle profonde aspirazioni del cuore umano si risponde con un conto in banca.
In un periodo della storia umana in cui tutte le energie disponibili vengono spese nello studio della natura, ben poca attenzione è dedicata all'essenza dell'uomo, cioè alla sua psiche, benché non poche ricerche siano condotte intorno alle sue funzioni inconsce. Eppure la zona veramente complessa e meno familiare della mente, quella da cui scaturiscono i simboli, resta tuttora praticamente da esplorare. Sembra quasi incredibile che, pur ricevendone segnali ogni notte, la decifrazione di queste comunicazioni sembri compito ingrato e fastidioso per la maggior parte di noi, pochissimi esclusi. Il maggior strumento di cui dispone l'uomo, la psiche, è oggetto di scarsa attenzione e viene spesso disprezzato e considerato vano. “È solo una questione psicologica” molto spesso significa semplicemente: non vale nulla.
Da dove deriva precisamente questo enorme pregiudizio? Noi ci siamo occupati tanto a fondo del problema di sapere che cosa pensiamo da esserci dimenticati di chiederci che cosa la psiche inconscia pensi di noi. Per molta gente le idee di Sigmund Freud non hanno servito ad altro che a ribadire il già diffuso disprezzo per la psiche. Prima di lui essa era stata semplicemente trascurata; ora si è trasformata in oggetto di disprezzo morale.
Il punto di vista moderno è indubbiamente unilaterale e ingiusto. Esso non si concilia neppure con i fatti a nostra conoscenza. Le nostre nozioni attuali sul conto dell'inconscio dimostrano che esso costituisce un fenomeno naturale e che, come la stessa Natura, anch'esso è per lo meno neutrale. Esso contiene tutti gli aspetti della natura umana - luce e oscurità, bello e brutto, buono e cattivo, profondità e vacua superficialità. Lo studio del simbolismo individuale e collettivo costituisce un compito enorme che non è mai stato dominato. Tuttavia ci si è finalmente incamminati ad assolverlo. I primi risultati sono incoraggianti e sembrano indicare una risposta per molte questioni fino a oggi irrisolte dell'umanità contemporanea.
Note: 


F. Nietzsche, Così parlò Zarathustra, cap. xl, “Di grandi Eventi” (Adelphi, Milano, pag. 158): Ordunque, al tempo in cui Zarathustra soggiornava sulle isole Beate, accadde che una nave gettasse l'àn- cora presso l'isola, su cui si trova quella montagna fumante; e l'equipaggio sbarcò a terra per dar la caccia ai conigli. Ma - sarà stato mezzogiorno - quando il capitano e i suoi uomini si trovarono di nuovo insieme, ecco che essi improvvisamente videro in aria venire un uomo verso di loro, mentre una voce diceva: “è tempo ormai!” Ma quando la figura fu giunta vicinissimo a loro - ed essa volò rapida come un'ombra oltre di loro nella direzione della montagna di fuoco - ecco che, con grande costernazione, si accorsero che era Zarathustra; infatti, a parte il capitano, essi lo avevano già visto, e lo amavano così come il popolo è solito amare: con affetto frammisto a soggezione.

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Testo tratto da:

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