mercoledì 8 ottobre 2014

L’Uomo e i suoi simboli - Carl Gustav Jung - Marie-Louise von Franz - Il processo di individuazione -

L’Uomo e i suoi simboli  

Carl Gustav Jung 

(e Marie-Louise von Franz, Joseph L. Henderson, J. Jacobi, A. Jaffé)

Longanesi, Milano 1980 (ed. orig. 1967) 
 
Marie-Louise von Franz
Il processo di individuazione
Schema dello sviluppo psichico

All'inizio di questo libro il dottor C. G. Jung ha esposto il concetto di inconscio, nelle sue strutture personalistiche e collettive, e la simbologia della sua espressione. Una volta che si sia compresa l'importanza (cioè, la forza d'urto, costruttiva o distruttiva) dei simboli creati dall'inconscio, resta da risolvere il difficile problema della loro interpretazione. Il dottor Jung ha dimostrato che la soluzione del problema dipende dalla circostanza che ogni particolare interpretazione «scatti», abbia un significato, nei confronti dell'individuo interessato. In tal modo ha indicato quali possano essere significato e funzione del simbolo onirico.
Ma, nel corso dello sviluppo della teoria di Jung, questa possibilità ha dato origine a un altro problema: qual è il fine della vita onirica individuale nella sua totalità? Quale ruolo dispiegano i sogni, non solo nella economia psichica immediata, ma nella vita complessiva dell'uomo?
Sottoponendo a osservazione una grande quantità di soggetti, e studiandone i sogni (riteneva di avere interpretato almeno 80.000 sogni), Jung scoprì non solo che tutti i sogni sono, in varia misura, rilevanti per la vita del soggetto, ma che essi si inseriscono in una trama complessa di fattori psicologici.1 E scoprì anche che, nella loro globalità, i sogni si presentano secondo un certo schema. Jung chiamò tale schema «il processo di individuazione». Dal momento che i sogni creano immagini e situazioni nuove notte per notte, chi non sia un buon osservatore non potrà essere in grado di individuare la loro struttura schematica generale. Ma, se si studiano e si controllano i propri sogni durante un periodo di qualche anno, e se ne esamina la successione, si vedrà che, nel corso di questa, certi contenuti emergono, si dissolvono e si presentano di nuovo. Molti sognano spesso le stesse figure o situazioni, gli stessi paesaggi; tuttavia, se ci si desse la briga di seguire la serie di tali immagini, ci si renderebbe conto che esse mutano, lentamente ma percettibilmente. Questi mutamenti possono accelerare il loro ritmo, se l'atteggiamento del soggetto sognante è influenzato da opportune interpretazioni dei sogni e dei loro contenuti simbolici.
Così, la nostra attività onirica crea e segue uno schema tortuoso nel quale, di volta in volta, le tendenze e i motivi individuali si manifestano, scompaiono e si presentano nuovamente. Esaminando, nel corso di un lungo periodo di tempo, questo disegno obliquo, sarà possibile individuare l'opera di una recondita tendenza direzionale o regolatrice, che determina un lento, impercettibile processo di sviluppo psichico - il processo di individuazione.
Lentamente emerge una personalità più ampia e più matura, che, di grado in grado, acquista corposità e si manifesta agli altri. Il fatto che spesso si parla di «arresti nello sviluppo», dimostra che comunemente si ritiene che un simile processo di sviluppo e maturazione è possibile in qualsiasi soggetto. Dal momento che lo sviluppo psichico non può essere determinato da un consapevole atto di volontà, ma si verifica del tutto involontariamente e naturalmente, esso viene di frequente simboleggiato in sogno dalla immagine dell'albero, il cui sviluppo lento, involontario e poderoso si adegua e risponde a un preciso schema.
Il centro organizzativo, da cui dipende l'effetto regolarizzatore, è una specie di «atomo nucleare» del nostro sistema psichico. Si potrebbe definirlo un centro di creazione e di organizzazione, il centro di origine delle immagini oniriche, lung chiama tale centro «sé», e lo descrive come costituente la totalità della vita psichica, per distinguerlo dall'«ego», che comprende solo una parte ridotta della psiche totale.2
Nel corso delle varie epoche gli uomini hanno avuto una conoscenza intuitiva dell'esistenza di tale centro interiore. I Greci lo chiamavano l'intimo daimon dell'uomo; in Egitto, esso trovava espressione nel concetto dell'anima di Ba; e i Romani lo veneravano come il genius innato in ogni individuo. Nelle società primitive esso assumeva l'aspetto di uno spirito protettore, che si riteneva incorporato in un animale o in un feticcio.
Questo centro interiore è individuato in una forma eccezionalmente pura e disadorrna dagli Indiani Naskapi, che vivono tuttora nelle foreste della penisola del Labrador.3 Questi popoli semplici sono composti da cacciatori che vivono in gruppi familiari isolati, tanto distanti l'uno dall'altro da precludere lo sviluppo di costumi tribali, di credenze e di riti religiosi di carattere collettivo. Nel corso della sua vita solitaria, il cacciatore naskapi deve necessariamente aver fiducia nelle proprie «voci interne», e nelle rivelazioni che provengono dal suo inconscio; non conosce una tradizione religiosa che lo guidi, non riti, solennità o costumi che lo possano sostenere. Nella sua fondamentale concezione della vita, l'anima dell'uomo è semplicemente il «compagno intimo», che egli chiama «il mio amico», o Mista'peo, che significa «il grande uomo». Mista'peo risiede nel cuore urnano, ed è immortale: al momento della morte, o poco prima, lascia l'uomo, e si reincarna successivamente in un altro essere.
Quei naskapi che esaminano i propri sogni, e cercano di individuarne il significato, e di saggiarne la verità, entrano in un più profondo rapporto con il «grande uomo». Questi li favorisce, e invia loro sogni più belli, e con maggiore frequenza. Così, l'impegno più serio del naskapi è di seguire le indicazioni ricevute in sogno, e di esprimerne il contenuto in modo permanente, per mezzo dell'arte. Menzogne e disonestà allontanano il «grande uomo» dall'intimo regno del soggetto, laddove la generosità, e l'amore del prossimo e degli animali, lo attraggono e lo vitalizzano. I sogni consentono al naskapi di trovare la propria via nella vita, non solo in rapporto al suo mondo interiore, ma anche al mondo esterno della natura. Lo aiutano a prevedere il tempo, e gli sono di guida sicura nella caccia, da cui dipende la sua stessa vita. Ho voluto ricordare queste popolazioni estremamente primitive, perché esse sono incontaminate dalle idee della nostra ci viltà, e conservano ancora un atteggiamento naturale nei confronti di quello che Jung chiama il sé.
Il sé può essere definito un principio interiore di guida, distinto dalla personalità conscia, e tale che può essere individuato solo tramite l'interpretazione dei sogni dei vari soggetti. I sogni dimostrano che esso è il centro regolatore che determina la maturazione e l'espansione costante della personalità. Ma questo elemento così ampio, in cui sembra incentrarsi quasi la totalità della psiche, si rivela, a tutta prima, solo come una possibilità innata. Può emergere lentissimamente, o può svilupparsi, in maniera relativamente completa, solo nel corso dell'intero ciclo vitale del soggetto. Fino a che punto, in concreto, esso possa svilupparsi, dipende dalla circostanza che l'ego sia, o meno, disposto a seguire i messaggi che gli giungono dal sé. Proprio come i naskapi hanno avvertito che chi accoglie i suggerimenti del «grande uomo» fa sogni più ricchi e più utili, così possiamo affermare che il «grande uomo» innato in ciascuno di noi acquista maggiore realtà in coloro che gli danno ricetto, che in coloro che lo trascurano. Quelli sono anche, più compiutamente di questi, esseri umani.
È come se l'ego fosse stato creato dalla natura non per seguire indefinitamente i propri impulsi arbitrari, ma per contribuire a rendere più reale la totalità, il complesso della psiche. È l'ego che vale a illuminare tutto il sistema, facendo sì che questo acquisti coscienza, e in tal modo si realizzi.
Così, per esempio, il talento artistico di cui l'ego non sia consapevole, va interamente perduto; solo se l'ego lo avverte, sarà possibile portarlo a rivelarsi. L'innata, ma recondita totalità della psiche, non è la stessa cosa di una complessità che venga pienamente realizzata e vissuta.4
Si potrebbe esprimere immaginativamente questo concetto nel modo seguente: il seme di un pino montano contiene, in forma latente, tutto l'albero futuro; ma ogni seme cade, a suo tempo, in un luogo particolare, caratterizzato da vari fattori speciali, come la qualità della roccia e del terreno, la pendenza della zona, la posizione rispetto al sole e ai venti. La totalità latente del pino nel seme reagisce a queste circostanze rifuggendo dalla roccia, e tendendo verso il sole, in modo che si delinea chiaramente il futuro sviluppo dell'albero. Così, lentamente, il singolo pino perviene all'esistenza, soddisfacendo la pienezza della sua totalità, la sua emersione al livello della realtà. Senza l'albero vivente, l'immagine del pino è solo una possibilità, una idea astratta. Analogamente, la realizzazione della unicità individuale nell'uomo è lo scopo del processo di individuazione.
Da un certo punto di vista, questo processo si attua nell'uomo - e in ogni altro essere vivente - autonomamente, nell'inconscio; è un processo tramite il quale l'uomo porta a esistenza la propria innata natura umana. A rigore, tuttavia, il processo di individuazione è reale solo se l'individuo ne è consapevole, e istituisce consapevolmente una relazione vitale con esso. Non sappiamo se il pino sia consapevole della propria crescita, se si rallegri o soffra delle varie vicende attraverso le quali acquista la sua forma; ma l'uomo può, certamente, partecipare consapevolmente al proprio sviluppo. Egli avverte anche che, di tempo in tempo, con libere decisioni, può cooperare attivamente a esso. Una simile cooperazione pertiene al processo di individuazione nel senso più stretto del termine.
L'uomo, tuttavia, ha una esperienza che non rientra nei limiti della nostra metafora del pino. Il processo di individuazione è qualche cosa di più che un rapporto dialettico fra il germe innato della totalità e gli eventi del mondo esteriore. L'esperienza soggettiva di esso ci rivela che qualche forza soprapersonale opera attivamente in modo creativo. Si ha talvolta la sensazione precisa che l'inconscio tracci la via da seguire secondo un disegno segreto. È come se una entità indeterminata ci guardasse, una entità che non possiamo vedere, ma che ci vede - forse il «grande uomo» che vive all'interno del nostro cuore, che esprime le sue opinioni su noi per il tramite dei sogni.
Ma questo aspetto creativamente attivo del nucleo psichico entra in gioco solo quando l'ego rinuncia a tutte le sue deliberate intenzioni, e cerca di assurgere a una forma più profonda, più fondamentale di esistenza. L'ego deve riuscire a seguire pienamente, abbandonandosi senza più alcun fine o proposito, quell'intimo impulso allo sviluppo. Molti filosofi esistenzialisti cercano di descrivere questa condizione, ma riescono solo a spogliarci delle illusioni della coscienza: procedono speditamente fino alla porta dell'inconscio, ma omettono di aprirla.
Coloro che vivono nell'ambito di culture più profondamente radicate della nostra, comprendono facilmente che è necessario rinunciare all'atteggiamento utilitaristico della pianificazione consapevole, per far luogo allo sviluppo interiore della personalità. Ho conosciuto un'anziana signora che non aveva ricevuto dalla vita troppe soddisfazioni - intendo soddisfazioni esteriori. Si era sposata con un uomo dal carattere estremamente difficile, ed era riuscita a sviluppare la propria personalità fino al livello della maturità. Una volta che si lamentò con me per non aver «fatto» niente nella vita, le raccontai una storia che ci è stata trasmessa da un saggio cinese, Chuang-Tzu. Ella comprese perfettamente il senso del racconto, e ne provò un grande conforto. Ecco la storia:
Un falegname girovago, che si chiamava Pietra, vide, nel corso di uno dei suoi viaggi, una quercia gigantesca che si ergeva in un campo, vicino a un altare agreste. Il falegname disse al suo garzone, che si era fermato a guardare a bocca aperta la quercia: «È un albero inutile; se volessi trarne fuori una barca, marcirebbe; se volessi farne degli arnesi, si spezzerebbero. Non puoi farne niente di buono, ed è questa la ragione per cui è potuto invecchiare tanto».
Ma quella stessa notte, all'osteria, quando il falegname andò a dormire, la quercia gli apparve in sogno, e gli disse: «Perché mi paragoni agli alberi di campo, come biancospini, peri, aranci e meli, e a tutti gli altri che producono frutti? Ancor prima che possano maturare i loro frutti, gli uomini li aggrediscono e li violentano. I loro rami vengono spezzati, le loro fronde strappate. I loro doni procurano il loro danno, ed essi non possono condurre a termine la loro naturale esistenza. È un fatto che si verifica dovunque, ed e per questo che da tempo ho imparato a essere completamente inutile. Povero mortale! Credi che, se fossi stata utile a modo tuo, avrei potuto raggiungere questa altezza? Senza dire che, io e tu, siamo entrambi creature? come può credere una cosa creata di essere in grado di giudicarne un'altra? Tu, inutile mortale, cosa sai tu degli alberi inutili?»
Il falegname si svegliò, e meditò sul sogno; e in seguito, quando il garzone gli chiese perché mai proprio quell'albero servisse a proteggere l'altare agreste, rispose: «Taci! Non ne parlare più! L'albero è cresciuto qui, perché, in qualsiasi altro luogo, gli uomini lo avrebbero maltrattato. Se non fosse stato l'albero dell'altare, avrebbe potuto venire abbattuto».5
Il falegname, evidentemente, aveva compreso il sogno. Egli comprese che adempiere fino in fondo il proprio destino è il più grande risultato che l'uomo possa conseguire, e che le nostre nozioni utilitaristiche devono cedere alle esigenze della psiche inconscia. Traducendo questa metafora in linguaggio psicologico, diremo che l'albero simbolizza lo sviluppo interiore, ed ammaestra il nostro sprovveduto ego.6
Sotto l'albero che aveva adempiuto il proprio destino c'era, secondo il racconto di Chuang-Tzu, un altare agreste. Si tratta di una pietra grezza, non lavorata, sulla quale si compivano sacrifici in onore del dio locale,7 che «reggeva» quello spazio di terra. Il simbolo dell'altare agreste indica il fatto che, per realizzare il processo di individuazione, ci si deve consapevolmente arrendere alla forza dell'inconscio, invece di misurare la nostra attività nei termini dei comuni criteri utilitaristici. Non si deve fare altro che ascoltare, per sapere ciò che la totalità interiore - il sé - vuole che si faccia hic et nunc, in una particolare situazione.
Il nostro atteggiamento deve essere simile a quello del pino di montagna, di cui abbiamo già detto: esso non si irrita quando il suo sviluppo è ostacolato da una pietra, né pianifica i modi in cui potrà aver ragione degli ostacoli; cerca solo di avvertire se debba crescere in una direzione piuttosto che in un'altra, nel senso della pendenza, o nel senso contrario. Come l'albero, dobbiamo cedere a questo quasi impercettibile, ma poderoso impulso - un impulso che deriva dalla tendenza all'unica, creativa autorealizzazione. E si tratta di un processo nel corso del quale si devono spesso ricercare soluzioni a problemi che sono ignoti a qualsiasi altro soggetto. Gli impulsi direttivi provengono non dall'ego, ma dalla totalità della psiche: il sé.
È inutile, inoltre, spiare furtivamente gli altri, per individuare il modo in cui si sviluppano le varie personalità, perché ciascuno si trova davanti un compito di autorealizzazione che presenta caratteri di unicità. Se molti problemi umani sono simili, non sono mai identici. Tutti i pini si assomigliano (altrimenti non li potremmo classificare come pini), ma nessuno è esattamente simile a un altro. Proprio per l'incidenza di questi fattori di similitudine e differenza, è diffìcile schematizzare le infinite possibilità di variazione del processo di individuazione.8 Il fatto è che ciascuno di noi deve fare qualche cosa di diverso, qualche cosa di assolutamente privato e personale.
Molti hanno criticato la posizione di Jung, sotto il profilo che essa non presenta il materiale psichico in modo sistematico. Ma queste critiche trascurano il fatto che quel materiale è un'esperienza viva fermentata dall'emozione, per natura irrazionale e mutevole, che non si adatta se non superficialmente alle strettoie sistematiche. La moderna psicologia del profondo ha, a questo punto, toccato gli stessi limiti che sbarrano la via alla microfisica. Cioè, quando si ha a che fare con dati statistici, una descrizione razionale e sistematica è sempre possibile. Ma quando si cerca di descrivere un singolo evento psichico, non possiamo fare altro che presentarne una onesta raffigurazione dal maggior numero possibile di punti di vista. Analogamente, gli scienziati devono ammettere di non sapere che cosa è la luce. Possono solo dire che, in certe condizioni sperimentali, essa sembra costituita da particelle, mentre in altre condizioni sembra composta da onde. Ma che cosa essa sia «in sé» è ignoto. La psicologia dell'inconscio, e qualsiasi descrizione del processo di individuazione, incontrano analoghe difficoltà di definizione. Cercherò tuttavia di delinearne alcuni degli aspetti più tipici.
La prima manifestazione dell' inconscio
Per molti gli anni dell'adolescenza sono caratterizzati da uno stato di graduale risveglio, nel corso del quale l'individuo acquista coscienza di sé e del mondo. La fanciullezza è un periodo di grande intensità emozionale, e i primi sogni della fanciullezza manifestano spesso in forma simbolica la struttura fondamentale della psiche, indicando in che modo essa plasmerà in seguito il destino del soggetto. Per esempio, Jung parlò una volta, a un gruppo di studenti, di una ragazza tanto oppressa dall'angoscia che si suicidò quando aveva appena ventisei anni. Costei, da piccola, aveva sognato che «Jack Frost» era entrato nella sua cameretta, mentre essa stava dormendo, e le aveva premuto una mano sullo stomaco. Svegliatasi, scoprì che era stata lei stessa a premersi lo stomaco con le proprie mani. Il sogno non la spaventò; anzi, si ricordava appena, in seguito, di avere avuto un simile sogno. Ma il fatto che essa non reagisse emotivamente al suo strano incontro con il demone del freddo - della vita congelata - non era di buon auspicio per il futuro, ed era indice di anormalità. Fu con una mano fredda e priva di sensibilità che essa pose fine alla sua vita. Da questo solo sogno era possibile desumere il tragico destino della sognante, anticipato dalla sua psiche nel periodo della fanciullezza.9
Talvolta non è un sogno, ma qualche evento reale particolarmente impressionante che, come una profezia, anticipa il futuro in forma simbolica. È noto che i fanciulli spesso si dimenticano di avvenimenti che agli adulti sembrano importanti, ma conservano una memoria vivida di incidenti o avvenimenti che per altri passano inosservati. Quando si consideri uno di questi ricordi della fanciullezza, si constata sempre che esso raffigura (se lo si interpreta simbolicamente) un problema fondamentale dello sviluppo psichico del fanciullo.
Quando un fanciullo raggiunge l'età di andare a scuola, inizia la fase costruttiva dell'ego, la fase dell'adattamento al mondo esteriore. Questa fase, in genere, comporta una serie di dolorosi turbamenti. Al contempo, alcuni fanciulli incominciano a sentirsi diversi dagli altri, e questo sentimento determina una certa tristezza, che è un elemento caratteristico della solitudine di tanti ragazzi. Le imperfezioni del mondo, il male che ognuno porta in sé, e il male del mondo assurgono al ruolo di problemi consapevolmente posti; il fanciullo deve cercare di contrastare urgenti impulsi intimi (non ancora ben compresi), e le esigenze del mondo esteriore.
Se lo sviluppo della coscienza è turbato nel suo svolgimento, i fanciulli, davanti alle difficoltà intime o esterne, si ritirano in una loro privata «fortezza»; e, quando ciò capita, i loro sogni, e i disegni simbolici del materiale inconscio rivelano, in misura insolita, il ricorrere di un motivo di tipo circolare, quadrangolare e «nucleare» (sul punto ci soffermeremo in seguito). Questo ci rinvia al nucleo psichico di cui dicevo più sopra, il centro vitale della personalità, da cui origina il complesso sviluppo strutturale della coscienza. È naturale che l'immagine di quel centro si manifesti in modo particolarmente impressionante quando la vita psichica dell'individuo è minacciata. Da tale nucleo centrale (per quel che a tutt'oggi ne sappiamo) viene diretta la fase costruttiva della coscienza dell'ego, il quale, evidentemente, è un doppione, o un pendant strutturale del centro originario.
In questa prima fase molti fanciulli cercano con serietà un significato della vita che possa aiutarli a fronteggiare il caos che trovano dentro e fuori di sé. Altri, invece, sono ancora inconsapevolmente guidati dal dinamismo degli schemi archetipi ereditari e istintivi. A questi giovani non interessa il senso più profondo della vita, perché le loro esperienze in materia di amore, di sport e lavoro contengono un significato che li soddisfa immediatamente. Non è che essi siano, di necessità, più superficiali; di solito si muovono, nella corrente della vita, con minori difficoltà e imbarazzi dei loro compagni dal carattere maggiormente introspettivo. Se viaggio in treno senza guardare fuori del finestrino, sono solo le fermate e le partenze e gli improvvisi mutamenti di direzione che mi fanno capire che sto muovendomi.
II vero processo di individuazione, la presa consapevole di contatto con il proprio centro interiore (nucleo psichico) o sé,10 inizia generalmente con una lacerazione della personalità e con la sofferenza che ne consegue. Questo turbamento iniziale costituisce una sorta di «chiamata», sebbene non sempre ci si renda conto di ciò. Al contrario, l'ego si sente colpito nella sua volontà o nei suoi desideri, e di solito proietta l'ostacolo nell'ambiente esterno. Cioè, l'ego accusa Dio o la situazione economica, o il coniuge, e accolla a essi la responsabilità di ciò che lo contrasta.
O può darsi che, se visto dall'esterno, il soggetto presenti un aspetto sereno, mentre, sotto la superficie, soffre di una noia mortale, che rende tutto vuoto e privo di senso. Molti miti e racconti di fate descrivono simbolicamente questo grado iniziale del processo di individuazione, quando parlano di un re che si ammala o diviene vecchio. Altri schemi di storie familiari sono nel senso che una coppia regale è sterile; o che un mostro porta via dal regno tutte le donne, i bambini, i cavalli, in genere tutta la ricchezza; o che un demone impedisce all'esercito o alla nave del re di proseguire verso la meta; o che l'oscurità si estende sul regno, le fonti si seccano, gelo, inondazioni o siccità affliggono il paese." Sembra così che il primo contatto con il sé proietti nel tempo un'ombra scura, o che 1'«amico interiore» si manifesti, inizialmente, come un cacciatore che sorprenda, nel suo nido, l'ego, e lo impegni a una lotta disperata.
Nei miti si trova spesso che il potere magico, o il talismano, che possono porre rimedio alle sventure che affliggono il re, o il paese, si rivelano sempre elementi del tutto peculiari. In un racconto, a far recuperare la salute del re occorre un «merlo bianco», o «un pesce con un anello d'oro infilato nelle branchie». In un altro, il re vuole 1'«acqua di vita», o «tre capelli d'oro della testa del diavolo», o la «treccia d'oro di una donna» (e in seguito, naturalmente, anche la proprietaria della treccia). Qualunque cosa sia, il rimedio capace di eliminare il male e l'angoscia è sempre qualche cosa di unico, di difficile da trovare.
È esattamente lo stesso per quanto riguarda la crisi iniziale della vita individuale. Si cerca qualche cosa che è impossibile trovare, o di cui non si sa assolutamente niente. In queste circostanze sono completamente inutili i consigli saggi e bene intenzionati - consigli volti a fare assumere al soggetto le proprie responsabilità, o a fargli prendere una vacanza, consigli di non lavorare troppo (o di lavorare di più), di cercare più (o meno) rapporti umani, di dedicarsi a un hobby. Niente di tutto ciò può essere, in genere, di aiuto. Una sola cosa sembra veramente utile: volgersi direttamente, senza pregiudizi e con piena sincerità, verso l'oscurità che si approssima, e cercare di scoprirne il segreto e quello che pretende da noi.
Il fine recondito dell'oscurità incombente è in genere tanto insolito, così straordinario e imprevedibile, che di solito si può individuarlo solo tramite i sogni e le fantasie che sgorgano dall'inconscio. Se si centra l'attenzione sull'inconscio, senza avventate supposizioni e refusi emozionali, esso precipita in una corrente di utilissime immagini simboliche. Ma non sempre. Talvolta esso presenta una serie di dolorose raffigurazioni di ciò che non funziona nel soggetto e nei suoi atteggiamenti coscienti. Allora, l'individuo deve iniziare il processo «inghiottendo» ogni sorta di amare verità.
Il contatto con l'ombra
Si riveli per la prima volta l'inconscio in forma positiva o negativa, dopo un certo tempo si manifesta l'esigenza di riadattare più opportunamente l'atteggiamento cosciente ai fattori inconsci, quindi di accettare quelle che possono chiamarsi le «critiche» dell'inconscio. Attraverso i sogni si acquista coscienza degli aspetti della propria personalità che, per varie ragioni, non si desidera di conoscere direttamente troppo da vicino. Questo è ciò che Jung definisce «la coscienza dell'ombra» (Jung usa il termine «ombra» per indicare questa parte inconscia della personalità, perché effettivamente essa si manifesta spesso nei sogni in forma personalizzata.) 12
L'ombra non costituisce peraltro tutta la personalità inconscia. Essa rappresenta attribuzioni e qualità ignote, o poco note, dell'ego - aspetti che appartengono, essenzialmen
te, alla sfera personale, e che potrebbero senz'altro divenire coscienti. Da un certo punto di vista, l'ombra può anche essere costituita da fattori collettivi che hanno origine da una sorgente che si situa all'esterno della vita personale del soggetto.
Quando un soggetto tenta di individuare la sua «ombra», acquista coscienza (e spesso se ne vergogna) di quelle qualità e di quegli impulsi che nega in se stesso, ma che può agevolmente scorgere negli altri, - aspetti come l'egotismo, la pigrizia mentale, la sciatteria; fantasie irreali, schemi, trame; mancanza di profondità, viltà; amore disordinato del denaro, o della proprietà - in breve, di tutti quei piccoli peccati dei quali può essersi detto, in precedenza, «non importa, nessuno se ne accorgerà, e in ogni caso anche gli altri fanno così».
Se si avverte montare una rabbia soverchiante, quando un amico ci rimprovera di qualche colpa, si può esser certi che a questo punto ci si imbatte in qualche elemento della nostra ombra, di cui non siamo consapevoli. È del tutto naturale seccarsi quando gli altri, che non sono «migliori di noi», ci criticano per colpe che originano dalla nostra ombra. Ma che cosa si può fare, quando a riprenderci sono i nostri sogni - un giudice che risiede dentro di noi? È il momento in cui l'ego viene assoggettato e il risultato è, in genere, un silenzio imbarazzato. In seguito inizia l'opera dolorosa e lenta dell'autoeducazione - un'opera, si potrebbe dire, che è il corrispondente psicologico delle fatiche di Ercole. Il primo incarico affidato a questo sfortunato eroe, come vi ricorderete, fu quello di ripulire in un sol giorno le stalle di Augia, nelle quali si era ammonticchiato, per molte decine di giorni, il letame di centinaia di cavalli - un compito così imponente, che il mortale comune si sentirebbe sopraffatto dallo scoraggiamento solo a pensarci.
Ma l'ombra non presenta solo aspetti omissivi. Spesso essa si rivela in un atto impulsivo o involontario. Prima ancora che si possa rifletterci, la cattiva osservazione è già stata fatta, il complotto è stato ordito, la decisione iniqua è stata presa, e ci si trova davanti a risultati che non si sono mai consapevolmente voluti. Inoltre, l'ombra è esposta alle influenze della collettività in misura molto più notevole di quanto non lo sia la personalità cosciente. Quando un uomo è solo, per esempio, egli avverte che tutto va relativamente bene; ma, appena gli «altri» compiono atti di carattere involutivo e primitivo, egli incomincia a credere che, se non si unisce a loro, sarà ritenuto uno sciocco. Così, egli libera impulsi che non gli sono affatto propri. È particolarmente nei contatti con soggetti dello stesso nostro sesso, che ci si rivela così la nostra ombra come quella degli altri. Sebbene si riesca a scorgere l'ombra in una persona dell'altro sesso, ne siamo sempre seccati in misura minore, e siamo disposti a chiudere un occhio.
Nei miti e nei racconti, dunque, l'ombra si manifesta sotto le vesti di una persona dello stesso sesso del sognante. Il sogno seguente può servire da esempio. Il soggetto era un uomo di 48 anni, che cercava di vivere da solo, lavorando sodo e imponendosi una dura disciplina, reprimendo gli istinti e il richiamo del piacere più di quanto non convenisse alla sua natura.
Abitavo in città, in una casa di mia proprietà, della quale non conoscevo ancora tutte le parti. Così la visitai, e scoprii, soprattutto nel sottosuolo, varie stanze delle quali non sapevo niente, e anche certe porte, che conducevano in altre cantine e in passaggi sotterranei. Mi sentii a disagio quando mi accorsi che molte di quelle porte non erano chiuse, e alcune non avevano neppure la serratura. Per di più, c'erano alcuni operai che lavoravano nelle vicinanze, e che avrebbero potuto introdursi facilmente in casa mia [...].
Quando risalii al piano terreno, passai attraverso un cortile, nel quale scorsi diverse porte, che immettevano nella strada o in altre case. Quando mi accinsi a esaminarle più da vicino, mi venne incontro un tale che, ridendo, mi disse che eravamo vecchi compagni delle elementari. Anch'io mi ricordai di lui, e, mentre mi parlava della moglie, ci avviammo verso l'uscita, e ci mettemmo a camminare per le strade.
C'era una strana, tenue oscurità nell'aria mentre passeggiavamo per una enorme strada circolare. Arrivammo a una prateria erbosa, dove tre cavalli galoppanti ci passarono accanto. Erano belli, forti, selvaggi, ma ben strigliati, e non portavano cavalieri (erano fuggiti da qualche reparto dell'esercito?).
L'intrico di strani corridoi, di stanze e di porte aperte nel sottosuolo, ci richiama alla mente l'antica configurazione egiziana del mondo sotterraneo, che è un noto simbolo dell'inconscio e delle sue ignote possibilità.13 Esso dimostra anche come la nostra ombra inconscia sia «aperta» alla influenza altrui, e come possano irrompervi elementi ignoti ed estranei. Il sottosuolo, si potrebbe dire, rappresenta le fondamenta della psiche del sognante. Nel cortile dello strano edificio (che simboleggia lo scopo tuttora ignoto della personalità del sognante), arriva all'improvviso un vecchio compagno di scuola. Costui, come è ovvio, personifica un altro aspetto proprio della psiche dello stesso sognante, un aspetto, un carattere che era stato tipico della sua vita di fanciullo, ma che in seguito era stato dimenticato e perduto. Capita spesso che le qualità che si manifestano nell'infanzia di un soggetto (per esempio, la gaiezza, l'irascibilità, la fiducia) vengano meno tutto a un tratto, né si sa dove o come siano sparite. Si tratta proprio di una delle caratteristiche smarrite del sognante, che ricompare (nel cortile), e cerca di riconquistare il posto perduto. Questa figura simboleggia probabilmente la obliata capacità del sognante di godere la vita, e il lato estroverso della sua ombra.
Ma abbiamo già visto perché il sognante si sente «a disagio» proprio un attimo prima di incontrare questo vecchio compagno, apparentemente privo di affanni. Mentre passeggia con costui, ecco che irrompono liberamente i cavalli al galoppo. Il sognante pensa che essi siano fuggiti da un reparto militare (cioè, dalla stretta disciplina che aveva caratterizzato fino allora la sua vita). Il fatto che questi cavalli non portino cavalieri, dimostra che le energie istintive possono sfuggire al controllo della coscienza. Nel vecchio compagno e nei cavalli si manifesta la forza positiva, mancata fino allora, della quale il soggetto avvertiva confusamente il bisogno.
Questo è un problema che si presenta spesso quando ci si imbatte nell'«altro aspetto» della nostra personalità. L'ombra, di solito, contiene dei valori di cui la coscienza avverte il bisogno, ma che esistono in forma tale da renderne estremamente problematico il recupero nella nostra vita. I corridoi e la grande casa del sogno dimostrano ancora che il sognante non conosce le sue reali dimensioni psichiche, e non riesce ancora ad ampliarle.
L'ombra, in questo sogno, è l'ombra tipica di un soggetto introverso (un uomo che tende a ritirarsi eccessivamente dalla vita esteriore). Nel caso di un estroverso, invece, che si proietta maggiormente nella direzione degli oggetti della vita esterna, l'ombra avrebbe avuto un carattere del tutto diverso.
Un giovane, dal carattere molto vivace, aveva portato a termine con successo molte iniziative, mentre, al contempo, i suoi sogni insistevano sulla circostanza che egli doveva completare un lavoro, di ordine creativo, che aveva iniziato. Ecco uno di questi sogni.
Un uomo giace sul letto, e si è tirato sul viso la coperta. È un francese, un desperado capace di ogni crimine. Un agente mi fa scendere al piano terra, e so che un complotto è stato ordito ai miei danni: il francese mi deve uccidere, facendo poi apparire la cosa come dovuta al caso (così almeno dovrebbe sembrare). Effettivamente, egli scivola dietro a me come ci avviciniamo all'uscita, ma io sto in guardia. Un uomo alto, corpulento (dall'aspetto sembrerebbe molto facoltoso), all'improvviso si sente male, e si appoggia contro il muro, accanto a me. Subito colgo l'occasione per uccidere l'agente, colpendolo al cuore. «Si osserva soltanto un getto di vapore», viene detto a commento. Sono in salvo, perché il francese non mi assalirà più, ora che è morto chi gli impartiva gli ordini (probabilmente l'agente e l'uomo corpulento sono la stessa persona, visto che il secondo ha la funzione di rimpiazzare il primo).
Il desperado rappresenta l'«altro aspetto» del sognante, la sua introversione, che è stata completamente trascurata. Giace sul letto (cioè, ha un carattere passivo) e si tiene la coperta sul viso, perché vuole essere lasciato solo. L'agente, d'altra parte, e l'uomo corpulento e facoltoso (che sono arcanamente la stessa persona) rappresentano la condizione e- steriore del soggetto, le sue attività e il suo successo. L'improvviso malessere dell'uomo corpulento è connesso con il fatto che il sognante si era effettivamente ammalato tutte le volte che aveva consentito alla sua energia dinamica di espandersi troppo impetuosamente nella sua vita esteriore. Ma questo uomo di successo non aveva sangue nelle vene - solo una specie di vapore, e questo significa che quelle ambiziose attività del sognante sono prive di vita e di passione, sono attività meccaniche e senza nerbo. Così, la morte dell'uomo corpulento lascia tutti indifferenti. Alla fine del sogno, il francese è soddisfatto; egli manifestamente rappresenta un aspetto positivo dell'ombra, che ha acquistato un carattere negativo e pericoloso solo perché l'atteggiamento conscio del sognante non concordava con esso.
Questo sogno ci dimostra che l'ombra può essere costituita da svariati elementi - per esempio, da elementi di ambizione inconscia (l'uomo corpulento), e di introversione (il francese). La particolare associazione del sognante col francese era nel senso che essi sapevano trattare assai bene i loro affari amorosi. Così, le due raffigurazioni dell'ombra rappresentano due moventi ben noti: il potere e il sesso. Il movente del potere si manifesta momentaneamente in duplice forma, nelle due figure dell'agente e dell'uomo di successo. L'agente simboleggia l'adattamento collettivo, laddove l'uomo di successo significa l'ambizione; ma, naturalmente, l'uno e l'altro sono manifestazioni del movente del potere. Quando al sognante riesce di paralizzare questa pericolosa forza interna, il francese non si mostra più ostile. In altre parole, è venuto meno anche l'aspetto, altrettanto pericoloso, del movente del sesso.
Come è ovvio, il problema dell'ombra gioca un ruolo importante in tutte le controversie politiche. Se il giovane che ha fatto questo sogno non fosse stato sensibile ai problemi posti dalla sua «ombra», avrebbe potuto facilmente identificare il desperado francese con i «pericolosi comunisti» della vita di ogni giorno, o l'agente e il signore facoltoso con gli «avidi capitalisti». In tal modo, non sarebbe riuscito a comprendere che portava in sé quegli elementi contrastanti. Quando si osservano in altri le nostre tendenze inconsce, si ha il fenomeno che si definisce «proiezione».'4 L'attività di agitazione politica, in ogni continente, è ricca di tali proiezioni, proprio come il pettegolezzo delle donnette, o di piccoli gruppi o congreghe. Proiezioni di ogni tipo ostacolano la nostra comprensione degli altri, allontanandoci dalla obiettività, e quindi da qualsiasi possibilità di veri rapporti umani.
Ma la proiezione dell'ombra comporta un altro inconveniente. Se, per esempio, si identifica la nostra ombra con i comunisti, o con i capitalisti, una parte della nostra personalità resta, per così dire, scissa e distinta da noi. Il risultato è che di solito, se pure involontariamente, si compiono azioni contrastanti con la linea di condotta che intendiamo seguire, cedendo alle richieste della nostra personalità scissa; e così, poco saggiamente, si finisce per giovare ai nostri avversari. Se, al contrario, ci si rende conto della proiezione, e si possono discutere i vari problemi senza timore e ostilità, trattando il contendente con sensibilità, è possibile raggiungere una comprensione reciproca, o, quanto meno, un terreno di compromesso.
Il fatto che l'ombra assuma, nei nostri confronti, un atteggiamento ostile o amichevole dipende, in larga misura, da noi. Come dimostrano i sogni che abbiamo riferito, della casa sconosciuta e del desperado francese, l'ombra non si colloca sempre su un piano di ostilità. In effetti, essa è né più né meno che simile a un altro essere umano, con il quale dobbiamo compiere il cammino, talvolta cedendo alle sue pretese, talvolta resistendogli, talvolta facendolo oggetto del nostro amore, a seconda delle circostanze. L'ombra è ostile solo quando sia ignorata o misconosciuta.
Certe volte, anche se raramente, il soggetto si sente spinto a esprimere il lato peggiore della propria natura, e a comprimerne il migliore. In questi casi, l'ombra si manifesta nei suoi sogni come una figura positiva. Ma, a coloro che danno libero sfogo ai propri sentimenti e alle proprie emozioni naturali, l'ombra si presenta sotto l'aspetto di un intellettuale dal carattere freddo e negativo; essa dà, così, vita a giudizi di riprovazione e a pensieri critici che sono stati respinti dalla coscienza del soggetto. In tal modo, in qualunque forma essa si manifesti, la funzione dell'ombra è quella di rappresentare l'aspetto dialetticamente contrario all'ego, e di originare quegli stati qualitativi che più si disapprovano negli altri.
Il nostro compito sarebbe relativamente facile, se si potesse integrare l'ombra nella personalità cosciente semplicemente agendo onestamente e riferendosi alle proprie convinzioni. Purtroppo, un tentativo del genere non riesce spesso. Nell'ombra di ciascuno esiste una tale carica passionale, che la ragione non può prevalere su di essa. Può essere di ausilio qualche amara esperienza di origine esterna; per così dire, è necessario che ci cada un mattone sulla testa, perché si possa riuscire ad arginare impulsi e tendenze dell'ombra. Talvolta, può conseguire questo risultato una decisione eroica, ma un simile sforzo sovrumano è possibile solo se il «grande uomo» che vive dentro di noi (il sé) ci aiuta a sostenerlo.
Il fatto che l'ombra eserciti il potere soverchiante di irresistibili impulsi, non significa, tuttavia, che quelle tendenze debbano venir sempre eroicamente represse. Talvolta l'ombra è potente perché la pressione del sé si esercita nella stessa direzione, sicché è difficile appurare se è il sé o l'ombra che si manifesta dietro quella tendenza interiore. L'inconscio, purtroppo, è come un paesaggio illuminato dalla luna: i suoi elementi sono indistinti e fusi l'uno nell'altro, e non si sa mai esattamente dove abbiano inizio e dove si concludano (si parla di «contaminazione» dei contenuti inconsci).
Quando Jung definisce «ombra» un aspetto della personalità inconscia, si riferisce a un fattore relativamente ben definito. Ma talvolta tutto ciò che viene conosciuto dall'ego è frammisto a elementi tipici dell'ombra, comprese anche le forze e le tendenze più valide e di carattere più alto. Ad esempio, chi potrebbe essere certo che il desperado francese del sogno ricordato fosse un vagabondo inetto e non piuttosto un introverso degno di rispetto? E i cavalli irrompenti nell'altro sogno, sarebbero stati lasciati liberi di galoppare o no? Nel caso in cui non sia il sogno a chiarire il problema, sarà la personalità conscia che dovrà prendere una decisione.
Se la figura espressa dall'ombra è caratterizzata da forze e tendenze vitali, queste dovrebbero venire assunte nell'esperienza effettiva, e non represse. Tocca allora all'ego di rinunciare al proprio orgoglio e alle proprie presunzioni, e di dare espressione a una forza che può sembrare, ma non è, ambigua o pericolosa. Ciò può richiedere un sacrificio eroico, del tipo di quelli che occorrono per domare una passione, ma in un senso del tutto opposto.
Le difficoltà che insorgono quando si entra in contatto con la propria ombra, sono efficacemente descritte nel 18° capitolo del Corano}5 In esso si dice dell'incontro nel deserto fra Mosè e Khidr (1'«essere verde», o «il primo angelo di Dio»). Essi procedono insieme, e Khidr esprime il proprio timore che Mosè non riesca ad assistere senza indignarsi alle sue imprese. Se Mosè non riuscirà a tollerarlo, e ad aver fiducia in lui, Khidr lo dovrà abbandonare.
Per prima cosa, Khidr sfonda la barca di certi poveri pescatori. Quindi, davanti agli occhi di Mosè, uccide un bel ragazzo, e infine restaura le mura rovinate di una città di infedeli. Prima di lasciare Mosè, comunque, gli spiega le ragioni dei suoi atti: sfondando la barca dei pescatori, egli in realtà l'ha salvata, perché i pirati erano in attesa al largo per assalirla. Così come è ora, i pescatori potranno ripararla. Il bel ragazzo stava andando a commettere un delitto, e, uccidendolo, Khidr ha preservato dall'infamia i suoi pii genitori. Il restauro delle mura, infine, è valso a salvare dalla rovina economica due giovani, il cui tesoro era rimasto sepolto sotto di esse. Mosè, che era rimasto indignato davanti alle azioni di Khidr, comprese (quando era troppo tardi) che il suo giudizio era stato affrettato. Le azioni di Khidr gli erano sembrate totalmente malvage, ma, in effetti, non lo erano.
Esaminando con una certa ingenuità questo racconto, si potrebbe supporre che Khidr sia l'ombra, irrazionale e capricciosa, del pio Mosè, osservante della legge. Ma non è così. Khidr è piuttosto la personificazione di arcane azioni creative della mente divina (si può trovare un significato analogo nel famoso racconto indiano «il re e il cadavere», nella interpretazione che ne dà Henry Zimmer).16 Non è per caso che non sono ricorso a un sogno per chiarire questo arduo problema. Ho scelto il notissimo racconto del Corano perché in esso è sintetizzata l'esperienza di una intera vita, con tale chiarezza quale ben raramente si potrebbe riscontrare nel sogno di un singolo soggetto.
Quando nei nostri sogni si manifestano figure ambigue, e ci sembra che pretendano qualche cosa da noi, non possiamo sapere se esse rappresentino la nostra ombra, o il sé, o l'una e l'altro al contempo. Sapere in anticipo se il misterioso compagno dei nostri sogni rappresenti un difetto che si deve vincere, o un significativo elemento vitale che si deve accettare - ecco uno dei problemi più ardui che si presentano nello studio del processo di individuazione. Inoltre, i simboli onirici sono spesso così incerti e complessi, che non si può mai essere sicuri della loro interpretazione. In tali circostanze, non resta altra soluzione che accettare il disagio del dubbio etico - senza prendere decisioni o impegni definitivi, e continuando a esaminare attentamente i propri sogni. C'è, in questo, una strana rassomiglianza con la situazione in cui venne a trovarsi Cenerentola, quando la matrigna le pose davanti un mucchio di piselli, e le ordinò di separare quelli buoni da quelli inutilizzabili. Sebbene il compito potesse sembrare disperato, Cenerentola incominciò pazientemente a scegliere i piselli, e a un tratto le vennero in aiuto le colombe (o, secondo altre versioni, le formiche). Questi animaletti simboleggiano i benefìci impulsi dell'inconscio profondo, che si possono sperimentare solo sulla propria pelle, per così dire, e che ci indicano una soluzione per i nostri problemi.
Talvolta capita che si senta, nella profondità del proprio essere, quello che si deve fare e secondo quali vie si deve procedere. Ma, altre volte, il clown che chiamiamo «io» si comporta in maniera tanto stravagante che la voce interna non può avvertire la sua presenza.
Può accadere che falliscano tutti i tentativi per comprendere i suggerimenti dell'inconscio, e, quando si verifica un simile caso, non ci resta che assumere le nostre responsabilità e fare quello che ci sembra più giusto, pronti a mutare l'indirizzo della nostra attività, se ci accorgiamo che i suggerimenti dell'inconscio tendono verso un'altra direzione. Può anche accadere (se pure più di rado) che si ritenga miglior soluzione resistere all'impulso dell'inconscio, anche a costo di sentirsi affranti, piuttosto che allontanarsi di troppo dalla condizione normale degli esseri umani. (Tale potrebbe essere la situazione di coloro che devono svolgere imprese criminali per realizzare appieno la propria personalità.)
La forza e la chiarezza interiore di cui l'ego necessita per poter prendere una simile decisione derivano, per canali segreti, dal «grande uomo», il quale, evidentemente, non tiene a manifestarsi in maniera diretta. Può essere che sia il sé a pretendere che l'io compia una libera scelta, o può anche essere che il sé dipenda interamente dalla coscienza dell'uomo, e dalla decisione di questi di renderlo manifesto. Quando si devono superare problemi etici di tale gravità, non è possibile giudicare rettamente l'operato degli altri. Ciascuno deve affrontare i propri problemi, t stabilire quale sia la soluzione migliore nel proprio caso. Come diceva un vecchio maestro Zen, dobbiamo seguire l'esempio del mandriano, che «con il bastone impedisce che il suo bue vada a pascolare nei prati del vicino»."
Queste nuove acquisizioni della psicologia del profondo determineranno probabilmente importanti modificazioni nei nostri comuni criteri di valutazione etica; perché, in forza di esse, ci troviamo costretti a giudicare le azioni umane secondo schemi dal carattere molto più sotile e individualistico. L'individuazione dell'inconscio è una delle scoperte più ricche di conseguenze dei nostri tempi. Ma poiché l'individuazione di questa realtà comporta la necessità di una onesta autocritica, e di una generale riorganizzazione della propria vita, molti continuano a comportarsi come se niente fosse accaduto. Ci vuole molto coraggio per affrontare seriamente l'inconscio, e i problemi che esso pone. Per lo più, gli uomini sono troppo indolenti per impegnarsi profondamente nell'esame anche solo di quegli aspetti morali del loro comportamento, dei quali hanno consapevolezza; a maggior ragione è ovvio che trascurino l'incidenza su essi dell'inconscio.
L'anima: la donna dentro di noi
Non è solo il manifestarsi dell'«ombra» che determina l'insorgenza di ardui e sottili problemi etici. Spesso si avverte la presenza di un altro «elemento interiore». Se il sognante è un uomo, questi individuerà nel proprio inconscio un elemento simbolico femminile; se una donna, un elemento dalle caratteristiche maschili. Spesso questo elemento si confonde con l'ombra, provocando nuovi e svariati problemi. Jung denominò animus e anima i due elementi, rispettivamente maschile e femminile.
L'anima è la personificazione di tutte le tendenze psicologiche femminili della psiche dell'uomo, cioè sentimenti e atteggiamenti vaghi e imprecisi, presentimenti, la ricettività dell'irrazionale, l'ahiore di sé, il sentimento della natura, e l'atteggiamento nei confronti dell'inconscio. Non è per caso che nell'antichità spettava a sacerdotesse (come la sibilla dei Greci) l'incombenza di penetrare la volontà divina, e di istituire rapporti con gli dèi.18
Un esempio particolarmente calzante del modo in cui l'anima si manifesta come una figura interiore della psiche dell'uomo è fornito dai medici-profeti (shaman) delle tribù eschimesi e di altre tribù artiche.19 Taluni di costoro indossano indumenti femminili, o si dipingono il petto o le vesti, proprio per esprimere il loro intimo carattere femminile - quel carattere che fa sì che essi possano comunicare con la «terra dei fantasmi» (cioè con l'inconscio, come noi lo chiamiamo)
In un caso di cui siamo informati, un giovane, che veniva iniziato da uno sciamano, fu da questi seppellito in una fossa di neve. Il giovane cadde in uno stato onirico di esaurimento pressoché totale. Nel coma gli apparve all'improvviso una donna luminosa. Costei gli insegnò tutto ciò che al giovane interessava sapere e in seguito, in veste di spirito tutelare, lo protesse nell'espletamento della sua diffìcile professione, mettendolo in contatto con le forze dell'ai di là. Questa esperienza ci presenta appunto l'anima come personificazione dell'inconscio dell'uomo.
Nelle sue manifestazioni individuali, il carattere dell'anima deve la sua particolare struttura alla madre di ciascun soggetto. Se il soggetto ritiene che la propria madre abbia su lui una influenza negativa, la sua «anima» si esprimerà spesso secondo atteggiamenti di irritazione, incertezza, insicurezza, emotività. (Ma, se riesce a respingere gli influssi negativi, quei caratteri possono anche valere a convalidare la sua vitalità.) In simili personalità, la figura negativa della madre-anima ripeterà senza sosta il proprio motivo: «Non sono niente, non valgo niente. Niente ha senso. Per gli altri è diverso, ma per me... Niente mi rallegra». Questi «atteggiamenti dell'anima» determinano una sorta di torpidità, un acuto timore della fatica, dell'impotenza, delle circostanze accidentali. Tutta la vita si colloca così in una dimensione tetra e oppressiva - e il soggetto può anche essere spinto al suicidio: in tal caso l'anima si manifesta come un demone di morte. Tale essa è presentata nel film Orphée di Cocteau.
I francesi chiamano femme fatale questa raffigurazione del- l'anima. (Una versione più mite di questo tenebroso elemento psichico è costituita dalla Regina della Notte del Flauto magico mozartiano.) Le sirene dei Greci e le Lorelei dei Germani, a loro volta, ancora personificano questo carattere pernicioso dell'anima che, in questa particolare forma, simbolizza l'illusione distruttiva. Il racconto siberiano che riproduciamo illustra appunto l'atteggiamento fondamentale dell'«anima distruttiva».^
Un giorno un cacciatore solitario scorge una bella donna che esce dal fondo della foresta, sull'altra riva del fiume. Essa lo saluta, e canta:
Oh vieni, cacciatore solitario, nell'immobilità del crepuscolo!
Vieni, vieni. Ho bisogno di te!
Ti abbraccerò, ti abbraccerò.
Vieni, vieni! Il mio nido è vicino, vicino.
Vieni, vieni, cacciatore solitario, nell'immobilità del crepuscolo.
II cacciatore si spoglia delle vesti e attraversa il fiume, ma essa vola via in forma di civetta, beffeggiandolo oscenamente. Il cacciatore cerca di tornare a riva per rivestirsi, ma annega nel fiume gelido.
In questo racconto l'anima è il simbolo di un sogno ideale di amore, di felicità, del desiderio di affetto materno (il nido) - un sogno che allontana gli uomini dalla realtà. Il cacciatore annega perché corre dietro a una fantasia irreale, che non avrebbe mai potuto realizzare.
L'anima negativa, nella personalità maschile, può manifestarsi anche nelle osservazioni velenose, donnesche, con le quali l'uomo svaluta qualsiasi aspetto della vita. Osservazioni di questo genere contengono sempre un carattere di gratuito pervertimento della verità, e hanno una natura sottilmente distruttiva. Certe leggende, proprie di varie parti del mondo, presentano la figura della «damigella-veleno» (come la chiamano in Oriente). Essa è una creatura bellissima che nasconde, sotto le vesti, armi o filtri segreti, con i quali uccide i suoi amanti nel corso della prima notte d'amore.21 In tal guisa, l'anima si manifesta fredda e impietosa come certi ignoti aspetti della natura, e in Europa trova espressione nella credenza delle streghe.
D'altra parte, se l'esperienza che il soggetto ha avuto della madre è positiva, la sua «anima» ne risente in modi tipici, ma vari, col risultato che egli acquista un carattere effeminato, o si perde con le donne, e diviene così incapace di fronteggiare le difficoltà della vita. Un'anima di questo tipo può fare degli uomini esseri sentimentali, o suscettibili come zitelle, o sensibili come la principessa della fiaba, che poteva avvertire un pisello nascosto sotto trenta materassi. Una rappresentazione ancor più sottile dell'anima negativa è contenuta in molte fiabe, le quali presentano una principessa che pone indovinelli ai suoi innamorati, o li obbliga a nascondersi sotto il suo naso. Se questi non sanno rispondere, o se essa riesce a trovarli, dovranno morire — e, invariabilmente, la principessa risulta vittoriosa.22 L'anima, in tal guisa, invischia gli uomini in un distruttivo gioco intellettuale. Possiamo avvertire l'effetto di questo inganno dell'anima in tutti quei dialoghi pseudo-intellettuali, dal carattere nevrotico, che impediscono all'uomo di affrontare adeguatamente la vita e i suoi nodi fondamentali. L'uomo, in tali casi, riflette tanto sulla vita che si preclude di viverla, e smarrisce la propria spontaneità e i propri sentimenti.
Ma l'anima si manifesta più di frequente nelle fantasie erotiche. Gli uomini possono essere spinti a nutrire le loro fantasie assistendo a film e a spettacoli di spogliarello, oppure perdendosi immaginativamente su fotografìe e materiali pornografici. Si tratta di un aspetto duro, primitivo, dell'anima, che assume un carattere compulsivo solo quando l'uomo non coltiva sufficientemente le sue relazioni sentimentali - quando il suo atteggiamento sentimentale nei confronti della vita è rimasto al livello infantile.
Tutti questi aspetti dell'anima rivelano la stessa tendenza, che abbiamo già individuata come tipica dell'ombra: essi possono, cioè, proiettarsi e oggettivarsi all'esterno in modo tale da apparire come qualità caratteristiche di una determinata donna. È la presenza operante dell'anima che fa sì che l'uomo si innamori all'improvviso, quando, vedendo una donna per la prima volta, si rende improvvisamente conto di aver trovato «la» donna. In tal caso, il soggetto ha l'impressione di aver conosciuto intimamente e da sempre quella donna; e la sua dedizione è tanto incondizionata da sfiorare, agli occhi di chi lo conosce, i limiti della follia totale. Sono specialmente le donne dal carattere di «fata» che incorporano queste proiezioni dell'anima, perché gli uomini possono attribuire pressoché tutte le qualità a una creatura dai contorni così affascinanti e indeterminati, e possono porla al centro delle più varie fantasie.
La proiezione dell'anima in una forma così improvvisa e appassionata come quella dell'amore, può essere fonte di gravi perturbamenti di unioni familiari, e determinare l'origine del cosiddetto «triangolo umano», con tutte le difficoltà che ne conseguono.23 L'unica soluzione decente del dramma può consistere solo nel riconoscimento dell'anima come forza interiore. L'intento segreto dell'inconscio, nel determinare l'insorgenza di una situazione tanto conturbante, è di costringere l'uomo a sviluppare e portare a maturazione la propria personalità, attraverso una più ampia integrazione, al livello della vita reale, degli elementi del proprio inconscio.24
Ma si è già detto abbastanza degli aspetti negativi dell'anima. Ce ne sono anche di positivi, e altrettanto importanti. Si deve attribuire all'anima, ad esempio, il fatto che taluno riesca a trovare la donna che fa per lui. E c'è un'altra funzione, almeno altrettanto importante, che l'anima adempie: quando la mentalità logica dell'uomo non riesce a individuare i fatti che restano occultati al livello dell'inconscio è l'anima che lo aiuta a precisarli e a riconoscerli. Ancor più importante è il ruolo che l'anima svolge sintonizzando, per dir così, la mente dell'uomo con i più vitali valori interiori, aprendo così la via verso la conoscenza delle profondità più recondite dell'inconscio. È come se una «radio» interiore venisse sintonizzata su una lunghezza d'onda tale che impedisse la ricezione di frivolezze, ma consentisse l'ascolto della voce del «grande uomo». Nel consentire la percezione di questa voce interiore l'anima assume il ruolo di guida, o di mediatrice, fra il mondo interiore e il sé. In tal guisa si manifesta nel caso della iniziazione degli sciamani, come abbiamo già visto; tale è il ruolo di Beatrice nel «Paradiso» di Dante, e della dea Iside, quale apparve ad Apuleio, il famoso autore dell'Asino d'oro, per iniziarlo a una forma di vita di ordine più elevato, più spirituale.
A comprendere in che modo l'anima possa svolgere il ruolo della guida interiore, può aiutarci il sogno di uno psicoterapeuta di 45 anni. Andando a letto, la sera in cui ebbe il sogno, costui rimuginava fra sé quanto è arduo superare da soli tutte le difficoltà della vita, senza l'ausilio di una fede religiosa. E si rendeva conto di invidiare coloro che sono protetti dall'abbraccio materno di una qualsiasi organizzazione. (Era, per nascita, protestante, ma non aveva più alcun legame con la sua Chiesa.) Ed ecco il sogno:
Mi trovo nella navata di una antichissima chiesa, affollata di fedeli. Insieme con mia madre e mia moglie mi siedo all'estremità della navata, su certe sedie speciali.
Sto per iniziare la celebrazione della Messa in veste di sacerdote, e ho in mano un grosso messale, o, meglio, un libro di preghiere, o una antologia poetica. Sono piuttosto eccitato, perché devo iniziare subito la celebrazione, mentre, ad aumentare il mio nervosismo, mia madre e mia moglie mi disturbano parlando di sciocchezze. A un tratto cessa il suono dell'organo. Tutti aspettano che dia inizio alla celebrazione, e io mi alzo con decisione e chiedo a una delle suore inginocchiate dietro di me di passarmi il suo messale e di indicarmi il punto da cui devo iniziare - ciò che essa fa in modo inappuntabile. Quindi, come una specie di chierico, questa stessa suora mi precede all'altare, che ho l'impressione sia situato dietro a me, sulla sinistra, come se ci si avvicinasse a esso da una navata laterale. Il messale è come un foglio ricco di disegni, una sorta di tavola lunga tre piedi, e larga uno, con il testo disposto a colonne, una accanto all'altra, e intervallato da antiche miniature.
La suora, prima che sia il mio turno, deve leggere un capitolo della liturgia, e io non sono ancora riuscito a trovare il punto giusto del libro. La suora mi ha detto che si tratta del n. 15, ma i numeri sono scritti confusamente, e insomma non mi riesce di trovarlo. Tuttavia mi volgo con decisione verso i fedeli, ed ecco che mi riesce di trovare il n. 15 (è il penultimo della tavola), anche se non so se mi riuscirà di decifrarne la scrittura. Comunque, voglio tentare. A questo punto mi sveglio.
Questo sogno esprime la risposta dell'inconscio ai pensieri sui quali il sognante si era intrattenuto prima di addormeritarsi. E la risposta è questa: «Tu stesso devi farti sacerdote della tua chiesa interiore, della chiesa della tua anima». Il sogno dimostra così che il sognante gode, in effetti, dell'aiuto prezioso di una organizzazione; egli fa, in realtà, parte di una chiesa - non di una chiesa esteriore, ma di una che sussiste nella sua intimità.
I fedeli (cioè, tutte le caratteristiche psichiche del soggetto) esigono che egli svolga le funzioni sacerdotali, e che sia lui a celebrare la messa. È chiaro che, con ciò, non si deve intendere la vera normale messa, perché il messale del sogno è molto diverso dai comuni messali. Si deve concludere che l'idea della messa ha una funzione simbolica - essa significa un atto sacrificale che implica la presenza della divinità, talché l'uomo possa comunicare con questa. Naturalmente, una simile interpretazione in chiave simbolica ha una validità non generale, ma limitata al caso in esame. Si tratta di una soluzione tipica, per un protestante, perché chi fa parte della chiesa cattolica, in genere, identifica la propria anima con le immagini della Chiesa stessa, le cui sacre manifestazioni rituali sono per lui simboli dell'inconscio.
II nostro soggetto non aveva avuto una simile esperienza chiesastica, ed è per questo motivo che ha dovuto seguire la direzione dell'interiorità. Inoltre, il sogno gli ha fatto comprendere chiaramente quello che egli avrebbe dovuto fare. «I legami che ti stringono a tua madre, e la tua estroversione (rappresentata dalla moglie, che è una estroversa) ti distruggono, ti fanno sentire insicuro, e ti impediscono, avvolgendoti in una rete di discorsi privi di importanza, di celebrare la tua messa interiore. Ma se tu seguirai la suora (l'anima introversa), essa ti guiderà nella duplice veste di serva e di sacerdotessa. Essa possiede uno strano messale composto da sedici (cioè, quattro volte quattro) miniature. La tua messa consiste nella contemplazione di queste immagini psichiche che la tua anima religiosa ti rivela.» In altre parole, se il soggetto riuscirà a vincere la propria incertezza interiore, causata dal suo complesso materno, troverà che il compito che la vita lo chiama ad assolvere ha la natura e il carattere di una attività religiosa, e che, se mediterà sul significato simbolico delle immagini della sua anima, queste gli consentiranno di portare a termine il suo compito.
Nel sogno, l'anima si manifesta nel suo aspetto propriamente positivo - nel ruolo di mediatrice fra l'ego e il sé. Il numero (quattro volte quattro) delle miniature indica che la celebrazione di quella messa interiore è attuata anche a beneficio della comunità. Come Jung ha dimostrato,25 il nucleo della psiche (il sé) si esprime, normalmente, secondo configurazioni dalla struttura quaternaria. Il numero 4, inoltre, come ha osservato Jung, è connesso con l'anima anche sotto un altro aspetto: sono quattro, infatti, i gradi dello sviluppo dell'«anima». Il primo grado trova la sua rappresentazione simbolica nella figura di Eva, che significa i rapporti di ordine puramente istintivo e biologico. Il secondo, nella figura di Elena, della faustiana Elena, che simboleggia uno stato romantico, come di estasi, caratterizzato sempre, pur tuttavia, da elementi sessuali. Il terzo grado può trovare la propria raffigurazione, per esempio, nella vergine Maria, una donna che solleva l'amore all'altezza della devozione spirituale. Il quarto grado è simbolizzato nella Sapientia, la saggezza che trascende anche le manifestazioni umane più pure e più sante. Un altro simbolo della Sapientia è costituito dalla Shulami- te, nel cantico di Salomone. (Date le caratteristiche dello sviluppo psichico dell'uomo moderno, questo livello è raggiunto solo in casi eccezionali. La Monna Lisa leonardesca può forse, meglio di qualsiasi altra figurazione, simboleggiare questa suprema saggezza.)
Per ora mi preme soltanto mettere in rilievo il fatto che il carattere quaternario si manifesta di frequente in certo materiale simbolico. Le conseguenze essenziali di ciò potranno essere esaminate approfonditamente solo in seguito.
Ma, in pratica, qual è la portata del ruolo, che l'anima si assume, di guidare l'uomo verso il proprio mondo interiore? Tale funzione positiva viene esercitata quando l'uomo affronta con consapevole serietà i sentimenti, gli atteggiamenti, le speranze e le fantasie che si manifestano e prendono corpo nella sua anima, e cristallizza e oggettiva tale materia in una forma definita - per esempio, nella poesia, nella pittura, nella musica, nella scultura o nella danza. Quando l'uomo si accinge a questo compito con pazienza e serenità, dagli abissi dell'inconscio emergono altri elementi, di ancor maggiore profondità. Dopo che una fantasia sia stata cristallizzata in una forma definita, essa va esaminata da un punto di vista etico e intellettuale, nell'ambito di una reazione sentimentale di carattere valutativo. Ed è essenziale considerarla come una realtà; non si deve avere alcun dubbio o imbarazzo, non si deve pensare che, in fondo, si tratta «solo di una fantasia». Se si mantiene a lungo, e religiosamente, un simile atteggiamento, il processo di individuazione si manifesta come la sola realtà, e può svolgersi e dispiegarsi nella sua vera forma.
La letteratura è ricca di esempi che ci mostrano l'anima nella sua veste di mediatrice e di guida al mondo interiore: la Hypnerotomachia di Francesco Colonna,26 il romanzo Lei di Rider Haggard, per non parlare dell'«eterno femminino» nel Faust di Goethe. In un testo mistico medievale, una rappresentazione dell'anima illustra in tal modo la sua natura:
Io sono il fiore del campo e il giglio delle valli. Sono la madre dell'amore puro, del timor di Dio, della conoscenza e della speranza santa [...]. Sono la mediatrice degli elementi, che accordo l'uno con l'altro; rendo freddo ciò che è caldo, e caldo ciò che è freddo, umido quel che è asciutto, e asciutto quel che è umido, rendo morbido ciò che è duro [...]. Sono la legge nel sacerdote, la parola nel profeta, il consiglio nel saggio. Uccido e vivifico, e non c'è nessuno che possa salvarsi senza di me.27
Nell'età di mezzo si verificò una importante differenziazione spirituale nella religione, nella poesia e in altri campi culturali; il mondo fantastico dell'inconscio venne conosciuto con maggior chiarezza di prima. Il culto cavalleresco della donna esprimeva il tentativo di differenziare l'aspetto femminile della natura dell'uomo, sia in rapporto alla donna reale del mondo esteriore, sia in rapporto alla vita del mondo psichico.28
La dama al servizio della quale il cavaliere si votava, e in onore della quale compiva le sue eroiche gesta, era naturalmente una personificazione dell'anima. Il nome del messaggero del Graal, nella versione di Wolfram von Eschenbach, è particolarmente significativo: Conduir-amour («guida negli affari amorosi»). La dama insegnava al cavaliere a differenziare così i propri sentimenti come il proprio atteggiamento nei confronti delle donne. Successivamente, tuttavia, questo tentativo personale e individuale di sviluppare il rapporto con l'anima venne abbandonato, quando l'aspetto sublime di questa fu incentrato e simboleggiato nella Vergine Maria, che divenne oggetto di devozione e di adorazione. Quando l'anima, identificata nella Vergine, venne considerata come globalmente positiva, gli aspetti negativi di essa trovarono espressione nella credenza nelle streghe.
In Cina, la figura corrispondente alla Vergine Maria è quella della dea Kwan-Yin. Una raffigurazione cinese dell'anima, di carattere ancor più popolare, è la «Signora della luna», che riversa sui suoi favoriti il dono della poesia e della musica, e che può anche donar loro l'immortalità. In India, lo stesso archetipo è rappresentato da Shakti, Parvati, Rati, e da molte altre divinità; per i Mussulmani, l'anima è rappresentata da Fatima, la figlia di Maometto.
Il culto dell'anima, personificata da una figura religiosa ufficialmente riconosciuta, presenta il serio inconveniente che l'anima smarrisce così i suoi caratteri individuali. D'altra parte, a considerarla come una entità esclusivamente individuale, c'è il pericolo che, se l'anima venga proiettata nel mondo esteriore, solo in questo finisca per vivere e manifestarsi. Questa condizione può determinare un continuo stato di disagio, perché l'uomo o diviene vittima delle proprie fantasie erotiche, o si rende schiavo di una donna vera e reale. Solo la dolorosa (ma semplicissima) decisione di considerare con la massima serietà i propri sentimenti e le proprie fantasie può impedire un arresto completo del processo di individuazione, perché solo in tal modo si può appurare il significato e la portata di questa entità interiore. Così, ancora una volta, l'anima potrà manifestare la propria intima natura - quella della «donna dentro di noi» che ci trasmette il messaggio vitale del sé.
L'animus: l'uomo dentro di noi
La personificazione maschile dell'inconscio della donna - l'animus - presenta aspetti positivi e negativi, proprio come l'anima nell'uomo. Ma l'animus non si manifesta così spesso in forma di fantasia erotica; più di frequente assume la forma di una intima convinzione «sacra»z29 Quando una simile convinzione venga espressa con voce sicura, maschile, o venga imposta ad altri tramite violente scenate emozionali, la mascolinità latente nella donna si rivela apertamente. Tuttavia, anche in una donna che presenti spiccati i caratteri della femminilità, l'animus può avere la forza di un potere inesorabile. Tutto a un tratto si individua, in una simile donna, un inaspettato elemento di fredda, inaccessibile ostinazione.
Uno dei temi favoriti con i quali l'animus si presenta in tali tipi di donna può sintetizzarsi così: «la sola cosa al mondo che mi interessa è l'amore; e lui non mi ama»; oppure così: «in questa situazione ci sono solo due possibilità: e l'una e l'altra sono negative». (L'animus non crede negli imprevisti.) È difficile opporsi alla tendenza dell'animus, perché questa, in genere, è una tendenza giusta; e, tuttavia, solo raramente essa sembra corrispondere alla situazione individuale. È una tendenza che sembra ragionevole, ma al di là delle nostre possibilità.
Come la caratteristica tipica dell'anima dell'uomo è determinata dalla madre del soggetto, così l'animus subisce fondamentalmente l'influenza del padre della donna - è il padre che fornisce all'animus della figlia il «colore» speciale delle convinzioni indiscutibili, incontestabilmente «vere» - quelle convinzioni che non esauriscono mai, fra l'altro, la reale personalità della donna stessa, quale essa effettivamente è.
Questa è la ragione per cui l'animus si rivela talvolta, alla stregua dell'anima, un demone di morte. Per esempio, in una fiaba zingaresca un bellissimo straniero viene ricevuto da una donna che vive sola, nonostante il fatto che essa abbia sognato che il visitatore è il re dei morti. Dopo essersi intrattenuta con lui, la donna lo prega di dirle chi realmente egli sia. Da principio egli rifiuta, avvertendola che essa dovrà morire se verrà a conoscenza della sua vera identità. La donna insiste, e all'improvviso lo straniero le rivela di essere la stessa morte. La donna muore all'istante, fulminata dal terrore.30
Considerato dal punto di vista mitologico, il bellissimo straniero è probabilmente una immagine-rappresentazione del padre o del dio, che si manifesta qui come re dei morti (è evidente l'analogia col ratto di Persefone da parte di Ade). Ma, dal punto di vista psicologico, egli rappresenta una particolare forma dell'animus che tiene lontane le donne dai concreti rapporti umani, e in particolare da ogni contatto con gli uomini reali. È come l'involucro delle immaginazioni oniriche, costituite da giudizi e desideri relativamente al modo in cui le cose «dovrebbero essere», che strappa e distoglie la donna dalla realtà della vita.
Ma l'animus, nel suo aspetto negativo, non si manifesta soltanto come un demone di morte. Nei miti e nelle fiabe esso assume anche l'aspetto del bandito o dell'assassino. Potremmo citare ad esempio Barbablù, che uccide tutte le sue mogli in una camera segreta. In tal guisa l'animus personifica tutte quelle riflessioni seminconsce, fredde, distruttive che angustiano le donne nelle ore notturne, specialmente quando abbiano omesso di soddisfare qualche impegno sentimentale. È in momenti del genere che esse incominciano a pensare ai caratteri ereditari familiari, e a questioni del genere - una serie di calcoli e valutazioni, di congetture maliziose, che spingono la donna in uno stato tale da farle desiderare la morte di certe persone («quando morirà uno di noi, me ne andrò in Riviera», disse una donna al marito, ammirando le splendide coste del Mediterraneo; in questo caso il suo pensiero perdeva gran parte della sua pericolosità, perché essa lo aveva espresso!).
Nutrendo segreti atteggiamenti distruttivi, la moglie può spingere il marito, la madre e i figli a stati morbosi che possono sfociare anche nella morte. O può decidere di impedire ai figli di sposarsi - atteggiamento questo solitamente recondito, che raramente perviene al livello della coscienza. (Una vecchia signora mi disse una volta, mostrandomi la fotografia di un figlio annegato all'età di 27 anni: «preferisco che sia morto; meglio così che vedermelo portar via da un'altra donna».)
Talvolta il risultato di tendenze inconsce dell'animus può essere costituito da una sorta di strana passività, da una paralisi di tutti i sentimenti, da una incertezza profonda che ingenera il senso della nullità. Nelle profondità della psiche femminile, l'animus sussurra: «Non hai speranze. Perché darsi da fare? Non c'è nessuna utilità nell'azione. La vita non sarà mai migliore».
Purtroppo, quando simili personificazioni dell'inconscio si impadroniscono della nostra mente, ci sembra che siamo noi stessi a nutrire simili pensieri e sentimenti. L'ego si identifica con essi fino al punto di non riuscire a considerarli con distacco, per quello che in realtà sono. In tal caso, si è davvero «posseduti» dalla raffigurazione dell'inconscio. Solo quando lo stato di asservimento sia venuto meno, ci si rende conto con orrore di aver detto o fatto cose diametralmente contrarie ai nostri pensieri e ai nostri intendimenti effettivi - ci si rende conto di essere stati preda di un fattore psichico estraneo.
Come l'anima, così anche l'animus non presenta solo aspetti negativi, che si esemplificano in atteggiamenti di brutalità, in pettegolezzi, in idee malvage sorde e ostinate. Anche esso manifesta caratteri altamente positivi; anche esso può contribuire, per mezzo della sua attività creativa, alla costruzione di un ponte verso il sé. Valga, a illustrare tali aspetti positivi, il sogno di una donna di 45 anni:
Due figure mascherate si arrampicano verso il balcone, e quindi penetrano in casa. Sono avvolti in mantelli neri, e incappucciati, e mi pare che vogliano torturare me e mia sorella. Questa si nasconde sotto il letto, ma i due la tirano fuori con uno spazzolone, e la torturano. Poi è la mia volta. Quello che fra i due è il capo mi spinge verso il muro, e compie gesti magici sul mio viso. Nel frattempo il suo compagno traccia un disegno sul. muro, e, quando lo guardo (per assumere un comportamento amichevole nei loro confronti), esclamo: «Oh, che bel disegno!» Improvvisamente il mio torturatore si scopre, rivelando la nobile testa di un artista, e dice, con orgoglio: «Sì, davvero bello», e si pulisce gli occhiali.
Il carattere sadico di queste due figure era ben noto alla donna, la quale era soggetta a frequenti attacchi di angoscia, nel corso dei quali era oppressa dal pensiero che i suoi cari si trovassero in situazioni di estremo disagio, o che fossero addirittura morti. Ma il fatto che l'animus si presenta nel sogno in una duplice raffigurazione, ci suggerisce l'idea che i due torturatori personifichino un fattore psichico che si sdoppia al livello dei suoi effetti, e che potrebbe avere un carattere essenzialmente diverso da quello di quei pensieri tormentosi. La sorella della donna, che cerca di sfuggire ai due uomini, viene presa e torturata. In realtà, essa era morta quando era ancora una fanciulla; aveva avuto una spiccata inclinazione alla attività artistica, ma non aveva saputo utilizzare il proprio talento. Il sogno a un certo punto rivela che le due figure mascherate sono in realtà degli artisti, e che se la sognante riconosce e apprezza la loro abilità artistica (che è anche la sua abilità) essi rinunciano alle loro cattive intenzioni.
Qual è il significato profondo di questo sogno? Dietro i tormenti dell'angoscia si nasconde un pericolo effettivo, mortale; ma anche una possibilità costruttiva. La sognante, come già sua sorella, aveva un certo talento come pittrice, ma riteneva che la pittura fosse, per lei, un'attività priva di qualsiasi significato. Il sogno le rivela, nella maniera più seria, che essa deve permettere al proprio talento di manifestarsi. Se essa saprà seguire questo suggerimento, l'animus distruttivo, tormentoso, intraprenderà un'attività creativa, significativa.
Come in questo sogno, l'animus si manifesta sovente sdoppiato. In tal modo, l'inconscio simboleggia il fatto che l'animus rappresenta un fattore piuttosto collettivo che individuale. In ragione di ciò, le donne sensibili alle esigenze della convivenza (quando è l'animus che parla in esse) si riferiscono a soggetti che indicano impersonalmente - «si» — o con i pronomi «essi», «ciascuno», e simili, e in tali circostanze ricorrono spesso, nei loro discorsi, locuzioni o verbi come «sempre», «dovrebbero», «sarebbe bene».
In molti miti, e nella maggior parte delle fiabe, si racconta di un principe trasformato, per stregoneria, in un animale selvaggio, o in un mostro, che viene salvato dall'amore di una fanciulla - si tratta di un processo che simboleggia il modo in cui l'animus diviene cosciente. (Il dott. Henderson si è diffuso, nel capitolo precedente, sul significato di questo motivo ricorrente della Bella e della Bestia.) Spesso all'eroina è interdetto di porre domande sulle condizioni del suo misterioso e ignoto marito e amante; o capita che essa lo incontri solo nelle tenebre, e non possa quindi mai vederlo. Il sottinteso è che, amandolo e nutrendo in lui una fiducia cieca, essa riuscirà a salvare il proprio matrimonio. Ma questo non si verifica mai. La donna finisce sempre col rompere la propria promessa, e potrà ritrovare l'amato solo dopo una lunga serie di ricerche e di sofferenze.
Se lo si proietta nella vita reale, questo motivo simbolico significa che l'attenzione, con cui la donna deve dare ascolto al proprio animus, comporta numerosi sacrifici. Ma se la donna riesce ad appurare la natura del proprio animus e la portata di esso, e se ne affronta la reale incidenza sulla propria personalità, invece di lasciarsene possedere, Vanimus può divenire per lei un prezioso amico intimo, che la arricchirà delle qualità maschili dello spirito di iniziativa, del coraggio, della obiettività, della maturità spirituale.31
Anche l'animus, come l'anima, passa attraverso un processo di sviluppo di quattro gradi. In principio, esso si manifesta come la personificazione di un puro potere psichico - per esempio, come un campione dell'atletica, un «uomo-musco- io». Al secondo grado, esso rivela spirito di iniziativa, e la capacità di svolgere un'attività pianificata. Al terzo, l'animus diviene la «parola», manifestandosi spesso nelle vesti di un sacerdote, o di un professore. Infine, nella sua quarta realizzazione, l'animus è l'incarnazione del «significante». A questo altissimo livello esso, come già abbiamo visto per l'anima, assume la funzione di mediatore della esperienza religiosa, mentre la vita si apre alla pienezza di nuovi significati. La donna acquista fermezza spirituale, una sorta di invisibile sostegno interno, che la compensa della sua fragilità esteriore. L'animus, al livello superiore del suo sviluppo, collega spesso la mentalità della donna con l'evoluzione spirituale tipica dell'età di essa, e può così renderla ancor più ricettiva dell'uomo a nuove idee creative. È per questo motivo che, nell'antichità, le donne venivano impiegate presso molti popoli per espletare le funzioni di veggenti e indovine. La pienezza creativa del loro animus - nel suo aspetto positivo - si esprime talvolta tramite pensieri e idee che stimolano gli uomini a nuove imprese.
L'«uomo interiore» della psiche femminile può provocare imbarazzi, nell'ambito dei rapporti matrimoniali, simili a quelli che già abbiamo considerato nel paragrafo dedicato all'anima. A complicare maggiormente le cose, se uno dei due coniugi è «posseduto» dall'animus (o dall'anima) anche l'altro può divenirne preda. L'animus e l'anima tendono sempre a spingere la conversazione a un livello molto basso, e determinano così una atmosfera imbarazzante di irritabilità e di accesa emotività.
Come ho già detto, l'aspetto positivo dell'animus può manifestarsi attraverso il coraggio, lo spirito di iniziativa, l'obiettività, e, nella forma più elevata, attraverso la profondità spirituale. Tramite l'animus, una donna può individuare i processi reconditi che determinano la sua posizione culturale o personale, o può riuscire a intensificare il proprio atteggiamento spirituale nei confronti della vita. Ciò, naturalmente, presuppone che l'animus cessi di manifestare tendenze che si pongano al di sopra di ogni critica. La donna deve trovare il coraggio e la libertà necessari per porre in dubbio il carattere «sacro» delle proprie convinzioni. Solo allora potrà accogliere i suggerimenti dell'inconscio, specialmente quando questi contraddicano le tendenze del suo animus. Solo allora potranno pervenirle gli impulsi del sé, ed essa potrà consapevolmente intenderne il profondo significato.
Il sé: simboli della totalità
Se un soggetto ha affrontato a lungo, e con sufficiente serietà, i problemi dell'anima (o dell'animus), tanto da non identificarsi più, se non parzialmente, con questa o con quello, viene modificato, ancora una volta, il carattere fondamentale dell'inconscio, che si rivela secondo una nuova raffigurazione simbolica, il sé, il nucleo più centrale della psiche. Nei sogni della donna questa zona focale viene rappresentata, generalmente, tramite raffigurazioni femminili di altissimo livello - così, ad esempio, una sacerdotessa, una maga, la madre terra, la dea dell'amore o della natura. Se si tratta di un uomo, invece, essa sarà simbolizzata nella figura del maestro o del custode (un guru indiano), del vecchio saggio, dello spirito della natura, e così via. Due racconti popolari varranno a illustrare il ruolo che una simile raffigurazione può svolgere. Il primo è un racconto austriaco:32
Il re ordina ai suoi soldati di montare di guardia, durante la notte, al cadavere di una principessa nera, che è caduta vittima di un maleficio. Alla mezzanotte in punto, la principessa si alza dalla tomba e uccide il soldato di guardia. Infine un soldato, al quale tocca di montare la guardia, si lascia prendere dalla disperazione, e fugge nel bosco. Qui incontra «un vecchio con la chitarra», che è nientemeno che Nostro Signore. Il vecchio musico gli spiega dove debba nascondersi, dentro la chiesa, e in che modo potrà far sì che la principessa non riesca ad avere ragione di lui. Protetto così dalla benevolenza divina, il soldato riesce a liberare dall'incantesimo la principessa, e la sposa.
È chiaro che «il vecchio con la chitarra, che è nientemeno che Nostro Signore», da un punto di vista psicologico non è niente altro che la personificazione del sé. Con l'aiuto di questo, l'ego riesce a sfuggire alle proprie tendenze distruttive, e ad aver ragione di un elemento estremamente pericoloso insito nella propria anima.
Nella psiche femminile, come ho già detto, il sé si manifesta tramite raffigurazioni femminili. Ciò risulta all'evidenza nel secondo racconto, una favola eschimese:33
Una fanciulla solitaria, vittima di una delusione amorosa, incontra un mago che viaggia su una barca di rame. È lo «spirito della luna», che ha donato agli uomini tutte le specie degli animali, e che dispensa pure la fortuna nella caccia. Costui convince la fanciulla 4 seguirlo nel regno celeste. Un giorno, mentre lo spirito della luna è fuori, essa visita una casetta in prossimità del suo palazzo. In questa trova una donna minuscola, rivestita della «membrana intestinale della foca barbuta», che la mette in guardia contro lo spirito della luna, avvertendola che questi è intenzionato a ucciderla. [Lo spirito della luna si rivela così un assassino, una specie di Barbablù.] La donna prepara una corda robusta con cui la fanciulla potrà discendere sulla terra al tempo della luna nuova, che è anche il momento in cui essa, la donnetta, potrà aver ragione dello spirito della luna. La fanciulla si lascia scivolare a terra ma, quando Vi giunge, non apre subito gli occhi, come le era stato raccomandato dalla benefica donnina. Per questo viene trasformata in un ragno, e non potrà più riacquistare la sua forma umana.
Come abbiamo detto, il musico divino del primo racconto è una rappresentazione del «vecchio saggio», una tipica personificazione del sé. È simile al mago Merlino della leggenda medievale, o al dio greco Hermes. La donnetta, tanto stravagantemente rivestita di una membrana intestinale, è una raffigurazione parallela, che simboleggia il sé, quale si manifesta nella psiche femminile. Il vecchio musico salva l'eroe del racconto dalle tendenze distruttive dell'anima, mentre la donnetta protegge le fanciulla contro il Barbablù eschimese (che, sotto le vesti dello spirito della luna, ne rappresenta in realtà l'animus). In questo caso, tuttavia, le cose non vanno felicemente in porto - e sul punto ci soffermeremo in seguito.
Il sé, tuttavia, non si manifesta sempre sotto l'aspetto di un vecchio saggio, o di una vecchia maga. Queste paradossali personificazioni non sono altro che tentativi di dare corpo a una entità che non può venire compiutamente racchiusa entro i confini temporali - una entità che simultaneamente presenta le caratteristiche della giovinezza e della maturità.
Il seguente sogno, di un uomo di mezza età, ci dimostra come il sé possa manifestarsi anche con l'aspetto di un giovanetto: 34
Provenendo dalla strada, un ragazzo a cavallo entra nel nostro giardino. [Non ci sono né siepi né muretti, come usa nella realtà, e il giardino è così completamente aperto.! Non riesco a capire se vi è entrato di proposito, o se vi è stato portato, contro la sua volontà, dal cavallo.
Sto in piedi, nel vialetto che conduce al mio studio, e sono molto rallegrato dall'arrivo del ragazzo. La visione di costui e del suo bel cavallo mi impressiona profondamente.
Il cavallo è un animale piuttosto piccolo, ma selvaggio e poderoso, un simbolo di energia (assomiglia a un cinghiale), e ha un manto folto, ruvido, color grigio argento. 11 ragazzo cavalca dietro di me, fra lo studio e la casa; a un tratto salta giù dal cavallo, e lo conduce a mano, con cautela, in modo da non fargli calpestare l'aiuola, con i suoi bei tulipani rossi e arancione - l'aiuola è stata sistemata di recente, e i fiori sono stati piantati da mia moglie (si tratta di una circostanza esclusivamente onirica).
Il ragazzo simboleggia il sé, il rinnovamento della vita, un élan vital creativo, un nuovo orientamento spirituale, per mezzo del quale ogni cosa acquista nuova vitalità ed energia.
Se l'uomo segue gli impulsi dell'inconscio, può arrivare a questo meraviglioso risultato: la vita, in precedenza opaca e corrotta, si trasforma in una avventura interiore, ricca e senza limitazioni, colma di possibilità creative. Nella psiche femminile, la stessa personificazione del sé può essere rappresentata da una fanciulla dalla personalità soprannaturale. Ecco il sogno di una donna sulla cinquantina:
Stavo davanti a una chiesa, e lavavo il marciapiede. A un certo punto mi misi a correre lungo la strada, proprio al momento dell'uscita degli studenti delle scuole superiori. Arrivai così a un rivo stagnante, attraverso il quale era posta una barca, o un tronco d'albero; ma quando cercai di passarci sopra, uno studente malvagio saltò nella barca, che si spezzò, tanto che io quasi caddi nell'acqua. «Idiota!» gli gridai. Dall'altra parte del ruscello stavano giocando tre fanciulle, e una di esse mi tese la mano per aiutarmi. Pensai che la sua manina non potesse servire a trarmi dalle mie difficoltà, ma, quando l'ebbi presa, la fanciulla riuscì, senza il minimo sforzo, a trarmi a riva.
La sognante è una credente, ma, secondo il suo sogno, non può più restare nella propria Chiesa (la Chiesa protestante); in realtà, sembra che essa non abbia ormai alcuna possibilità di entrare in chiesa, sebbene cerchi, per quanto può, di tenerne pulito l'ingresso. Seguendo il sogno a questo punto ella si trova nella necessità di attraversare un ruscello stagnante, e questo indica che il corso della vita è come paralizzato da tutti i suoi irrisolti problemi religiosi. (L'attraversamento di un fiume è una comune immagine simbolica che vale a indicare un mutamento fondamentale di abitudini.) Lo studente viene considerato, dalla stessa sognante, come la personificazione del pensiero che essa aveva formulato in precedenza - del pensiero, cioè, di potere eliminare il suo travaglio spirituale frequentando la scuola superiore. Come è naturale, il sogno non si attarda su questo punto. Quando la donna si decide ad attraversare, da sola, il fiume, una personificazione del sé (la fanciulla), minuscola ma soprannaturalmente forte, le corre in aiuto.
Ma la forma di un essere umano, giovane o vecchio, è solo una delle tante nelle quali il sé si manifesta, in sogni o in visioni. Il fatto che il sé si manifesti, assumendo ora l'aspetto di un giovane, ora quello di un vecchio, indica che il sé ci accompagna lungo tutto il corso della vita, ma anche che esso esiste al di là della vita consapevolmente organizzata e realizzata, cioè, al di là della nostra coscienza del tempo.
Proprio come il sé trascende la nostra consapevole esperienza del tempo (tipica della nostra dimensione spazio-temporale), così esso è simultaneamente onnipresente. Inoltre, si manifesta spesso in una forma che suggerisce una onnipresenza speciale: cioè, si manifesta come un essere umano gigantesco e simbolico, che comprende e sussume in sé l'intero cosmo.
Quando una simile immagine ricorre nei sogni del soggetto, è possibile sperare in una soluzione creativa dei suoi problemi, perché il centro psichico vitale si mostra, in tal modo, riattivato (la personalità del soggetto tende all'unitarietà), così che sarà possibile superare le varie difficoltà.
Non c'è da stupirsi che questa figura dell'uomo-cosmo ricorra in numerosi miti e in molte parabole di carattere religioso. In genere, lo si descrive come un essere positivo e premuroso. Lo si può riconoscere sotto le vesti di Adamo, del persiano Gayomart, o del Purusha indù. Taluni racconti lo presentano anche come un essere che regge le basi del mondo. Gli antichi cinesi, ad esempio, pensavano che, prima della creazione, esistesse un colossale uomo-dio, dal nome di P'an Ku, il quale dava alla terra e al cielo la loro forma. Quando pianse, le sue lacrime formarono il Fiume Giallo e lo Yangtze; dal suo respiro originò il vento; dalla sua parola irruppe il tuono e, dal suo sguardo, la luce. Se era di buon umore, faceva bel tempo; altrimenti, si rannuvolava. Quando morì, cadde in pezzi, e dal suo cadavere nacquero le cinque sacre montagne della Cina. La sua testa divenne la montagna T'ai, all'est, il tronco formò la montagna Sung, nella zona centrale del paese, il suo braccio destro la montagna Heng del nord, il sinistro la montagna Heng del sud, e i suoi piedi formarono, all'ovest, la montagna Hua. I suoi occhi divennero il sole e la luna.35
Abbiamo già visto che la struttura simbolica, quando è connessa con il processo di individuazione, tende a basarsi sul motivo del numero quattro, - come le quattro funzioni della coscienza, o i quattro stadi dello sviluppo dell 'animus o dell'anima. Tale motivo si ripresenta nella struttura della configurazione cosmica di P'an Ku. Soltanto in circostanze particolari si realizzano, nelle esperienze psichiche, altre combinazioni numeriche.
Le manifestazioni più naturali e spontanee del centro psichico sono caratterizzate dal motivo quaternario - cioè a dire dal fatto che presentano quattro aspetti distinti, o una struttura collegata in qualche modo alla serie numerica 4 - 8 - 16, e così via. Il numero 16, poi, ha una particolare importanza, risultando composto da quattro volte quattro.
Nel nostro mondo occidentale, concezioni similari dell'uomo cosmico si rivelano, ad esempio, nel simbolo di Adamo, il primo uomo.36 Secondo una leggenda ebraica, quando Dio creò Adamo, incominciò col raccogliere polvere di colore rosso, giallo, nero e bianco dai quattro angoli del mondo, così che Adamo si estendeva «da un confine all'altro del mondo». Quando si piegava, la sua testa era all'est, e i suoi piedi all'ovest. Secondo un altro racconto tradizionale ebraico, tutta l'umanità era contenuta in Adamo fin dall'inizio, o piuttosto l'anima di tutti coloro che sono nati o nasceranno dopo di lui. L'anima di Adamo in tal modo, era «simile allo stoppino di una lampada, composto di innumerevoli fibre». In questo simbolo, l'idea di una totale unitarietà dell'esistenza umana, al di là delle singole persone individuali, trova manifesta espressione.
Nell'antica Persia, il primo uomo, l'uomo dell'origine del mondo, chiamato Gayomart, veniva raffigurato come un essere di enorme statura, promanante luce. Quando morì, dal suo corpo sprizzarono tutte le specie dei metalli, e dalla sua anima nacque l'oro. Il suo seme ricadde sulla terra, e ne derivò la prima coppia umana, sotto la forma di due arbusti di rabarbaro. Non può non colpire la circostanza che anche il cinese P'an Ku venisse raffigurato come ricoperto di foglie, a mo' di una pianta. Forse ciò dipende dal fatto che il primo essere umano veniva ritenuto un essere unitario, autogeno, che viveva libero dall'urgenza di impulsi animali, o della volontà egoistica. Per certe popolazioni, che vivono sulle rive del Tigri, ancora ai nostri giorni Adamo è oggetto di culto, in quanto lo si ritiene la recondita «super-anima», o il mistico «spirito protettivo» dell'intera razza umana. Secondo tali credenze, Adamo è nato da una palma da datteri - ancora una ripetizione del motivo vegetale.37
All'est, e in certi ambienti gnostici occidentali, si è presto ammesso che l'uomo cosmico non è altro che una immagine psichica interiore, e non una realtà esteriore. Per esempio, secondo la tradizione indù, si tratta di una entità che vive nel profondo di ogni individuo, e ne costituisce anzi la sola parte immortale. Questo «grande uomo» interiore riscatta l'individuo, sollevandolo dal livello del mondo effettuale e delle sue miserie, a quello della sua eterna, originaria sfera. Ma il passaggio riesce solo se l'uomo riconosce la propria guida, e si desta dal suo torpore per seguirla. Nei miti simbolici della antica India si indica questa entità col nome di Purusha, nome che significa semplicemente «uomo», o «persona». Purusha vive dentro il cuore di ogni soggetto, e, al contempo, riempie di sé l'intero universo.
Secondo la testimonianza di molti miti, l'uomo cosmico costituisce non solo il punto iniziale, ma anche la meta finale di tutta la vita dell'intera creazione. «Quando si parla di cereali, si intende frumento, quando si parla di tesori si intende oro, e quando si parla di cose generate, si intende l'uomo», dice il saggio medievale Meister Eckhart.38 E, se si considera questa affermazione da un punto di vista psicologico, non si può non trovarla esatta. La realtà psichica interiore di ogni individuo, nella sua totalità, è definitivamente orientata verso questo simbolo archetipo del sé.
In termini pratici, ciò significa che l'esistenza degli uomini non potrà mai essere adeguatamente spiegata nei termini di certi istinti isolati, o meccanismi funzionali, come la fame, il potere, il sesso, la sopravvivenza, la perpetuazione della specie, e così via. In altre parole, lo scopo essenziale dell'uomo non è di mangiare, bere, eccetera, ma di essere umano. Al di sopra e al di là di questi impulsi, la nostra realtà psichica manifesta un mistero vivente, che può trovare espressione solo simbolica — espressione che spesso l'inconscio realizza tramite la potente immagine dell'uomo cosmico.39
Nell'ambito della civiltà occidentale, l'uomo cosmico è stato identificato, in notevole misura, con Cristo, e in Oriente con Krishna o Budda. Nel Vecchio Testamento, la stessa figura simbolica viene presentata come il «figlio dell'Uomo», e, nelle tradizioni mistiche ebraiche di epoca posteriore, assume il nome di Adam Kadmon.40 Certi movimenti religiosi della tarda antichità lo denominavano semplicemente «Anthropos» (il termine greco che significa «uomo»). Come tutti i simboli, anche questa immagine rimanda a un mistero ignoto, - l'arcano, fondamentale mistero dell'esistenza umana.
Come abbiamo già visto, per certe tradizioni l'uomo cosmico è la meta della creazione; ma il conseguimento di tale meta non va considerato sul piano degli avvenimenti esteriori. Per esempio, secondo gli Indù non è tanto vero che il mondo esteriore finirà per dissolversi, un giorno, nel «grande uomo originario», quanto piuttosto che la tendenza estroversa dell'io verso il mondo esteriore verrà meno, per dar luogo all'avvento dell'uomo cosmico. E ciò avviene quando l'io si sprofonda nel sé. Il divagante flusso di rappresentazioni dell'io (che trascorre da un pensiero all'altro), e i suoi desideri (che si posano volubilmente sui più svariati oggetti) si acquetano quando l'io trova il contatto con il «grande uomo» che vive all'interno di esso. In effetti, non va mai dimenticato che, per noi, la realtà esterna esiste solo nei limiti in cui la percepiamo al livello della coscienza, e che non è possibile provare che essa esista «in sé e per sé».
Infiniti esempi, che è possibile trarre dalle tradizioni di varie civiltà, e di diversi periodi storici, dimostrano l'universalità del simbolo del «grande uomo». La sua immagine si presenta alla mente dell'uomo come una sorta di meta finale, o come l'espressione del mistero fondamentale della vita. Proprio perché questo simbolo rappresenta la totalità e l'integralità, spesso esso viene raffigurato sotto l'aspetto di un essere bisessuato. Così, in tale simbolo, trovano conciliazione due fra i più importanti «opposti» psicologici - il carattere maschile e quello femminile. Questa conciliazione si attua e si manifesta spesso nei sogni, simboleggiata in una coppia divina, o reale, o comunque di altissimo grado.41 Ecco come il sogno di un uomo di 47 anni dimostra, in modo drammatico, l'evidenza di questo carattere:
Mi trovo sopra una specie di terrazza, e sotto di me vedo una enorme, stupenda orsa nera, con una pelliccia ruvida, ma ben curata. Essa sta in piedi, ritta sulle zampe posteriori, e, su una lastra di marmo, sta ripulendo una pietra nera, piatta e ovale, che diviene sempre più lucida. Non molto lontano una leonessa e il suo cucciolo sono impegnati nella stessa attività, ma le pietre che essi lucidano sono molto più grandi, e di forma rotonda. Dopo un po', l'orsa si volge verso una donna grassa e nuda, dai capelli neri e dagli occhi scuri e selvaggi. Io provo una forte attrazione erotica nei confronti di questa; ma lei, all'improvviso, si avvicina per catturarmi. Mi spavento, e cerco rifugio sull'impalcatura sulla quale mi trovavo all'inizio del sogno. In seguito, ecco che mi trovo in mezzo a molte donne, una buona metà delle quali sono selvagge, dai lunghi capelli neri (come se prima fossero state tanti animali) ; per l'altra metà, sono donne normali [della stessa nazionalità del sognante] e hanno capelli biondi o castani. Le selvagge intonano un canto sentimentale, con voci malinconiche e suggestive. A questo punto, su una vettura alta ed elegante, si approssima un giovane che porta sulla testa una regale corona di oro, tempestata di rubini scintillanti - una visione stupenda. Accanto a lui è seduta una giovane donna, bionda, probabilmente sua moglie, ma senza corona. Mi sembra che si tratti della leonessa e del cucciolo che si sono trasformati nella coppia reale. Anche essi appartengono al gruppo dei selvaggi. A questo punto tutte le donne (le selvagge e le altre) intonano un canto solenne, e il carro reale si allontana lentamente verso l'orizzonte.
In questo sogno il nucleo interiore della psiche del sognante si rivela inizialmente nella immagine temporanea della coppia regale, che emerge dalle profondità della sua natura animale e dal fondo selvaggio del suo inconscio. L'orsa che compare all'inizio è una specie di madre-dea (Artemide, per esempio, veniva venerata nella antica Grecia sotto le vesti di un'orsa). La nera pietra ovale che essa struscia e lucida, simboleggia, verosimilmente, il carattere più intimo del sognante, la sua personalità più vera. Come è noto, l'attività volta a sfregare e lucidare le pietre risale ai primordi della storia umana. In Europa sono state rinvenute numerose pietre «sacre», avvolte in fogli di corteccia, e nascoste nelle caverne; esse vi erano state probabilmente abbandonate dagli uomini dell'età della pietra, che le credevano depositarie della potenza divina. Attualmente, alcuni aborigeni australiani credono che lo spirito dei loro antenati continui a vivere nelle pietre, informandole di poteri divini e miracolosi, e che, strusciando queste pietre, se ne aumenti il valore mistico (quasi come per una trasmissione di elettricità) a vantaggio così del vivo, come dell'antenato morto.42
L'uomo, del quale stiamo esaminando il sogno, aveva sempre rifiutato di sottoporsi al legame matrimoniale. Il suo timore di restare prigioniero di quel rapporto fa sì che, nel sogno, egli si allontani dalla donna-orsa per risalire sulla piattaforma dalla quale, in veste di spettatore, potrà passivamente osservare gli eventi senza restare impigliato in essi. Con il motivo della pietra strofinata dall'orsa, l'inconscio cerca di far comprendere al sognante che egli dovrebbe tentare di accettare un contatto con questo aspetto peculiare della vita - è attraverso i contrasti della vita coniugale che la sua personalità potrà acquisire una struttura più pura.
Quando la pietra è completamente lucida, essa risplende come uno specchio, e l'orsa può contemplarvisi; ciò significa che solo accettando il contatto con il mondo, e le sofferenze che ne conseguono, l'anima dell'uomo potrà divenire uno specchio in cui i suoi poteri divini riescano ad avere percezione di sé. Ma il sognante si rifugia in un luogo più alto - cioè, cerca scampo in quelle meditazioni che possono farlo sfuggire alle esigenze della vita. Il sogno gli fa così capire che, se egli si ritirerà davanti a quelle esigenze, una parte della sua personalità (la sua anima) resterà una entità indifferenziata, e di ciò si può scorgere un simbolo nel gruppo delle donne indefinite, con la sua eterogenea composizione.
La leonessa e il suo cucciolo, che compaiono a questo punto sulla scena, rappresentano l'impulso misterioso alla individuazione, che si manifesta nella attività che essi dispiegano, nel sogno, per foggiare le pietre (una pietra rotonda è simbolo del sé). I leoni, una coppia reale, sono, di per sé, simbolo della totalità. Nel simbolismo medievale, la «pietra filosofale», simbolo per eccellenza della integralità della natura umana, è raffigurata da una coppia di leoni, o da una coppia umana che cavalca leoni. Simbolicamente, ciò indica il fatto che l'impulso alla individuazione si manifesta in forma ambigua, per esempio occultato nella passione travolgente che può nutrirsi per un'altra persona. (In effetti, la passione che travolge i limiti naturali dell'amore, tende in definitiva al mistero dell'unità nel suo farsi, ed è per questo che, quando si ama appassionatamente, si avverte che lo scopo supremo della propria vita è la confusione e il naufragio di sé nella persona amata.)
Fino a quando, in questo sogno, l'immagine della totalità si manifesta, simbolicamente, nella coppia leonina, essa non trascende l'ambito di tale travolgente passionalità. Ma quando il leone e la leonessa si trasformano nella coppia regale, allora l'impulso alla individuazione raggiunge il livello della realizzazione consapevole, e l'ego può facilmente scorgere in esso lo scopo essenziale della vita.43
Prima che i leoni si mutassero in esseri umani, erano solo le donne selvagge che cantavano, in maniera particolarmente sentimentale; in altri termini, i sentimenti del sognante restavano a un livello primitivo e sentimentale. Ma, in onore dei leoni umanizzatisi, tutte le donne (le selvagge e le civili) intonano concordemente un canto di gloria. L'espressione unitaria dei loro sentimenti, dimostra che la frattura interiore dell'anima si è ora sanata in una superiore armonia.
Ancora una ulteriore personificazione del sé è quella che si manifesta nei risultati della cosiddetta «immaginazione attiva» della donna. (L'immaginazione attiva è un tipo di meditazione immaginativa, con cui si può deliberatamente entrare in contatto con l'inconscio, e stabilire una connessione consapevole con i fenomeni psichici. L'immaginazione attiva è la più importante scoperta di Jung. Mentre, da un certo punto di vista, essa può paragonarsi alle attività meditative tipiche dell'estremo oriente, quali le tecniche del Buddismo Zen, o dello Yoga tantrico, o alle tecniche occidentali, quali quelle degli esercizi spirituali dei Gesuiti, ne differisce fondamentalmente, in quanto il meditante resta completamente privo di qualsiasi scopo o programma. In tal modo, la meditazione diviene il solitario esperimento di un soggetto libero, che si colloca all'estremità opposta di qualsiasi tentativo organizzato di impadronirsi dell'accesso all'inconscio. Non è, tuttavia, il caso di intraprendere, a questo punto, un esame minuzioso della immaginazione attiva; il lettore potrà trovarne una esauriente esposizione nello scritto di Jung La funzione trascendente).44
Alla mente di una donna esaminata, il sé si presentava come un cervo, che diceva all'ego: «Sono tuo figlio e tua madre. Mi chiamano l'"animale della congiunzione", perché congiungo gli uomini, gli animali e perfino le pietre, se le informo di me. lo sono il tuo fato, l'"io oggettivo". Quando sono presente, valgo a riscattarti dalle difficoltà senza senso della vita. Il fuoco che arde in me, arde in grembo a tutta la natura. Se l'uomo perde il contatto con me, diviene egocentrico e solitario, si disorienta e intristisce».
Il sé viene spesso simboleggiato da un animale, che rappresenta la nostra natura istintiva, e i legami di questa con l'ambiente. (Ecco perché, nei miti e nelle favole, si può registrare la presenza di tanti animali benigni.) Tale rapporto del sé con la natura circostante e con il cosmo deriva, con ogni probabilità, dal fatto che 1'«atomo nucleare» della nostra psiche è, in qualche modo, intimamente intrecciato nella totalità del mondo, così del mondo esteriore come di quello intimo. Tutte le manifestazioni più alte della vita si armonizzano con il circostante continuum spazio-temporale. Per esempio, gli animali hanno il loro cibo peculiare, peculiari materiali per la costruzione delle loro tane, territori sui quali vivono di preferenza, e i loro modelli istintivi si armonizzano perfettamente con queste esigenze differenziate, e si adattano a esse. Anche il ritmo del tempo svolge una parte importante: pensiamo anche solo al fatto che la maggior parte degli animali erbivori partoriscono proprio nella stagione dell'anno nella quale l'erba è più folta e più abbondante. In base a tali coincidenze, un ben noto zoologo ha detto che la «struttura interiore» degli animali si riflette nel mondo circostante, e «psichizza» il tempo e lo spazio.45
Secondo modi che restano al di là della nostra possibilità di comprensione, il nostro inconscio si armonizza con l'ambiente - con il gruppo di cui facciamo parte, con la società e, in generale, con il continuum spazio-temporale e con la totalità della natura. Così, il «grande uomo» degli Indiani Naskapi non vale solo a rivelare le verità interiori; ma suggerisce anche il luogo e il momento più adatti alla caccia. E dai sogni il cacciatore naskapi districa le parole e la melodia delle formule magiche con le quali attira gli animali.
Ma questa specifica influenza ausiliatrice dell'inconscio non opera solo a favore dei primitivi. Jung ha scoperto che anche gli uomini «civilizzati» possono trovare nei propri sogni la guida necessaria per risolvere i problemi che incontrano così nel mondo esterno, come in quello interiore. In realtà, molti dei nostri sogni contengono particolari riferimenti ad aspetti della vita esteriore. Oggetti come l'albero che vediamo solitamente dalla finestra, la nostra bicicletta o la nostra automobile, o la pietra raccolta nel corso di una gita, possono raggiungere il livello del simbolismo tramite la nostra attività onirica, e acquisire così pienezza di significato. Se facciamo attenzione ai nostri sogni, invece di vivere come in un mondo freddo e impersonale caratterizzato da una casualità senza senso, possiamo incominciare a inserirci in un mondo che intimamente ci appartiene, in cui gli eventi si dispongono secondo un principio regolatore di arcana importanza.
I nostri sogni, tuttavia, non concernono il nostro adattamento al mondo esteriore. Almeno nel nostro mondo civilizzato, la maggior parte dei sogni riguardano lo sviluppo (sollecitato dall'ego) della «valida» tendenza interiore verso il sé, perché questo contatto è ben più ostacolato nell'ambito dei moderni sistemi di vita, che non nel caso dei popoli primitivi. I sogni, generalmente, prendono vita direttamente dal centro interiore, ma noi, con la nostra coscienza scissa, siamo implicati nella trama dei problemi esteriori, che ci sono in fondo completamente estranei, e i messaggeri provenienti dal sé di rado riescono a raggiungerci. La nostra mentalità conscia continuamente ricrea l'illusione di un mondo esteriore chiaramente configurato, «reale», che è la fonte di molte altre percezioni. Pure, tramite la nostra natura siamo inesplicabilmente collegati al nostro ambiente fisico e psichico.
Ho già detto che il sé viene frequentemente simboleggiato nella forma di una pietra, più o meno preziosa. Ne abbiamo visto un esempio nella pietra che veniva lustrata dall'orsa e dai leoni. In molti sogni il centro nucleare, il sé, si manifesta anche come un cristallo. La struttura matematicamente esatta del cristallo ci richiama alla mente il sentimento intuitivo per cui anche nella cosiddetta materia «bruta», opera un principio spirituale ordinatore. Così spesso il cristallo simboleggia l'unione degli estremi contrari - lo spirito e la materia.
Forse i cristalli e le pietre sono simboli appropriati del sé, a causa della «giustezza» della loro natura. Sono molti coloro che non sanno trattenersi dal raccogliere pietre che abbiano una forma o un colore anche appena fuori dal normale, senza sapere perché lo fanno. È come se in quelle pietre si racchiudesse un mistero vivente che li affascina. Gli uomini hanno raccolto e collezionato pietre fino dai primordi, e hanno supposto che in certune si incentrasse la forza vitale, con tutto il suo mistero. Gli antichi Germani, per esempio, credevano che gli spiriti dei morti continuassero a vivere nelle pietre sepolcrali.46 L'abitudine di collocare pietre sulle tombe può derivare, in parte, dall'idea simbolica che resta, del morto, l'elemento non caduco, eterno, e questo può adeguatamente essere rappresentato da una pietra. Perché, mentre l'essere umano è diverso dalla pietra per quanto è possibile essere diversi, il suo centro interiore presenta una arcana e particolare similitudine con la pietra (forse perché questa simboleggia la mera esistenza, assolutamente intatta dalle e- mozioni, dai sentimenti, dalle fantasie e dal pensiero discorsivo, tutti tipici elementi del mondo cosciente dell'ego). In questo senso, la pietra è forse il simbolo dell'esperienza più assoluta e profonda - l'esperienza dell'eterno, che l'uomo realizza in quei momenti nei quali si sente immortale e non caduco.
Anche l'impulso, comune a tutte le civiltà, di erigere monumenti a uomini illustri, o a ricordo di eventi importanti, deriva probabilmente da questo significato simbolico della pietra. La pietra che Giacobbe collocò nel luogo in cui ebbe il suo famoso sogno, o certe pietre lasciate dalla gente comune sulle tombe del santo o dell'eroe locale, rivelano la natura profonda dell'impulso umano di esprimere, mediante il simbolo della pietra, esperienze altrimenti inesprimibili. Non c'è da stupirsi del fatto che, in molti culti religiosi, ci si serva di una pietra per indicare Dio, o per contrassegnare un luogo sacro alla devozione dei fedeli. La sacra reliquia per eccellenza del mondo islamico è la Ka'aba, la pietra nera della Mecca, per venerare la quale tutti i Maomettani sperano di poter compiere almeno un pellegrinaggio.
Per il simbolismo ecclesiastico cristiano. Cristo è «la pietra che i muratori hanno refuso», e che è divenuta poi «la pietra angolare» (Luca, XX, 17). Alternativamente, egli è chiamato «la roccia dello spirito, da cui sgorga l'acqua della vita» (I Cor., X, 4). Gli alchimisti del Medioevo, che cercavano di carpire il segreto della materia con metodi pre- scientifici, sperando di cogliervi non dirò Dio, ma almeno la vivente presenza della sua operosa energia, credevano che quel segreto fosse racchiuso nella famosa «pietra filosofale». Ma alcuni alchimisti confusamente avvertivano che la tanto desiderata pietra era il simbolo di una entità che poteva essere rinvenuta solo nella psiche dell'uomo. Un antico alchimista arabo, Morieno, diceva: «Questa pietra [la pietra filosofale] si cava da voi: voi ne siete il minerale, e in voi la si può trovare. Se ve ne renderete conto, sentirete vivere in voi l'amore della pietra. Sappiate che questo è vero senza ombra alcuna di dubbio».47
La pietra degli alchimisti (la lapis) è dunque il simbolo di una esperienza che non può andare perduta o distrutta, di una entità eterna che alcuni alchimisti paragonavano all'esperienza mistica di Dio nell'anima umana. Di solito, occorre un lungo travaglio per procedere alla eliminazione di tutti gli elementi psichici superflui che occultano la «pietra».48 Ma una profonda esperienza interiore del sé è vissuta a un dipresso da tutti, almeno una volta nel corso della vita. Dal punto di vista psicologico, l'atteggiamento genuinamente religioso consiste nel tentativo di conseguire questa particolarissima esperienza, e di assumerla, gradualmente, come regola generale (è sintomatico il fatto che la pietra riveli, tipicamente, il carattere della «persistenza»), così che il sé divenga l'amico interiore al quale di continuo si rivolge la nostra attenzione.
Il fatto che il più alto e il più comune simbolo del sé sia una cosa inerte, costituita di materia inorganica, apre un nuovo campo alla indagine e alla riflessione: intendo parlare della natura, tuttora ignota, dei rapporti fra la psiche inconscia e quella che chiamiamo la «materia», - un mistero con il quale la medicina psicosomatica è attualmente alle prese. Studiando questo rapporto, ancora indefinito e incerto (può essere che «materia» e «psiche» siano lo stesso fenomeno, osservato, nel primo caso, «dal di fuori», e, nel secondo, «dal di dentro»), il dottor Jung espose una nuova concezione, che egli battezzò con il termine «sincronicità».49. Questo ,rmine indica la «coincidenza significativa» degli eventi esteriori con quelli interiori, che non sono peraltro, in se stessi, fra loro causalmente collegati. L'accento batte sulla parola «significativa».
Se un dirigibile esplode davanti a me mentre mi sto soffiando il naso, si ha una coincidenza di eventi che non è significativa. Si tratta solo di un caso, di uno dei tanti casi della vita di ogni giorno. Ma, se compro un vestito blu, e, per errore, il negoziante me ne manda a casa uno nero proprio il giorno che muore un mio caro parente, ecco che siamo in presenza di una coincidenza significativa. I due eventi non sono causalmente collegati ma sono connessi dal significato simbolico che la nostra società attribuisce al colore nero.
Tutte le volte che il dottor Jung aveva occasione di individuare simili coincidenze significative nella vita di qualche soggetto, aveva l'impressione (del resto avvalorata dai sogni del soggetto stesso) che venisse attivato un archetipo nell'inconscio dell'individuo in esame. Ci spiegheremo riferendoci all'esempio del vestito nero: in quel caso, la persona che riceve il vestito nero potrebbe anche aver fatto un sogno imperniato sul tema della morte. È come se l'archetipo sottostante si manifestasse simultaneamente in eventi di carattere interno ed esterno. Il denominatore comune è un «messaggio» simbolico - in questo caso, un messaggio di morte.
Quando si arriva a comprendere che certi tipi di eventi «amano» verificarsi insieme con certi altri, in determinati momenti si può comprendere anche l'atteggiamento mentale dei Cinesi, le cui teorie mediche, filosofiche, e perfino quelle attinenti alla scienza delle costruzioni, si basano sulla «scienza» delle coincidenze significative. I testi classici cinesi non si chiedono, davanti a un evento, che cosa lo abbia causato, ma piuttosto che cosa «ama» verificarsi insieme con esso. Si può ritrovare lo stesso motivo di fondo nell'astrologia, e nel modo in cui i popoli di varie civiltà hanno fatto dipendere decisioni essenziali dal responso di oracoli, o dagli auspici degli àuguri. Si tratta, in tutti questi casi, di fornire una spiegazione della coincidenza, che si diversifica totalmente da quella che si incentra, in maniera diretta, nel rapporto causa- effetto.
Elaborando il concetto di «sincronicità», il dottor Jung ha indicato in che modo è possibile pervenire a una più profonda comprensione delle interrelazioni fra psiche e materia. Ed è proprio a tali relazioni che sembra fare diretto riferimento il simbolo della pietra. Ma si tratta di una materia ancora insufficientemente studiata, che lascia dunque adito a varie soluzioni, e che sarà compito delle generazioni future di fisici e psicologi esaminare a fondo.
Potrà forse sembrare che questa esposizione del concetto di «sincronicità» mi abbia allontanata dal tema, ma ho ritenuto necessario un esame, sia pure di carattere introduttivo e necessariamente sommario, di tale concetto, perché si tratta di una ipotesi jungiana che ci sembra gravida di conseguenze, di ordine così speculativo come pratico. Gli eventi «sincronici», inoltre, accompagnano quasi invariabilmente le fasi cruciali del processo di individuazione. Ma troppo spesso passano inosservati, perché il soggetto non ha imparato a prestare attenzione alle coincidenze, e ad attribuire a esse un significato in relazione al simbolismo dei suoi sogni.
Il rapporto con il sé
Al giorno d'oggi molti uomini, specialmente se vivono in grandi città, sono affetti da un terribile senso di vuoto e di noia, come se fossero in attesa di qualche cosa che non arriva mai. Possono distrarli, momentaneamente, cinema e televisione, la partita allo stadio o le controversie politiche, ma sempre, stanchi e disingannati, essi finiscono per ritornare alla terra desolata della loro vita.
La sola avventura che valga la pena di essere vissuta dall'uomo moderno è l'esplorazione del regno interiore della psiche inconscia. Vagamente convinti di ciò, sono molti coloro che si dedicano all'esercizio dello Yoga, o di altre tecniche orientali. Ma queste non consentono alcuna possibilità di reali avventure, perché, nella loro pratica, ci si limita ad apprendere ciò che è già noto al cinese o all'indù, senza entrare in contatto con il nucleo centrale della propria vita interiore. Mentre è vero che le tecniche orientali consentono di realizzare la concentrazione del pensiero, e di indirizzarlo verso il mondo interiore, e che questo procedimento è, in certo senso, simile all'introversione determinata dal trattamento analitico, non si può trascurare una differenza significativa. Jung ha elaborato un metodo per pervenire al centro interiore del soggetto, e per stabilire un contatto con il vivente mistero dell'inconscio, senza bisogno di ricorrere ad aiuti esterni.50 Si tratta di tutt'altra cosa che seguire un sentiero ben battuto.
Cercare di prestare costantemente, giorno per giorno, la dovuta attenzione alla realtà vivente del sé è come cercare di vivere simultaneamente a due livelli, o in due mondi diversi. Si continua, come in precedenza, ad adempiere doveri e incombenze impostici dal mondo esteriore, ma si resta altresì continuamente in attesa degli indizi e dei segnali, sia che si manifestino in sogni oppure in eventi esteriori, ai quali il sé ricorre per esprimere simbolicamente le sue intenzioni, - per indicare la direzione nella quale si sta muovendo la corrente vitale.
Gli antichi testi cinesi, che si sono occupati di questa esperienza, ricorrono spesso alla similitudine del gatto in agguato davanti al rifugio del topo. In uno di essi si dice che non si dovrebbe consentire di venir distratti da altri pensieri, ma che, al contempo, la nostra attenzione non dovrebbe essere né troppo tesa, né troppo rilassata. Si indica così, con esattezza, quello che deve considerarsi il valido livello percettivo.
Se si assume questo atteggiamento, e ci si adegua a esso [...] gli effetti si manifesteranno con l'andar del tempo, e quando giungerà il momento della realizzazione, come una mela matura che automaticamente si stacca dal ramo, qualsiasi cosa con cui possa capitare che si istituisca un contatto o un rapporto determinerà il supremo risveglio dell'individuo. È questo il momento in cui l'iniziato si troverà del tutto simile a colui che beve acqua, e solo sa se quella sia fredda o tiepida. Si libererà da tutti i dubbi su se stesso, proverà una grande letizia, analoga a quella che si avverte incontrando il proprio padre a un incrocio, per strada.51
Così, nel corso della vita normale, che si attua nel mondo esteriore, si è improvvisamente proiettati in una meravigliosa avventura interiore; e poiché questa è unica per ciascun soggetto, essa non potrà mai essere oggetto di imitazione o di plagio.
Ci sono soprattutto due motivi essenziali per cui l'uomo smarrisce il contatto con il centro regolatore della propria psiche. Il primo è che qualche isolato impulso istintivo, o qualche immagine emotiva, possono segregarlo in una unilateralità nella quale egli perde il senso del proprio equilibrio psichico. Ciò capita anche agli animali; per esempio, un cervo sessualmente eccitato dimenticherà completamente la fame, e diventerà imprudente. Tale unilateralità, e il conseguente smarrimento dell'equilibrio psichico, sono grandemente temuti dai primitivi, che definiscono il fenomeno «perdita dell'anima». Un'altra minaccia all'equilibrio interiore proviene dalle eccessive «fantasticherie a occhi aperti», che, misteriosamente, di solito accompagnano particolari complessi. In realtà, le fantasticherie intanto sussistono, in quanto mettono in rapporto l'uomo con i suoi complessi; e, al con tempo, minacciano la possibilità della concentrazione e la continuità della coscienza del soggetto.
Il secondo ostacolo è di carattere del tutto opposto al primo, ed è dovuto a un superconsolidamento della coscienza dell'ego. Sebbene una certa forma di consapevolezza disciplinata sia necessaria per lo svolgimento delle attività inerenti alla nostra vita «civile» (si sa benissimo, per esempio, quello che accade se un capostazione o un addetto agli scambi ferroviari si lasciano prendere dalle fantasticherie), essa presenta tuttavia il serio inconveniente di bloccare la ricezione degli impulsi e dei messaggi provenienti dal centro psichico. Questa è la ragione per cui tanti sogni degli uomini civili riguardano la necessità di restaurare tale ricettività, tramite la modificazione dell'atteggiamento della coscienza nei confronti del centro interiore, cioè del sé.
Fra le rappresentazioni mitologiche del sé, sovente si trova posto l'accento sui «quattro angoli del mondo», e, in molti dipinti, il «grande uomo» è collocato nel centro di un cerchio diviso in quattro parti. Jung impiegò il termine indù «mandala» (cerchio magico) per indicare ogni struttura di questo ordine, che è una rappresentazione simbolica dell'«a- tomo nucleare» della psiche umana, - della cui essenza non sappiamo assolutamente niente. Al riguardo, è interessante osservare che un cacciatore naskapi ha rappresentato pittoricamente il suo «grande uomo» non come un essere umano, ma come un mandala.
Mentre il naskapi ha una esperienza diretta e immediata del centro interiore, e non ricorre dunque all'ausilio di riti e dottrine religiose, altre popolazioni impiegano il motivo del mandala per restaurare il perduto equilibrio spirituale. Per esempio, gli Indiani Navaho cercano, per mezzo di dipinti sulla sabbia, e a struttura mandalica, di ricondurre i malati in armonia con se stessi e con il cosmo - e quindi di far loro recuperare la salute.
Nel mondo della civiltà orientale, tali disegni valgono a consolidare l'essere interiore, o a consentire la concentrazione in profonde meditazioni. Si ritiene che la contemplazione di un mandala determini l'acquisizione della pace interiore, il senso e la consapevolezza, cioè, che la vita ha ritrovato il suo ordine e il suo significato. Il mandala determina l'insorgere di questo sentimento anche quando si manifesta spontaneamente nei sogni degli uomini moderni che non sono influenzati da tradizioni religiose di questo tipo, e anzi non ne sanno assolutamente niente. Di più, forse l'efficacia positiva è ancora maggiore nel loro caso perché la conoscenza e la tradizione, in un certo senso, possono oscurare, o impedire addirittura, l'esperienza spontanea.
Ecco l'esempio di un mandala, che si è spontaneamente presentato nel sogno di una donna di 62 anni. Il sogno costituì il preludio di una nuova fase nella vita della donna, caratterizzata da un atteggiamento creativo:
Vedo un paesaggio immenso in una luce opaca. Sullo sfondo, il crinale di una collina, regolare e costante. Lungo il dorsale di origine della collina, si muove una lastra quadrangolare, che splende come oro. In primo piano, una estensione scura di terra coltivata, prossima a germogliare. A un tratto scorgo una tavola rotonda, con una pietra massiccia nel mezzo; al contempo la lastra quadrangolare si posa su essa. Ha lasciato la collina, ma come e quando abbia mutato la sua posizione, non lo so.
I paesaggi, nei sogni, come del resto nelle realizzazioni artistiche, simboleggiano spesso un atteggiamento inesprimibile. In questo sogno, la luce opaca del paesaggio indica che la pienezza della coscienza, totale durante il giorno, si è offuscata. La «natura interiore» può incominciare a rivelarsi nella sua vera luce, e così vediamo che la lastra quadrangolare si manifesta, visibilmente, al limite dell'orizzonte. Fino a questo momento il simbolo del sé, la lastra, era stato oggetto di una idea molto vaga e imprecisa, al limite dell'orizzonte mentale della sognante - ma nel sogno muta posizione, e diviene il centro del suo paesaggio spirituale. Un seme, gettato chissà quanto tempo prima, incomincia a fruttare: per un lungo periodo la sognante aveva seguito con partecipe attenzione i suoi sogni, e ora la sua fatica viene ricompensata. (Ci viene in mente la relazione fra il simbolo del «grande uomo» e il mondo vegetale, già precisata più sopra.) Ora, improvvisamente, la lastra d'oro si muove verso il settore destro, il settore nel quale le cose emergono al livello della coscienza. Fra l'altro, la «destra» indica spesso, psicologicamente, il mondo della coscienza e dell'adattamento, della corrispondenza legittima, laddove la «sinistra» simboleggia la sfera delle reazioni di adattamento inconsce, e, talvolta, anche aspetti e atteggiamenti «sinistri» in senso traslato. Infine, la lastra aurea si ferma, e va a posarsi, significativamente, su una tavola di pietra, rotonda. Ha così trovato una base stabile.
Come osserverà Aniela Jaffé nel corso di questo libro, la rotondità (il motivo mandala) simboleggia in genere una totalità naturale, mentre una struttura quadrangolare ne rappresenta la realizzazione a livello della coscienza. Nel sogno, il piano quadrangolare e la tavola rotonda entrano in contatto, e si rende così possibile la realizzazione consapevole del centro vitale. La tavola rotonda, sia detto incidentalmente, è un notissimo simbolo della totalità, e svolge un ruolo importante nella mitologia - per esempio, la tavola rotonda di Re Artù, che è, a sua volta, una immagine derivata dalla tavola dell'Ultima Cena.
In effetti, quando l'uomo si volge seriamente al proprio mondo interiore, nel tentativo di conoscere se stesso - non meditando inutilmente sui propri pensieri e sui propri sentimenti soggettivi, ma seguendo le più genuine manifestazioni della sua natura oggettiva, quali i sogni, e le fantasie più spontanee - prima o poi il sé finisce per manifestarsi. L'ego avrà così rinvenuto un potere interiore, capace di consentire la realizzazione di qualsiasi possibilità di rinnovamento.
Ma c'è una grossa difficoltà, alla quale finora ho accennato solo indirettamente. Questa consiste nel fatto che ogni personificazione dell'inconscio - l'ombra, l'anima, l'animus, il sé - presentano aspetti sia positivi che negativi. Abbiamo già visto che l'ombra può avere un carattere malvagio, può incentrarsi in una tendenza istintiva che si deve vincere; ovvero può costituire un impulso allo sviluppo, che si deve coltivare e seguire. Parimenti, l'anima e l'animus hanno un duplice aspetto: essi possono determinare, nella personalità, la maturazione dello sviluppo vitalizzante, e l'acquisizione di atteggiamenti creativi, ovvero l'atrofia e la morte psichica. E anche il sé, l'onnicomprensivo simbolo dell'inconscio, può svolgere un'attività di duplice carattere, come nel racconto eschimese che abbiamo riportato a pag. 177 nel quale la «donnetta» si prestava a salvare l'eroina dallo spirito della luna, ma, in definitiva, la tramutava in ragno.
Il lato negativo del sé è il più pericoloso di tutti, proprio perché il sé è il depositario del più rilevante potere psichico. Può far sì che gli uomini si «costruiscano» fantasie megalomani o altrimenti illusorie, che li avvincono e li «posseggono». Chi si trova in tale stato ritiene, con crescente senso di orgoglio, di avere affrontato e risolto i nodi di tutti i grandi problemi cosmici, e smarrisce ogni contatto con la concreta realtà umana. Un sintomo attendibile di tale situazione è la perdita del senso dell'umorismo, del gusto dei rapporti umani.
Così, la comparsa del sé può risultare gravemente dannosa all'ego consapevole. Questo duplice aspetto del sé viene stupendamente illustrato in una. vecchia fiaba iraniana, che si intitola II segreto di Bath Bâdgerd:52
Al grande e nobile principe Hâtim Tâi viene ordinato dal re di esplorare il misterioso Bath Bâdgerd (il castello che non esiste). Quando il principe vi si avvicina, dopo aver superato molte e pericolose avventure, nonostante venga avvertito del fatto che nessuno ne è mai ritornato, insiste per visitarlo. Egli viene ricevuto, in una costruzione dalla forma circolare, da un barbiere, che tiene in mano uno specchio e che lo conduce nel bagno. Ma, non appena il principe entra nell'acqua. si ode uno spaventoso fragore, piomba la tenebra più fitta, il barbiere sparisce, e l'acqua incomincia lentamente a salire. Hâtim nuota disperatamente, finché l'acqua raggiunge il culmine della cupola rotonda, che costituisce il tetto del bagno. Hâtim, a questo punto, ritiene di essere ormai perduto; e tuttavia, dopo aver pregato, afferra la pietra centrale della cupola. Ancora un fragore di tuono, tutto sparisce, e Hâtim si ritrova, solo, nel deserto.
Dopo aver camminato a lungo, e superato enormi disagi, giunge a un bel giardino, nel mezzo del quale sono disposte, circolarmente, delle statue di pietra. Nel centro del cerchio c'è un pappagallo in gabbia. Una voce proviene dall'alto: «Oh, eroe, non ti riuscirà mai di scampare vivo di qui. Una volta Gayomart [il primo uomo] trovò un enorme diamante, che risplendeva più del sole e della luna. Decise di nasconderlo dove nessuno potesse trovarlo, e costruì questo bagno magico perché vi fosse custodito. Il pappagallo, che tu vedi, fa parte dell'incantesimo. Ai suoi piedi giace un arco d'oro, e una freccia su una catena d'oro, con cui, per tre volte, puoi tentare di colpire il pappagallo. Se ti riuscirà, il maleficio verrà infranto, altrimenti sarai trasformato in una statua, come tutti costoro».
Hâtim tenta una prima volta, e fallisce il colpo. Le gambe gli diventano di pietra. Anche la seconda volta fallisce, e diviene di pietra fino all'altezza del busto. La terza volta, chiude gli occhi, gridando «Dio è grande», tira alla cieca e colpisce il pappagallo. Scoppia un tuono, si sollevano nugoli di polvere. Quando gli elementi si sono placati, al posto del pappagallo c'è un enorme, stupendo diamante, mentre le statue hanno ripreso vita. Tutti ringraziano il principe della loro liberazione.
Il lettore avrà riconosciuto, nel corso del racconto, i vari simboli del sé - il primo uomo, Gayomart, la costruzione rotonda, a forma di mandala, la pietra centrale, il diamante. Ma il diamante è circondato da mille pericoli. Il pappagallo diabolico indica e simboleggia il cattivo spirito di imitazione, che fa sì che si manchi il bersaglio, e ci si atrofizzi, da un punto di vista psicologico. Come ho osservato più sopra, il processo di individuazione non tollera imitazioni pappagallesche. A più riprese, in tutti i paesi, gli uomini hanno cercato di copiare e riflettere, in atteggiamenti «esteriori» o ritualistic!, l'originale esperienza religiosa dei loro grandi maestri - Cristo, Budda, o altri - e si sono pertanto «pietrificati». Seguire le orme di un grande maestro spirituale, non significa che si debba copiare e ricalcare lo schema del processo di individuazione attuatosi nella sua vita. Significa solo che si deve, con sincerità e devozione pari alla sua, vivere la nostra vita.
Il barbiere con lo specchio, che a un tratto scompare, simboleggia il dono-potere della riflessione, che Hâtim smarrisce quando più vorrebbe disporne; le acque, che improvvisamente incominciano a crescere, simboleggiano il rischio, che ciascuno di noi corre, di annegare nell'inconscio, di perdersi nelle proprie emozioni. Per comprendere le indicazioni simboliche dell'inconscio, bisogna guardarsi bene dal «porsi» fuori o «accanto» a se stessi; occorre invece vivere, emozionalmente, dentro a se stessi. In effetti, è di vitale importanza che l'ego continui a operare normalmente. Solo se si resta un comune essere umano, consapevole della propria incompletezza, si potranno recepire i contenuti significanti e i processi dell'inconscio. Ma come può, l'uomo, reggere alla tensione fra il sentimento della propria integrazione nell'ambito dell'intero universo, e la sua persistente natura di creatura terrestre, bassa e miserabile? Se, da un lato, mi disprezzo in quanto non sono altro che una mera cifra statistica, la vita si rivela priva di senso, e non vale la pena viverla.53 Ma se, dall'altro, mi sento una fibra di qualche entità molto più vasta, come posso evitare di perdermi con la testa fra le nuvole? È davvero difficile armonizzare questi due «opposti» di carattere intimo, senza cadere nell'uno o nell'altro estremo.
L'aspetto sociale del sé
Al giorno d'oggi, l'enorme aumento della popolazione, particolarmente evidente nelle grandi città, produce inevitabilmente un effetto deprimente. Pensiamo: «Ecco, sono solo uno che vive, nel tal modo, al tale indirizzo, come migliaia di altre persone. Se alcuni di noi muoiono, vengono uccisi, che differenza c'è? Ci sarà sempre troppa gente, in ogni caso». E quando si legge, sui giornali, della morte di innumerevoli sconosciuti, che personalmente non significano niente per noi, si intensifica ancor più il sentimento che la nostra vita non ha alcun valore. Ecco il momento in cui può essere estremamente utile prestare ascolto alle indicazioni dell'inconscio; i sogni, infatti, rivelano al sognante come ogni particolare della sua vita sia collegato strettamente con le più significative realtà.
Ciò che sappiamo solo teoricamente - e cioè, il fatto che tutto dipende dall'individuo - acquista, nei sogni, una evidenza palpabile, che ciascuno può sperimentare direttamente.
Talvolta avvertiamo, con speciale intensità, che il «grande uomo» pretende qualche cosa da noi, e che ci ha assegnato dei compiti peculiarissimi. La nostra reazione a questa esperienza ci può aiutare a risalire la corrente dei pregiudizi collettivi, quando si prenda seriamente in considerazione la nostra psiche.
Naturalmente, non si tratta sempre di un compito semplice, o piacevole. Per esempio, potete aver stabilito di fare una gita con gli amici a fine settimana; un sogno ve lo interdice, e pretende che svolgiate qualche attività creativa. Se date ascolto al suggerimento dell'inconscio, e lo seguite, dovrete aspettarvi una continua interferenza nei vostri piani e propositi consapevoli. La vostra volontà verrà contrastata da altre intenzioni - intenzioni che dovrete seguire, o quanto meno considerare con estrema serietà. Questo vale, almeno in parte, a spiegare perché il senso di dovere, che inerisce inscindibilmente al processo di individuazione, viene più spesso avvertito come un ostacolo ingombrante che come un impulso benefico.
San Cristoforo, il santo patrono di tutti i viaggiatori, è il simbolo che meglio esprime questa esperienza. Secondo la leggenda, egli era arrogantemente orgoglioso della sua tremenda forza fisica, e voleva servire solo chi fosse più forte di lui. Dapprima, lavorò al servizio di un re; ma quando si accorse che il re aveva timore del diavolo lo abbandonò per trasferirsi al servizio di questo. Ma, quando si rese conto che il diavolo aveva terrore del crocifisso, decise che avrebbe servito Cristo, se mai fosse riuscito a trovarlo. Cristoforo seguì il consiglio di un prete, che gli suggerì di aspettare Cristo nei pressi di un guado. Negli anni seguenti trasportò moltissime persone attraverso il fiume. Ma una volta, in una notte oscura e tempestosa, sentì la voce di un fanciullo, che lo chiamava, perché voleva essere portato di là dal fiume. Con estrema facilità, san Cristoforo sollevò il fanciullo sulle spalle, ma si accorse con grande stupore di procedere sempre più lentamente a ogni passo, perché il peso diveniva, a ogni momento, più grave. Quando arrivò in mezzo alla corrente, ebbe come la sensazione di «portare sulle spalle tutto l'universo». Si rese così conto di aver preso su di sé Cristo - e Cristo lo premiò rimettendo i suoi peccati e concedendogli la vita eterna.
Il fanciullo miracoloso è un evidente simbolo del sé, che letteralmente «opprime» il comune essere umano, anche se è la sola realtà che possa riscattarlo. In molte opere d'arte, Cristo fanciullo è raffigurato insieme con la sfera terrestre, un motivo che indica chiaramente il sé, perché il fanciullo e la sfera sono simboli universali délia totalità.
Quando l'uomo cerchi di seguire i suggerimenti dell'inconscio, si renderà conto, come abbiamo già detto, di non poter fare quello che vuole. Ma, altrettanto spesso, egli sarà incapace di fare quello che gli altri pretendono che egli faccia. Accade sovente, per esempio, che egli debba abbandonare il suo gruppo - la sua famiglia, i suoi compagni, tutti i suoi rapporti personali - al fine di ritrovare se stesso. Ecco perché si è talvolta detto che seguire l'inconscio vuol dire assumere un carattere egocentrico e antisociale. Questo, di regola, non è vero, perché, nell'atteggiamento di chi presta attenzione all'inconscio, assume particolare rilevanza un fattore poco conosciuto: l'aspetto collettivo (o, come si potrebbe dire, sociale) del sé.
Da un punto di vista pratico diremo che questo fattore si esprime nella circostanza che chi segue per un considerevole periodo di tempo i propri sogni trova che questi riguardano spesso i suoi rapporti con gli altri. Il soggetto può essere diffidato dai suoi sogni nei confronti di una certa persona: non riponga in essa la sua fiducia! O può sognare di un incontro piacevole e utile con un tale che egli, precedentemente, non ha mai osservato e individuato in modo consapevole. Se il sogno non ci presenta, secondo questi schemi, l'immagine di un'altra persona, ci sono due possibili interpretazioni. La prima, secondo cui la raffigurazione sognata può essere una proiezione; in altri termini, l'immagine onirica del soggetto può essere il simbolo di un atteggiamento interiore dello stesso sognante. Si sogna, ad esempio, di un vicino disonesto, ma questi non è che un simbolo di cui l'inconscio si serve per indicare la nostra disonestà. In tal caso, è compito specifico dell'interprete individuare in quali limiti è la disonestà del soggetto stesso che viene presa in considerazione. (Si parla, a questo riguardo, di interpretazione dei sogni a livello soggettivo.)54
Ma può anche essere che i sogni ci parlino davvero degli altri. In questo modo, l'inconscio svolge un ruolo che siamo ancora ben lungi dall'avere pienamente compreso. Come capita al livello delle forme superiori, anche l'uomo è in contatto, in notevole misura, con gli esseri viventi che lo circondano. Egli ne avverte le sofferenze e i problemi, gli aspetti e le caratteristiche di ordine sia positivo che negativo, istintivamente - in modo del tutto indipendente da ciò che egli, consapevolmente, ne pensa.55
La nostra vita onirica ci consente, per così dire, di gettare un'occhiata su queste percezioni subliminali, e ci dimostra che esse hanno un'indubbia efficacia sulla nostra personalità. Se si sogna «bene» di qualcuno, anche senza interpretare il sogno inevitabilmente accade che si consideri quella persona con maggiore interesse. L'immagine onirica può averci tratto in inganno: si trattava solo di proiezioni di aspetti soggettivi; ma può anche averci dato «informazioni» di carattere oggettivo. Per individuare l'interpretazione esatta, occorre un atteggiamento mentale attento e solerte. Ma, come accade sempre quando si tratti di processi interiori, in definitiva è sempre il sé che ordina e dispone i nostri rapporti umani, finché l'ego consapevole si assume il compito di individuarle, e di ridurle e considerarle all'interno, e non all'esterno della personalità. È in tal modo che si incontrano coloro che hanno una particolare affinità spirituale, o identità di tendenze, e ne risulta un gruppo che si differenzia da tutte le comuni congregazioni sociali. Non che questo gruppo si ponga in conflitto con gli altri; soltanto, ne differisce integralmente, è indipendente da essi. Il processo di individuazione, consapevolmente realizzato, modifica dunque, in tal modo, anche l'ordinaria sfera di rapporti umani del soggetto. I legami familiari, come la parentela o gli interessi comuni, sono sostituiti da un diverso tipo di unità - il legame tramite il sé.
Tutte le attività e le incombenze che appartengono esclusivamente al mondo esteriore sono decisamente dannose alle segrete attività dell'inconscio. In virtù di questi arcani collegamenti, coloro che tendono l'uno verso l'altro finiscono per incontrarsi. È per questo che i vari tentativi di influenzare gli uomini, sia con consigli che con la propaganda politica, anche quando siano ispirati da motivi ideali, si rivelano sempre pericolosi.
A questo punto sorge un problema importante: la parte inconscia della psiche umana può essere in qualche modo influenzata? Esperienze pratiche e osservazioni accurate dimostrano che non si possono influenzare i propri sogni. Ci sono alcuni soggetti, è vero, che asseriscono di poterlo fare. Ma, se si esamina il materiale onirico di costoro, ci si rende conto che essi si comportano come talvolta noi con il nostro cane: gli si ordina di fare quello che si sa bene che esso farebbe comunque, in modo da salvaguardare la nostra illusione di autorità. Solo quando si siano a lungo interpretati i propri sogni, e se ne abbia coscienziosamente esaminato il significato, può accadere che il nostro inconscio venga gradualmente modificato. E, in questo processo di modificazione, vengono necessariamente coinvolti anche i nostri atteggiamenti consapevoli.
Se chi vuole influenzare l'opinione pubblica opera con un uso improprio di simboli, questi saranno efficaci sulle masse nei limiti in cui sono veri, ma se l'inconscio della massa possa essere, o meno, emozionalmente affetto da essi, è un problema che non può essere né impostato né risolto in anticipo, un'incognita del tutto irrazionale. Nessun editore di musica per esempio, può sapere in anticipo se una canzone avrà successo o no, anche se questa si basa su parole o melodie popolari. Nessun deliberato tentativo di influenzare l'inconscio ha avuto esito positivo, e sembra che l'inconscio della massa conservi la sua autonomia, proprio come l'inconscio individuale.56
Talvolta, per esprimere le sue intenzioni, l'inconscio può far uso di un motivo di derivazione esterna; sembra, così, che ne sia influenzato. Per esempio, io ho esaminato molti sogni connessi in un modo o in un altro con Berlino. In questi sogni Berlino è il simbolo del settore psichico debole o malato - il punto focale del pericolo - e, per questo, il punto in cui è verosimile che il sé finisca per manifestarsi. È il punto in cui la personalità del sognante è lacerata e scissa da un conflitto interiore, il punto, pertanto, in cui egli potrà riuscire a comporre gli aspetti contrari della sua psiche. Ho anche avuto a che fare con un numero straordinario di reazioni oniriche al film Hiroshima mon amour. Nella maggior parte di questi sogni veniva espressa l'idea che i due amanti del film dovessero unirsi (e questo simboleggia l'unione degli opposti psichici), altrimenti si sarebbe verificata un'esplosione atomica (simbolo, questo, della dissociazione completa, equivalente alla follia).
Solo quando i manipolatori dell'opinione pubblica confortano la loro attività con l'ausilio di pressioni di ordine commerciale, o di atti di violenza, sembrano conseguire un successo temporaneo. Ma, in realtà, ciò vale solo a determinare una rimozione delle genuine reazioni inconsce. E la rimozione di massa conduce allo stesso risultato della rimozione individuale: vale a dire, alla dissociazione nevrotica e alla malattia psichica. Simili tentativi di rimuovere le reazioni dell'inconscio sono destinati, in prospettiva, al fallimento, perché contrastano radicalmente con i nostri istinti.
Sappiamo, dall'esame del comportamento sociale degli animali superiori, che i piccoli gruppi (composti, approssimativamente, da un numero di individui che varia dalle 10 alle 50 unità), consentono le migliori condizioni di vita così per il singolo animale come per l'intero gruppo, e sembra che l'uomo non faccia eccezione sotto questo riguardo. Il suo benessere fisico, la sua salute psichica, la sua efficienza culturale, fioriscono in simili formazioni sociali. Nei limiti nei quali possiamo attualmente comprendere il processo di individuazione, il sé tende manifestamente a determinare la costituzione di tali piccoli gruppi, creando al contempo precisi punti di contatto fra i sentimenti e gli atteggiamenti di certi individui, e un senso di connessione fra questi e tutti gli altri soggetti. Solo se questi rapporti sono determinati dal sé, si può essere certi che l'invidia, la gelosia, i conflitti, e ogni sorta di proiezione negativa non potranno valere a infrangere l'unità del gruppo. Così, la devozione incondizionata al proprio processo di individuazione determina la forma migliore di adattamento sociale.
Ciò non significa, come è naturale, che non debbano verificarsi contrasti di opinioni, di obblighi discordanti, o disaccordi sulla via «giusta» da seguire; in tal caso, si dovrà sempre volgersi ad ascoltare la propria voce interna, per appurare quale sia la posizione individuale che il sé ci indica.
Incompatibili con l'individuazione sembrano talvolta certi fanatici atteggiamenti politici (mai, però, l'adempimento di doveri essenziali). Un uomo, che si era dedicato interamente alla liberazione del proprio paese dalla occupazione straniera, ebbe questo sogno:
Insieme con certi compatrioti, salgo su per le scale fino all'attico di un museo, verso una sala dipinta di nero, che assomiglia alla cabina di una nave. Una distinta signora di mezza età ci apre la porta; si chiama X, ed è figlia di X. [X era un famoso eroe nazionale della patria del sognante, e aveva cercato, qualche secolo prima, di liberare il paese. Potrebbe essere paragonato a Giovanna d'Arco, o a Guglielmo Teli. In realtà, X non ebbe figli.) Nella sala scorgiamo i ritratti di due aristocratiche signore, che indossano vestiti di broccato, a fiorami. Mentre la signora X ci ragguaglia sui ritratti, questi, all'improvviso, prendono vita; prima si muovono gli occhi, poi è il corpo che sembra sollevarsi come nel respiro. Gli uomini sono disorientati, e si dirigono verso la sala di lettura, dove la signora X spiegherà il fenomeno. Essa dice che è tramite le sue intuizioni e i suoi sentimenti che i ritratti hanno acquistato la vita; ma alcuni degli uomini si indignano, e dicono che la signora X è certamente pazza; certi abbandonano addirittura la sala di lettura.
L'aspetto importante di questo sogno consiste nel fatto che la raffigurazione dell'«anima», la signora X, è interamente una creazione onirica. Essa porta, tuttavia, il nome di un famoso eroe nazionale (come se fosse, tanto per comprenderci, Gugiielmina Teli, la figlia di Guglielmo Teli). Tramite le implicazioni espresse da questo nome, l'inconscio sottolinea il fatto che il sognante non dovrebbe più cercare, come fece X ai suoi tempi, di liberare il paese seguendo procedimenti di carattere esteriore. Ora, dice il sogno, la liberazione è compiuta dall'«anima» (la psiche del sognante), che la realizza destando alla vita le immagini dell'inconscio.
Il fatto che la sala nell'attico del museo assomigli alla cabina di una nave, e sia dipinta di nero, è altamente significativo. Il colore nero richiama l'oscurità, la notte, il ripiegamento sulla propria interiorità, e se la sala sembra una cabina, il museo deve in un certo senso essere una nave. Ciò suggerisce l'idea che quando la terraferma della coscienza collettiva venga sommersa dall'incoscienza e dalla barbarie, questa nave-museo, ricca di immagini viventi, può trasformarsi in un'arca di salvezza, che trasporterà in un altro continente spirituale coloro che vi salgono. I ritratti esposti nei musei sono, di solito, morti residui del passato, e tali si considerano spesso le immagini dell'inconscio, finché si scopre che esse sono vive e significanti. Quando l'anima (che si manifesta in questo sogno nel suo ruolo positivo di guida spirituale) fa oggetto tali immagini della sua intuizione e del suo sentimento, quelle incominciano a vivere.
Gli uomini indignati del sogno rappresentano quella parte della psiche del sognante influenzata dall'opinione della collettività - una entità o un atteggiamento interiore che rifiuta l'emersione alla vita delle immagini psichiche, e ne diffida. Essi personificano la resistenza dell'inconscio, che potrebbe esprimersi con questa frase: «Ma cosa direte se essi ci sganceranno addosso delle bombe atomiche? Ci sarà forse di aiuto l'analisi psicologica?»
Questa parte della psiche che oppone resistenza è incapace di liberarsi dalle considerazioni statistiche e dai pregiudizi razionali estrovertiti. Il sogno, comunque, ci fa comprendere che al giorno d'oggi, qualsiasi effettiva liberazione non può che originare da una trasformazione di ordine psicologico. A qual fine si libererebbe il proprio paese, se, dopo, non sussistesse una significante meta vitale - una meta per raggiungere la quale vale la pena di essere liberi? Se l'uomo non riesce a trovare alcun significato nella propria vita, poco importa che passi il suo tempo sotto un regime comunista o sotto un regime capitalista. Solo se egli può usare della propria libertà per creare qualche atteggiamento significante, assume rilevanza il fatto che egli sia o non sia libero.57 Questa è la ragione per cui reperire il profondo significato della vita è il più importante compito umano per cui al processo di individuazione deve concedersi una assoluta priorità.
I tentativi di influenzare l'opinione pubblica per mezzo di giornali, radio, televisione, pubblicità, sono basati su due fattori. Da una parte, essi si fondano su tecniche di tipo statistico, che rivelano la tendenza della «opinione» o dei «desideri» della massa - cioè, degli atteggiamenti collettivi. Dall'altra, essi esprimono pregiudizi, proiezioni e complessi inconsci (soprattutto il complesso del potere) dei manipolatori dell'opinione pubblica. Ma la statistica non rende giustizia all'individuo. Sebbene l'altezza media delle pietre contenute in un mucchio sia di cinque centimetri, solo poche pietre avranno esattamente quella altezza.
Che il secondo fattore non possa determinare niente di positivo, è chiaro fin dall'inizio. Ma se un singolo individuo si vota con devozione alla propria individuazione, costui eserciterà ripetutamente una positiva efficacia sulla gente che lo circonda. È come se una scintilla scoccasse dall'uno all'altro. E ciò si verifica, per lo più, quando non si abbia alcuna intenzione di influenzare gli altri, e senza l'uso di parole. È proprio su questa strada interiore che la signora X cercava di indirizzare il sognante.
Quasi tutti i sistemi religiosi della terra contengono immagini che simboleggiano il processo di individuazione, o quanto meno ne simboleggiano certi stadi.58 Nei paesi cristiani, il sé è proiettato, come già si è visto, nella figura del secondo Adamo: Cristo. In Oriente, le figure rilevanti sono quelle di Krishna e di Budda.
Per coloro che seguono una determinata religione (vale a dire, ne credono effettivamente gli insegnamenti e i dogmi), l'ordinamento psicologico della vita si attua tramite i simboli religiosi, e anche i loro sogni si mantengono spesso entro un tale ambito. Quando il defunto papa Pio xn proclamò il dogma dell'Assunzione di Maria, una donna cattolica sognò, e ciò valga ad esempio, di essere una sacerdotessa cattolica. Nel suo inconscio il dogma trovava una estensione in questo senso: «Se Maria è ora una dea, essa dovrà bene avere delle sacerdotesse». Un'altra donna cattolica, che aveva avvertito una certa ripugnanza per alcuni aspetti secondari ed esteriori del suo credo, sognò che la chiesa della sua città natale era stata abbattuta e ricostruita, ma che il tabernacolo contenente l'ostia consacrata e la statua della Vergine Maria doveva ancora essere trasportato dalla vecchia alla nuova chiesa. Il sogno le fece comprendere che alcuni aspetti antropomorfici della sua religione necessitavano di una revisione, ma che i simboli fondamentali di essa - Dio divenuto Uomo, e la Gran Madre, la Vergine Maria - sarebbero sopravvissuti a quella revisione.
Tali sogni dimostrano l'interesse che l'inconscio ripone nelle rappresentazioni religiose di qualsiasi individuo. A questo punto sorge il problema se sia possibile individuare una tendenza generale comune ai sogni di carattere religioso degli uomini moderni.59 Nelle manifestazioni dell'inconscio nella moderna cultura cristiana - protestante o cattolica - il dottor Jung ha spesso osservato che opera una tendenza inconscia diretta a integrare la nostra formula trinitaria della divinità con un quarto elemento, che presumibilmente avrebbe carattere femminile, e una natura ambigua, o addirittura maligna.60 In realtà, questo quarto elemento ha sempre avuto esistenza nell'ambito delle nostre rappresentazioni religiose, ma separatamente dalla immagine di Dio, fino a divenirne l'antagonista, sotto la forma del principio della materia (o del signore della materia, cioè il diavolo). Ora, sembra che l'inconscio voglia riunire questi estremi, perché la luce è divenuta troppo vivida, e l'oscurità troppo fonda. Naturalmente, è il simbolo centrale della religione, l'immagine della divinità, che risulta più esposto alle tendenze inconsce alla trasformazione.
Un monaco tibetano riferì una volta al dottor Jung che i più significativi mandala tibetani sono elaborati dalla immaginazione, o dalla fantasia diretta, quante volte sia turbato l'equilibrio psichico del gruppo, o un determinato pensiero non possa venire espresso, perché non è ancora compreso nel contenuto della dottrina sacra, ed è quindi ancora oggetto di ricerca e di esame. In queste osservazioni si rilevano due aspetti ugualmente importanti del simbolismo del mandala. 11 mandala opera a fine di conservazione — esattamente, al fine di restaurare un ordinamento precedentemente in vigore. Ma esso persegue anche la finalità creativa di dare espressione e forma a qualche cosa che tuttora non esiste, a qualche cosa di nuovo e di unico. II secondo aspetto è ancora più importante del primo, ma non lo contraddice. Perché, nella maggior parte dei casi, ciò che vale a restaurare il vecchio ordine, comporta simultaneamente qualche nuovo elemento creativo. Nel nuovo ordine viene sussunto, a più alto livello, il vecchio schema. Il processo è quello della spirale ascendente, che si sviluppa verso l'alto, mentre - al contempo - ritorna sempre allo stesso punto.
Il disegno di una semplice donna, educata in ambiente protestante, ci mostra il mandala nella forma di una spirale. In sogno quella donna ricevette l'ordine di disegnare la divinità. Questa le fu successivamente mostrata (sempre in sogno) riprodotta in un libro. Veramente, di Dio ella riuscì a scorgere solo il manto ondeggiante, i cui panneggi determinavano uno stupendo effetto di luce e di ombra. Ciò contrastava vivamente con la stabilità della spirale nel profondo cielo azzurro. Affascinata dal manto e dalla spirale, la sognante non prestò molta attenzione a una terza figura situata sulle rocce. Quando si svegliò, e si pose a riflettere, chiedendosi a chi corrispondessero quelle figure divine, comprese improvvisamente che si trattava dello «stesso Dio». Questo fatto le procurò un terribile shock, di cui risentì gli effetti per molto tempo.
Di solito lo Spirito Santo è rappresentato nell'arte cristiana come una colomba, o come un anello di fuoco, ma in questo sogno, esso si manifestò come una spirale. Si tratta di una nuova idea, «non ancora recepita nella dottrina», sorta spontaneamente dall'inconscio. Che lo Spirito Santo sia la forza che determina ogni sviluppo della nostra mentalità religiosa non è un'idea nuova, naturalmente, ma è nuova la raffigurazione simbolica di esso in forma di spirale.
La stessa donna fece in seguito un altro disegno, ancora ispirato a un sogno, in cui la sognante, insieme con il suo animus positivo, veniva raffigurata davanti a Gerusalemme, nel momento in cui l'ala di Satana si abbassa a oscurare la città. L'ala di Satana le richiamò fortemente alla memoria il manto di Dio nel primo sogno, ma in questo la spettatrice veniva sollevata in alto, nel cielo, e scorgeva davanti a sé una terrificante scissione fra le rocce. I movimenti del mantello di Dio sono un tentativo per raggiungere Cristo, la figura situata sulla destra; ma il tentativo non riesce.'Nel secondo sogno, la stessa scena è vista dal basso, dal punto di vista umano. Se si guarda da un livello di eccezionale altezza, si identificano quei movimenti con una parte di Dio; al di sopra di essi, si innalza la spirale, simbolo di possibili sviluppi ulteriori. Ma se si guarda dal fondo della nostra realtà umana, la stessa cosa, che si muove nell'aria, è niente altro che l'oscura, terribile ala del demonio.
Queste due immagini si «verificarono», per dir così, nella vita della sognante, in un modo sul quale qui non ci interessa insistere, ma è ovvio che esse contengono un significato collettivo che trascende quello individuale. Esse possono suggerire l'idea di una discesa della tenebra divina sul mondo cristiano, una oscurità, tuttavia, che non chiude la porta a un processo evolutivo. Dal momento che l'asse della spirale non si muoveva verso l'alto, ma nello sfondo dell'immagine, si deduce che l'evoluzione non determinerà l'ascesa a sublimi altezze spirituali, né la rovina nel regno della materia, ma il trasferimento in un'altra dimensione, probabilmente, appunto, nel mondo in cui si muovono quelle divine figure. E ciò significa nel mondo dell'inconscio.
Quando dall'inconscio di un soggetto emergono simboli religiosi che sono, anche in parte, diversi da quelli che ci sono noti, si teme, in genere, che ciò possa tornare di danno ai simboli e alla simbologia ufficialmente riconosciuti da una data religione. Anzi, questo timore fa sì che molti respingano la psicologia analitica e l'intero mondo dell'inconscio.
Osservando questa resistenza da un punto di vista esclusivamente psicologico, posso affermare che, nei confronti del fenomeno religioso, gli esseri umani si dividono in tre categorie. La prima, è composta da coloro che davvero credono ai dogmi della loro fede, quali che essi siano. Per costoro simboli o dogmi corrispondono con tanta esattezza a quello che essi avvertono nella loro intimità, che non c'è pericolo che essi vengano mai assaliti da dubbi profondi. Questo si verifica solo quando le opinioni consapevoli e i moti del retroterra inconscio convivono in modo relativamente armonioso. Chi rientra in questa prima categoria può considerare le nuove scoperte psicologiche senza pregiudizi, e senza alcun timore di perdere la propria fede. Anche se i sogni dovessero determinare l'emersione di qualche particolare non ortodosso, questo verrebbe immediatamente integrato e assorbito nell'ortodossia della concezione di base.
La seconda categoria è costituita da coloro che hanno completamente smarrito la fede, e l'hanno sostituita con sistemi di idee puramente consapevoli e razionali. Per questi uomini, la psicologia del profondo non è niente altro che l'introduzione a un nuovo capitolo della conoscenza umana, che riguarda la scoperta di settori psichici di recente individuazione; costoro non dovrebbero dunque trovarsi per niente imbarazzati a imbarcarsi per una nuova avventura conoscitiva, a esaminare i loro sogni e a saggiarne la verità.
C'è infine un terzo gruppo di uomini, i quali in parte non credono più nelle loro tradizioni religiose (e un simile atteggiamento ha natura probabilmente mentale, riflessa), in parte, invece, vi credono tuttora. Ad esempio di questa categoria di uomini potremmo ricordare il filosofo francese Voltaire. Egli attaccò violentemente la Chiesa Cattolica con argomenti di ordine razionale (écrasez l'infâme), ma sul letto di morte, secondo quanto si riferisce, accettò l'estrema unzione. Sia vero o falso questo particolare, è certo che la sua mentalità era assolutamente irreligiosa, mentre il suo mondo sentimentale ed emozionale conservava una certa aderenza all'ortodossia. Uomini del genere ci fanno venire in mente la gente che resta stretta e imprigionata fra le portiere automatiche degli autobus; che non può né liberarsi scendendo a terra, né entrare completamente dentro il veicolo. Naturalmente, i sogni di costoro potrebbero aiutarli a uscire dal loro dilemma, ma in genere essi si trovano imbarazzati a rivolgersi verso le profondità dell'inconscio, perché, in effetti, non sanno bene quello che pensano e quello che vogliono. Per affrontare seriamente l'inconscio occorre una forte dose di coraggio e di integrità personale.
L'intricata situazione di coloro che restano prigionieri nella terra di nessuno situata fra queste due condizioni mentali è in parte determinata dalla circostanza che tutte le dottrine religiose ufficiali appartengono effettivamente al mondo della coscienza collettiva (ciò che Freud chiamava il super-ego); ma originariamente, nell'antichità, nacquero dall'inconscio. Ecco un punto che molti storici della religione e molti teologi contestano. Essi preferiscono supporre che l'origine di quelle dottrine vada ricercata nella «rivelazione». Ho compiuto, nel corso di vari anni, numerosi tentativi di trovare una prova per l'ipotesi jungiana su questo problema; ma essa si è rivelata di difficile reperibilità, perché la maggior parte dei riti sono tanto antichi che è impossibile rintracciarne le origini.
Il seguente caso, tuttavia, mi sembra che possa offrirci, quanto meno, una importante indicazione: i Black Elk [Alce Nero], medico-stregone della tribù dei Sioux Oglala, morto poco tempo fa, ci racconta, nella sua autobiografia intitolata Alce Nero parla, che, all'età di nove anni, si ammalò gravemente, e, durante lo stato di coma, ebbe una terrificante visione. Egli scorse quattro gruppi di stupendi cavalli provenire dai quattro angoli del mondo e, seduti su una nube, i sei Grandi Padri, gli spiriti ancestrali della sua tribù, «i progenitori dell'intero mondo». Essi gli dettero sei simboli taumaturgici per la sua gente, e gli indicarono nuove possibilità vitali. Ma il ragazzo, all'età di sedici anni, divenne improvvisamente affetto da una terribile fobia, che si manifestava, durante i temporali, nell'imminenza dei tuoni, perché egli udiva «gli abitanti del tuono» che lo chiamavano, e gli dicevano «di far presto». Questo fenomeno gli fece venire in mente il fragore di tuono prodotto dal galoppo dei cavalli comparsi nella sua visione. Un vecchio stregone gli spiegò che il suo terrore derivava dal fatto che egli si era tenuto per sé la sua visione, e gli consigliò di riferirla alla sua tribù. Così egli fece, e in seguito la sua visione fu «oggettivata» in un procedimento rituale, nel corso del quale vennero usati veri cavalli. Non solo lo stesso Black Elk, ma anche molti altri membri della sua tribù si sentirono meglio dopo aver partecipato a questo rito. Alcuni furono anche guariti dalle loro malattie. Black Elk dice: «Anche i cavalli sembravano più sani e più felici dopo la loro danza».61
Il rito non venne ripetuto, perché, poco tempo dopo, la tribù fu sterminata. Ma ecco un caso in cui un rito tuttora persiste. Diverse tribù eschimesi, che vivono in Alaska, nei pressi del Colville River, spiegano in questo modo l'origine della loro festa dell'aquila: 62
Un giovane cacciatore uccise un'aquila dalle proporzioni eccezionali, e restò tanto colpito dalla bellezza del rapace che lo impagliò, e ne fece un feticcio, sacrificando in suo onore. Un giorno che il giovane si era spinto molto nell'interno, durante la caccia, gli apparvero due uomini-animali, che lo guidarono nel paese delle aquile. Qui egli udì un rumore confuso, come di tamburo, e i due messi gli spiegarono che si trattava del battito del cuore della madre di quell'aquila che egli aveva abbattuto. Quindi al cacciatore apparve lo spirito dell'aquila, sotto la forma di una donna vestita di nero. Questa gli chiese di promuovere, fra la sua gente, una festa dell'aquila, in onore del figlio ucciso. Dopo che le aquile gli ebbero spiegato come avrebbe dovuto svolgersi questa festa, il giovane si ritrovò, esausto, nello stesso luogo in cui gli si erano fatti incontro i due messi. Tornando a casa, insegnò alla sua gente come avrebbe dovuto essere celebrata la festa dell'aquila - che, da allora, si è sempre svolta secondo quelle stesse indicazioni.
Da questi esempi risulta chiaramente che un rito o un cerimoniale religioso può originare direttamente da una rivelazione inconscia sperimentata da un singolo individuo. Dopo una simile origine, sono i vari gruppi culturali che determinano lo sviluppo delle attività religiose per mezzo della enorme influenza che essi esercitano sull'intera vita della società. Nel corso di un lungo processo evolutivo, il materiale originario viene strutturato e plasmato secondo varie formule e attività rituali, è raffinato, acquista sempre più una forma definita." Il processo di oggettivazione, tuttavia, presenta un grosso inconveniente. Moltissimi sono infatti coloro che non sanno niente della originaria esperienza, e si limitano a credere a quello che hanno imparato, al riguardo, da parenti o maestri. Essi non hanno alcuna consapevolezza dei fondamenti reali del rito, e ancora meno conoscono gli effetti di quell'esperienza.
Nelle loro forme attuali, elaborate ed eccessivamente antiquate, tali tradizioni religiose spesso ostacolano gli impulsi inconsci allo sviluppo e alle modificazioni creative. I teologi, talvolta, arrivano perfino a difendere questi «veri» simboli religiosi, e le dottrine simboliche, contro la scoperta di una funzione religiosa della psiche inconscia, dimenticando che i valori per cui essi combattono devono la loro esistenza a quella stessa funzione. Senza una psiche umana che ricevesse l'ispirazione divina, e l'esprimesse in parole, o le desse una forma artistica, nessun simbolo religioso avrebbe mai potuto emergere al livello della nostra realtà umana. (Basti pensare ai profeti e agli evangelisti.)
A chi obbietti che esiste una realtà religiosa in sé, indipendentemente dalla psiche umana, posso rispondere solo ponendo, a mia volta, questa domanda: «Ma chi afferma ciò, se non una psiche umana?» Non importa quello che si afferma: resta il fatto che è impossibile prescindere dall'esistenza della psiche - perché, in effetti, siamo compresi in essa, ed essa è il solo mezzo tramite il quale possiamo sperare di afferrare la realtà.
Così, la moderna scoperta dell'inconscio chiude, e per sempre, una porta. Essa vale infatti a confutare l'idea illusoria, così cara a certuni, che l'uomo possa conoscere la realtà spirituale in sé. Anche nella fisica moderna una porta è stata definitivamente chiusa dal «principio di indeterminazione» di Heisenberg, che esclude la possibilità di una conoscenza della realtà fisica in sé.64 La scoperta dell'inconscio, comunque, compensa la perdita di queste care illusioni aprendoci davanti un immenso e inesplorato campo di realizzazioni, in direzione del quale l'oggettività dell'indagine scientifica si compenetra stranamente con la personale ricerca etica.
Ma, come del resto ho già detto, è praticamente impossibile rendere conto dell'intera realtà dell'esperienza che si può realizzare in questo nuovo campo. Gran parte di essa ha carattere di irripetibilità, e può venire espressa solo parzialmente per mezzo del linguaggio. Ecco, ancora, un'altra porta chiusa: questa volta, nei confronti dell'illusione che sia possibile comprendere integralmente un soggetto, e consigliargli quello che deve e quello che non deve fare. Ma, di nuovo, la perdita di tale illusione è compensata, in questo nuovo territorio sperimentale, dalla scoperta della funzione sociale del sé, che opera misteriosamente per fare incontrare quegli individui che, arcanamente, tendono l'uno verso l'altro.
Così, le divagazioni intellettuali sono sostituite dal concreto verificarsi di avvenimenti reali nel mondo della psiche. In tal modo, affrontare seriamente il processo di individuazione secondo gli schemi che abbiamo tracciato, significa, per l'individuo, assumere un atteggiamento completamente diverso nei confronti della propria vita. Per gli scienziati, significa anche un nuovo e diverso metodo per affrontare i fatti del mondo esteriore. Le conseguenze di questo fenomeno nel campo della conoscenza umana e della vita sociale, non possono certo venire attualmente previste. Ma, in quanto a me, mi sembra certo che la scoperta jungiana del processo di individuazione costituisce un fatto del quale le generazioni future dovranno tenere il debito conto, se vorranno evitare un generale ristagnamento, o addirittura il pericolo di un regresso.

Note:

1 Un esame approfondito degli schemi labirintici dei sogni è contenuto in Jung, Collected Works, voi. xu, parte I. Si veda anche Gerhard Adler, Studies in Analytical Psychology, London, 1948.
2 Per la nozione jungiana del Sé, si vedano Collected Works, vol. tx, parte H, pagg. 5 e segg., 23 e segg.; e voi. xu, pagg. 18 e segg., 41 e segg., 174, 193.
3 Dei Naskapi parla Franck G. Speck in Naskapi: The Savage Hunter of the Labrador Peninsula. University of Oklahoma Press, 1935.
4 11 concetto della globalità psichica è espresso in Jung, Collected Works, voi. xiv, pag. 117, e voi. ix, parte il, pagg. 6, 190. Si veda anche Collected Works, voi. ix, parte i, pagg. 275 e segg., e pagg. 290 e segg.
5 II racconto della quercia è tradotto da Richard Wilhelm. Dschuang- Dsi; Das wahre Buch vom südlichen Blütenland, Jena, 1923, pagg. 33-34.
6 Jung parla dell'albero come simbolo del processo di individuazione in Der philosophische Baum, in Von der Wurzeln des Bewusstseins, Zürich, 1954.
7 II «dio locale» al quale si sacrificava sull'altare campestre di pietra corrisponde, per molti aspetti, all'antico genius loci. Si veda Henri Maspéro, La Chine antique, Paris, 1955, pagg. 140 e segg. (Questa citazione è dovuta alla gentilezza di Miss Ariane Rump.)
8 Jung sottolinea la difficoltà di descrivere il processo d'individuazione in Collected Works, voi. xvii, pag. 179.
9 Questo breve cenno alla importanza dei sogni infantili deriva soprattutto da fung, Interpretazione psicologica dei sogni infantili, note e lezioni, E.T.H., Zürich, edizione privata. L'esempio riferito nel testo è tratto da un corso non ancora tradotto, Psychologische Interpretation von Kinderträumen, 1939-40, pagg. 76 e segg. Si veda anche, di Jung, Lo sviluppo della personalità, in Collected Works, voi. xvii; di Michael Fordham, The Life of Childhood, London, 1944 (specialmente pag. 104); di Erich Neumann, The Origins and History of Consciousness; di Frances Wiekes, The Inner World of Consciousness, New York-London, 1927; e, di Eleanor Bertine, Human Relationships, London, 1958.
10 Jung esamina il nucleo psichico in Lo sviluppo della personalità. Collected Works, voi. xvn, pag. 175, e voi. xiv, pagg. 9 e segg.
11 Per motivi fiabeschi corrispondenti a quello del re malato, cfr.
Johannes Boite e Georg Polivka, Anmerkungen zu den Kinder- und Hausmärchen der Brüder Grimm, vol. I, 1913-32, pagg. 503 e segg. - cioè, tutte le variazioni del racconto di Grimm L'uccello d'oro.
12 Approfonditi esami del concetto di ombra possono trovarsi anche in Jung, Collected Works, voi. ix, parte il, cap. 2, e voi. xn, pagg. 29 e segg., e in The Undiscovered Self, London, 1958 pagg. 8-9. Vedasi anche Frances Wiekes, The Inner World of Man, New York- Toronto, 1938. Un buon esempio della realizzazione dell'ombra è contenuto in G. Schmalz, Komplexe Psychologie und Körperliches Symptom, Stuttgart, 1955.
13 Particolari sulla concezione egizia del mondo sotterraneo possono trovarsi in The Tomb of Rameses VI, Bollingen Series, xl, parti 1 e 2, Pantheon Books, 1954.
14 Jung parla della natura della proiezione in Opere, voi. vi, «Definizioni», pag. 582; e voi. vili, pag. 272 e segg.
15 II Corano (Qur'an) è stato tradotto da E.H. Palmer, Oxford University Press, 1949 [tr. it.: Il Corano, Sansoni, Firenze, 1961]. Per la interpretazione jungiana della storia di Mosè e di Khidr, si veda Collected Works, voi. ix, pag. 135 e segg.
16 II racconto indiano Somadeva: Vetalapanchavimsati, è stato tradotto da C.H. Tawney, Jaico-Book, Bombay, 1956. Si veda anche l'eccellente interpretazione psicologica di tïenry Zimmer riguardo a The King and the Corpse, Bollingen Series, xi, Pantheon, New York, 1948.
17 11 riferimento al maestro Zen è tratto da Der Ochs und sein Hirte (trad, di Koichi Tsujimura), Pfullingen. 1958. pag. 95.
18 Per ulteriori analisi del concetto di anima, si vedano: Jung, Collected Works, voi. ix, parte 2, pagg. 11-12, e cap. 3; vol. xvn, pagg. 198 e segg.; vol. vin, pag 345; voi. xi, pagg. 29-31, 41 e segg., 476 ecc.; voi. xn, parte i. Si veda anche, di Emma Jung, Animus and Anima, Two Essays, The Analytical Club of New York, 1957; Eleanor Bertine, Human Relationships, parte 2; Esther Harding, Psychic Energy, New York, passim, e altri.
19 Lo sciamanesimo presso gli Eschimesi è stato descritto da Mircea Eliade in Der Schamanismus, Zürich, 1947, specialmente pag. 49 e segg. [tr. it.: Lo sciamanesimo, Bocca, Milano], e da Knud Ras- mussen, in Thulefahrt, Frankfurt, 1926, passim.
20 II racconto del cacciatore siberiano è tratto da Rasmussen, Die Gabe des Adlers, Frankfurt am/Mein 1926, pag. 172.
21 Un esame della figura della «Signorina veleno» è contenuto in W. Hertz, Die Sage vom Giftmädchen. Abh. der k. bayr. Akad. der Wiss., i Cl. xx Bd. i Abt., München, 1893.
22 La figura della principessa omicida è esaminata da Chr. Hahn, in Griekische und Albanesische Märchen, vol. i, München-Berlin, 1918, pag. 301: Der (äger und der Spiegel der alles sieht.
23 La «pazzia d'amore», causata da una proiezione dell'anima è esaminata in Eleanor Bertine, Human Relationships, pag. 113. Si veda anche l'eccellente scritto del dottor H. Strauss, Die Anima als Projektions-Erlebnis, manoscritto non pubblicato, Heidelberg, 1959.
24 Jung esamina la possibilità della integrazione psichica tramite un'anima negativa in Collected Works, voi. xi, pag. 164 e segg.; vol. ix, pagg. 224 e segg.; voi. xn, pagg. 25, 110 e segg., 128.
25 Per quanto riguarda i quattro stadi AeW'anima, si veda Jung, Collected Works, vol. xvi, pag. 174.
26 L'Hypnerotomachia di Francesco Colonna è stata analizzata da
Linda Fierz-David in Der Liebestraum des Poliphilo, Zürich, 1947 [cfr. Hypnerotomachia Poliphili, edizione critica e commento a cura di G. Pozzi e L.A. Ciapponi, 2 voli., Antenore, Padova, 1964].
27 La citazione, ove si definisce il ruolo dell 'anima è tratta da Aurora Consurgens I, tradotta da E.A. Glover. L'edizione tedesca, a cura di M.-L. von Franz si trova in Jung, Mysterium Coniunctionis, voi. in, 1958.
28 Jung ha esaminato il mito cavalleresco della dama in Collected Works, voi. vi, pagg. 274, 290 e segg. Si veda anche Emma Jung e M.-L. von Franz, Die Graalslegende in psychologischer Sicht, Zürich, 1960.
29 Per quanto concerne l'aspetto con cui l'animus si presenta come «convinzione sacra», si veda Jung, Two Essays in Analytical Psi- chology, London, 1928, pag. 127 e segg.; Collected Works, voi. ix, cap. 3. Si veda anche Emma Jung, Animus and Anima, passim; Esther Harding, Woman's Mysteries, New York, 1955; Eleanor Bertine, Human Relationships, pag. 128 e segg.; Toni Wolff, Studien zu C.G. Jungs Psychologie, Zürich, 1959, pag. 257 e segg.; Erich Neumann, Zur Psychologie des Weiblichen, Zürich, 1953.
30 II racconto zingaresco può trovarsi in Der Tod als Geliebter, Zigeuner-Märchen. Die Märchen der Weltliteratur, a cura di F. von der Leyen e P. Zaunert, Jena, 1926, pag. 117 e segg.
31 L'animus quale fonte di positive qualità maschili è esaminato da C.G. Jung in Collected Works, voi. ix, pag. 182 e segg., e in Two Essays, cap. 4.
32 Per il racconto austriaco della principessa nera, si veda «Die schwarze Koenigstochter», Märchen der Weltliteratur, Jena, 1926.
33 II racconto eschimese dello spirito della luna e tratto da Von einer Frau die zur Spinne wurde, tradotto dall'opera di K. Rasmussen, Die Gabe des Adlers, cit.
34 Un esame delle personificazioni del Sé (in vesti di giovani o di vecchi) è contenuto in Jung, Collected Works, voi. ix, pag. 151 e segg.
35 Per quanto riguarda il mito di P'an Ku, si veda Donald A. Mac Kenzie, Myths of China and Japan, London, pag. 260, e H. Ma- spéro, Le Taoisme, Paris, 1950, pag. 109. V. anche J.J.M. de Groot, Ùniversismus, Berlin, 1918, pagg. 130-31; H. Koestler, Simbolik der Chinesischen Universismus, Stuttgart, 1958, pag. 40; e Jung, Mysterium Coniunctionis, voi. n, pagg. 160-61.
36 Per la simbologia di Adamo quale Uomo Cosmico, si veda August Wünsche, Schöpfung und Sündenfall des ersten Menschen, Leipzig, 1906, pagg. 8-9, e pag. 14; Hans Leisegang, Die Gnosis, Leipzig, Kroenersche Taschenausgabe. Per una interpretazione psicologica, cfr. Jung, Mysterium Coniunctionis, vol. n, pagg. 160-61; e Collected Works, vol. xn, pag. 346 e segg. Possono esistere anche connessioni storiche fra il cinese P'an Ku, il persiano Gayomart, e le leggende di Adamo; si veda, al riguardo, Sven S. Hartmann, Gayomart, Uppsala, 1953, pagg. 46, 115.
37 II concetto di Adamo come di una «super-anima» che origina da una palma, è esaminato da E. S. Drower, in The Secret Adam, A Study of Nasoraean Gnosis, Oxford, 1960, pagg. 23, 26, 27, 37.
38 La citazione di Meister Eckhart è tratta da F. Pfeiffer, Meister Eckhart, tradotto da C.B. de Evans, London, 1924, voi. n, pag. 80.
39 Per l'esame jungiano del simbolo dell'Uomo Cosmico, si veda da Collected Works, voi. ix, parte 2, pagg. 36 e segg.; Answer to fob, Collected Works, vol. XI, e Mysterium Coniunctionis, vol. ll, pag.
215 e segg. Cfr. anche Esther Harding, Journey into Self, London,
1956, passim.
40 La figura di Adam Kadmon è oggetto di analisi in Gershom Scholem, Major Trends in Jewish Mysticism, 1941 [tr. it.: Le grandi correnti della mistica ebraica, Il Saggiatore, Milano]; e in Jung, Mysterium Coniunctionis, voi. il, pag. 182 e segg.
41 II simbolo della coppia regale è esaminato in Jung, Collected Works, voi. xvi, pag. 313, e in Mysterium Coniunctionis, vol. i, pagg. 143, 179; voi. il, pagg. 86, 90, 140, 285. Si consideri anche il Simposio di Platone, e la figura gnostica dell'uomo-Dio, l'anthropos.
42 Per quanto riguarda la pietra simbolo del Sé, si veda Jung, Von den Wurzeln des Bewussteins, Zürich, 1954, pag. 200 e segg., 415 e segg., 449 e segg.
43 II momento in cui viene consciamente avvertita l'esigenza dell'individuazione è studiato in Jung, Collected Works, voi. xn, passim; Von den Wurzeln des Bewussteins, pagg. 200 e segg.; Collected Works, vol. ix, parte 2, pagg. 139 e segg., 236, 247 e segg.; 268; Collected Works, vol. xvi, pag. 164 e segg. Si veda anche Collected Works, vol. vin, pag. 253 e segg.; e Toni Wolff, Studien zu C.G. Jungs Psychologie, pag. 43. Si veda, soprattutto, Jung, Mysterium Coniunctionis, vol. Ii, pag. 318 e segg.
44 Jung, The Trascendent Function, in Collected Works, vol. vm.
45 Lo zoologo Adolf Portmann descrive 1'«interiorità» degli animali in Das Tier als soziales Wesen, Zürich, 1953, pag. 366.
46 Le credenze degli antichi Germani in relazione alle pietre tombali vengono esaminate in Paul Herrmann, Das Alt germanische Priesterwesen, Jena, 1929, pag. 52; e in Jung, Von den Wurzeln des Bewust- seins, pag. 198 e segg.
47 La definizione di Morieno della pietra filosofale è riportata in Jung, Collected Works, voi xn, pag. 300, nota 45.
48 Che la sofferenza sia necessaria per il reperimento della pietra è un principio alchimistico; cfr. Jung, Collected Works, voi. xn, pag. 280.
49 Per una approfondita esposizione del concetto di sincronicità, si veda Jung, Synchronicity: an Acausai Connecting Principle, in Collected Works, vol. vili, pag. 419 e segg.
50 Sull'opinione di Jung relativamente alla necessità di accostarsi alle religioni orientali per entrare in contatto con l'inconscio, si veda Concerning Mandala Symbolism, Collected Works, vol. ix, parte i, pag. 335 e segg., e voi. xn, pag. 212 e segg. (dell'ultimo, si vedano anche le pagg. 19, 42, 91 e segg., 101, 119 e segg., 159, 162).
51 II testo cinese è tratto da Lu K'uan Yii, Charles Luck, Ch'an and Zen Teaching, London, pag. 27.
52 II racconto di Bath Bâdgerd è tratto da Märchen aus Iran, Die Märchen der Weltliteratur, Jena, 1959, pag. 150 e segg.
53 Jung esamina il sentimento, tipicamente moderno, dell'uomo che si sente un «numero statistico» in The Undiscovered Self, pagg. 14, 109.
54 L'interpretazione dei sogni a livello soggettivo è discussa da Jung in Collected Works, voi. xvi, pag. 243, e voi. vili, pag. 266.
55 Che l'uomo sia istintivamente «in armonia» con l'ambiente è idea esaminata in A. Portmann, Das Tier als soziales Wesen, pag. 65 e segg., e passim. Si veda anche N. Tinbergen, A Study of Instinct, Oxford, 1955, pagg. 151 e segg., 207 e segg.
56 El. E.E. Hartley esamina l'inconscio di massa in Fundamentals of Social Psychology, New York, 1952. Si veda anche Th. Janwitz e R.
Schulze, Neue Richtungen in der Massenkommunikationforschung, Rundfunk und Fernsehen, 1960, pagg. 7, 8 e passim. Anche, ibid. pagg. 1-20, e Unterschwellige Kommunication, ibid. 1960, quaderno 3/4, pagg. 283 e 306. (L'informazione è dovuta alla gentilezza di Mr. René Malamud.)
57 II valore della libertà (in vista della creazione di qualche cosa di utile) è sottolineato da Jung, in The Undiscovered Self, pag. 9.
58 Per quanto concerne le figure religiose che simboleggiano il processo di individuazione, si veda Jung, Collected Works, voi. xi, pag. 273 e passim, e ibid. parte 2, e pag. 164 e segg.
59 Jung esamina il simbolismo religioso nei sogni moderni in Collected Works, voi. xu, pag. 92. Si veda anche ibid. pagg. 28, 169 e segg. 207 ecc.
60 L'aggiunta di un quarto elemento alla Trinità è esaminata da Jung in Mysterium Coniunctionis, voi. n, pagg. 112 e segg., 117 e segg., 123 e segg. e in Collected Works, voi. vili, pag. 136 e segg., e 160-62.
61 La visione di Alce Nero è tratta da Black Elk Speaks, a cura di John G. Neihardt, New York, 1922. Edizione italiana: Alce Nero parla, Mondadori, Milano, 1973 ', 1977 J.
62 II racconto relativo al festival eschimese dell'aquila è tratto da Knud Rasmussen, Die Gabe des Adlers, pag. 23 e segg., 29 e segg.
63 Jung esamina le modificazioni dell'originale materiale mitologico in Collected Works, voi. xi, pag. 20 e segg., e voi. xu, Introduzione.
64 II fisico W. Pauli ha descritto gli effetti di moderne scoperte scientifiche, come quelle di Heisenberg, in Die Philosophische Bedeutung der Idee der Komplementarität, «Experientia», vol. vi/2, pag. 72 e segg.; e in Wahrscheinlichkeit und Physik «Dialectica», vm/2, pag. 117.

QUINTA ED ULTIMA PARTE  DI: 

L’Uomo e i suoi simboli 

Carl Gustav Jung 

(e Marie-Luoise von Franz, Joseph L. Henderson, J. Jacobi, A. Jaffé)

Longanesi, Milano 1980 (ed. orig. 1967) 
Tratto da: 
http://www.nilalienum.it/Sezioni/Freud/Materiali%20bibliografici/Jung/JungUSS.html 

- Carl Gustav Jung e Marie-Luoise von Franz -

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