L’Uomo e i suoi simboli
Carl Gustav Jung
(e Marie-Louise von Franz, Joseph L. Henderson, J. Jacobi, A. Jaffé)
Longanesi, Milano 1980 (ed. orig. 1967)
Marie-Louise von Franz
Il processo di individuazione
Schema dello sviluppo psichico
All'inizio di questo libro il dottor C. G. Jung ha
esposto il concetto di inconscio, nelle sue strutture personalistiche e
collettive, e la simbologia della sua espressione. Una volta che si sia
compresa l'importanza (cioè, la forza d'urto, costruttiva o distruttiva)
dei simboli creati dall'inconscio, resta da risolvere il difficile
problema della loro interpretazione. Il dottor Jung ha dimostrato che la
soluzione del problema dipende dalla circostanza che ogni particolare
interpretazione «scatti», abbia un significato, nei confronti
dell'individuo interessato. In tal modo ha indicato quali possano essere
significato e funzione del simbolo onirico.
Ma, nel corso dello sviluppo della teoria di Jung,
questa possibilità ha dato origine a un altro problema: qual è il fine
della vita onirica individuale nella sua totalità? Quale ruolo
dispiegano i sogni, non solo nella economia psichica immediata, ma nella
vita complessiva dell'uomo?
Sottoponendo a osservazione una grande quantità di
soggetti, e studiandone i sogni (riteneva di avere interpretato almeno
80.000 sogni), Jung scoprì non solo che tutti i sogni sono, in varia
misura, rilevanti per la vita del soggetto, ma che essi si inseriscono
in una trama complessa di fattori psicologici.1 E scoprì anche che,
nella loro globalità, i sogni si presentano secondo un certo schema.
Jung chiamò tale schema «il processo di individuazione». Dal momento che
i sogni creano immagini e situazioni nuove notte per notte, chi non sia
un buon osservatore non potrà essere in grado di individuare la loro
struttura schematica generale. Ma, se si studiano e si controllano i
propri sogni durante un periodo di qualche anno, e se ne esamina la
successione, si vedrà che, nel corso di questa, certi contenuti
emergono, si dissolvono e si presentano di nuovo. Molti sognano spesso
le stesse figure o situazioni, gli stessi paesaggi; tuttavia, se ci si
desse la briga di seguire la serie di tali immagini, ci si renderebbe
conto che esse mutano, lentamente ma percettibilmente. Questi mutamenti
possono accelerare il loro ritmo, se l'atteggiamento del soggetto
sognante è influenzato da opportune interpretazioni dei sogni e dei loro
contenuti simbolici.
Così, la nostra attività onirica crea e segue uno schema
tortuoso nel quale, di volta in volta, le tendenze e i motivi
individuali si manifestano, scompaiono e si presentano nuovamente.
Esaminando, nel corso di un lungo periodo di tempo, questo disegno
obliquo, sarà possibile individuare l'opera di una recondita tendenza
direzionale o regolatrice, che determina un lento, impercettibile
processo di sviluppo psichico - il processo di individuazione.
Lentamente emerge una personalità più ampia e più
matura, che, di grado in grado, acquista corposità e si manifesta agli
altri. Il fatto che spesso si parla di «arresti nello sviluppo»,
dimostra che comunemente si ritiene che un simile processo di sviluppo e
maturazione è possibile in qualsiasi soggetto. Dal momento che lo
sviluppo psichico non può essere determinato da un consapevole atto di
volontà, ma si verifica del tutto involontariamente e naturalmente, esso
viene di frequente simboleggiato in sogno dalla immagine dell'albero,
il cui sviluppo lento, involontario e poderoso si adegua e risponde a un
preciso schema.
Il centro organizzativo, da cui dipende l'effetto
regolarizzatore, è una specie di «atomo nucleare» del nostro sistema
psichico. Si potrebbe definirlo un centro di creazione e di
organizzazione, il centro di origine delle immagini oniriche, lung
chiama tale centro «sé», e lo descrive come costituente la totalità
della vita psichica, per distinguerlo dall'«ego», che comprende solo una
parte ridotta della psiche totale.2
Nel corso delle varie epoche gli uomini hanno avuto una
conoscenza intuitiva dell'esistenza di tale centro interiore. I Greci lo
chiamavano l'intimo daimon dell'uomo; in Egitto, esso trovava
espressione nel concetto dell'anima di Ba; e i Romani lo veneravano come
il genius innato in ogni individuo. Nelle società primitive esso
assumeva l'aspetto di uno spirito protettore, che si riteneva
incorporato in un animale o in un feticcio.
Questo centro interiore è individuato in una forma
eccezionalmente pura e disadorrna dagli Indiani Naskapi, che vivono
tuttora nelle foreste della penisola del Labrador.3 Questi popoli
semplici sono composti da cacciatori che vivono in gruppi familiari
isolati, tanto distanti l'uno dall'altro da precludere lo sviluppo di
costumi tribali, di credenze e di riti religiosi di carattere
collettivo. Nel corso della sua vita solitaria, il cacciatore naskapi
deve necessariamente aver fiducia nelle proprie «voci interne», e nelle
rivelazioni che provengono dal suo inconscio; non conosce una tradizione
religiosa che lo guidi, non riti, solennità o costumi che lo possano
sostenere. Nella sua fondamentale concezione della vita, l'anima
dell'uomo è semplicemente il «compagno intimo», che egli chiama «il mio
amico», o Mista'peo, che significa «il grande uomo». Mista'peo risiede
nel cuore urnano, ed è immortale: al momento della morte, o poco prima,
lascia l'uomo, e si reincarna successivamente in un altro essere.
Quei naskapi che esaminano i propri sogni, e cercano di
individuarne il significato, e di saggiarne la verità, entrano in un più
profondo rapporto con il «grande uomo». Questi li favorisce, e invia
loro sogni più belli, e con maggiore frequenza. Così, l'impegno più
serio del naskapi è di seguire le indicazioni ricevute in sogno, e di
esprimerne il contenuto in modo permanente, per mezzo dell'arte.
Menzogne e disonestà allontanano il «grande uomo» dall'intimo regno del
soggetto, laddove la generosità, e l'amore del prossimo e degli animali,
lo attraggono e lo vitalizzano. I sogni consentono al naskapi di
trovare la propria via nella vita, non solo in rapporto al suo mondo
interiore, ma anche al mondo esterno della natura. Lo aiutano a
prevedere il tempo, e gli sono di guida sicura nella caccia, da cui
dipende la sua stessa vita. Ho voluto ricordare queste popolazioni
estremamente primitive, perché esse sono incontaminate dalle idee della
nostra ci viltà, e conservano ancora un atteggiamento naturale nei
confronti di quello che Jung chiama il sé.
Il sé può essere definito un principio interiore di
guida, distinto dalla personalità conscia, e tale che può essere
individuato solo tramite l'interpretazione dei sogni dei vari soggetti. I
sogni dimostrano che esso è il centro regolatore che determina la
maturazione e l'espansione costante della personalità. Ma questo
elemento così ampio, in cui sembra incentrarsi quasi la totalità della
psiche, si rivela, a tutta prima, solo come una possibilità innata. Può
emergere lentissimamente, o può svilupparsi, in maniera relativamente
completa, solo nel corso dell'intero ciclo vitale del soggetto. Fino a
che punto, in concreto, esso possa svilupparsi, dipende dalla
circostanza che l'ego sia, o meno, disposto a seguire i messaggi che gli
giungono dal sé. Proprio come i naskapi hanno avvertito che chi
accoglie i suggerimenti del «grande uomo» fa sogni più ricchi e più
utili, così possiamo affermare che il «grande uomo» innato in ciascuno
di noi acquista maggiore realtà in coloro che gli danno ricetto, che in
coloro che lo trascurano. Quelli sono anche, più compiutamente di
questi, esseri umani.
È come se l'ego fosse stato creato dalla natura non per
seguire indefinitamente i propri impulsi arbitrari, ma per contribuire a
rendere più reale la totalità, il complesso della psiche. È l'ego che
vale a illuminare tutto il sistema, facendo sì che questo acquisti
coscienza, e in tal modo si realizzi.
Così, per esempio, il talento artistico di cui l'ego non
sia consapevole, va interamente perduto; solo se l'ego lo avverte, sarà
possibile portarlo a rivelarsi. L'innata, ma recondita totalità della
psiche, non è la stessa cosa di una complessità che venga pienamente
realizzata e vissuta.4
Si potrebbe esprimere immaginativamente questo concetto
nel modo seguente: il seme di un pino montano contiene, in forma
latente, tutto l'albero futuro; ma ogni seme cade, a suo tempo, in un
luogo particolare, caratterizzato da vari fattori speciali, come la
qualità della roccia e del terreno, la pendenza della zona, la posizione
rispetto al sole e ai venti. La totalità latente del pino nel seme
reagisce a queste circostanze rifuggendo dalla roccia, e tendendo verso
il sole, in modo che si delinea chiaramente il futuro sviluppo
dell'albero. Così, lentamente, il singolo pino perviene all'esistenza,
soddisfacendo la pienezza della sua totalità, la sua emersione al
livello della realtà. Senza l'albero vivente, l'immagine del pino è solo
una possibilità, una idea astratta. Analogamente, la realizzazione
della unicità individuale nell'uomo è lo scopo del processo di
individuazione.
Da un certo punto di vista, questo processo si attua
nell'uomo - e in ogni altro essere vivente - autonomamente,
nell'inconscio; è un processo tramite il quale l'uomo porta a esistenza
la propria innata natura umana. A rigore, tuttavia, il processo di
individuazione è reale solo se l'individuo ne è consapevole, e
istituisce consapevolmente una relazione vitale con esso. Non sappiamo
se il pino sia consapevole della propria crescita, se si rallegri o
soffra delle varie vicende attraverso le quali acquista la sua forma; ma
l'uomo può, certamente, partecipare consapevolmente al proprio
sviluppo. Egli avverte anche che, di tempo in tempo, con libere
decisioni, può cooperare attivamente a esso. Una simile cooperazione
pertiene al processo di individuazione nel senso più stretto del
termine.
L'uomo, tuttavia, ha una esperienza che non rientra nei
limiti della nostra metafora del pino. Il processo di individuazione è
qualche cosa di più che un rapporto dialettico fra il germe innato della
totalità e gli eventi del mondo esteriore. L'esperienza soggettiva di
esso ci rivela che qualche forza soprapersonale opera attivamente in
modo creativo. Si ha talvolta la sensazione precisa che l'inconscio
tracci la via da seguire secondo un disegno segreto. È come se una
entità indeterminata ci guardasse, una entità che non possiamo vedere,
ma che ci vede - forse il «grande uomo» che vive all'interno del nostro
cuore, che esprime le sue opinioni su noi per il tramite dei sogni.
Ma questo aspetto creativamente attivo del nucleo
psichico entra in gioco solo quando l'ego rinuncia a tutte le sue
deliberate intenzioni, e cerca di assurgere a una forma più profonda,
più fondamentale di esistenza. L'ego deve riuscire a seguire pienamente,
abbandonandosi senza più alcun fine o proposito, quell'intimo impulso
allo sviluppo. Molti filosofi esistenzialisti cercano di descrivere
questa condizione, ma riescono solo a spogliarci delle illusioni della
coscienza: procedono speditamente fino alla porta dell'inconscio, ma
omettono di aprirla.
Coloro che vivono nell'ambito di culture più
profondamente radicate della nostra, comprendono facilmente che è
necessario rinunciare all'atteggiamento utilitaristico della
pianificazione consapevole, per far luogo allo sviluppo interiore della
personalità. Ho conosciuto un'anziana signora che non aveva ricevuto
dalla vita troppe soddisfazioni - intendo soddisfazioni esteriori. Si
era sposata con un uomo dal carattere estremamente difficile, ed era
riuscita a sviluppare la propria personalità fino al livello della
maturità. Una volta che si lamentò con me per non aver «fatto» niente
nella vita, le raccontai una storia che ci è stata trasmessa da un
saggio cinese, Chuang-Tzu. Ella comprese perfettamente il senso del
racconto, e ne provò un grande conforto. Ecco la storia:
Un falegname girovago, che si chiamava Pietra, vide, nel
corso di uno dei suoi viaggi, una quercia gigantesca che si ergeva in
un campo, vicino a un altare agreste. Il falegname disse al suo garzone,
che si era fermato a guardare a bocca aperta la quercia: «È un albero
inutile; se volessi trarne fuori una barca, marcirebbe; se volessi farne
degli arnesi, si spezzerebbero. Non puoi farne niente di buono, ed è
questa la ragione per cui è potuto invecchiare tanto».
Ma quella stessa notte, all'osteria, quando il falegname
andò a dormire, la quercia gli apparve in sogno, e gli disse: «Perché
mi paragoni agli alberi di campo, come biancospini, peri, aranci e meli,
e a tutti gli altri che producono frutti? Ancor prima che possano
maturare i loro frutti, gli uomini li aggrediscono e li violentano. I
loro rami vengono spezzati, le loro fronde strappate. I loro doni
procurano il loro danno, ed essi non possono condurre a termine la loro
naturale esistenza. È un fatto che si verifica dovunque, ed e per questo
che da tempo ho imparato a essere completamente inutile. Povero
mortale! Credi che, se fossi stata utile a modo tuo, avrei potuto
raggiungere questa altezza? Senza dire che, io e tu, siamo entrambi
creature? come può credere una cosa creata di essere in grado di
giudicarne un'altra? Tu, inutile mortale, cosa sai tu degli alberi
inutili?»
Il falegname si svegliò, e meditò sul sogno; e in
seguito, quando il garzone gli chiese perché mai proprio quell'albero
servisse a proteggere l'altare agreste, rispose: «Taci! Non ne parlare
più! L'albero è cresciuto qui, perché, in qualsiasi altro luogo, gli
uomini lo avrebbero maltrattato. Se non fosse stato l'albero
dell'altare, avrebbe potuto venire abbattuto».5
Il falegname, evidentemente, aveva compreso il sogno.
Egli comprese che adempiere fino in fondo il proprio destino è il più
grande risultato che l'uomo possa conseguire, e che le nostre nozioni
utilitaristiche devono cedere alle esigenze della psiche inconscia.
Traducendo questa metafora in linguaggio psicologico, diremo che
l'albero simbolizza lo sviluppo interiore, ed ammaestra il nostro
sprovveduto ego.6
Sotto l'albero che aveva adempiuto il proprio destino
c'era, secondo il racconto di Chuang-Tzu, un altare agreste. Si tratta
di una pietra grezza, non lavorata, sulla quale si compivano sacrifici
in onore del dio locale,7 che «reggeva» quello spazio di terra. Il
simbolo dell'altare agreste indica il fatto che, per realizzare il
processo di individuazione, ci si deve consapevolmente arrendere alla
forza dell'inconscio, invece di misurare la nostra attività nei termini
dei comuni criteri utilitaristici. Non si deve fare altro che ascoltare,
per sapere ciò che la totalità interiore - il sé - vuole che si faccia
hic et nunc, in una particolare situazione.
Il nostro atteggiamento deve essere simile a quello del
pino di montagna, di cui abbiamo già detto: esso non si irrita quando il
suo sviluppo è ostacolato da una pietra, né pianifica i modi in cui
potrà aver ragione degli ostacoli; cerca solo di avvertire se debba
crescere in una direzione piuttosto che in un'altra, nel senso della
pendenza, o nel senso contrario. Come l'albero, dobbiamo cedere a questo
quasi impercettibile, ma poderoso impulso - un impulso che deriva dalla
tendenza all'unica, creativa autorealizzazione. E si tratta di un
processo nel corso del quale si devono spesso ricercare soluzioni a
problemi che sono ignoti a qualsiasi altro soggetto. Gli impulsi
direttivi provengono non dall'ego, ma dalla totalità della psiche: il
sé.
È inutile, inoltre, spiare furtivamente gli altri, per
individuare il modo in cui si sviluppano le varie personalità, perché
ciascuno si trova davanti un compito di autorealizzazione che presenta
caratteri di unicità. Se molti problemi umani sono simili, non sono mai
identici. Tutti i pini si assomigliano (altrimenti non li potremmo
classificare come pini), ma nessuno è esattamente simile a un altro.
Proprio per l'incidenza di questi fattori di similitudine e differenza, è
diffìcile schematizzare le infinite possibilità di variazione del
processo di individuazione.8 Il fatto è che ciascuno di noi deve fare
qualche cosa di diverso, qualche cosa di assolutamente privato e
personale.
Molti hanno criticato la posizione di Jung, sotto il
profilo che essa non presenta il materiale psichico in modo sistematico.
Ma queste critiche trascurano il fatto che quel materiale è
un'esperienza viva fermentata dall'emozione, per natura irrazionale e
mutevole, che non si adatta se non superficialmente alle strettoie
sistematiche. La moderna psicologia del profondo ha, a questo punto,
toccato gli stessi limiti che sbarrano la via alla microfisica. Cioè,
quando si ha a che fare con dati statistici, una descrizione razionale e
sistematica è sempre possibile. Ma quando si cerca di descrivere un
singolo evento psichico, non possiamo fare altro che presentarne una
onesta raffigurazione dal maggior numero possibile di punti di vista.
Analogamente, gli scienziati devono ammettere di non sapere che cosa è
la luce. Possono solo dire che, in certe condizioni sperimentali, essa
sembra costituita da particelle, mentre in altre condizioni sembra
composta da onde. Ma che cosa essa sia «in sé» è ignoto. La psicologia
dell'inconscio, e qualsiasi descrizione del processo di individuazione,
incontrano analoghe difficoltà di definizione. Cercherò tuttavia di
delinearne alcuni degli aspetti più tipici.
La prima manifestazione dell' inconscio
Per molti gli anni dell'adolescenza sono caratterizzati
da uno stato di graduale risveglio, nel corso del quale l'individuo
acquista coscienza di sé e del mondo. La fanciullezza è un periodo di
grande intensità emozionale, e i primi sogni della fanciullezza
manifestano spesso in forma simbolica la struttura fondamentale della
psiche, indicando in che modo essa plasmerà in seguito il destino del
soggetto. Per esempio, Jung parlò una volta, a un gruppo di studenti, di
una ragazza tanto oppressa dall'angoscia che si suicidò quando aveva
appena ventisei anni. Costei, da piccola, aveva sognato che «Jack Frost»
era entrato nella sua cameretta, mentre essa stava dormendo, e le aveva
premuto una mano sullo stomaco. Svegliatasi, scoprì che era stata lei
stessa a premersi lo stomaco con le proprie mani. Il sogno non la
spaventò; anzi, si ricordava appena, in seguito, di avere avuto un
simile sogno. Ma il fatto che essa non reagisse emotivamente al suo
strano incontro con il demone del freddo - della vita congelata - non
era di buon auspicio per il futuro, ed era indice di anormalità. Fu con
una mano fredda e priva di sensibilità che essa pose fine alla sua vita.
Da questo solo sogno era possibile desumere il tragico destino della
sognante, anticipato dalla sua psiche nel periodo della fanciullezza.9
Talvolta non è un sogno, ma qualche evento reale
particolarmente impressionante che, come una profezia, anticipa il
futuro in forma simbolica. È noto che i fanciulli spesso si dimenticano
di avvenimenti che agli adulti sembrano importanti, ma conservano una
memoria vivida di incidenti o avvenimenti che per altri passano
inosservati. Quando si consideri uno di questi ricordi della
fanciullezza, si constata sempre che esso raffigura (se lo si interpreta
simbolicamente) un problema fondamentale dello sviluppo psichico del
fanciullo.
Quando un fanciullo raggiunge l'età di andare a scuola,
inizia la fase costruttiva dell'ego, la fase dell'adattamento al mondo
esteriore. Questa fase, in genere, comporta una serie di dolorosi
turbamenti. Al contempo, alcuni fanciulli incominciano a sentirsi
diversi dagli altri, e questo sentimento determina una certa tristezza,
che è un elemento caratteristico della solitudine di tanti ragazzi. Le
imperfezioni del mondo, il male che ognuno porta in sé, e il male del
mondo assurgono al ruolo di problemi consapevolmente posti; il fanciullo
deve cercare di contrastare urgenti impulsi intimi (non ancora ben
compresi), e le esigenze del mondo esteriore.
Se lo sviluppo della coscienza è turbato nel suo
svolgimento, i fanciulli, davanti alle difficoltà intime o esterne, si
ritirano in una loro privata «fortezza»; e, quando ciò capita, i loro
sogni, e i disegni simbolici del materiale inconscio rivelano, in misura
insolita, il ricorrere di un motivo di tipo circolare, quadrangolare e
«nucleare» (sul punto ci soffermeremo in seguito). Questo ci rinvia al
nucleo psichico di cui dicevo più sopra, il centro vitale della
personalità, da cui origina il complesso sviluppo strutturale della
coscienza. È naturale che l'immagine di quel centro si manifesti in modo
particolarmente impressionante quando la vita psichica dell'individuo è
minacciata. Da tale nucleo centrale (per quel che a tutt'oggi ne
sappiamo) viene diretta la fase costruttiva della coscienza dell'ego, il
quale, evidentemente, è un doppione, o un pendant strutturale del
centro originario.
In questa prima fase molti fanciulli cercano con serietà
un significato della vita che possa aiutarli a fronteggiare il caos che
trovano dentro e fuori di sé. Altri, invece, sono ancora
inconsapevolmente guidati dal dinamismo degli schemi archetipi ereditari
e istintivi. A questi giovani non interessa il senso più profondo della
vita, perché le loro esperienze in materia di amore, di sport e lavoro
contengono un significato che li soddisfa immediatamente. Non è che essi
siano, di necessità, più superficiali; di solito si muovono, nella
corrente della vita, con minori difficoltà e imbarazzi dei loro compagni
dal carattere maggiormente introspettivo. Se viaggio in treno senza
guardare fuori del finestrino, sono solo le fermate e le partenze e gli
improvvisi mutamenti di direzione che mi fanno capire che sto
muovendomi.
II vero processo di individuazione, la presa consapevole
di contatto con il proprio centro interiore (nucleo psichico) o sé,10
inizia generalmente con una lacerazione della personalità e con la
sofferenza che ne consegue. Questo turbamento iniziale costituisce una
sorta di «chiamata», sebbene non sempre ci si renda conto di ciò. Al
contrario, l'ego si sente colpito nella sua volontà o nei suoi desideri,
e di solito proietta l'ostacolo nell'ambiente esterno. Cioè, l'ego
accusa Dio o la situazione economica, o il coniuge, e accolla a essi la
responsabilità di ciò che lo contrasta.
O può darsi che, se visto dall'esterno, il soggetto
presenti un aspetto sereno, mentre, sotto la superficie, soffre di una
noia mortale, che rende tutto vuoto e privo di senso. Molti miti e
racconti di fate descrivono simbolicamente questo grado iniziale del
processo di individuazione, quando parlano di un re che si ammala o
diviene vecchio. Altri schemi di storie familiari sono nel senso che una
coppia regale è sterile; o che un mostro porta via dal regno tutte le
donne, i bambini, i cavalli, in genere tutta la ricchezza; o che un
demone impedisce all'esercito o alla nave del re di proseguire verso la
meta; o che l'oscurità si estende sul regno, le fonti si seccano, gelo,
inondazioni o siccità affliggono il paese." Sembra così che il primo
contatto con il sé proietti nel tempo un'ombra scura, o che 1'«amico
interiore» si manifesti, inizialmente, come un cacciatore che sorprenda,
nel suo nido, l'ego, e lo impegni a una lotta disperata.
Nei miti si trova spesso che il potere magico, o il
talismano, che possono porre rimedio alle sventure che affliggono il re,
o il paese, si rivelano sempre elementi del tutto peculiari. In un
racconto, a far recuperare la salute del re occorre un «merlo bianco», o
«un pesce con un anello d'oro infilato nelle branchie». In un altro, il
re vuole 1'«acqua di vita», o «tre capelli d'oro della testa del
diavolo», o la «treccia d'oro di una donna» (e in seguito, naturalmente,
anche la proprietaria della treccia). Qualunque cosa sia, il rimedio
capace di eliminare il male e l'angoscia è sempre qualche cosa di unico,
di difficile da trovare.
È esattamente lo stesso per quanto riguarda la crisi
iniziale della vita individuale. Si cerca qualche cosa che è impossibile
trovare, o di cui non si sa assolutamente niente. In queste circostanze
sono completamente inutili i consigli saggi e bene intenzionati -
consigli volti a fare assumere al soggetto le proprie responsabilità, o a
fargli prendere una vacanza, consigli di non lavorare troppo (o di
lavorare di più), di cercare più (o meno) rapporti umani, di dedicarsi a
un hobby. Niente di tutto ciò può essere, in genere, di aiuto. Una sola
cosa sembra veramente utile: volgersi direttamente, senza pregiudizi e
con piena sincerità, verso l'oscurità che si approssima, e cercare di
scoprirne il segreto e quello che pretende da noi.
Il fine recondito dell'oscurità incombente è in genere
tanto insolito, così straordinario e imprevedibile, che di solito si può
individuarlo solo tramite i sogni e le fantasie che sgorgano
dall'inconscio. Se si centra l'attenzione sull'inconscio, senza
avventate supposizioni e refusi emozionali, esso precipita in una
corrente di utilissime immagini simboliche. Ma non sempre. Talvolta esso
presenta una serie di dolorose raffigurazioni di ciò che non funziona
nel soggetto e nei suoi atteggiamenti coscienti. Allora, l'individuo
deve iniziare il processo «inghiottendo» ogni sorta di amare verità.
Il contatto con l'ombra
Si riveli per la prima volta l'inconscio in forma
positiva o negativa, dopo un certo tempo si manifesta l'esigenza di
riadattare più opportunamente l'atteggiamento cosciente ai fattori
inconsci, quindi di accettare quelle che possono chiamarsi le «critiche»
dell'inconscio. Attraverso i sogni si acquista coscienza degli aspetti
della propria personalità che, per varie ragioni, non si desidera di
conoscere direttamente troppo da vicino. Questo è ciò che Jung definisce
«la coscienza dell'ombra» (Jung usa il termine «ombra» per indicare
questa parte inconscia della personalità, perché effettivamente essa si
manifesta spesso nei sogni in forma personalizzata.) 12
L'ombra non costituisce peraltro tutta la personalità
inconscia. Essa rappresenta attribuzioni e qualità ignote, o poco note,
dell'ego - aspetti che appartengono, essenzialmen
te, alla sfera personale, e che potrebbero senz'altro
divenire coscienti. Da un certo punto di vista, l'ombra può anche essere
costituita da fattori collettivi che hanno origine da una sorgente che
si situa all'esterno della vita personale del soggetto.
Quando un soggetto tenta di individuare la sua «ombra»,
acquista coscienza (e spesso se ne vergogna) di quelle qualità e di
quegli impulsi che nega in se stesso, ma che può agevolmente scorgere
negli altri, - aspetti come l'egotismo, la pigrizia mentale, la
sciatteria; fantasie irreali, schemi, trame; mancanza di profondità,
viltà; amore disordinato del denaro, o della proprietà - in breve, di
tutti quei piccoli peccati dei quali può essersi detto, in precedenza,
«non importa, nessuno se ne accorgerà, e in ogni caso anche gli altri
fanno così».
Se si avverte montare una rabbia soverchiante, quando un
amico ci rimprovera di qualche colpa, si può esser certi che a questo
punto ci si imbatte in qualche elemento della nostra ombra, di cui non
siamo consapevoli. È del tutto naturale seccarsi quando gli altri, che
non sono «migliori di noi», ci criticano per colpe che originano dalla
nostra ombra. Ma che cosa si può fare, quando a riprenderci sono i
nostri sogni - un giudice che risiede dentro di noi? È il momento in cui
l'ego viene assoggettato e il risultato è, in genere, un silenzio
imbarazzato. In seguito inizia l'opera dolorosa e lenta
dell'autoeducazione - un'opera, si potrebbe dire, che è il
corrispondente psicologico delle fatiche di Ercole. Il primo incarico
affidato a questo sfortunato eroe, come vi ricorderete, fu quello di
ripulire in un sol giorno le stalle di Augia, nelle quali si era
ammonticchiato, per molte decine di giorni, il letame di centinaia di
cavalli - un compito così imponente, che il mortale comune si sentirebbe
sopraffatto dallo scoraggiamento solo a pensarci.
Ma l'ombra non presenta solo aspetti omissivi. Spesso
essa si rivela in un atto impulsivo o involontario. Prima ancora che si
possa rifletterci, la cattiva osservazione è già stata fatta, il
complotto è stato ordito, la decisione iniqua è stata presa, e ci si
trova davanti a risultati che non si sono mai consapevolmente voluti.
Inoltre, l'ombra è esposta alle influenze della collettività in misura
molto più notevole di quanto non lo sia la personalità cosciente. Quando
un uomo è solo, per esempio, egli avverte che tutto va relativamente
bene; ma, appena gli «altri» compiono atti di carattere involutivo e
primitivo, egli incomincia a credere che, se non si unisce a loro, sarà
ritenuto uno sciocco. Così, egli libera impulsi che non gli sono affatto
propri. È particolarmente nei contatti con soggetti dello stesso nostro
sesso, che ci si rivela così la nostra ombra come quella degli altri.
Sebbene si riesca a scorgere l'ombra in una persona dell'altro sesso, ne
siamo sempre seccati in misura minore, e siamo disposti a chiudere un
occhio.
Nei miti e nei racconti, dunque, l'ombra si manifesta
sotto le vesti di una persona dello stesso sesso del sognante. Il sogno
seguente può servire da esempio. Il soggetto era un uomo di 48 anni, che
cercava di vivere da solo, lavorando sodo e imponendosi una dura
disciplina, reprimendo gli istinti e il richiamo del piacere più di
quanto non convenisse alla sua natura.
Abitavo in città, in una casa di mia proprietà, della
quale non conoscevo ancora tutte le parti. Così la visitai, e scoprii,
soprattutto nel sottosuolo, varie stanze delle quali non sapevo niente, e
anche certe porte, che conducevano in altre cantine e in passaggi
sotterranei. Mi sentii a disagio quando mi accorsi che molte di quelle
porte non erano chiuse, e alcune non avevano neppure la serratura. Per
di più, c'erano alcuni operai che lavoravano nelle vicinanze, e che
avrebbero potuto introdursi facilmente in casa mia [...].
Quando risalii al piano terreno, passai attraverso un
cortile, nel quale scorsi diverse porte, che immettevano nella strada o
in altre case. Quando mi accinsi a esaminarle più da vicino, mi venne
incontro un tale che, ridendo, mi disse che eravamo vecchi compagni
delle elementari. Anch'io mi ricordai di lui, e, mentre mi parlava della
moglie, ci avviammo verso l'uscita, e ci mettemmo a camminare per le
strade.
C'era una strana, tenue oscurità nell'aria mentre
passeggiavamo per una enorme strada circolare. Arrivammo a una prateria
erbosa, dove tre cavalli galoppanti ci passarono accanto. Erano belli,
forti, selvaggi, ma ben strigliati, e non portavano cavalieri (erano
fuggiti da qualche reparto dell'esercito?).
L'intrico di strani corridoi, di stanze e di porte
aperte nel sottosuolo, ci richiama alla mente l'antica configurazione
egiziana del mondo sotterraneo, che è un noto simbolo dell'inconscio e
delle sue ignote possibilità.13 Esso dimostra anche come la nostra ombra
inconscia sia «aperta» alla influenza altrui, e come possano irrompervi
elementi ignoti ed estranei. Il sottosuolo, si potrebbe dire,
rappresenta le fondamenta della psiche del sognante. Nel cortile dello
strano edificio (che simboleggia lo scopo tuttora ignoto della
personalità del sognante), arriva all'improvviso un vecchio compagno di
scuola. Costui, come è ovvio, personifica un altro aspetto proprio della
psiche dello stesso sognante, un aspetto, un carattere che era stato
tipico della sua vita di fanciullo, ma che in seguito era stato
dimenticato e perduto. Capita spesso che le qualità che si manifestano
nell'infanzia di un soggetto (per esempio, la gaiezza, l'irascibilità,
la fiducia) vengano meno tutto a un tratto, né si sa dove o come siano
sparite. Si tratta proprio di una delle caratteristiche smarrite del
sognante, che ricompare (nel cortile), e cerca di riconquistare il posto
perduto. Questa figura simboleggia probabilmente la obliata capacità
del sognante di godere la vita, e il lato estroverso della sua ombra.
Ma abbiamo già visto perché il sognante si sente «a
disagio» proprio un attimo prima di incontrare questo vecchio compagno,
apparentemente privo di affanni. Mentre passeggia con costui, ecco che
irrompono liberamente i cavalli al galoppo. Il sognante pensa che essi
siano fuggiti da un reparto militare (cioè, dalla stretta disciplina che
aveva caratterizzato fino allora la sua vita). Il fatto che questi
cavalli non portino cavalieri, dimostra che le energie istintive possono
sfuggire al controllo della coscienza. Nel vecchio compagno e nei
cavalli si manifesta la forza positiva, mancata fino allora, della quale
il soggetto avvertiva confusamente il bisogno.
Questo è un problema che si presenta spesso quando ci si
imbatte nell'«altro aspetto» della nostra personalità. L'ombra, di
solito, contiene dei valori di cui la coscienza avverte il bisogno, ma
che esistono in forma tale da renderne estremamente problematico il
recupero nella nostra vita. I corridoi e la grande casa del sogno
dimostrano ancora che il sognante non conosce le sue reali dimensioni
psichiche, e non riesce ancora ad ampliarle.
L'ombra, in questo sogno, è l'ombra tipica di un
soggetto introverso (un uomo che tende a ritirarsi eccessivamente dalla
vita esteriore). Nel caso di un estroverso, invece, che si proietta
maggiormente nella direzione degli oggetti della vita esterna, l'ombra
avrebbe avuto un carattere del tutto diverso.
Un giovane, dal carattere molto vivace, aveva portato a
termine con successo molte iniziative, mentre, al contempo, i suoi sogni
insistevano sulla circostanza che egli doveva completare un lavoro, di
ordine creativo, che aveva iniziato. Ecco uno di questi sogni.
Un uomo giace sul letto, e si è tirato sul viso la
coperta. È un francese, un desperado capace di ogni crimine. Un agente
mi fa scendere al piano terra, e so che un complotto è stato ordito ai
miei danni: il francese mi deve uccidere, facendo poi apparire la cosa
come dovuta al caso (così almeno dovrebbe sembrare). Effettivamente,
egli scivola dietro a me come ci avviciniamo all'uscita, ma io sto in
guardia. Un uomo alto, corpulento (dall'aspetto sembrerebbe molto
facoltoso), all'improvviso si sente male, e si appoggia contro il muro,
accanto a me. Subito colgo l'occasione per uccidere l'agente, colpendolo
al cuore. «Si osserva soltanto un getto di vapore», viene detto a
commento. Sono in salvo, perché il francese non mi assalirà più, ora che
è morto chi gli impartiva gli ordini (probabilmente l'agente e l'uomo
corpulento sono la stessa persona, visto che il secondo ha la funzione
di rimpiazzare il primo).
Il desperado rappresenta l'«altro aspetto» del sognante,
la sua introversione, che è stata completamente trascurata. Giace sul
letto (cioè, ha un carattere passivo) e si tiene la coperta sul viso,
perché vuole essere lasciato solo. L'agente, d'altra parte, e l'uomo
corpulento e facoltoso (che sono arcanamente la stessa persona)
rappresentano la condizione e- steriore del soggetto, le sue attività e
il suo successo. L'improvviso malessere dell'uomo corpulento è connesso
con il fatto che il sognante si era effettivamente ammalato tutte le
volte che aveva consentito alla sua energia dinamica di espandersi
troppo impetuosamente nella sua vita esteriore. Ma questo uomo di
successo non aveva sangue nelle vene - solo una specie di vapore, e
questo significa che quelle ambiziose attività del sognante sono prive
di vita e di passione, sono attività meccaniche e senza nerbo. Così, la
morte dell'uomo corpulento lascia tutti indifferenti. Alla fine del
sogno, il francese è soddisfatto; egli manifestamente rappresenta un
aspetto positivo dell'ombra, che ha acquistato un carattere negativo e
pericoloso solo perché l'atteggiamento conscio del sognante non
concordava con esso.
Questo sogno ci dimostra che l'ombra può essere
costituita da svariati elementi - per esempio, da elementi di ambizione
inconscia (l'uomo corpulento), e di introversione (il francese). La
particolare associazione del sognante col francese era nel senso che
essi sapevano trattare assai bene i loro affari amorosi. Così, le due
raffigurazioni dell'ombra rappresentano due moventi ben noti: il potere e
il sesso. Il movente del potere si manifesta momentaneamente in duplice
forma, nelle due figure dell'agente e dell'uomo di successo. L'agente
simboleggia l'adattamento collettivo, laddove l'uomo di successo
significa l'ambizione; ma, naturalmente, l'uno e l'altro sono
manifestazioni del movente del potere. Quando al sognante riesce di
paralizzare questa pericolosa forza interna, il francese non si mostra
più ostile. In altre parole, è venuto meno anche l'aspetto, altrettanto
pericoloso, del movente del sesso.
Come è ovvio, il problema dell'ombra gioca un ruolo
importante in tutte le controversie politiche. Se il giovane che ha
fatto questo sogno non fosse stato sensibile ai problemi posti dalla sua
«ombra», avrebbe potuto facilmente identificare il desperado francese
con i «pericolosi comunisti» della vita di ogni giorno, o l'agente e il
signore facoltoso con gli «avidi capitalisti». In tal modo, non sarebbe
riuscito a comprendere che portava in sé quegli elementi contrastanti.
Quando si osservano in altri le nostre tendenze inconsce, si ha il
fenomeno che si definisce «proiezione».'4 L'attività di agitazione
politica, in ogni continente, è ricca di tali proiezioni, proprio come
il pettegolezzo delle donnette, o di piccoli gruppi o congreghe.
Proiezioni di ogni tipo ostacolano la nostra comprensione degli altri,
allontanandoci dalla obiettività, e quindi da qualsiasi possibilità di
veri rapporti umani.
Ma la proiezione dell'ombra comporta un altro
inconveniente. Se, per esempio, si identifica la nostra ombra con i
comunisti, o con i capitalisti, una parte della nostra personalità
resta, per così dire, scissa e distinta da noi. Il risultato è che di
solito, se pure involontariamente, si compiono azioni contrastanti con
la linea di condotta che intendiamo seguire, cedendo alle richieste
della nostra personalità scissa; e così, poco saggiamente, si finisce
per giovare ai nostri avversari. Se, al contrario, ci si rende conto
della proiezione, e si possono discutere i vari problemi senza timore e
ostilità, trattando il contendente con sensibilità, è possibile
raggiungere una comprensione reciproca, o, quanto meno, un terreno di
compromesso.
Il fatto che l'ombra assuma, nei nostri confronti, un
atteggiamento ostile o amichevole dipende, in larga misura, da noi. Come
dimostrano i sogni che abbiamo riferito, della casa sconosciuta e del
desperado francese, l'ombra non si colloca sempre su un piano di
ostilità. In effetti, essa è né più né meno che simile a un altro essere
umano, con il quale dobbiamo compiere il cammino, talvolta cedendo alle
sue pretese, talvolta resistendogli, talvolta facendolo oggetto del
nostro amore, a seconda delle circostanze. L'ombra è ostile solo quando
sia ignorata o misconosciuta.
Certe volte, anche se raramente, il soggetto si sente
spinto a esprimere il lato peggiore della propria natura, e a
comprimerne il migliore. In questi casi, l'ombra si manifesta nei suoi
sogni come una figura positiva. Ma, a coloro che danno libero sfogo ai
propri sentimenti e alle proprie emozioni naturali, l'ombra si presenta
sotto l'aspetto di un intellettuale dal carattere freddo e negativo;
essa dà, così, vita a giudizi di riprovazione e a pensieri critici che
sono stati respinti dalla coscienza del soggetto. In tal modo, in
qualunque forma essa si manifesti, la funzione dell'ombra è quella di
rappresentare l'aspetto dialetticamente contrario all'ego, e di
originare quegli stati qualitativi che più si disapprovano negli altri.
Il nostro compito sarebbe relativamente facile, se si
potesse integrare l'ombra nella personalità cosciente semplicemente
agendo onestamente e riferendosi alle proprie convinzioni. Purtroppo, un
tentativo del genere non riesce spesso. Nell'ombra di ciascuno esiste
una tale carica passionale, che la ragione non può prevalere su di essa.
Può essere di ausilio qualche amara esperienza di origine esterna; per
così dire, è necessario che ci cada un mattone sulla testa, perché si
possa riuscire ad arginare impulsi e tendenze dell'ombra. Talvolta, può
conseguire questo risultato una decisione eroica, ma un simile sforzo
sovrumano è possibile solo se il «grande uomo» che vive dentro di noi
(il sé) ci aiuta a sostenerlo.
Il fatto che l'ombra eserciti il potere soverchiante di
irresistibili impulsi, non significa, tuttavia, che quelle tendenze
debbano venir sempre eroicamente represse. Talvolta l'ombra è potente
perché la pressione del sé si esercita nella stessa direzione, sicché è
difficile appurare se è il sé o l'ombra che si manifesta dietro quella
tendenza interiore. L'inconscio, purtroppo, è come un paesaggio
illuminato dalla luna: i suoi elementi sono indistinti e fusi l'uno
nell'altro, e non si sa mai esattamente dove abbiano inizio e dove si
concludano (si parla di «contaminazione» dei contenuti inconsci).
Quando Jung definisce «ombra» un aspetto della
personalità inconscia, si riferisce a un fattore relativamente ben
definito. Ma talvolta tutto ciò che viene conosciuto dall'ego è
frammisto a elementi tipici dell'ombra, comprese anche le forze e le
tendenze più valide e di carattere più alto. Ad esempio, chi potrebbe
essere certo che il desperado francese del sogno ricordato fosse un
vagabondo inetto e non piuttosto un introverso degno di rispetto? E i
cavalli irrompenti nell'altro sogno, sarebbero stati lasciati liberi di
galoppare o no? Nel caso in cui non sia il sogno a chiarire il problema,
sarà la personalità conscia che dovrà prendere una decisione.
Se la figura espressa dall'ombra è caratterizzata da
forze e tendenze vitali, queste dovrebbero venire assunte
nell'esperienza effettiva, e non represse. Tocca allora all'ego di
rinunciare al proprio orgoglio e alle proprie presunzioni, e di dare
espressione a una forza che può sembrare, ma non è, ambigua o
pericolosa. Ciò può richiedere un sacrificio eroico, del tipo di quelli
che occorrono per domare una passione, ma in un senso del tutto opposto.
Le difficoltà che insorgono quando si entra in contatto
con la propria ombra, sono efficacemente descritte nel 18° capitolo del
Corano}5 In esso si dice dell'incontro nel deserto fra Mosè e Khidr
(1'«essere verde», o «il primo angelo di Dio»). Essi procedono insieme, e
Khidr esprime il proprio timore che Mosè non riesca ad assistere senza
indignarsi alle sue imprese. Se Mosè non riuscirà a tollerarlo, e ad
aver fiducia in lui, Khidr lo dovrà abbandonare.
Per prima cosa, Khidr sfonda la barca di certi poveri
pescatori. Quindi, davanti agli occhi di Mosè, uccide un bel ragazzo, e
infine restaura le mura rovinate di una città di infedeli. Prima di
lasciare Mosè, comunque, gli spiega le ragioni dei suoi atti: sfondando
la barca dei pescatori, egli in realtà l'ha salvata, perché i pirati
erano in attesa al largo per assalirla. Così come è ora, i pescatori
potranno ripararla. Il bel ragazzo stava andando a commettere un
delitto, e, uccidendolo, Khidr ha preservato dall'infamia i suoi pii
genitori. Il restauro delle mura, infine, è valso a salvare dalla rovina
economica due giovani, il cui tesoro era rimasto sepolto sotto di esse.
Mosè, che era rimasto indignato davanti alle azioni di Khidr, comprese
(quando era troppo tardi) che il suo giudizio era stato affrettato. Le
azioni di Khidr gli erano sembrate totalmente malvage, ma, in effetti,
non lo erano.
Esaminando con una certa ingenuità questo racconto, si
potrebbe supporre che Khidr sia l'ombra, irrazionale e capricciosa, del
pio Mosè, osservante della legge. Ma non è così. Khidr è piuttosto la
personificazione di arcane azioni creative della mente divina (si può
trovare un significato analogo nel famoso racconto indiano «il re e il
cadavere», nella interpretazione che ne dà Henry Zimmer).16 Non è per
caso che non sono ricorso a un sogno per chiarire questo arduo problema.
Ho scelto il notissimo racconto del Corano perché in esso è
sintetizzata l'esperienza di una intera vita, con tale chiarezza quale
ben raramente si potrebbe riscontrare nel sogno di un singolo soggetto.
Quando nei nostri sogni si manifestano figure ambigue, e
ci sembra che pretendano qualche cosa da noi, non possiamo sapere se
esse rappresentino la nostra ombra, o il sé, o l'una e l'altro al
contempo. Sapere in anticipo se il misterioso compagno dei nostri sogni
rappresenti un difetto che si deve vincere, o un significativo elemento
vitale che si deve accettare - ecco uno dei problemi più ardui che si
presentano nello studio del processo di individuazione. Inoltre, i
simboli onirici sono spesso così incerti e complessi, che non si può mai
essere sicuri della loro interpretazione. In tali circostanze, non
resta altra soluzione che accettare il disagio del dubbio etico - senza
prendere decisioni o impegni definitivi, e continuando a esaminare
attentamente i propri sogni. C'è, in questo, una strana rassomiglianza
con la situazione in cui venne a trovarsi Cenerentola, quando la
matrigna le pose davanti un mucchio di piselli, e le ordinò di separare
quelli buoni da quelli inutilizzabili. Sebbene il compito potesse
sembrare disperato, Cenerentola incominciò pazientemente a scegliere i
piselli, e a un tratto le vennero in aiuto le colombe (o, secondo altre
versioni, le formiche). Questi animaletti simboleggiano i benefìci
impulsi dell'inconscio profondo, che si possono sperimentare solo sulla
propria pelle, per così dire, e che ci indicano una soluzione per i
nostri problemi.
Talvolta capita che si senta, nella profondità del
proprio essere, quello che si deve fare e secondo quali vie si deve
procedere. Ma, altre volte, il clown che chiamiamo «io» si comporta in
maniera tanto stravagante che la voce interna non può avvertire la sua
presenza.
Può accadere che falliscano tutti i tentativi per
comprendere i suggerimenti dell'inconscio, e, quando si verifica un
simile caso, non ci resta che assumere le nostre responsabilità e fare
quello che ci sembra più giusto, pronti a mutare l'indirizzo della
nostra attività, se ci accorgiamo che i suggerimenti dell'inconscio
tendono verso un'altra direzione. Può anche accadere (se pure più di
rado) che si ritenga miglior soluzione resistere all'impulso
dell'inconscio, anche a costo di sentirsi affranti, piuttosto che
allontanarsi di troppo dalla condizione normale degli esseri umani.
(Tale potrebbe essere la situazione di coloro che devono svolgere
imprese criminali per realizzare appieno la propria personalità.)
La forza e la chiarezza interiore di cui l'ego necessita
per poter prendere una simile decisione derivano, per canali segreti,
dal «grande uomo», il quale, evidentemente, non tiene a manifestarsi in
maniera diretta. Può essere che sia il sé a pretendere che l'io compia
una libera scelta, o può anche essere che il sé dipenda interamente
dalla coscienza dell'uomo, e dalla decisione di questi di renderlo
manifesto. Quando si devono superare problemi etici di tale gravità, non
è possibile giudicare rettamente l'operato degli altri. Ciascuno deve
affrontare i propri problemi, t stabilire quale sia la soluzione
migliore nel proprio caso. Come diceva un vecchio maestro Zen, dobbiamo
seguire l'esempio del mandriano, che «con il bastone impedisce che il
suo bue vada a pascolare nei prati del vicino»."
Queste nuove acquisizioni della psicologia del profondo
determineranno probabilmente importanti modificazioni nei nostri comuni
criteri di valutazione etica; perché, in forza di esse, ci troviamo
costretti a giudicare le azioni umane secondo schemi dal carattere molto
più sotile e individualistico. L'individuazione dell'inconscio è una
delle scoperte più ricche di conseguenze dei nostri tempi. Ma poiché
l'individuazione di questa realtà comporta la necessità di una onesta
autocritica, e di una generale riorganizzazione della propria vita,
molti continuano a comportarsi come se niente fosse accaduto. Ci vuole
molto coraggio per affrontare seriamente l'inconscio, e i problemi che
esso pone. Per lo più, gli uomini sono troppo indolenti per impegnarsi
profondamente nell'esame anche solo di quegli aspetti morali del loro
comportamento, dei quali hanno consapevolezza; a maggior ragione è ovvio
che trascurino l'incidenza su essi dell'inconscio.
L'anima: la donna dentro di noi
Non è solo il manifestarsi dell'«ombra» che determina
l'insorgenza di ardui e sottili problemi etici. Spesso si avverte la
presenza di un altro «elemento interiore». Se il sognante è un uomo,
questi individuerà nel proprio inconscio un elemento simbolico
femminile; se una donna, un elemento dalle caratteristiche maschili.
Spesso questo elemento si confonde con l'ombra, provocando nuovi e
svariati problemi. Jung denominò animus e anima i due elementi,
rispettivamente maschile e femminile.
L'anima è la personificazione di tutte le tendenze
psicologiche femminili della psiche dell'uomo, cioè sentimenti e
atteggiamenti vaghi e imprecisi, presentimenti, la ricettività
dell'irrazionale, l'ahiore di sé, il sentimento della natura, e
l'atteggiamento nei confronti dell'inconscio. Non è per caso che
nell'antichità spettava a sacerdotesse (come la sibilla dei Greci)
l'incombenza di penetrare la volontà divina, e di istituire rapporti con
gli dèi.18
Un esempio particolarmente calzante del modo in cui
l'anima si manifesta come una figura interiore della psiche dell'uomo è
fornito dai medici-profeti (shaman) delle tribù eschimesi e di altre
tribù artiche.19 Taluni di costoro indossano indumenti femminili, o si
dipingono il petto o le vesti, proprio per esprimere il loro intimo
carattere femminile - quel carattere che fa sì che essi possano
comunicare con la «terra dei fantasmi» (cioè con l'inconscio, come noi
lo chiamiamo)
In un caso di cui siamo informati, un giovane, che
veniva iniziato da uno sciamano, fu da questi seppellito in una fossa di
neve. Il giovane cadde in uno stato onirico di esaurimento pressoché
totale. Nel coma gli apparve all'improvviso una donna luminosa. Costei
gli insegnò tutto ciò che al giovane interessava sapere e in seguito, in
veste di spirito tutelare, lo protesse nell'espletamento della sua
diffìcile professione, mettendolo in contatto con le forze dell'ai di
là. Questa esperienza ci presenta appunto l'anima come personificazione
dell'inconscio dell'uomo.
Nelle sue manifestazioni individuali, il carattere
dell'anima deve la sua particolare struttura alla madre di ciascun
soggetto. Se il soggetto ritiene che la propria madre abbia su lui una
influenza negativa, la sua «anima» si esprimerà spesso secondo
atteggiamenti di irritazione, incertezza, insicurezza, emotività. (Ma,
se riesce a respingere gli influssi negativi, quei caratteri possono
anche valere a convalidare la sua vitalità.) In simili personalità, la
figura negativa della madre-anima ripeterà senza sosta il proprio
motivo: «Non sono niente, non valgo niente. Niente ha senso. Per gli
altri è diverso, ma per me... Niente mi rallegra». Questi «atteggiamenti
dell'anima» determinano una sorta di torpidità, un acuto timore della
fatica, dell'impotenza, delle circostanze accidentali. Tutta la vita si
colloca così in una dimensione tetra e oppressiva - e il soggetto può
anche essere spinto al suicidio: in tal caso l'anima si manifesta come
un demone di morte. Tale essa è presentata nel film Orphée di Cocteau.
I francesi chiamano femme fatale questa raffigurazione
del- l'anima. (Una versione più mite di questo tenebroso elemento
psichico è costituita dalla Regina della Notte del Flauto magico
mozartiano.) Le sirene dei Greci e le Lorelei dei Germani, a loro volta,
ancora personificano questo carattere pernicioso dell'anima che, in
questa particolare forma, simbolizza l'illusione distruttiva. Il
racconto siberiano che riproduciamo illustra appunto l'atteggiamento
fondamentale dell'«anima distruttiva».^
Un giorno un cacciatore solitario scorge una bella donna
che esce dal fondo della foresta, sull'altra riva del fiume. Essa lo
saluta, e canta:
Oh vieni, cacciatore solitario, nell'immobilità del crepuscolo!
Vieni, vieni. Ho bisogno di te!
Ti abbraccerò, ti abbraccerò.
Vieni, vieni! Il mio nido è vicino, vicino.
Vieni, vieni, cacciatore solitario, nell'immobilità del crepuscolo.
II cacciatore si spoglia delle vesti e attraversa il
fiume, ma essa vola via in forma di civetta, beffeggiandolo oscenamente.
Il cacciatore cerca di tornare a riva per rivestirsi, ma annega nel
fiume gelido.
In questo racconto l'anima è il simbolo di un sogno
ideale di amore, di felicità, del desiderio di affetto materno (il nido)
- un sogno che allontana gli uomini dalla realtà. Il cacciatore annega
perché corre dietro a una fantasia irreale, che non avrebbe mai potuto
realizzare.
L'anima negativa, nella personalità maschile, può
manifestarsi anche nelle osservazioni velenose, donnesche, con le quali
l'uomo svaluta qualsiasi aspetto della vita. Osservazioni di questo
genere contengono sempre un carattere di gratuito pervertimento della
verità, e hanno una natura sottilmente distruttiva. Certe leggende,
proprie di varie parti del mondo, presentano la figura della
«damigella-veleno» (come la chiamano in Oriente). Essa è una creatura
bellissima che nasconde, sotto le vesti, armi o filtri segreti, con i
quali uccide i suoi amanti nel corso della prima notte d'amore.21 In tal
guisa, l'anima si manifesta fredda e impietosa come certi ignoti
aspetti della natura, e in Europa trova espressione nella credenza delle
streghe.
D'altra parte, se l'esperienza che il soggetto ha avuto
della madre è positiva, la sua «anima» ne risente in modi tipici, ma
vari, col risultato che egli acquista un carattere effeminato, o si
perde con le donne, e diviene così incapace di fronteggiare le
difficoltà della vita. Un'anima di questo tipo può fare degli uomini
esseri sentimentali, o suscettibili come zitelle, o sensibili come la
principessa della fiaba, che poteva avvertire un pisello nascosto sotto
trenta materassi. Una rappresentazione ancor più sottile dell'anima
negativa è contenuta in molte fiabe, le quali presentano una principessa
che pone indovinelli ai suoi innamorati, o li obbliga a nascondersi
sotto il suo naso. Se questi non sanno rispondere, o se essa riesce a
trovarli, dovranno morire — e, invariabilmente, la principessa risulta
vittoriosa.22 L'anima, in tal guisa, invischia gli uomini in un
distruttivo gioco intellettuale. Possiamo avvertire l'effetto di questo
inganno dell'anima in tutti quei dialoghi pseudo-intellettuali, dal
carattere nevrotico, che impediscono all'uomo di affrontare
adeguatamente la vita e i suoi nodi fondamentali. L'uomo, in tali casi,
riflette tanto sulla vita che si preclude di viverla, e smarrisce la
propria spontaneità e i propri sentimenti.
Ma l'anima si manifesta più di frequente nelle fantasie
erotiche. Gli uomini possono essere spinti a nutrire le loro fantasie
assistendo a film e a spettacoli di spogliarello, oppure perdendosi
immaginativamente su fotografìe e materiali pornografici. Si tratta di
un aspetto duro, primitivo, dell'anima, che assume un carattere
compulsivo solo quando l'uomo non coltiva sufficientemente le sue
relazioni sentimentali - quando il suo atteggiamento sentimentale nei
confronti della vita è rimasto al livello infantile.
Tutti questi aspetti dell'anima rivelano la stessa
tendenza, che abbiamo già individuata come tipica dell'ombra: essi
possono, cioè, proiettarsi e oggettivarsi all'esterno in modo tale da
apparire come qualità caratteristiche di una determinata donna. È la
presenza operante dell'anima che fa sì che l'uomo si innamori
all'improvviso, quando, vedendo una donna per la prima volta, si rende
improvvisamente conto di aver trovato «la» donna. In tal caso, il
soggetto ha l'impressione di aver conosciuto intimamente e da sempre
quella donna; e la sua dedizione è tanto incondizionata da sfiorare,
agli occhi di chi lo conosce, i limiti della follia totale. Sono
specialmente le donne dal carattere di «fata» che incorporano queste
proiezioni dell'anima, perché gli uomini possono attribuire pressoché
tutte le qualità a una creatura dai contorni così affascinanti e
indeterminati, e possono porla al centro delle più varie fantasie.
La proiezione dell'anima in una forma così improvvisa
e appassionata come quella dell'amore, può essere fonte di gravi
perturbamenti di unioni familiari, e determinare l'origine del
cosiddetto «triangolo umano», con tutte le difficoltà che ne
conseguono.23 L'unica soluzione decente del dramma può consistere solo
nel riconoscimento dell'anima come forza interiore. L'intento segreto
dell'inconscio, nel determinare l'insorgenza di una situazione tanto
conturbante, è di costringere l'uomo a sviluppare e portare a
maturazione la propria personalità, attraverso una più ampia
integrazione, al livello della vita reale, degli elementi del proprio
inconscio.24
Ma si è già detto abbastanza degli aspetti negativi
dell'anima. Ce ne sono anche di positivi, e altrettanto importanti. Si
deve attribuire all'anima, ad esempio, il fatto che taluno riesca a
trovare la donna che fa per lui. E c'è un'altra funzione, almeno
altrettanto importante, che l'anima adempie: quando la mentalità logica
dell'uomo non riesce a individuare i fatti che restano occultati al
livello dell'inconscio è l'anima che lo aiuta a precisarli e a
riconoscerli. Ancor più importante è il ruolo che l'anima svolge
sintonizzando, per dir così, la mente dell'uomo con i più vitali valori
interiori, aprendo così la via verso la conoscenza delle profondità più
recondite dell'inconscio. È come se una «radio» interiore venisse
sintonizzata su una lunghezza d'onda tale che impedisse la ricezione di
frivolezze, ma consentisse l'ascolto della voce del «grande uomo». Nel
consentire la percezione di questa voce interiore l'anima assume il
ruolo di guida, o di mediatrice, fra il mondo interiore e il sé. In tal
guisa si manifesta nel caso della iniziazione degli sciamani, come
abbiamo già visto; tale è il ruolo di Beatrice nel «Paradiso» di Dante, e
della dea Iside, quale apparve ad Apuleio, il famoso autore dell'Asino
d'oro, per iniziarlo a una forma di vita di ordine più elevato, più
spirituale.
A comprendere in che modo l'anima possa svolgere il
ruolo della guida interiore, può aiutarci il sogno di uno psicoterapeuta
di 45 anni. Andando a letto, la sera in cui ebbe il sogno, costui
rimuginava fra sé quanto è arduo superare da soli tutte le difficoltà
della vita, senza l'ausilio di una fede religiosa. E si rendeva conto di
invidiare coloro che sono protetti dall'abbraccio materno di una
qualsiasi organizzazione. (Era, per nascita, protestante, ma non aveva
più alcun legame con la sua Chiesa.) Ed ecco il sogno:
Mi trovo nella navata di una antichissima chiesa,
affollata di fedeli. Insieme con mia madre e mia moglie mi siedo
all'estremità della navata, su certe sedie speciali.
Sto per iniziare la celebrazione della Messa in veste
di sacerdote, e ho in mano un grosso messale, o, meglio, un libro di
preghiere, o una antologia poetica. Sono piuttosto eccitato, perché devo
iniziare subito la celebrazione, mentre, ad aumentare il mio
nervosismo, mia madre e mia moglie mi disturbano parlando di
sciocchezze. A un tratto cessa il suono dell'organo. Tutti aspettano che
dia inizio alla celebrazione, e io mi alzo con decisione e chiedo a una
delle suore inginocchiate dietro di me di passarmi il suo messale e di
indicarmi il punto da cui devo iniziare - ciò che essa fa in modo
inappuntabile. Quindi, come una specie di chierico, questa stessa suora
mi precede all'altare, che ho l'impressione sia situato dietro a me,
sulla sinistra, come se ci si avvicinasse a esso da una navata laterale.
Il messale è come un foglio ricco di disegni, una sorta di tavola lunga
tre piedi, e larga uno, con il testo disposto a colonne, una accanto
all'altra, e intervallato da antiche miniature.
La suora, prima che sia il mio turno, deve leggere un
capitolo della liturgia, e io non sono ancora riuscito a trovare il
punto giusto del libro. La suora mi ha detto che si tratta del n. 15, ma
i numeri sono scritti confusamente, e insomma non mi riesce di
trovarlo. Tuttavia mi volgo con decisione verso i fedeli, ed ecco che mi
riesce di trovare il n. 15 (è il penultimo della tavola), anche se non
so se mi riuscirà di decifrarne la scrittura. Comunque, voglio tentare. A
questo punto mi sveglio.
Questo sogno esprime la risposta dell'inconscio ai
pensieri sui quali il sognante si era intrattenuto prima di
addormeritarsi. E la risposta è questa: «Tu stesso devi farti sacerdote
della tua chiesa interiore, della chiesa della tua anima». Il sogno
dimostra così che il sognante gode, in effetti, dell'aiuto prezioso di
una organizzazione; egli fa, in realtà, parte di una chiesa - non di una
chiesa esteriore, ma di una che sussiste nella sua intimità.
I fedeli (cioè, tutte le caratteristiche psichiche
del soggetto) esigono che egli svolga le funzioni sacerdotali, e che sia
lui a celebrare la messa. È chiaro che, con ciò, non si deve intendere
la vera normale messa, perché il messale del sogno è molto diverso dai
comuni messali. Si deve concludere che l'idea della messa ha una
funzione simbolica - essa significa un atto sacrificale che implica la
presenza della divinità, talché l'uomo possa comunicare con questa.
Naturalmente, una simile interpretazione in chiave simbolica ha una
validità non generale, ma limitata al caso in esame. Si tratta di una
soluzione tipica, per un protestante, perché chi fa parte della chiesa
cattolica, in genere, identifica la propria anima con le immagini della
Chiesa stessa, le cui sacre manifestazioni rituali sono per lui simboli
dell'inconscio.
II nostro soggetto non aveva avuto una simile
esperienza chiesastica, ed è per questo motivo che ha dovuto seguire la
direzione dell'interiorità. Inoltre, il sogno gli ha fatto comprendere
chiaramente quello che egli avrebbe dovuto fare. «I legami che ti
stringono a tua madre, e la tua estroversione (rappresentata dalla
moglie, che è una estroversa) ti distruggono, ti fanno sentire insicuro,
e ti impediscono, avvolgendoti in una rete di discorsi privi di
importanza, di celebrare la tua messa interiore. Ma se tu seguirai la
suora (l'anima introversa), essa ti guiderà nella duplice veste di serva
e di sacerdotessa. Essa possiede uno strano messale composto da sedici
(cioè, quattro volte quattro) miniature. La tua messa consiste nella
contemplazione di queste immagini psichiche che la tua anima religiosa
ti rivela.» In altre parole, se il soggetto riuscirà a vincere la
propria incertezza interiore, causata dal suo complesso materno, troverà
che il compito che la vita lo chiama ad assolvere ha la natura e il
carattere di una attività religiosa, e che, se mediterà sul significato
simbolico delle immagini della sua anima, queste gli consentiranno di
portare a termine il suo compito.
Nel sogno, l'anima si manifesta nel suo aspetto
propriamente positivo - nel ruolo di mediatrice fra l'ego e il sé. Il
numero (quattro volte quattro) delle miniature indica che la
celebrazione di quella messa interiore è attuata anche a beneficio della
comunità. Come Jung ha dimostrato,25 il nucleo della psiche (il sé) si
esprime, normalmente, secondo configurazioni dalla struttura
quaternaria. Il numero 4, inoltre, come ha osservato Jung, è connesso
con l'anima anche sotto un altro aspetto: sono quattro, infatti, i gradi
dello sviluppo dell'«anima». Il primo grado trova la sua
rappresentazione simbolica nella figura di Eva, che significa i rapporti
di ordine puramente istintivo e biologico. Il secondo, nella figura di
Elena, della faustiana Elena, che simboleggia uno stato romantico, come
di estasi, caratterizzato sempre, pur tuttavia, da elementi sessuali. Il
terzo grado può trovare la propria raffigurazione, per esempio, nella
vergine Maria, una donna che solleva l'amore all'altezza della devozione
spirituale. Il quarto grado è simbolizzato nella Sapientia, la saggezza
che trascende anche le manifestazioni umane più pure e più sante. Un
altro simbolo della Sapientia è costituito dalla Shulami- te, nel
cantico di Salomone. (Date le caratteristiche dello sviluppo psichico
dell'uomo moderno, questo livello è raggiunto solo in casi eccezionali.
La Monna Lisa leonardesca può forse, meglio di qualsiasi altra
figurazione, simboleggiare questa suprema saggezza.)
Per ora mi preme soltanto mettere in rilievo il fatto
che il carattere quaternario si manifesta di frequente in certo
materiale simbolico. Le conseguenze essenziali di ciò potranno essere
esaminate approfonditamente solo in seguito.
Ma, in pratica, qual è la portata del ruolo, che
l'anima si assume, di guidare l'uomo verso il proprio mondo interiore?
Tale funzione positiva viene esercitata quando l'uomo affronta con
consapevole serietà i sentimenti, gli atteggiamenti, le speranze e le
fantasie che si manifestano e prendono corpo nella sua anima, e
cristallizza e oggettiva tale materia in una forma definita - per
esempio, nella poesia, nella pittura, nella musica, nella scultura o
nella danza. Quando l'uomo si accinge a questo compito con pazienza e
serenità, dagli abissi dell'inconscio emergono altri elementi, di ancor
maggiore profondità. Dopo che una fantasia sia stata cristallizzata in
una forma definita, essa va esaminata da un punto di vista etico e
intellettuale, nell'ambito di una reazione sentimentale di carattere
valutativo. Ed è essenziale considerarla come una realtà; non si deve
avere alcun dubbio o imbarazzo, non si deve pensare che, in fondo, si
tratta «solo di una fantasia». Se si mantiene a lungo, e religiosamente,
un simile atteggiamento, il processo di individuazione si manifesta
come la sola realtà, e può svolgersi e dispiegarsi nella sua vera forma.
La letteratura è ricca di esempi che ci mostrano
l'anima nella sua veste di mediatrice e di guida al mondo interiore: la
Hypnerotomachia di Francesco Colonna,26 il romanzo Lei di Rider Haggard,
per non parlare dell'«eterno femminino» nel Faust di Goethe. In un
testo mistico medievale, una rappresentazione dell'anima illustra in tal
modo la sua natura:
Io sono il fiore del campo e il giglio delle valli.
Sono la madre dell'amore puro, del timor di Dio, della conoscenza e
della speranza santa [...]. Sono la mediatrice degli elementi, che
accordo l'uno con l'altro; rendo freddo ciò che è caldo, e caldo ciò che
è freddo, umido quel che è asciutto, e asciutto quel che è umido, rendo
morbido ciò che è duro [...]. Sono la legge nel sacerdote, la parola
nel profeta, il consiglio nel saggio. Uccido e vivifico, e non c'è
nessuno che possa salvarsi senza di me.27
Nell'età di mezzo si verificò una importante
differenziazione spirituale nella religione, nella poesia e in altri
campi culturali; il mondo fantastico dell'inconscio venne conosciuto con
maggior chiarezza di prima. Il culto cavalleresco della donna esprimeva
il tentativo di differenziare l'aspetto femminile della natura
dell'uomo, sia in rapporto alla donna reale del mondo esteriore, sia in
rapporto alla vita del mondo psichico.28
La dama al servizio della quale il cavaliere si
votava, e in onore della quale compiva le sue eroiche gesta, era
naturalmente una personificazione dell'anima. Il nome del messaggero del
Graal, nella versione di Wolfram von Eschenbach, è particolarmente
significativo: Conduir-amour («guida negli affari amorosi»). La dama
insegnava al cavaliere a differenziare così i propri sentimenti come il
proprio atteggiamento nei confronti delle donne. Successivamente,
tuttavia, questo tentativo personale e individuale di sviluppare il
rapporto con l'anima venne abbandonato, quando l'aspetto sublime di
questa fu incentrato e simboleggiato nella Vergine Maria, che divenne
oggetto di devozione e di adorazione. Quando l'anima, identificata nella
Vergine, venne considerata come globalmente positiva, gli aspetti
negativi di essa trovarono espressione nella credenza nelle streghe.
In Cina, la figura corrispondente alla Vergine Maria è
quella della dea Kwan-Yin. Una raffigurazione cinese dell'anima, di
carattere ancor più popolare, è la «Signora della luna», che riversa sui
suoi favoriti il dono della poesia e della musica, e che può anche
donar loro l'immortalità. In India, lo stesso archetipo è rappresentato
da Shakti, Parvati, Rati, e da molte altre divinità; per i Mussulmani,
l'anima è rappresentata da Fatima, la figlia di Maometto.
Il culto dell'anima, personificata da una figura
religiosa ufficialmente riconosciuta, presenta il serio inconveniente
che l'anima smarrisce così i suoi caratteri individuali. D'altra parte, a
considerarla come una entità esclusivamente individuale, c'è il
pericolo che, se l'anima venga proiettata nel mondo esteriore, solo in
questo finisca per vivere e manifestarsi. Questa condizione può
determinare un continuo stato di disagio, perché l'uomo o diviene
vittima delle proprie fantasie erotiche, o si rende schiavo di una donna
vera e reale. Solo la dolorosa (ma semplicissima) decisione di
considerare con la massima serietà i propri sentimenti e le proprie
fantasie può impedire un arresto completo del processo di
individuazione, perché solo in tal modo si può appurare il significato e
la portata di questa entità interiore. Così, ancora una volta, l'anima
potrà manifestare la propria intima natura - quella della «donna dentro
di noi» che ci trasmette il messaggio vitale del sé.
L'animus: l'uomo dentro di noi
La personificazione maschile dell'inconscio della
donna - l'animus - presenta aspetti positivi e negativi, proprio come
l'anima nell'uomo. Ma l'animus non si manifesta così spesso in forma di
fantasia erotica; più di frequente assume la forma di una intima
convinzione «sacra»z29 Quando una simile convinzione venga espressa con
voce sicura, maschile, o venga imposta ad altri tramite violente scenate
emozionali, la mascolinità latente nella donna si rivela apertamente.
Tuttavia, anche in una donna che presenti spiccati i caratteri della
femminilità, l'animus può avere la forza di un potere inesorabile. Tutto
a un tratto si individua, in una simile donna, un inaspettato elemento
di fredda, inaccessibile ostinazione.
Uno dei temi favoriti con i quali l'animus si
presenta in tali tipi di donna può sintetizzarsi così: «la sola cosa al
mondo che mi interessa è l'amore; e lui non mi ama»; oppure così: «in
questa situazione ci sono solo due possibilità: e l'una e l'altra sono
negative». (L'animus non crede negli imprevisti.) È difficile opporsi
alla tendenza dell'animus, perché questa, in genere, è una tendenza
giusta; e, tuttavia, solo raramente essa sembra corrispondere alla
situazione individuale. È una tendenza che sembra ragionevole, ma al di
là delle nostre possibilità.
Come la caratteristica tipica dell'anima dell'uomo è
determinata dalla madre del soggetto, così l'animus subisce
fondamentalmente l'influenza del padre della donna - è il padre che
fornisce all'animus della figlia il «colore» speciale delle convinzioni
indiscutibili, incontestabilmente «vere» - quelle convinzioni che non
esauriscono mai, fra l'altro, la reale personalità della donna stessa,
quale essa effettivamente è.
Questa è la ragione per cui l'animus si rivela
talvolta, alla stregua dell'anima, un demone di morte. Per esempio, in
una fiaba zingaresca un bellissimo straniero viene ricevuto da una donna
che vive sola, nonostante il fatto che essa abbia sognato che il
visitatore è il re dei morti. Dopo essersi intrattenuta con lui, la
donna lo prega di dirle chi realmente egli sia. Da principio egli
rifiuta, avvertendola che essa dovrà morire se verrà a conoscenza della
sua vera identità. La donna insiste, e all'improvviso lo straniero le
rivela di essere la stessa morte. La donna muore all'istante, fulminata
dal terrore.30
Considerato dal punto di vista mitologico, il
bellissimo straniero è probabilmente una immagine-rappresentazione del
padre o del dio, che si manifesta qui come re dei morti (è evidente
l'analogia col ratto di Persefone da parte di Ade). Ma, dal punto di
vista psicologico, egli rappresenta una particolare forma dell'animus
che tiene lontane le donne dai concreti rapporti umani, e in particolare
da ogni contatto con gli uomini reali. È come l'involucro delle
immaginazioni oniriche, costituite da giudizi e desideri relativamente
al modo in cui le cose «dovrebbero essere», che strappa e distoglie la
donna dalla realtà della vita.
Ma l'animus, nel suo aspetto negativo, non si
manifesta soltanto come un demone di morte. Nei miti e nelle fiabe esso
assume anche l'aspetto del bandito o dell'assassino. Potremmo citare ad
esempio Barbablù, che uccide tutte le sue mogli in una camera segreta.
In tal guisa l'animus personifica tutte quelle riflessioni seminconsce,
fredde, distruttive che angustiano le donne nelle ore notturne,
specialmente quando abbiano omesso di soddisfare qualche impegno
sentimentale. È in momenti del genere che esse incominciano a pensare ai
caratteri ereditari familiari, e a questioni del genere - una serie di
calcoli e valutazioni, di congetture maliziose, che spingono la donna in
uno stato tale da farle desiderare la morte di certe persone («quando
morirà uno di noi, me ne andrò in Riviera», disse una donna al marito,
ammirando le splendide coste del Mediterraneo; in questo caso il suo
pensiero perdeva gran parte della sua pericolosità, perché essa lo aveva
espresso!).
Nutrendo segreti atteggiamenti distruttivi, la moglie
può spingere il marito, la madre e i figli a stati morbosi che possono
sfociare anche nella morte. O può decidere di impedire ai figli di
sposarsi - atteggiamento questo solitamente recondito, che raramente
perviene al livello della coscienza. (Una vecchia signora mi disse una
volta, mostrandomi la fotografia di un figlio annegato all'età di 27
anni: «preferisco che sia morto; meglio così che vedermelo portar via da
un'altra donna».)
Talvolta il risultato di tendenze inconsce
dell'animus può essere costituito da una sorta di strana passività, da
una paralisi di tutti i sentimenti, da una incertezza profonda che
ingenera il senso della nullità. Nelle profondità della psiche
femminile, l'animus sussurra: «Non hai speranze. Perché darsi da fare?
Non c'è nessuna utilità nell'azione. La vita non sarà mai migliore».
Purtroppo, quando simili personificazioni
dell'inconscio si impadroniscono della nostra mente, ci sembra che siamo
noi stessi a nutrire simili pensieri e sentimenti. L'ego si identifica
con essi fino al punto di non riuscire a considerarli con distacco, per
quello che in realtà sono. In tal caso, si è davvero «posseduti» dalla
raffigurazione dell'inconscio. Solo quando lo stato di asservimento sia
venuto meno, ci si rende conto con orrore di aver detto o fatto cose
diametralmente contrarie ai nostri pensieri e ai nostri intendimenti
effettivi - ci si rende conto di essere stati preda di un fattore
psichico estraneo.
Come l'anima, così anche l'animus non presenta solo
aspetti negativi, che si esemplificano in atteggiamenti di brutalità, in
pettegolezzi, in idee malvage sorde e ostinate. Anche esso manifesta
caratteri altamente positivi; anche esso può contribuire, per mezzo
della sua attività creativa, alla costruzione di un ponte verso il sé.
Valga, a illustrare tali aspetti positivi, il sogno di una donna di 45
anni:
Due figure mascherate si arrampicano verso il
balcone, e quindi penetrano in casa. Sono avvolti in mantelli neri, e
incappucciati, e mi pare che vogliano torturare me e mia sorella. Questa
si nasconde sotto il letto, ma i due la tirano fuori con uno
spazzolone, e la torturano. Poi è la mia volta. Quello che fra i due è
il capo mi spinge verso il muro, e compie gesti magici sul mio viso. Nel
frattempo il suo compagno traccia un disegno sul. muro, e, quando lo
guardo (per assumere un comportamento amichevole nei loro confronti),
esclamo: «Oh, che bel disegno!» Improvvisamente il mio torturatore si
scopre, rivelando la nobile testa di un artista, e dice, con orgoglio:
«Sì, davvero bello», e si pulisce gli occhiali.
Il carattere sadico di queste due figure era ben noto
alla donna, la quale era soggetta a frequenti attacchi di angoscia, nel
corso dei quali era oppressa dal pensiero che i suoi cari si trovassero
in situazioni di estremo disagio, o che fossero addirittura morti. Ma
il fatto che l'animus si presenta nel sogno in una duplice
raffigurazione, ci suggerisce l'idea che i due torturatori
personifichino un fattore psichico che si sdoppia al livello dei suoi
effetti, e che potrebbe avere un carattere essenzialmente diverso da
quello di quei pensieri tormentosi. La sorella della donna, che cerca di
sfuggire ai due uomini, viene presa e torturata. In realtà, essa era
morta quando era ancora una fanciulla; aveva avuto una spiccata
inclinazione alla attività artistica, ma non aveva saputo utilizzare il
proprio talento. Il sogno a un certo punto rivela che le due figure
mascherate sono in realtà degli artisti, e che se la sognante riconosce e
apprezza la loro abilità artistica (che è anche la sua abilità) essi
rinunciano alle loro cattive intenzioni.
Qual è il significato profondo di questo sogno?
Dietro i tormenti dell'angoscia si nasconde un pericolo effettivo,
mortale; ma anche una possibilità costruttiva. La sognante, come già sua
sorella, aveva un certo talento come pittrice, ma riteneva che la
pittura fosse, per lei, un'attività priva di qualsiasi significato. Il
sogno le rivela, nella maniera più seria, che essa deve permettere al
proprio talento di manifestarsi. Se essa saprà seguire questo
suggerimento, l'animus distruttivo, tormentoso, intraprenderà
un'attività creativa, significativa.
Come in questo sogno, l'animus si manifesta sovente
sdoppiato. In tal modo, l'inconscio simboleggia il fatto che l'animus
rappresenta un fattore piuttosto collettivo che individuale. In ragione
di ciò, le donne sensibili alle esigenze della convivenza (quando è
l'animus che parla in esse) si riferiscono a soggetti che indicano
impersonalmente - «si» — o con i pronomi «essi», «ciascuno», e simili, e
in tali circostanze ricorrono spesso, nei loro discorsi, locuzioni o
verbi come «sempre», «dovrebbero», «sarebbe bene».
In molti miti, e nella maggior parte delle fiabe, si
racconta di un principe trasformato, per stregoneria, in un animale
selvaggio, o in un mostro, che viene salvato dall'amore di una fanciulla
- si tratta di un processo che simboleggia il modo in cui l'animus
diviene cosciente. (Il dott. Henderson si è diffuso, nel capitolo
precedente, sul significato di questo motivo ricorrente della Bella e
della Bestia.) Spesso all'eroina è interdetto di porre domande sulle
condizioni del suo misterioso e ignoto marito e amante; o capita che
essa lo incontri solo nelle tenebre, e non possa quindi mai vederlo. Il
sottinteso è che, amandolo e nutrendo in lui una fiducia cieca, essa
riuscirà a salvare il proprio matrimonio. Ma questo non si verifica mai.
La donna finisce sempre col rompere la propria promessa, e potrà
ritrovare l'amato solo dopo una lunga serie di ricerche e di sofferenze.
Se lo si proietta nella vita reale, questo motivo
simbolico significa che l'attenzione, con cui la donna deve dare ascolto
al proprio animus, comporta numerosi sacrifici. Ma se la donna riesce
ad appurare la natura del proprio animus e la portata di esso, e se ne
affronta la reale incidenza sulla propria personalità, invece di
lasciarsene possedere, Vanimus può divenire per lei un prezioso amico
intimo, che la arricchirà delle qualità maschili dello spirito di
iniziativa, del coraggio, della obiettività, della maturità
spirituale.31
Anche l'animus, come l'anima, passa attraverso un
processo di sviluppo di quattro gradi. In principio, esso si manifesta
come la personificazione di un puro potere psichico - per esempio, come
un campione dell'atletica, un «uomo-musco- io». Al secondo grado, esso
rivela spirito di iniziativa, e la capacità di svolgere un'attività
pianificata. Al terzo, l'animus diviene la «parola», manifestandosi
spesso nelle vesti di un sacerdote, o di un professore. Infine, nella
sua quarta realizzazione, l'animus è l'incarnazione del «significante». A
questo altissimo livello esso, come già abbiamo visto per l'anima,
assume la funzione di mediatore della esperienza religiosa, mentre la
vita si apre alla pienezza di nuovi significati. La donna acquista
fermezza spirituale, una sorta di invisibile sostegno interno, che la
compensa della sua fragilità esteriore. L'animus, al livello superiore
del suo sviluppo, collega spesso la mentalità della donna con
l'evoluzione spirituale tipica dell'età di essa, e può così renderla
ancor più ricettiva dell'uomo a nuove idee creative. È per questo motivo
che, nell'antichità, le donne venivano impiegate presso molti popoli
per espletare le funzioni di veggenti e indovine. La pienezza creativa
del loro animus - nel suo aspetto positivo - si esprime talvolta tramite
pensieri e idee che stimolano gli uomini a nuove imprese.
L'«uomo interiore» della psiche femminile può
provocare imbarazzi, nell'ambito dei rapporti matrimoniali, simili a
quelli che già abbiamo considerato nel paragrafo dedicato all'anima. A
complicare maggiormente le cose, se uno dei due coniugi è «posseduto»
dall'animus (o dall'anima) anche l'altro può divenirne preda. L'animus e
l'anima tendono sempre a spingere la conversazione a un livello molto
basso, e determinano così una atmosfera imbarazzante di irritabilità e
di accesa emotività.
Come ho già detto, l'aspetto positivo dell'animus può
manifestarsi attraverso il coraggio, lo spirito di iniziativa,
l'obiettività, e, nella forma più elevata, attraverso la profondità
spirituale. Tramite l'animus, una donna può individuare i processi
reconditi che determinano la sua posizione culturale o personale, o può
riuscire a intensificare il proprio atteggiamento spirituale nei
confronti della vita. Ciò, naturalmente, presuppone che l'animus cessi
di manifestare tendenze che si pongano al di sopra di ogni critica. La
donna deve trovare il coraggio e la libertà necessari per porre in
dubbio il carattere «sacro» delle proprie convinzioni. Solo allora potrà
accogliere i suggerimenti dell'inconscio, specialmente quando questi
contraddicano le tendenze del suo animus. Solo allora potranno
pervenirle gli impulsi del sé, ed essa potrà consapevolmente intenderne
il profondo significato.
Il sé: simboli della totalità
Se un soggetto ha affrontato a lungo, e con
sufficiente serietà, i problemi dell'anima (o dell'animus), tanto da non
identificarsi più, se non parzialmente, con questa o con quello, viene
modificato, ancora una volta, il carattere fondamentale dell'inconscio,
che si rivela secondo una nuova raffigurazione simbolica, il sé, il
nucleo più centrale della psiche. Nei sogni della donna questa zona
focale viene rappresentata, generalmente, tramite raffigurazioni
femminili di altissimo livello - così, ad esempio, una sacerdotessa, una
maga, la madre terra, la dea dell'amore o della natura. Se si tratta di
un uomo, invece, essa sarà simbolizzata nella figura del maestro o del
custode (un guru indiano), del vecchio saggio, dello spirito della
natura, e così via. Due racconti popolari varranno a illustrare il ruolo
che una simile raffigurazione può svolgere. Il primo è un racconto
austriaco:32
Il re ordina ai suoi soldati di montare di guardia,
durante la notte, al cadavere di una principessa nera, che è caduta
vittima di un maleficio. Alla mezzanotte in punto, la principessa si
alza dalla tomba e uccide il soldato di guardia. Infine un soldato, al
quale tocca di montare la guardia, si lascia prendere dalla
disperazione, e fugge nel bosco. Qui incontra «un vecchio con la
chitarra», che è nientemeno che Nostro Signore. Il vecchio musico gli
spiega dove debba nascondersi, dentro la chiesa, e in che modo potrà far
sì che la principessa non riesca ad avere ragione di lui. Protetto così
dalla benevolenza divina, il soldato riesce a liberare dall'incantesimo
la principessa, e la sposa.
È chiaro che «il vecchio con la chitarra, che è
nientemeno che Nostro Signore», da un punto di vista psicologico non è
niente altro che la personificazione del sé. Con l'aiuto di questo,
l'ego riesce a sfuggire alle proprie tendenze distruttive, e ad aver
ragione di un elemento estremamente pericoloso insito nella propria
anima.
Nella psiche femminile, come ho già detto, il sé si
manifesta tramite raffigurazioni femminili. Ciò risulta all'evidenza nel
secondo racconto, una favola eschimese:33
Una fanciulla solitaria, vittima di una delusione
amorosa, incontra un mago che viaggia su una barca di rame. È lo
«spirito della luna», che ha donato agli uomini tutte le specie degli
animali, e che dispensa pure la fortuna nella caccia. Costui convince la
fanciulla 4 seguirlo nel regno celeste. Un giorno, mentre lo spirito
della luna è fuori, essa visita una casetta in prossimità del suo
palazzo. In questa trova una donna minuscola, rivestita della «membrana
intestinale della foca barbuta», che la mette in guardia contro lo
spirito della luna, avvertendola che questi è intenzionato a ucciderla.
[Lo spirito della luna si rivela così un assassino, una specie di
Barbablù.] La donna prepara una corda robusta con cui la fanciulla potrà
discendere sulla terra al tempo della luna nuova, che è anche il
momento in cui essa, la donnetta, potrà aver ragione dello spirito della
luna. La fanciulla si lascia scivolare a terra ma, quando Vi giunge,
non apre subito gli occhi, come le era stato raccomandato dalla benefica
donnina. Per questo viene trasformata in un ragno, e non potrà più
riacquistare la sua forma umana.
Come abbiamo detto, il musico divino del primo
racconto è una rappresentazione del «vecchio saggio», una tipica
personificazione del sé. È simile al mago Merlino della leggenda
medievale, o al dio greco Hermes. La donnetta, tanto stravagantemente
rivestita di una membrana intestinale, è una raffigurazione parallela,
che simboleggia il sé, quale si manifesta nella psiche femminile. Il
vecchio musico salva l'eroe del racconto dalle tendenze distruttive
dell'anima, mentre la donnetta protegge le fanciulla contro il Barbablù
eschimese (che, sotto le vesti dello spirito della luna, ne rappresenta
in realtà l'animus). In questo caso, tuttavia, le cose non vanno
felicemente in porto - e sul punto ci soffermeremo in seguito.
Il sé, tuttavia, non si manifesta sempre sotto
l'aspetto di un vecchio saggio, o di una vecchia maga. Queste
paradossali personificazioni non sono altro che tentativi di dare corpo a
una entità che non può venire compiutamente racchiusa entro i confini
temporali - una entità che simultaneamente presenta le caratteristiche
della giovinezza e della maturità.
Il seguente sogno, di un uomo di mezza età, ci
dimostra come il sé possa manifestarsi anche con l'aspetto di un
giovanetto: 34
Provenendo dalla strada, un ragazzo a cavallo entra
nel nostro giardino. [Non ci sono né siepi né muretti, come usa nella
realtà, e il giardino è così completamente aperto.! Non riesco a capire
se vi è entrato di proposito, o se vi è stato portato, contro la sua
volontà, dal cavallo.
Sto in piedi, nel vialetto che conduce al mio studio,
e sono molto rallegrato dall'arrivo del ragazzo. La visione di costui e
del suo bel cavallo mi impressiona profondamente.
Il cavallo è un animale piuttosto piccolo, ma
selvaggio e poderoso, un simbolo di energia (assomiglia a un cinghiale),
e ha un manto folto, ruvido, color grigio argento. 11 ragazzo cavalca
dietro di me, fra lo studio e la casa; a un tratto salta giù dal
cavallo, e lo conduce a mano, con cautela, in modo da non fargli
calpestare l'aiuola, con i suoi bei tulipani rossi e arancione -
l'aiuola è stata sistemata di recente, e i fiori sono stati piantati da
mia moglie (si tratta di una circostanza esclusivamente onirica).
Il ragazzo simboleggia il sé, il rinnovamento della
vita, un élan vital creativo, un nuovo orientamento spirituale, per
mezzo del quale ogni cosa acquista nuova vitalità ed energia.
Se l'uomo segue gli impulsi dell'inconscio, può
arrivare a questo meraviglioso risultato: la vita, in precedenza opaca e
corrotta, si trasforma in una avventura interiore, ricca e senza
limitazioni, colma di possibilità creative. Nella psiche femminile, la
stessa personificazione del sé può essere rappresentata da una fanciulla
dalla personalità soprannaturale. Ecco il sogno di una donna sulla
cinquantina:
Stavo davanti a una chiesa, e lavavo il marciapiede. A
un certo punto mi misi a correre lungo la strada, proprio al momento
dell'uscita degli studenti delle scuole superiori. Arrivai così a un
rivo stagnante, attraverso il quale era posta una barca, o un tronco
d'albero; ma quando cercai di passarci sopra, uno studente malvagio
saltò nella barca, che si spezzò, tanto che io quasi caddi nell'acqua.
«Idiota!» gli gridai. Dall'altra parte del ruscello stavano giocando tre
fanciulle, e una di esse mi tese la mano per aiutarmi. Pensai che la
sua manina non potesse servire a trarmi dalle mie difficoltà, ma, quando
l'ebbi presa, la fanciulla riuscì, senza il minimo sforzo, a trarmi a
riva.
La sognante è una credente, ma, secondo il suo sogno,
non può più restare nella propria Chiesa (la Chiesa protestante); in
realtà, sembra che essa non abbia ormai alcuna possibilità di entrare in
chiesa, sebbene cerchi, per quanto può, di tenerne pulito l'ingresso.
Seguendo il sogno a questo punto ella si trova nella necessità di
attraversare un ruscello stagnante, e questo indica che il corso della
vita è come paralizzato da tutti i suoi irrisolti problemi religiosi.
(L'attraversamento di un fiume è una comune immagine simbolica che vale a
indicare un mutamento fondamentale di abitudini.) Lo studente viene
considerato, dalla stessa sognante, come la personificazione del
pensiero che essa aveva formulato in precedenza - del pensiero, cioè, di
potere eliminare il suo travaglio spirituale frequentando la scuola
superiore. Come è naturale, il sogno non si attarda su questo punto.
Quando la donna si decide ad attraversare, da sola, il fiume, una
personificazione del sé (la fanciulla), minuscola ma soprannaturalmente
forte, le corre in aiuto.
Ma la forma di un essere umano, giovane o vecchio, è
solo una delle tante nelle quali il sé si manifesta, in sogni o in
visioni. Il fatto che il sé si manifesti, assumendo ora l'aspetto di un
giovane, ora quello di un vecchio, indica che il sé ci accompagna lungo
tutto il corso della vita, ma anche che esso esiste al di là della vita
consapevolmente organizzata e realizzata, cioè, al di là della nostra
coscienza del tempo.
Proprio come il sé trascende la nostra consapevole
esperienza del tempo (tipica della nostra dimensione spazio-temporale),
così esso è simultaneamente onnipresente. Inoltre, si manifesta spesso
in una forma che suggerisce una onnipresenza speciale: cioè, si
manifesta come un essere umano gigantesco e simbolico, che comprende e
sussume in sé l'intero cosmo.
Quando una simile immagine ricorre nei sogni del
soggetto, è possibile sperare in una soluzione creativa dei suoi
problemi, perché il centro psichico vitale si mostra, in tal modo,
riattivato (la personalità del soggetto tende all'unitarietà), così che
sarà possibile superare le varie difficoltà.
Non c'è da stupirsi che questa figura dell'uomo-cosmo
ricorra in numerosi miti e in molte parabole di carattere religioso. In
genere, lo si descrive come un essere positivo e premuroso. Lo si può
riconoscere sotto le vesti di Adamo, del persiano Gayomart, o del
Purusha indù. Taluni racconti lo presentano anche come un essere che
regge le basi del mondo. Gli antichi cinesi, ad esempio, pensavano che,
prima della creazione, esistesse un colossale uomo-dio, dal nome di P'an
Ku, il quale dava alla terra e al cielo la loro forma. Quando pianse,
le sue lacrime formarono il Fiume Giallo e lo Yangtze; dal suo respiro
originò il vento; dalla sua parola irruppe il tuono e, dal suo sguardo,
la luce. Se era di buon umore, faceva bel tempo; altrimenti, si
rannuvolava. Quando morì, cadde in pezzi, e dal suo cadavere nacquero le
cinque sacre montagne della Cina. La sua testa divenne la montagna
T'ai, all'est, il tronco formò la montagna Sung, nella zona centrale del
paese, il suo braccio destro la montagna Heng del nord, il sinistro la
montagna Heng del sud, e i suoi piedi formarono, all'ovest, la montagna
Hua. I suoi occhi divennero il sole e la luna.35
Abbiamo già visto che la struttura simbolica, quando è
connessa con il processo di individuazione, tende a basarsi sul motivo
del numero quattro, - come le quattro funzioni della coscienza, o i
quattro stadi dello sviluppo dell 'animus o dell'anima. Tale motivo si
ripresenta nella struttura della configurazione cosmica di P'an Ku.
Soltanto in circostanze particolari si realizzano, nelle esperienze
psichiche, altre combinazioni numeriche.
Le manifestazioni più naturali e spontanee del centro
psichico sono caratterizzate dal motivo quaternario - cioè a dire dal
fatto che presentano quattro aspetti distinti, o una struttura collegata
in qualche modo alla serie numerica 4 - 8 - 16, e così via. Il numero
16, poi, ha una particolare importanza, risultando composto da quattro
volte quattro.
Nel nostro mondo occidentale, concezioni similari
dell'uomo cosmico si rivelano, ad esempio, nel simbolo di Adamo, il
primo uomo.36 Secondo una leggenda ebraica, quando Dio creò Adamo,
incominciò col raccogliere polvere di colore rosso, giallo, nero e
bianco dai quattro angoli del mondo, così che Adamo si estendeva «da un
confine all'altro del mondo». Quando si piegava, la sua testa era
all'est, e i suoi piedi all'ovest. Secondo un altro racconto
tradizionale ebraico, tutta l'umanità era contenuta in Adamo fin
dall'inizio, o piuttosto l'anima di tutti coloro che sono nati o
nasceranno dopo di lui. L'anima di Adamo in tal modo, era «simile allo
stoppino di una lampada, composto di innumerevoli fibre». In questo
simbolo, l'idea di una totale unitarietà dell'esistenza umana, al di là
delle singole persone individuali, trova manifesta espressione.
Nell'antica Persia, il primo uomo, l'uomo
dell'origine del mondo, chiamato Gayomart, veniva raffigurato come un
essere di enorme statura, promanante luce. Quando morì, dal suo corpo
sprizzarono tutte le specie dei metalli, e dalla sua anima nacque l'oro.
Il suo seme ricadde sulla terra, e ne derivò la prima coppia umana,
sotto la forma di due arbusti di rabarbaro. Non può non colpire la
circostanza che anche il cinese P'an Ku venisse raffigurato come
ricoperto di foglie, a mo' di una pianta. Forse ciò dipende dal fatto
che il primo essere umano veniva ritenuto un essere unitario, autogeno,
che viveva libero dall'urgenza di impulsi animali, o della volontà
egoistica. Per certe popolazioni, che vivono sulle rive del Tigri,
ancora ai nostri giorni Adamo è oggetto di culto, in quanto lo si
ritiene la recondita «super-anima», o il mistico «spirito protettivo»
dell'intera razza umana. Secondo tali credenze, Adamo è nato da una
palma da datteri - ancora una ripetizione del motivo vegetale.37
All'est, e in certi ambienti gnostici occidentali, si
è presto ammesso che l'uomo cosmico non è altro che una immagine
psichica interiore, e non una realtà esteriore. Per esempio, secondo la
tradizione indù, si tratta di una entità che vive nel profondo di ogni
individuo, e ne costituisce anzi la sola parte immortale. Questo «grande
uomo» interiore riscatta l'individuo, sollevandolo dal livello del
mondo effettuale e delle sue miserie, a quello della sua eterna,
originaria sfera. Ma il passaggio riesce solo se l'uomo riconosce la
propria guida, e si desta dal suo torpore per seguirla. Nei miti
simbolici della antica India si indica questa entità col nome di
Purusha, nome che significa semplicemente «uomo», o «persona». Purusha
vive dentro il cuore di ogni soggetto, e, al contempo, riempie di sé
l'intero universo.
Secondo la testimonianza di molti miti, l'uomo
cosmico costituisce non solo il punto iniziale, ma anche la meta finale
di tutta la vita dell'intera creazione. «Quando si parla di cereali, si
intende frumento, quando si parla di tesori si intende oro, e quando si
parla di cose generate, si intende l'uomo», dice il saggio medievale
Meister Eckhart.38 E, se si considera questa affermazione da un punto di
vista psicologico, non si può non trovarla esatta. La realtà psichica
interiore di ogni individuo, nella sua totalità, è definitivamente
orientata verso questo simbolo archetipo del sé.
In termini pratici, ciò significa che l'esistenza
degli uomini non potrà mai essere adeguatamente spiegata nei termini di
certi istinti isolati, o meccanismi funzionali, come la fame, il potere,
il sesso, la sopravvivenza, la perpetuazione della specie, e così via.
In altre parole, lo scopo essenziale dell'uomo non è di mangiare, bere,
eccetera, ma di essere umano. Al di sopra e al di là di questi impulsi,
la nostra realtà psichica manifesta un mistero vivente, che può trovare
espressione solo simbolica — espressione che spesso l'inconscio realizza
tramite la potente immagine dell'uomo cosmico.39
Nell'ambito della civiltà occidentale, l'uomo cosmico
è stato identificato, in notevole misura, con Cristo, e in Oriente con
Krishna o Budda. Nel Vecchio Testamento, la stessa figura simbolica
viene presentata come il «figlio dell'Uomo», e, nelle tradizioni
mistiche ebraiche di epoca posteriore, assume il nome di Adam Kadmon.40
Certi movimenti religiosi della tarda antichità lo denominavano
semplicemente «Anthropos» (il termine greco che significa «uomo»). Come
tutti i simboli, anche questa immagine rimanda a un mistero ignoto, -
l'arcano, fondamentale mistero dell'esistenza umana.
Come abbiamo già visto, per certe tradizioni l'uomo
cosmico è la meta della creazione; ma il conseguimento di tale meta non
va considerato sul piano degli avvenimenti esteriori. Per esempio,
secondo gli Indù non è tanto vero che il mondo esteriore finirà per
dissolversi, un giorno, nel «grande uomo originario», quanto piuttosto
che la tendenza estroversa dell'io verso il mondo esteriore verrà meno,
per dar luogo all'avvento dell'uomo cosmico. E ciò avviene quando l'io
si sprofonda nel sé. Il divagante flusso di rappresentazioni dell'io
(che trascorre da un pensiero all'altro), e i suoi desideri (che si
posano volubilmente sui più svariati oggetti) si acquetano quando l'io
trova il contatto con il «grande uomo» che vive all'interno di esso. In
effetti, non va mai dimenticato che, per noi, la realtà esterna esiste
solo nei limiti in cui la percepiamo al livello della coscienza, e che
non è possibile provare che essa esista «in sé e per sé».
Infiniti esempi, che è possibile trarre dalle
tradizioni di varie civiltà, e di diversi periodi storici, dimostrano
l'universalità del simbolo del «grande uomo». La sua immagine si
presenta alla mente dell'uomo come una sorta di meta finale, o come
l'espressione del mistero fondamentale della vita. Proprio perché questo
simbolo rappresenta la totalità e l'integralità, spesso esso viene
raffigurato sotto l'aspetto di un essere bisessuato. Così, in tale
simbolo, trovano conciliazione due fra i più importanti «opposti»
psicologici - il carattere maschile e quello femminile. Questa
conciliazione si attua e si manifesta spesso nei sogni, simboleggiata in
una coppia divina, o reale, o comunque di altissimo grado.41 Ecco come
il sogno di un uomo di 47 anni dimostra, in modo drammatico, l'evidenza
di questo carattere:
Mi trovo sopra una specie di terrazza, e sotto di me
vedo una enorme, stupenda orsa nera, con una pelliccia ruvida, ma ben
curata. Essa sta in piedi, ritta sulle zampe posteriori, e, su una
lastra di marmo, sta ripulendo una pietra nera, piatta e ovale, che
diviene sempre più lucida. Non molto lontano una leonessa e il suo
cucciolo sono impegnati nella stessa attività, ma le pietre che essi
lucidano sono molto più grandi, e di forma rotonda. Dopo un po', l'orsa
si volge verso una donna grassa e nuda, dai capelli neri e dagli occhi
scuri e selvaggi. Io provo una forte attrazione erotica nei confronti di
questa; ma lei, all'improvviso, si avvicina per catturarmi. Mi
spavento, e cerco rifugio sull'impalcatura sulla quale mi trovavo
all'inizio del sogno. In seguito, ecco che mi trovo in mezzo a molte
donne, una buona metà delle quali sono selvagge, dai lunghi capelli neri
(come se prima fossero state tanti animali) ; per l'altra metà, sono
donne normali [della stessa nazionalità del sognante] e hanno capelli
biondi o castani. Le selvagge intonano un canto sentimentale, con voci
malinconiche e suggestive. A questo punto, su una vettura alta ed
elegante, si approssima un giovane che porta sulla testa una regale
corona di oro, tempestata di rubini scintillanti - una visione stupenda.
Accanto a lui è seduta una giovane donna, bionda, probabilmente sua
moglie, ma senza corona. Mi sembra che si tratti della leonessa e del
cucciolo che si sono trasformati nella coppia reale. Anche essi
appartengono al gruppo dei selvaggi. A questo punto tutte le donne (le
selvagge e le altre) intonano un canto solenne, e il carro reale si
allontana lentamente verso l'orizzonte.
In questo sogno il nucleo interiore della psiche del
sognante si rivela inizialmente nella immagine temporanea della coppia
regale, che emerge dalle profondità della sua natura animale e dal fondo
selvaggio del suo inconscio. L'orsa che compare all'inizio è una specie
di madre-dea (Artemide, per esempio, veniva venerata nella antica
Grecia sotto le vesti di un'orsa). La nera pietra ovale che essa
struscia e lucida, simboleggia, verosimilmente, il carattere più intimo
del sognante, la sua personalità più vera. Come è noto, l'attività volta
a sfregare e lucidare le pietre risale ai primordi della storia umana.
In Europa sono state rinvenute numerose pietre «sacre», avvolte in fogli
di corteccia, e nascoste nelle caverne; esse vi erano state
probabilmente abbandonate dagli uomini dell'età della pietra, che le
credevano depositarie della potenza divina. Attualmente, alcuni
aborigeni australiani credono che lo spirito dei loro antenati continui a
vivere nelle pietre, informandole di poteri divini e miracolosi, e che,
strusciando queste pietre, se ne aumenti il valore mistico (quasi come
per una trasmissione di elettricità) a vantaggio così del vivo, come
dell'antenato morto.42
L'uomo, del quale stiamo esaminando il sogno, aveva
sempre rifiutato di sottoporsi al legame matrimoniale. Il suo timore di
restare prigioniero di quel rapporto fa sì che, nel sogno, egli si
allontani dalla donna-orsa per risalire sulla piattaforma dalla quale,
in veste di spettatore, potrà passivamente osservare gli eventi senza
restare impigliato in essi. Con il motivo della pietra strofinata
dall'orsa, l'inconscio cerca di far comprendere al sognante che egli
dovrebbe tentare di accettare un contatto con questo aspetto peculiare
della vita - è attraverso i contrasti della vita coniugale che la sua
personalità potrà acquisire una struttura più pura.
Quando la pietra è completamente lucida, essa
risplende come uno specchio, e l'orsa può contemplarvisi; ciò significa
che solo accettando il contatto con il mondo, e le sofferenze che ne
conseguono, l'anima dell'uomo potrà divenire uno specchio in cui i suoi
poteri divini riescano ad avere percezione di sé. Ma il sognante si
rifugia in un luogo più alto - cioè, cerca scampo in quelle meditazioni
che possono farlo sfuggire alle esigenze della vita. Il sogno gli fa
così capire che, se egli si ritirerà davanti a quelle esigenze, una
parte della sua personalità (la sua anima) resterà una entità
indifferenziata, e di ciò si può scorgere un simbolo nel gruppo delle
donne indefinite, con la sua eterogenea composizione.
La leonessa e il suo cucciolo, che compaiono a questo
punto sulla scena, rappresentano l'impulso misterioso alla
individuazione, che si manifesta nella attività che essi dispiegano, nel
sogno, per foggiare le pietre (una pietra rotonda è simbolo del sé). I
leoni, una coppia reale, sono, di per sé, simbolo della totalità. Nel
simbolismo medievale, la «pietra filosofale», simbolo per eccellenza
della integralità della natura umana, è raffigurata da una coppia di
leoni, o da una coppia umana che cavalca leoni. Simbolicamente, ciò
indica il fatto che l'impulso alla individuazione si manifesta in forma
ambigua, per esempio occultato nella passione travolgente che può
nutrirsi per un'altra persona. (In effetti, la passione che travolge i
limiti naturali dell'amore, tende in definitiva al mistero dell'unità
nel suo farsi, ed è per questo che, quando si ama appassionatamente, si
avverte che lo scopo supremo della propria vita è la confusione e il
naufragio di sé nella persona amata.)
Fino a quando, in questo sogno, l'immagine della
totalità si manifesta, simbolicamente, nella coppia leonina, essa non
trascende l'ambito di tale travolgente passionalità. Ma quando il leone e
la leonessa si trasformano nella coppia regale, allora l'impulso alla
individuazione raggiunge il livello della realizzazione consapevole, e
l'ego può facilmente scorgere in esso lo scopo essenziale della vita.43
Prima che i leoni si mutassero in esseri umani, erano
solo le donne selvagge che cantavano, in maniera particolarmente
sentimentale; in altri termini, i sentimenti del sognante restavano a un
livello primitivo e sentimentale. Ma, in onore dei leoni umanizzatisi,
tutte le donne (le selvagge e le civili) intonano concordemente un canto
di gloria. L'espressione unitaria dei loro sentimenti, dimostra che la
frattura interiore dell'anima si è ora sanata in una superiore armonia.
Ancora una ulteriore personificazione del sé è quella
che si manifesta nei risultati della cosiddetta «immaginazione attiva»
della donna. (L'immaginazione attiva è un tipo di meditazione
immaginativa, con cui si può deliberatamente entrare in contatto con
l'inconscio, e stabilire una connessione consapevole con i fenomeni
psichici. L'immaginazione attiva è la più importante scoperta di Jung.
Mentre, da un certo punto di vista, essa può paragonarsi alle attività
meditative tipiche dell'estremo oriente, quali le tecniche del Buddismo
Zen, o dello Yoga tantrico, o alle tecniche occidentali, quali quelle
degli esercizi spirituali dei Gesuiti, ne differisce fondamentalmente,
in quanto il meditante resta completamente privo di qualsiasi scopo o
programma. In tal modo, la meditazione diviene il solitario esperimento
di un soggetto libero, che si colloca all'estremità opposta di qualsiasi
tentativo organizzato di impadronirsi dell'accesso all'inconscio. Non
è, tuttavia, il caso di intraprendere, a questo punto, un esame
minuzioso della immaginazione attiva; il lettore potrà trovarne una
esauriente esposizione nello scritto di Jung La funzione
trascendente).44
Alla mente di una donna esaminata, il sé si
presentava come un cervo, che diceva all'ego: «Sono tuo figlio e tua
madre. Mi chiamano l'"animale della congiunzione", perché congiungo gli
uomini, gli animali e perfino le pietre, se le informo di me. lo sono il
tuo fato, l'"io oggettivo". Quando sono presente, valgo a riscattarti
dalle difficoltà senza senso della vita. Il fuoco che arde in me, arde
in grembo a tutta la natura. Se l'uomo perde il contatto con me, diviene
egocentrico e solitario, si disorienta e intristisce».
Il sé viene spesso simboleggiato da un animale, che
rappresenta la nostra natura istintiva, e i legami di questa con
l'ambiente. (Ecco perché, nei miti e nelle favole, si può registrare la
presenza di tanti animali benigni.) Tale rapporto del sé con la natura
circostante e con il cosmo deriva, con ogni probabilità, dal fatto che
1'«atomo nucleare» della nostra psiche è, in qualche modo, intimamente
intrecciato nella totalità del mondo, così del mondo esteriore come di
quello intimo. Tutte le manifestazioni più alte della vita si
armonizzano con il circostante continuum spazio-temporale. Per esempio,
gli animali hanno il loro cibo peculiare, peculiari materiali per la
costruzione delle loro tane, territori sui quali vivono di preferenza, e
i loro modelli istintivi si armonizzano perfettamente con queste
esigenze differenziate, e si adattano a esse. Anche il ritmo del tempo
svolge una parte importante: pensiamo anche solo al fatto che la maggior
parte degli animali erbivori partoriscono proprio nella stagione
dell'anno nella quale l'erba è più folta e più abbondante. In base a
tali coincidenze, un ben noto zoologo ha detto che la «struttura
interiore» degli animali si riflette nel mondo circostante, e
«psichizza» il tempo e lo spazio.45
Secondo modi che restano al di là della nostra
possibilità di comprensione, il nostro inconscio si armonizza con
l'ambiente - con il gruppo di cui facciamo parte, con la società e, in
generale, con il continuum spazio-temporale e con la totalità della
natura. Così, il «grande uomo» degli Indiani Naskapi non vale solo a
rivelare le verità interiori; ma suggerisce anche il luogo e il momento
più adatti alla caccia. E dai sogni il cacciatore naskapi districa le
parole e la melodia delle formule magiche con le quali attira gli
animali.
Ma questa specifica influenza ausiliatrice
dell'inconscio non opera solo a favore dei primitivi. Jung ha scoperto
che anche gli uomini «civilizzati» possono trovare nei propri sogni la
guida necessaria per risolvere i problemi che incontrano così nel mondo
esterno, come in quello interiore. In realtà, molti dei nostri sogni
contengono particolari riferimenti ad aspetti della vita esteriore.
Oggetti come l'albero che vediamo solitamente dalla finestra, la nostra
bicicletta o la nostra automobile, o la pietra raccolta nel corso di una
gita, possono raggiungere il livello del simbolismo tramite la nostra
attività onirica, e acquisire così pienezza di significato. Se facciamo
attenzione ai nostri sogni, invece di vivere come in un mondo freddo e
impersonale caratterizzato da una casualità senza senso, possiamo
incominciare a inserirci in un mondo che intimamente ci appartiene, in
cui gli eventi si dispongono secondo un principio regolatore di arcana
importanza.
I nostri sogni, tuttavia, non concernono il nostro
adattamento al mondo esteriore. Almeno nel nostro mondo civilizzato, la
maggior parte dei sogni riguardano lo sviluppo (sollecitato dall'ego)
della «valida» tendenza interiore verso il sé, perché questo contatto è
ben più ostacolato nell'ambito dei moderni sistemi di vita, che non nel
caso dei popoli primitivi. I sogni, generalmente, prendono vita
direttamente dal centro interiore, ma noi, con la nostra coscienza
scissa, siamo implicati nella trama dei problemi esteriori, che ci sono
in fondo completamente estranei, e i messaggeri provenienti dal sé di
rado riescono a raggiungerci. La nostra mentalità conscia continuamente
ricrea l'illusione di un mondo esteriore chiaramente configurato,
«reale», che è la fonte di molte altre percezioni. Pure, tramite la
nostra natura siamo inesplicabilmente collegati al nostro ambiente
fisico e psichico.
Ho già detto che il sé viene frequentemente
simboleggiato nella forma di una pietra, più o meno preziosa. Ne abbiamo
visto un esempio nella pietra che veniva lustrata dall'orsa e dai
leoni. In molti sogni il centro nucleare, il sé, si manifesta anche come
un cristallo. La struttura matematicamente esatta del cristallo ci
richiama alla mente il sentimento intuitivo per cui anche nella
cosiddetta materia «bruta», opera un principio spirituale ordinatore.
Così spesso il cristallo simboleggia l'unione degli estremi contrari -
lo spirito e la materia.
Forse i cristalli e le pietre sono simboli
appropriati del sé, a causa della «giustezza» della loro natura. Sono
molti coloro che non sanno trattenersi dal raccogliere pietre che
abbiano una forma o un colore anche appena fuori dal normale, senza
sapere perché lo fanno. È come se in quelle pietre si racchiudesse un
mistero vivente che li affascina. Gli uomini hanno raccolto e
collezionato pietre fino dai primordi, e hanno supposto che in certune
si incentrasse la forza vitale, con tutto il suo mistero. Gli antichi
Germani, per esempio, credevano che gli spiriti dei morti continuassero a
vivere nelle pietre sepolcrali.46 L'abitudine di collocare pietre sulle
tombe può derivare, in parte, dall'idea simbolica che resta, del morto,
l'elemento non caduco, eterno, e questo può adeguatamente essere
rappresentato da una pietra. Perché, mentre l'essere umano è diverso
dalla pietra per quanto è possibile essere diversi, il suo centro
interiore presenta una arcana e particolare similitudine con la pietra
(forse perché questa simboleggia la mera esistenza, assolutamente
intatta dalle e- mozioni, dai sentimenti, dalle fantasie e dal pensiero
discorsivo, tutti tipici elementi del mondo cosciente dell'ego). In
questo senso, la pietra è forse il simbolo dell'esperienza più assoluta e
profonda - l'esperienza dell'eterno, che l'uomo realizza in quei
momenti nei quali si sente immortale e non caduco.
Anche l'impulso, comune a tutte le civiltà, di
erigere monumenti a uomini illustri, o a ricordo di eventi importanti,
deriva probabilmente da questo significato simbolico della pietra. La
pietra che Giacobbe collocò nel luogo in cui ebbe il suo famoso sogno, o
certe pietre lasciate dalla gente comune sulle tombe del santo o
dell'eroe locale, rivelano la natura profonda dell'impulso umano di
esprimere, mediante il simbolo della pietra, esperienze altrimenti
inesprimibili. Non c'è da stupirsi del fatto che, in molti culti
religiosi, ci si serva di una pietra per indicare Dio, o per
contrassegnare un luogo sacro alla devozione dei fedeli. La sacra
reliquia per eccellenza del mondo islamico è la Ka'aba, la pietra nera
della Mecca, per venerare la quale tutti i Maomettani sperano di poter
compiere almeno un pellegrinaggio.
Per il simbolismo ecclesiastico cristiano. Cristo è
«la pietra che i muratori hanno refuso», e che è divenuta poi «la pietra
angolare» (Luca, XX, 17). Alternativamente, egli è chiamato «la roccia
dello spirito, da cui sgorga l'acqua della vita» (I Cor., X, 4). Gli
alchimisti del Medioevo, che cercavano di carpire il segreto della
materia con metodi pre- scientifici, sperando di cogliervi non dirò Dio,
ma almeno la vivente presenza della sua operosa energia, credevano che
quel segreto fosse racchiuso nella famosa «pietra filosofale». Ma alcuni
alchimisti confusamente avvertivano che la tanto desiderata pietra era
il simbolo di una entità che poteva essere rinvenuta solo nella psiche
dell'uomo. Un antico alchimista arabo, Morieno, diceva: «Questa pietra
[la pietra filosofale] si cava da voi: voi ne siete il minerale, e in
voi la si può trovare. Se ve ne renderete conto, sentirete vivere in voi
l'amore della pietra. Sappiate che questo è vero senza ombra alcuna di
dubbio».47
La pietra degli alchimisti (la lapis) è dunque il
simbolo di una esperienza che non può andare perduta o distrutta, di una
entità eterna che alcuni alchimisti paragonavano all'esperienza mistica
di Dio nell'anima umana. Di solito, occorre un lungo travaglio per
procedere alla eliminazione di tutti gli elementi psichici superflui che
occultano la «pietra».48 Ma una profonda esperienza interiore del sé è
vissuta a un dipresso da tutti, almeno una volta nel corso della vita.
Dal punto di vista psicologico, l'atteggiamento genuinamente religioso
consiste nel tentativo di conseguire questa particolarissima esperienza,
e di assumerla, gradualmente, come regola generale (è sintomatico il
fatto che la pietra riveli, tipicamente, il carattere della
«persistenza»), così che il sé divenga l'amico interiore al quale di
continuo si rivolge la nostra attenzione.
Il fatto che il più alto e il più comune simbolo del
sé sia una cosa inerte, costituita di materia inorganica, apre un nuovo
campo alla indagine e alla riflessione: intendo parlare della natura,
tuttora ignota, dei rapporti fra la psiche inconscia e quella che
chiamiamo la «materia», - un mistero con il quale la medicina
psicosomatica è attualmente alle prese. Studiando questo rapporto,
ancora indefinito e incerto (può essere che «materia» e «psiche» siano
lo stesso fenomeno, osservato, nel primo caso, «dal di fuori», e, nel
secondo, «dal di dentro»), il dottor Jung espose una nuova concezione,
che egli battezzò con il termine «sincronicità».49. Questo ,rmine indica
la «coincidenza significativa» degli eventi esteriori con quelli
interiori, che non sono peraltro, in se stessi, fra loro causalmente
collegati. L'accento batte sulla parola «significativa».
Se un dirigibile esplode davanti a me mentre mi sto
soffiando il naso, si ha una coincidenza di eventi che non è
significativa. Si tratta solo di un caso, di uno dei tanti casi della
vita di ogni giorno. Ma, se compro un vestito blu, e, per errore, il
negoziante me ne manda a casa uno nero proprio il giorno che muore un
mio caro parente, ecco che siamo in presenza di una coincidenza
significativa. I due eventi non sono causalmente collegati ma sono
connessi dal significato simbolico che la nostra società attribuisce al
colore nero.
Tutte le volte che il dottor Jung aveva occasione di
individuare simili coincidenze significative nella vita di qualche
soggetto, aveva l'impressione (del resto avvalorata dai sogni del
soggetto stesso) che venisse attivato un archetipo nell'inconscio
dell'individuo in esame. Ci spiegheremo riferendoci all'esempio del
vestito nero: in quel caso, la persona che riceve il vestito nero
potrebbe anche aver fatto un sogno imperniato sul tema della morte. È
come se l'archetipo sottostante si manifestasse simultaneamente in
eventi di carattere interno ed esterno. Il denominatore comune è un
«messaggio» simbolico - in questo caso, un messaggio di morte.
Quando si arriva a comprendere che certi tipi di
eventi «amano» verificarsi insieme con certi altri, in determinati
momenti si può comprendere anche l'atteggiamento mentale dei Cinesi, le
cui teorie mediche, filosofiche, e perfino quelle attinenti alla scienza
delle costruzioni, si basano sulla «scienza» delle coincidenze
significative. I testi classici cinesi non si chiedono, davanti a un
evento, che cosa lo abbia causato, ma piuttosto che cosa «ama»
verificarsi insieme con esso. Si può ritrovare lo stesso motivo di fondo
nell'astrologia, e nel modo in cui i popoli di varie civiltà hanno
fatto dipendere decisioni essenziali dal responso di oracoli, o dagli
auspici degli àuguri. Si tratta, in tutti questi casi, di fornire una
spiegazione della coincidenza, che si diversifica totalmente da quella
che si incentra, in maniera diretta, nel rapporto causa- effetto.
Elaborando il concetto di «sincronicità», il dottor
Jung ha indicato in che modo è possibile pervenire a una più profonda
comprensione delle interrelazioni fra psiche e materia. Ed è proprio a
tali relazioni che sembra fare diretto riferimento il simbolo della
pietra. Ma si tratta di una materia ancora insufficientemente studiata,
che lascia dunque adito a varie soluzioni, e che sarà compito delle
generazioni future di fisici e psicologi esaminare a fondo.
Potrà forse sembrare che questa esposizione del
concetto di «sincronicità» mi abbia allontanata dal tema, ma ho ritenuto
necessario un esame, sia pure di carattere introduttivo e
necessariamente sommario, di tale concetto, perché si tratta di una
ipotesi jungiana che ci sembra gravida di conseguenze, di ordine così
speculativo come pratico. Gli eventi «sincronici», inoltre, accompagnano
quasi invariabilmente le fasi cruciali del processo di individuazione.
Ma troppo spesso passano inosservati, perché il soggetto non ha imparato
a prestare attenzione alle coincidenze, e ad attribuire a esse un
significato in relazione al simbolismo dei suoi sogni.
Il rapporto con il sé
Al giorno d'oggi molti uomini, specialmente se vivono
in grandi città, sono affetti da un terribile senso di vuoto e di noia,
come se fossero in attesa di qualche cosa che non arriva mai. Possono
distrarli, momentaneamente, cinema e televisione, la partita allo stadio
o le controversie politiche, ma sempre, stanchi e disingannati, essi
finiscono per ritornare alla terra desolata della loro vita.
La sola avventura che valga la pena di essere vissuta
dall'uomo moderno è l'esplorazione del regno interiore della psiche
inconscia. Vagamente convinti di ciò, sono molti coloro che si dedicano
all'esercizio dello Yoga, o di altre tecniche orientali. Ma queste non
consentono alcuna possibilità di reali avventure, perché, nella loro
pratica, ci si limita ad apprendere ciò che è già noto al cinese o
all'indù, senza entrare in contatto con il nucleo centrale della propria
vita interiore. Mentre è vero che le tecniche orientali consentono di
realizzare la concentrazione del pensiero, e di indirizzarlo verso il
mondo interiore, e che questo procedimento è, in certo senso, simile
all'introversione determinata dal trattamento analitico, non si può
trascurare una differenza significativa. Jung ha elaborato un metodo per
pervenire al centro interiore del soggetto, e per stabilire un contatto
con il vivente mistero dell'inconscio, senza bisogno di ricorrere ad
aiuti esterni.50 Si tratta di tutt'altra cosa che seguire un sentiero
ben battuto.
Cercare di prestare costantemente, giorno per giorno,
la dovuta attenzione alla realtà vivente del sé è come cercare di
vivere simultaneamente a due livelli, o in due mondi diversi. Si
continua, come in precedenza, ad adempiere doveri e incombenze impostici
dal mondo esteriore, ma si resta altresì continuamente in attesa degli
indizi e dei segnali, sia che si manifestino in sogni oppure in eventi
esteriori, ai quali il sé ricorre per esprimere simbolicamente le sue
intenzioni, - per indicare la direzione nella quale si sta muovendo la
corrente vitale.
Gli antichi testi cinesi, che si sono occupati di
questa esperienza, ricorrono spesso alla similitudine del gatto in
agguato davanti al rifugio del topo. In uno di essi si dice che non si
dovrebbe consentire di venir distratti da altri pensieri, ma che, al
contempo, la nostra attenzione non dovrebbe essere né troppo tesa, né
troppo rilassata. Si indica così, con esattezza, quello che deve
considerarsi il valido livello percettivo.
Se si assume questo atteggiamento, e ci si adegua a
esso [...] gli effetti si manifesteranno con l'andar del tempo, e quando
giungerà il momento della realizzazione, come una mela matura che
automaticamente si stacca dal ramo, qualsiasi cosa con cui possa
capitare che si istituisca un contatto o un rapporto determinerà il
supremo risveglio dell'individuo. È questo il momento in cui l'iniziato
si troverà del tutto simile a colui che beve acqua, e solo sa se quella
sia fredda o tiepida. Si libererà da tutti i dubbi su se stesso, proverà
una grande letizia, analoga a quella che si avverte incontrando il
proprio padre a un incrocio, per strada.51
Così, nel corso della vita normale, che si attua nel
mondo esteriore, si è improvvisamente proiettati in una meravigliosa
avventura interiore; e poiché questa è unica per ciascun soggetto, essa
non potrà mai essere oggetto di imitazione o di plagio.
Ci sono soprattutto due motivi essenziali per cui
l'uomo smarrisce il contatto con il centro regolatore della propria
psiche. Il primo è che qualche isolato impulso istintivo, o qualche
immagine emotiva, possono segregarlo in una unilateralità nella quale
egli perde il senso del proprio equilibrio psichico. Ciò capita anche
agli animali; per esempio, un cervo sessualmente eccitato dimenticherà
completamente la fame, e diventerà imprudente. Tale unilateralità, e il
conseguente smarrimento dell'equilibrio psichico, sono grandemente
temuti dai primitivi, che definiscono il fenomeno «perdita dell'anima».
Un'altra minaccia all'equilibrio interiore proviene dalle eccessive
«fantasticherie a occhi aperti», che, misteriosamente, di solito
accompagnano particolari complessi. In realtà, le fantasticherie intanto
sussistono, in quanto mettono in rapporto l'uomo con i suoi complessi;
e, al con tempo, minacciano la possibilità della concentrazione e la
continuità della coscienza del soggetto.
Il secondo ostacolo è di carattere del tutto opposto
al primo, ed è dovuto a un superconsolidamento della coscienza dell'ego.
Sebbene una certa forma di consapevolezza disciplinata sia necessaria
per lo svolgimento delle attività inerenti alla nostra vita «civile» (si
sa benissimo, per esempio, quello che accade se un capostazione o un
addetto agli scambi ferroviari si lasciano prendere dalle
fantasticherie), essa presenta tuttavia il serio inconveniente di
bloccare la ricezione degli impulsi e dei messaggi provenienti dal
centro psichico. Questa è la ragione per cui tanti sogni degli uomini
civili riguardano la necessità di restaurare tale ricettività, tramite
la modificazione dell'atteggiamento della coscienza nei confronti del
centro interiore, cioè del sé.
Fra le rappresentazioni mitologiche del sé, sovente
si trova posto l'accento sui «quattro angoli del mondo», e, in molti
dipinti, il «grande uomo» è collocato nel centro di un cerchio diviso in
quattro parti. Jung impiegò il termine indù «mandala» (cerchio magico)
per indicare ogni struttura di questo ordine, che è una rappresentazione
simbolica dell'«a- tomo nucleare» della psiche umana, - della cui
essenza non sappiamo assolutamente niente. Al riguardo, è interessante
osservare che un cacciatore naskapi ha rappresentato pittoricamente il
suo «grande uomo» non come un essere umano, ma come un mandala.
Mentre il naskapi ha una esperienza diretta e
immediata del centro interiore, e non ricorre dunque all'ausilio di riti
e dottrine religiose, altre popolazioni impiegano il motivo del mandala
per restaurare il perduto equilibrio spirituale. Per esempio, gli
Indiani Navaho cercano, per mezzo di dipinti sulla sabbia, e a struttura
mandalica, di ricondurre i malati in armonia con se stessi e con il
cosmo - e quindi di far loro recuperare la salute.
Nel mondo della civiltà orientale, tali disegni
valgono a consolidare l'essere interiore, o a consentire la
concentrazione in profonde meditazioni. Si ritiene che la contemplazione
di un mandala determini l'acquisizione della pace interiore, il senso e
la consapevolezza, cioè, che la vita ha ritrovato il suo ordine e il
suo significato. Il mandala determina l'insorgere di questo sentimento
anche quando si manifesta spontaneamente nei sogni degli uomini moderni
che non sono influenzati da tradizioni religiose di questo tipo, e anzi
non ne sanno assolutamente niente. Di più, forse l'efficacia positiva è
ancora maggiore nel loro caso perché la conoscenza e la tradizione, in
un certo senso, possono oscurare, o impedire addirittura, l'esperienza
spontanea.
Ecco l'esempio di un mandala, che si è spontaneamente
presentato nel sogno di una donna di 62 anni. Il sogno costituì il
preludio di una nuova fase nella vita della donna, caratterizzata da un
atteggiamento creativo:
Vedo un paesaggio immenso in una luce opaca. Sullo
sfondo, il crinale di una collina, regolare e costante. Lungo il dorsale
di origine della collina, si muove una lastra quadrangolare, che
splende come oro. In primo piano, una estensione scura di terra
coltivata, prossima a germogliare. A un tratto scorgo una tavola
rotonda, con una pietra massiccia nel mezzo; al contempo la lastra
quadrangolare si posa su essa. Ha lasciato la collina, ma come e quando
abbia mutato la sua posizione, non lo so.
I paesaggi, nei sogni, come del resto nelle
realizzazioni artistiche, simboleggiano spesso un atteggiamento
inesprimibile. In questo sogno, la luce opaca del paesaggio indica che
la pienezza della coscienza, totale durante il giorno, si è offuscata.
La «natura interiore» può incominciare a rivelarsi nella sua vera luce, e
così vediamo che la lastra quadrangolare si manifesta, visibilmente, al
limite dell'orizzonte. Fino a questo momento il simbolo del sé, la
lastra, era stato oggetto di una idea molto vaga e imprecisa, al limite
dell'orizzonte mentale della sognante - ma nel sogno muta posizione, e
diviene il centro del suo paesaggio spirituale. Un seme, gettato chissà
quanto tempo prima, incomincia a fruttare: per un lungo periodo la
sognante aveva seguito con partecipe attenzione i suoi sogni, e ora la
sua fatica viene ricompensata. (Ci viene in mente la relazione fra il
simbolo del «grande uomo» e il mondo vegetale, già precisata più sopra.)
Ora, improvvisamente, la lastra d'oro si muove verso il settore destro,
il settore nel quale le cose emergono al livello della coscienza. Fra
l'altro, la «destra» indica spesso, psicologicamente, il mondo della
coscienza e dell'adattamento, della corrispondenza legittima, laddove la
«sinistra» simboleggia la sfera delle reazioni di adattamento inconsce,
e, talvolta, anche aspetti e atteggiamenti «sinistri» in senso
traslato. Infine, la lastra aurea si ferma, e va a posarsi,
significativamente, su una tavola di pietra, rotonda. Ha così trovato
una base stabile.
Come osserverà Aniela Jaffé nel corso di questo
libro, la rotondità (il motivo mandala) simboleggia in genere una
totalità naturale, mentre una struttura quadrangolare ne rappresenta la
realizzazione a livello della coscienza. Nel sogno, il piano
quadrangolare e la tavola rotonda entrano in contatto, e si rende così
possibile la realizzazione consapevole del centro vitale. La tavola
rotonda, sia detto incidentalmente, è un notissimo simbolo della
totalità, e svolge un ruolo importante nella mitologia - per esempio, la
tavola rotonda di Re Artù, che è, a sua volta, una immagine derivata
dalla tavola dell'Ultima Cena.
In effetti, quando l'uomo si volge seriamente al
proprio mondo interiore, nel tentativo di conoscere se stesso - non
meditando inutilmente sui propri pensieri e sui propri sentimenti
soggettivi, ma seguendo le più genuine manifestazioni della sua natura
oggettiva, quali i sogni, e le fantasie più spontanee - prima o poi il
sé finisce per manifestarsi. L'ego avrà così rinvenuto un potere
interiore, capace di consentire la realizzazione di qualsiasi
possibilità di rinnovamento.
Ma c'è una grossa difficoltà, alla quale finora ho
accennato solo indirettamente. Questa consiste nel fatto che ogni
personificazione dell'inconscio - l'ombra, l'anima, l'animus, il sé -
presentano aspetti sia positivi che negativi. Abbiamo già visto che
l'ombra può avere un carattere malvagio, può incentrarsi in una tendenza
istintiva che si deve vincere; ovvero può costituire un impulso allo
sviluppo, che si deve coltivare e seguire. Parimenti, l'anima e l'animus
hanno un duplice aspetto: essi possono determinare, nella personalità,
la maturazione dello sviluppo vitalizzante, e l'acquisizione di
atteggiamenti creativi, ovvero l'atrofia e la morte psichica. E anche il
sé, l'onnicomprensivo simbolo dell'inconscio, può svolgere un'attività
di duplice carattere, come nel racconto eschimese che abbiamo riportato a
pag. 177 nel quale la «donnetta» si prestava a salvare l'eroina dallo
spirito della luna, ma, in definitiva, la tramutava in ragno.
Il lato negativo del sé è il più pericoloso di tutti,
proprio perché il sé è il depositario del più rilevante potere
psichico. Può far sì che gli uomini si «costruiscano» fantasie
megalomani o altrimenti illusorie, che li avvincono e li «posseggono».
Chi si trova in tale stato ritiene, con crescente senso di orgoglio, di
avere affrontato e risolto i nodi di tutti i grandi problemi cosmici, e
smarrisce ogni contatto con la concreta realtà umana. Un sintomo
attendibile di tale situazione è la perdita del senso dell'umorismo, del
gusto dei rapporti umani.
Così, la comparsa del sé può risultare gravemente
dannosa all'ego consapevole. Questo duplice aspetto del sé viene
stupendamente illustrato in una. vecchia fiaba iraniana, che si intitola
II segreto di Bath Bâdgerd:52
Al grande e nobile principe Hâtim Tâi viene ordinato
dal re di esplorare il misterioso Bath Bâdgerd (il castello che non
esiste). Quando il principe vi si avvicina, dopo aver superato molte e
pericolose avventure, nonostante venga avvertito del fatto che nessuno
ne è mai ritornato, insiste per visitarlo. Egli viene ricevuto, in una
costruzione dalla forma circolare, da un barbiere, che tiene in mano uno
specchio e che lo conduce nel bagno. Ma, non appena il principe entra
nell'acqua. si ode uno spaventoso fragore, piomba la tenebra più fitta,
il barbiere sparisce, e l'acqua incomincia lentamente a salire. Hâtim
nuota disperatamente, finché l'acqua raggiunge il culmine della cupola
rotonda, che costituisce il tetto del bagno. Hâtim, a questo punto,
ritiene di essere ormai perduto; e tuttavia, dopo aver pregato, afferra
la pietra centrale della cupola. Ancora un fragore di tuono, tutto
sparisce, e Hâtim si ritrova, solo, nel deserto.
Dopo aver camminato a lungo, e superato enormi
disagi, giunge a un bel giardino, nel mezzo del quale sono disposte,
circolarmente, delle statue di pietra. Nel centro del cerchio c'è un
pappagallo in gabbia. Una voce proviene dall'alto: «Oh, eroe, non ti
riuscirà mai di scampare vivo di qui. Una volta Gayomart [il primo uomo]
trovò un enorme diamante, che risplendeva più del sole e della luna.
Decise di nasconderlo dove nessuno potesse trovarlo, e costruì questo
bagno magico perché vi fosse custodito. Il pappagallo, che tu vedi, fa
parte dell'incantesimo. Ai suoi piedi giace un arco d'oro, e una freccia
su una catena d'oro, con cui, per tre volte, puoi tentare di colpire il
pappagallo. Se ti riuscirà, il maleficio verrà infranto, altrimenti
sarai trasformato in una statua, come tutti costoro».
Hâtim tenta una prima volta, e fallisce il colpo. Le
gambe gli diventano di pietra. Anche la seconda volta fallisce, e
diviene di pietra fino all'altezza del busto. La terza volta, chiude gli
occhi, gridando «Dio è grande», tira alla cieca e colpisce il
pappagallo. Scoppia un tuono, si sollevano nugoli di polvere. Quando gli
elementi si sono placati, al posto del pappagallo c'è un enorme,
stupendo diamante, mentre le statue hanno ripreso vita. Tutti
ringraziano il principe della loro liberazione.
Il lettore avrà riconosciuto, nel corso del racconto,
i vari simboli del sé - il primo uomo, Gayomart, la costruzione
rotonda, a forma di mandala, la pietra centrale, il diamante. Ma il
diamante è circondato da mille pericoli. Il pappagallo diabolico indica e
simboleggia il cattivo spirito di imitazione, che fa sì che si manchi
il bersaglio, e ci si atrofizzi, da un punto di vista psicologico. Come
ho osservato più sopra, il processo di individuazione non tollera
imitazioni pappagallesche. A più riprese, in tutti i paesi, gli uomini
hanno cercato di copiare e riflettere, in atteggiamenti «esteriori» o
ritualistic!, l'originale esperienza religiosa dei loro grandi maestri -
Cristo, Budda, o altri - e si sono pertanto «pietrificati». Seguire le
orme di un grande maestro spirituale, non significa che si debba copiare
e ricalcare lo schema del processo di individuazione attuatosi nella
sua vita. Significa solo che si deve, con sincerità e devozione pari
alla sua, vivere la nostra vita.
Il barbiere con lo specchio, che a un tratto
scompare, simboleggia il dono-potere della riflessione, che Hâtim
smarrisce quando più vorrebbe disporne; le acque, che improvvisamente
incominciano a crescere, simboleggiano il rischio, che ciascuno di noi
corre, di annegare nell'inconscio, di perdersi nelle proprie emozioni.
Per comprendere le indicazioni simboliche dell'inconscio, bisogna
guardarsi bene dal «porsi» fuori o «accanto» a se stessi; occorre invece
vivere, emozionalmente, dentro a se stessi. In effetti, è di vitale
importanza che l'ego continui a operare normalmente. Solo se si resta un
comune essere umano, consapevole della propria incompletezza, si
potranno recepire i contenuti significanti e i processi dell'inconscio.
Ma come può, l'uomo, reggere alla tensione fra il sentimento della
propria integrazione nell'ambito dell'intero universo, e la sua
persistente natura di creatura terrestre, bassa e miserabile? Se, da un
lato, mi disprezzo in quanto non sono altro che una mera cifra
statistica, la vita si rivela priva di senso, e non vale la pena
viverla.53 Ma se, dall'altro, mi sento una fibra di qualche entità molto
più vasta, come posso evitare di perdermi con la testa fra le nuvole? È
davvero difficile armonizzare questi due «opposti» di carattere intimo,
senza cadere nell'uno o nell'altro estremo.
L'aspetto sociale del sé
Al giorno d'oggi, l'enorme aumento della popolazione,
particolarmente evidente nelle grandi città, produce inevitabilmente un
effetto deprimente. Pensiamo: «Ecco, sono solo uno che vive, nel tal
modo, al tale indirizzo, come migliaia di altre persone. Se alcuni di
noi muoiono, vengono uccisi, che differenza c'è? Ci sarà sempre troppa
gente, in ogni caso». E quando si legge, sui giornali, della morte di
innumerevoli sconosciuti, che personalmente non significano niente per
noi, si intensifica ancor più il sentimento che la nostra vita non ha
alcun valore. Ecco il momento in cui può essere estremamente utile
prestare ascolto alle indicazioni dell'inconscio; i sogni, infatti,
rivelano al sognante come ogni particolare della sua vita sia collegato
strettamente con le più significative realtà.
Ciò che sappiamo solo teoricamente - e cioè, il fatto
che tutto dipende dall'individuo - acquista, nei sogni, una evidenza
palpabile, che ciascuno può sperimentare direttamente.
Talvolta avvertiamo, con speciale intensità, che il
«grande uomo» pretende qualche cosa da noi, e che ci ha assegnato dei
compiti peculiarissimi. La nostra reazione a questa esperienza ci può
aiutare a risalire la corrente dei pregiudizi collettivi, quando si
prenda seriamente in considerazione la nostra psiche.
Naturalmente, non si tratta sempre di un compito
semplice, o piacevole. Per esempio, potete aver stabilito di fare una
gita con gli amici a fine settimana; un sogno ve lo interdice, e
pretende che svolgiate qualche attività creativa. Se date ascolto al
suggerimento dell'inconscio, e lo seguite, dovrete aspettarvi una
continua interferenza nei vostri piani e propositi consapevoli. La
vostra volontà verrà contrastata da altre intenzioni - intenzioni che
dovrete seguire, o quanto meno considerare con estrema serietà. Questo
vale, almeno in parte, a spiegare perché il senso di dovere, che
inerisce inscindibilmente al processo di individuazione, viene più
spesso avvertito come un ostacolo ingombrante che come un impulso
benefico.
San Cristoforo, il santo patrono di tutti i
viaggiatori, è il simbolo che meglio esprime questa esperienza. Secondo
la leggenda, egli era arrogantemente orgoglioso della sua tremenda forza
fisica, e voleva servire solo chi fosse più forte di lui. Dapprima,
lavorò al servizio di un re; ma quando si accorse che il re aveva timore
del diavolo lo abbandonò per trasferirsi al servizio di questo. Ma,
quando si rese conto che il diavolo aveva terrore del crocifisso, decise
che avrebbe servito Cristo, se mai fosse riuscito a trovarlo.
Cristoforo seguì il consiglio di un prete, che gli suggerì di aspettare
Cristo nei pressi di un guado. Negli anni seguenti trasportò moltissime
persone attraverso il fiume. Ma una volta, in una notte oscura e
tempestosa, sentì la voce di un fanciullo, che lo chiamava, perché
voleva essere portato di là dal fiume. Con estrema facilità, san
Cristoforo sollevò il fanciullo sulle spalle, ma si accorse con grande
stupore di procedere sempre più lentamente a ogni passo, perché il peso
diveniva, a ogni momento, più grave. Quando arrivò in mezzo alla
corrente, ebbe come la sensazione di «portare sulle spalle tutto
l'universo». Si rese così conto di aver preso su di sé Cristo - e Cristo
lo premiò rimettendo i suoi peccati e concedendogli la vita eterna.
Il fanciullo miracoloso è un evidente simbolo del sé,
che letteralmente «opprime» il comune essere umano, anche se è la sola
realtà che possa riscattarlo. In molte opere d'arte, Cristo fanciullo è
raffigurato insieme con la sfera terrestre, un motivo che indica
chiaramente il sé, perché il fanciullo e la sfera sono simboli
universali délia totalità.
Quando l'uomo cerchi di seguire i suggerimenti
dell'inconscio, si renderà conto, come abbiamo già detto, di non poter
fare quello che vuole. Ma, altrettanto spesso, egli sarà incapace di
fare quello che gli altri pretendono che egli faccia. Accade sovente,
per esempio, che egli debba abbandonare il suo gruppo - la sua famiglia,
i suoi compagni, tutti i suoi rapporti personali - al fine di ritrovare
se stesso. Ecco perché si è talvolta detto che seguire l'inconscio vuol
dire assumere un carattere egocentrico e antisociale. Questo, di
regola, non è vero, perché, nell'atteggiamento di chi presta attenzione
all'inconscio, assume particolare rilevanza un fattore poco conosciuto:
l'aspetto collettivo (o, come si potrebbe dire, sociale) del sé.
Da un punto di vista pratico diremo che questo
fattore si esprime nella circostanza che chi segue per un considerevole
periodo di tempo i propri sogni trova che questi riguardano spesso i
suoi rapporti con gli altri. Il soggetto può essere diffidato dai suoi
sogni nei confronti di una certa persona: non riponga in essa la sua
fiducia! O può sognare di un incontro piacevole e utile con un tale che
egli, precedentemente, non ha mai osservato e individuato in modo
consapevole. Se il sogno non ci presenta, secondo questi schemi,
l'immagine di un'altra persona, ci sono due possibili interpretazioni.
La prima, secondo cui la raffigurazione sognata può essere una
proiezione; in altri termini, l'immagine onirica del soggetto può essere
il simbolo di un atteggiamento interiore dello stesso sognante. Si
sogna, ad esempio, di un vicino disonesto, ma questi non è che un
simbolo di cui l'inconscio si serve per indicare la nostra disonestà. In
tal caso, è compito specifico dell'interprete individuare in quali
limiti è la disonestà del soggetto stesso che viene presa in
considerazione. (Si parla, a questo riguardo, di interpretazione dei
sogni a livello soggettivo.)54
Ma può anche essere che i sogni ci parlino davvero
degli altri. In questo modo, l'inconscio svolge un ruolo che siamo
ancora ben lungi dall'avere pienamente compreso. Come capita al livello
delle forme superiori, anche l'uomo è in contatto, in notevole misura,
con gli esseri viventi che lo circondano. Egli ne avverte le sofferenze e
i problemi, gli aspetti e le caratteristiche di ordine sia positivo che
negativo, istintivamente - in modo del tutto indipendente da ciò che
egli, consapevolmente, ne pensa.55
La nostra vita onirica ci consente, per così dire, di
gettare un'occhiata su queste percezioni subliminali, e ci dimostra che
esse hanno un'indubbia efficacia sulla nostra personalità. Se si sogna
«bene» di qualcuno, anche senza interpretare il sogno inevitabilmente
accade che si consideri quella persona con maggiore interesse.
L'immagine onirica può averci tratto in inganno: si trattava solo di
proiezioni di aspetti soggettivi; ma può anche averci dato
«informazioni» di carattere oggettivo. Per individuare l'interpretazione
esatta, occorre un atteggiamento mentale attento e solerte. Ma, come
accade sempre quando si tratti di processi interiori, in definitiva è
sempre il sé che ordina e dispone i nostri rapporti umani, finché l'ego
consapevole si assume il compito di individuarle, e di ridurle e
considerarle all'interno, e non all'esterno della personalità. È in tal
modo che si incontrano coloro che hanno una particolare affinità
spirituale, o identità di tendenze, e ne risulta un gruppo che si
differenzia da tutte le comuni congregazioni sociali. Non che questo
gruppo si ponga in conflitto con gli altri; soltanto, ne differisce
integralmente, è indipendente da essi. Il processo di individuazione,
consapevolmente realizzato, modifica dunque, in tal modo, anche
l'ordinaria sfera di rapporti umani del soggetto. I legami familiari,
come la parentela o gli interessi comuni, sono sostituiti da un diverso
tipo di unità - il legame tramite il sé.
Tutte le attività e le incombenze che appartengono
esclusivamente al mondo esteriore sono decisamente dannose alle segrete
attività dell'inconscio. In virtù di questi arcani collegamenti, coloro
che tendono l'uno verso l'altro finiscono per incontrarsi. È per questo
che i vari tentativi di influenzare gli uomini, sia con consigli che con
la propaganda politica, anche quando siano ispirati da motivi ideali,
si rivelano sempre pericolosi.
A questo punto sorge un problema importante: la parte
inconscia della psiche umana può essere in qualche modo influenzata?
Esperienze pratiche e osservazioni accurate dimostrano che non si
possono influenzare i propri sogni. Ci sono alcuni soggetti, è vero, che
asseriscono di poterlo fare. Ma, se si esamina il materiale onirico di
costoro, ci si rende conto che essi si comportano come talvolta noi con
il nostro cane: gli si ordina di fare quello che si sa bene che esso
farebbe comunque, in modo da salvaguardare la nostra illusione di
autorità. Solo quando si siano a lungo interpretati i propri sogni, e se
ne abbia coscienziosamente esaminato il significato, può accadere che
il nostro inconscio venga gradualmente modificato. E, in questo processo
di modificazione, vengono necessariamente coinvolti anche i nostri
atteggiamenti consapevoli.
Se chi vuole influenzare l'opinione pubblica opera
con un uso improprio di simboli, questi saranno efficaci sulle masse nei
limiti in cui sono veri, ma se l'inconscio della massa possa essere, o
meno, emozionalmente affetto da essi, è un problema che non può essere
né impostato né risolto in anticipo, un'incognita del tutto irrazionale.
Nessun editore di musica per esempio, può sapere in anticipo se una
canzone avrà successo o no, anche se questa si basa su parole o melodie
popolari. Nessun deliberato tentativo di influenzare l'inconscio ha
avuto esito positivo, e sembra che l'inconscio della massa conservi la
sua autonomia, proprio come l'inconscio individuale.56
Talvolta, per esprimere le sue intenzioni,
l'inconscio può far uso di un motivo di derivazione esterna; sembra,
così, che ne sia influenzato. Per esempio, io ho esaminato molti sogni
connessi in un modo o in un altro con Berlino. In questi sogni Berlino è
il simbolo del settore psichico debole o malato - il punto focale del
pericolo - e, per questo, il punto in cui è verosimile che il sé finisca
per manifestarsi. È il punto in cui la personalità del sognante è
lacerata e scissa da un conflitto interiore, il punto, pertanto, in cui
egli potrà riuscire a comporre gli aspetti contrari della sua psiche. Ho
anche avuto a che fare con un numero straordinario di reazioni oniriche
al film Hiroshima mon amour. Nella maggior parte di questi sogni veniva
espressa l'idea che i due amanti del film dovessero unirsi (e questo
simboleggia l'unione degli opposti psichici), altrimenti si sarebbe
verificata un'esplosione atomica (simbolo, questo, della dissociazione
completa, equivalente alla follia).
Solo quando i manipolatori dell'opinione pubblica
confortano la loro attività con l'ausilio di pressioni di ordine
commerciale, o di atti di violenza, sembrano conseguire un successo
temporaneo. Ma, in realtà, ciò vale solo a determinare una rimozione
delle genuine reazioni inconsce. E la rimozione di massa conduce allo
stesso risultato della rimozione individuale: vale a dire, alla
dissociazione nevrotica e alla malattia psichica. Simili tentativi di
rimuovere le reazioni dell'inconscio sono destinati, in prospettiva, al
fallimento, perché contrastano radicalmente con i nostri istinti.
Sappiamo, dall'esame del comportamento sociale degli
animali superiori, che i piccoli gruppi (composti, approssimativamente,
da un numero di individui che varia dalle 10 alle 50 unità), consentono
le migliori condizioni di vita così per il singolo animale come per
l'intero gruppo, e sembra che l'uomo non faccia eccezione sotto questo
riguardo. Il suo benessere fisico, la sua salute psichica, la sua
efficienza culturale, fioriscono in simili formazioni sociali. Nei
limiti nei quali possiamo attualmente comprendere il processo di
individuazione, il sé tende manifestamente a determinare la costituzione
di tali piccoli gruppi, creando al contempo precisi punti di contatto
fra i sentimenti e gli atteggiamenti di certi individui, e un senso di
connessione fra questi e tutti gli altri soggetti. Solo se questi
rapporti sono determinati dal sé, si può essere certi che l'invidia, la
gelosia, i conflitti, e ogni sorta di proiezione negativa non potranno
valere a infrangere l'unità del gruppo. Così, la devozione
incondizionata al proprio processo di individuazione determina la forma
migliore di adattamento sociale.
Ciò non significa, come è naturale, che non debbano
verificarsi contrasti di opinioni, di obblighi discordanti, o disaccordi
sulla via «giusta» da seguire; in tal caso, si dovrà sempre volgersi ad
ascoltare la propria voce interna, per appurare quale sia la posizione
individuale che il sé ci indica.
Incompatibili con l'individuazione sembrano talvolta
certi fanatici atteggiamenti politici (mai, però, l'adempimento di
doveri essenziali). Un uomo, che si era dedicato interamente alla
liberazione del proprio paese dalla occupazione straniera, ebbe questo
sogno:
Insieme con certi compatrioti, salgo su per le scale
fino all'attico di un museo, verso una sala dipinta di nero, che
assomiglia alla cabina di una nave. Una distinta signora di mezza età ci
apre la porta; si chiama X, ed è figlia di X. [X era un famoso eroe
nazionale della patria del sognante, e aveva cercato, qualche secolo
prima, di liberare il paese. Potrebbe essere paragonato a Giovanna
d'Arco, o a Guglielmo Teli. In realtà, X non ebbe figli.) Nella sala
scorgiamo i ritratti di due aristocratiche signore, che indossano
vestiti di broccato, a fiorami. Mentre la signora X ci ragguaglia sui
ritratti, questi, all'improvviso, prendono vita; prima si muovono gli
occhi, poi è il corpo che sembra sollevarsi come nel respiro. Gli uomini
sono disorientati, e si dirigono verso la sala di lettura, dove la
signora X spiegherà il fenomeno. Essa dice che è tramite le sue
intuizioni e i suoi sentimenti che i ritratti hanno acquistato la vita;
ma alcuni degli uomini si indignano, e dicono che la signora X è
certamente pazza; certi abbandonano addirittura la sala di lettura.
L'aspetto importante di questo sogno consiste nel
fatto che la raffigurazione dell'«anima», la signora X, è interamente
una creazione onirica. Essa porta, tuttavia, il nome di un famoso eroe
nazionale (come se fosse, tanto per comprenderci, Gugiielmina Teli, la
figlia di Guglielmo Teli). Tramite le implicazioni espresse da questo
nome, l'inconscio sottolinea il fatto che il sognante non dovrebbe più
cercare, come fece X ai suoi tempi, di liberare il paese seguendo
procedimenti di carattere esteriore. Ora, dice il sogno, la liberazione è
compiuta dall'«anima» (la psiche del sognante), che la realizza
destando alla vita le immagini dell'inconscio.
Il fatto che la sala nell'attico del museo assomigli
alla cabina di una nave, e sia dipinta di nero, è altamente
significativo. Il colore nero richiama l'oscurità, la notte, il
ripiegamento sulla propria interiorità, e se la sala sembra una cabina,
il museo deve in un certo senso essere una nave. Ciò suggerisce l'idea
che quando la terraferma della coscienza collettiva venga sommersa
dall'incoscienza e dalla barbarie, questa nave-museo, ricca di immagini
viventi, può trasformarsi in un'arca di salvezza, che trasporterà in un
altro continente spirituale coloro che vi salgono. I ritratti esposti
nei musei sono, di solito, morti residui del passato, e tali si
considerano spesso le immagini dell'inconscio, finché si scopre che esse
sono vive e significanti. Quando l'anima (che si manifesta in questo
sogno nel suo ruolo positivo di guida spirituale) fa oggetto tali
immagini della sua intuizione e del suo sentimento, quelle incominciano a
vivere.
Gli uomini indignati del sogno rappresentano quella
parte della psiche del sognante influenzata dall'opinione della
collettività - una entità o un atteggiamento interiore che rifiuta
l'emersione alla vita delle immagini psichiche, e ne diffida. Essi
personificano la resistenza dell'inconscio, che potrebbe esprimersi con
questa frase: «Ma cosa direte se essi ci sganceranno addosso delle bombe
atomiche? Ci sarà forse di aiuto l'analisi psicologica?»
Questa parte della psiche che oppone resistenza è
incapace di liberarsi dalle considerazioni statistiche e dai pregiudizi
razionali estrovertiti. Il sogno, comunque, ci fa comprendere che al
giorno d'oggi, qualsiasi effettiva liberazione non può che originare da
una trasformazione di ordine psicologico. A qual fine si libererebbe il
proprio paese, se, dopo, non sussistesse una significante meta vitale -
una meta per raggiungere la quale vale la pena di essere liberi? Se
l'uomo non riesce a trovare alcun significato nella propria vita, poco
importa che passi il suo tempo sotto un regime comunista o sotto un
regime capitalista. Solo se egli può usare della propria libertà per
creare qualche atteggiamento significante, assume rilevanza il fatto che
egli sia o non sia libero.57 Questa è la ragione per cui reperire il
profondo significato della vita è il più importante compito umano per
cui al processo di individuazione deve concedersi una assoluta priorità.
I tentativi di influenzare l'opinione pubblica per
mezzo di giornali, radio, televisione, pubblicità, sono basati su due
fattori. Da una parte, essi si fondano su tecniche di tipo statistico,
che rivelano la tendenza della «opinione» o dei «desideri» della massa -
cioè, degli atteggiamenti collettivi. Dall'altra, essi esprimono
pregiudizi, proiezioni e complessi inconsci (soprattutto il complesso
del potere) dei manipolatori dell'opinione pubblica. Ma la statistica
non rende giustizia all'individuo. Sebbene l'altezza media delle pietre
contenute in un mucchio sia di cinque centimetri, solo poche pietre
avranno esattamente quella altezza.
Che il secondo fattore non possa determinare niente
di positivo, è chiaro fin dall'inizio. Ma se un singolo individuo si
vota con devozione alla propria individuazione, costui eserciterà
ripetutamente una positiva efficacia sulla gente che lo circonda. È come
se una scintilla scoccasse dall'uno all'altro. E ciò si verifica, per
lo più, quando non si abbia alcuna intenzione di influenzare gli altri, e
senza l'uso di parole. È proprio su questa strada interiore che la
signora X cercava di indirizzare il sognante.
Quasi tutti i sistemi religiosi della terra
contengono immagini che simboleggiano il processo di individuazione, o
quanto meno ne simboleggiano certi stadi.58 Nei paesi cristiani, il sé è
proiettato, come già si è visto, nella figura del secondo Adamo:
Cristo. In Oriente, le figure rilevanti sono quelle di Krishna e di
Budda.
Per coloro che seguono una determinata religione
(vale a dire, ne credono effettivamente gli insegnamenti e i dogmi),
l'ordinamento psicologico della vita si attua tramite i simboli
religiosi, e anche i loro sogni si mantengono spesso entro un tale
ambito. Quando il defunto papa Pio xn proclamò il dogma dell'Assunzione
di Maria, una donna cattolica sognò, e ciò valga ad esempio, di essere
una sacerdotessa cattolica. Nel suo inconscio il dogma trovava una
estensione in questo senso: «Se Maria è ora una dea, essa dovrà bene
avere delle sacerdotesse». Un'altra donna cattolica, che aveva avvertito
una certa ripugnanza per alcuni aspetti secondari ed esteriori del suo
credo, sognò che la chiesa della sua città natale era stata abbattuta e
ricostruita, ma che il tabernacolo contenente l'ostia consacrata e la
statua della Vergine Maria doveva ancora essere trasportato dalla
vecchia alla nuova chiesa. Il sogno le fece comprendere che alcuni
aspetti antropomorfici della sua religione necessitavano di una
revisione, ma che i simboli fondamentali di essa - Dio divenuto Uomo, e
la Gran Madre, la Vergine Maria - sarebbero sopravvissuti a quella
revisione.
Tali sogni dimostrano l'interesse che l'inconscio
ripone nelle rappresentazioni religiose di qualsiasi individuo. A questo
punto sorge il problema se sia possibile individuare una tendenza
generale comune ai sogni di carattere religioso degli uomini moderni.59
Nelle manifestazioni dell'inconscio nella moderna cultura cristiana -
protestante o cattolica - il dottor Jung ha spesso osservato che opera
una tendenza inconscia diretta a integrare la nostra formula trinitaria
della divinità con un quarto elemento, che presumibilmente avrebbe
carattere femminile, e una natura ambigua, o addirittura maligna.60 In
realtà, questo quarto elemento ha sempre avuto esistenza nell'ambito
delle nostre rappresentazioni religiose, ma separatamente dalla immagine
di Dio, fino a divenirne l'antagonista, sotto la forma del principio
della materia (o del signore della materia, cioè il diavolo). Ora,
sembra che l'inconscio voglia riunire questi estremi, perché la luce è
divenuta troppo vivida, e l'oscurità troppo fonda. Naturalmente, è il
simbolo centrale della religione, l'immagine della divinità, che risulta
più esposto alle tendenze inconsce alla trasformazione.
Un monaco tibetano riferì una volta al dottor Jung
che i più significativi mandala tibetani sono elaborati dalla
immaginazione, o dalla fantasia diretta, quante volte sia turbato
l'equilibrio psichico del gruppo, o un determinato pensiero non possa
venire espresso, perché non è ancora compreso nel contenuto della
dottrina sacra, ed è quindi ancora oggetto di ricerca e di esame. In
queste osservazioni si rilevano due aspetti ugualmente importanti del
simbolismo del mandala. 11 mandala opera a fine di conservazione —
esattamente, al fine di restaurare un ordinamento precedentemente in
vigore. Ma esso persegue anche la finalità creativa di dare espressione e
forma a qualche cosa che tuttora non esiste, a qualche cosa di nuovo e
di unico. II secondo aspetto è ancora più importante del primo, ma non
lo contraddice. Perché, nella maggior parte dei casi, ciò che vale a
restaurare il vecchio ordine, comporta simultaneamente qualche nuovo
elemento creativo. Nel nuovo ordine viene sussunto, a più alto livello,
il vecchio schema. Il processo è quello della spirale ascendente, che si
sviluppa verso l'alto, mentre - al contempo - ritorna sempre allo
stesso punto.
Il disegno di una semplice donna, educata in
ambiente protestante, ci mostra il mandala nella forma di una spirale.
In sogno quella donna ricevette l'ordine di disegnare la divinità.
Questa le fu successivamente mostrata (sempre in sogno) riprodotta in un
libro. Veramente, di Dio ella riuscì a scorgere solo il manto
ondeggiante, i cui panneggi determinavano uno stupendo effetto di luce e
di ombra. Ciò contrastava vivamente con la stabilità della spirale nel
profondo cielo azzurro. Affascinata dal manto e dalla spirale, la
sognante non prestò molta attenzione a una terza figura situata sulle
rocce. Quando si svegliò, e si pose a riflettere, chiedendosi a chi
corrispondessero quelle figure divine, comprese improvvisamente che si
trattava dello «stesso Dio». Questo fatto le procurò un terribile shock,
di cui risentì gli effetti per molto tempo.
Di solito lo Spirito Santo è rappresentato nell'arte
cristiana come una colomba, o come un anello di fuoco, ma in questo
sogno, esso si manifestò come una spirale. Si tratta di una nuova idea,
«non ancora recepita nella dottrina», sorta spontaneamente
dall'inconscio. Che lo Spirito Santo sia la forza che determina ogni
sviluppo della nostra mentalità religiosa non è un'idea nuova,
naturalmente, ma è nuova la raffigurazione simbolica di esso in forma di
spirale.
La stessa donna fece in seguito un altro disegno,
ancora ispirato a un sogno, in cui la sognante, insieme con il suo
animus positivo, veniva raffigurata davanti a Gerusalemme, nel momento
in cui l'ala di Satana si abbassa a oscurare la città. L'ala di Satana
le richiamò fortemente alla memoria il manto di Dio nel primo sogno, ma
in questo la spettatrice veniva sollevata in alto, nel cielo, e scorgeva
davanti a sé una terrificante scissione fra le rocce. I movimenti del
mantello di Dio sono un tentativo per raggiungere Cristo, la figura
situata sulla destra; ma il tentativo non riesce.'Nel secondo sogno, la
stessa scena è vista dal basso, dal punto di vista umano. Se si guarda
da un livello di eccezionale altezza, si identificano quei movimenti con
una parte di Dio; al di sopra di essi, si innalza la spirale, simbolo
di possibili sviluppi ulteriori. Ma se si guarda dal fondo della nostra
realtà umana, la stessa cosa, che si muove nell'aria, è niente altro che
l'oscura, terribile ala del demonio.
Queste due immagini si «verificarono», per dir così,
nella vita della sognante, in un modo sul quale qui non ci interessa
insistere, ma è ovvio che esse contengono un significato collettivo che
trascende quello individuale. Esse possono suggerire l'idea di una
discesa della tenebra divina sul mondo cristiano, una oscurità,
tuttavia, che non chiude la porta a un processo evolutivo. Dal momento
che l'asse della spirale non si muoveva verso l'alto, ma nello sfondo
dell'immagine, si deduce che l'evoluzione non determinerà l'ascesa a
sublimi altezze spirituali, né la rovina nel regno della materia, ma il
trasferimento in un'altra dimensione, probabilmente, appunto, nel mondo
in cui si muovono quelle divine figure. E ciò significa nel mondo
dell'inconscio.
Quando dall'inconscio di un soggetto emergono
simboli religiosi che sono, anche in parte, diversi da quelli che ci
sono noti, si teme, in genere, che ciò possa tornare di danno ai simboli
e alla simbologia ufficialmente riconosciuti da una data religione.
Anzi, questo timore fa sì che molti respingano la psicologia analitica e
l'intero mondo dell'inconscio.
Osservando questa resistenza da un punto di vista
esclusivamente psicologico, posso affermare che, nei confronti del
fenomeno religioso, gli esseri umani si dividono in tre categorie. La
prima, è composta da coloro che davvero credono ai dogmi della loro
fede, quali che essi siano. Per costoro simboli o dogmi corrispondono
con tanta esattezza a quello che essi avvertono nella loro intimità, che
non c'è pericolo che essi vengano mai assaliti da dubbi profondi.
Questo si verifica solo quando le opinioni consapevoli e i moti del
retroterra inconscio convivono in modo relativamente armonioso. Chi
rientra in questa prima categoria può considerare le nuove scoperte
psicologiche senza pregiudizi, e senza alcun timore di perdere la
propria fede. Anche se i sogni dovessero determinare l'emersione di
qualche particolare non ortodosso, questo verrebbe immediatamente
integrato e assorbito nell'ortodossia della concezione di base.
La seconda categoria è costituita da coloro che
hanno completamente smarrito la fede, e l'hanno sostituita con sistemi
di idee puramente consapevoli e razionali. Per questi uomini, la
psicologia del profondo non è niente altro che l'introduzione a un nuovo
capitolo della conoscenza umana, che riguarda la scoperta di settori
psichici di recente individuazione; costoro non dovrebbero dunque
trovarsi per niente imbarazzati a imbarcarsi per una nuova avventura
conoscitiva, a esaminare i loro sogni e a saggiarne la verità.
C'è infine un terzo gruppo di uomini, i quali in
parte non credono più nelle loro tradizioni religiose (e un simile
atteggiamento ha natura probabilmente mentale, riflessa), in parte,
invece, vi credono tuttora. Ad esempio di questa categoria di uomini
potremmo ricordare il filosofo francese Voltaire. Egli attaccò
violentemente la Chiesa Cattolica con argomenti di ordine razionale
(écrasez l'infâme), ma sul letto di morte, secondo quanto si riferisce,
accettò l'estrema unzione. Sia vero o falso questo particolare, è certo
che la sua mentalità era assolutamente irreligiosa, mentre il suo mondo
sentimentale ed emozionale conservava una certa aderenza all'ortodossia.
Uomini del genere ci fanno venire in mente la gente che resta stretta e
imprigionata fra le portiere automatiche degli autobus; che non può né
liberarsi scendendo a terra, né entrare completamente dentro il veicolo.
Naturalmente, i sogni di costoro potrebbero aiutarli a uscire dal loro
dilemma, ma in genere essi si trovano imbarazzati a rivolgersi verso le
profondità dell'inconscio, perché, in effetti, non sanno bene quello che
pensano e quello che vogliono. Per affrontare seriamente l'inconscio
occorre una forte dose di coraggio e di integrità personale.
L'intricata situazione di coloro che restano
prigionieri nella terra di nessuno situata fra queste due condizioni
mentali è in parte determinata dalla circostanza che tutte le dottrine
religiose ufficiali appartengono effettivamente al mondo della coscienza
collettiva (ciò che Freud chiamava il super-ego); ma originariamente,
nell'antichità, nacquero dall'inconscio. Ecco un punto che molti storici
della religione e molti teologi contestano. Essi preferiscono supporre
che l'origine di quelle dottrine vada ricercata nella «rivelazione». Ho
compiuto, nel corso di vari anni, numerosi tentativi di trovare una
prova per l'ipotesi jungiana su questo problema; ma essa si è rivelata
di difficile reperibilità, perché la maggior parte dei riti sono tanto
antichi che è impossibile rintracciarne le origini.
Il seguente caso, tuttavia, mi sembra che possa
offrirci, quanto meno, una importante indicazione: i Black Elk [Alce
Nero], medico-stregone della tribù dei Sioux Oglala, morto poco tempo
fa, ci racconta, nella sua autobiografia intitolata Alce Nero parla,
che, all'età di nove anni, si ammalò gravemente, e, durante lo stato di
coma, ebbe una terrificante visione. Egli scorse quattro gruppi di
stupendi cavalli provenire dai quattro angoli del mondo e, seduti su una
nube, i sei Grandi Padri, gli spiriti ancestrali della sua tribù, «i
progenitori dell'intero mondo». Essi gli dettero sei simboli
taumaturgici per la sua gente, e gli indicarono nuove possibilità
vitali. Ma il ragazzo, all'età di sedici anni, divenne improvvisamente
affetto da una terribile fobia, che si manifestava, durante i temporali,
nell'imminenza dei tuoni, perché egli udiva «gli abitanti del tuono»
che lo chiamavano, e gli dicevano «di far presto». Questo fenomeno gli
fece venire in mente il fragore di tuono prodotto dal galoppo dei
cavalli comparsi nella sua visione. Un vecchio stregone gli spiegò che
il suo terrore derivava dal fatto che egli si era tenuto per sé la sua
visione, e gli consigliò di riferirla alla sua tribù. Così egli fece, e
in seguito la sua visione fu «oggettivata» in un procedimento rituale,
nel corso del quale vennero usati veri cavalli. Non solo lo stesso Black
Elk, ma anche molti altri membri della sua tribù si sentirono meglio
dopo aver partecipato a questo rito. Alcuni furono anche guariti dalle
loro malattie. Black Elk dice: «Anche i cavalli sembravano più sani e
più felici dopo la loro danza».61
Il rito non venne ripetuto, perché, poco tempo dopo,
la tribù fu sterminata. Ma ecco un caso in cui un rito tuttora
persiste. Diverse tribù eschimesi, che vivono in Alaska, nei pressi del
Colville River, spiegano in questo modo l'origine della loro festa
dell'aquila: 62
Un giovane cacciatore uccise un'aquila dalle
proporzioni eccezionali, e restò tanto colpito dalla bellezza del rapace
che lo impagliò, e ne fece un feticcio, sacrificando in suo onore. Un
giorno che il giovane si era spinto molto nell'interno, durante la
caccia, gli apparvero due uomini-animali, che lo guidarono nel paese
delle aquile. Qui egli udì un rumore confuso, come di tamburo, e i due
messi gli spiegarono che si trattava del battito del cuore della madre
di quell'aquila che egli aveva abbattuto. Quindi al cacciatore apparve
lo spirito dell'aquila, sotto la forma di una donna vestita di nero.
Questa gli chiese di promuovere, fra la sua gente, una festa
dell'aquila, in onore del figlio ucciso. Dopo che le aquile gli ebbero
spiegato come avrebbe dovuto svolgersi questa festa, il giovane si
ritrovò, esausto, nello stesso luogo in cui gli si erano fatti incontro i
due messi. Tornando a casa, insegnò alla sua gente come avrebbe dovuto
essere celebrata la festa dell'aquila - che, da allora, si è sempre
svolta secondo quelle stesse indicazioni.
Da questi esempi risulta chiaramente che un rito o
un cerimoniale religioso può originare direttamente da una rivelazione
inconscia sperimentata da un singolo individuo. Dopo una simile origine,
sono i vari gruppi culturali che determinano lo sviluppo delle attività
religiose per mezzo della enorme influenza che essi esercitano
sull'intera vita della società. Nel corso di un lungo processo
evolutivo, il materiale originario viene strutturato e plasmato secondo
varie formule e attività rituali, è raffinato, acquista sempre più una
forma definita." Il processo di oggettivazione, tuttavia, presenta un
grosso inconveniente. Moltissimi sono infatti coloro che non sanno
niente della originaria esperienza, e si limitano a credere a quello che
hanno imparato, al riguardo, da parenti o maestri. Essi non hanno
alcuna consapevolezza dei fondamenti reali del rito, e ancora meno
conoscono gli effetti di quell'esperienza.
Nelle loro forme attuali, elaborate ed
eccessivamente antiquate, tali tradizioni religiose spesso ostacolano
gli impulsi inconsci allo sviluppo e alle modificazioni creative. I
teologi, talvolta, arrivano perfino a difendere questi «veri» simboli
religiosi, e le dottrine simboliche, contro la scoperta di una funzione
religiosa della psiche inconscia, dimenticando che i valori per cui essi
combattono devono la loro esistenza a quella stessa funzione. Senza una
psiche umana che ricevesse l'ispirazione divina, e l'esprimesse in
parole, o le desse una forma artistica, nessun simbolo religioso avrebbe
mai potuto emergere al livello della nostra realtà umana. (Basti
pensare ai profeti e agli evangelisti.)
A chi obbietti che esiste una realtà religiosa in
sé, indipendentemente dalla psiche umana, posso rispondere solo ponendo,
a mia volta, questa domanda: «Ma chi afferma ciò, se non una psiche
umana?» Non importa quello che si afferma: resta il fatto che è
impossibile prescindere dall'esistenza della psiche - perché, in
effetti, siamo compresi in essa, ed essa è il solo mezzo tramite il
quale possiamo sperare di afferrare la realtà.
Così, la moderna scoperta dell'inconscio chiude, e
per sempre, una porta. Essa vale infatti a confutare l'idea illusoria,
così cara a certuni, che l'uomo possa conoscere la realtà spirituale in
sé. Anche nella fisica moderna una porta è stata definitivamente chiusa
dal «principio di indeterminazione» di Heisenberg, che esclude la
possibilità di una conoscenza della realtà fisica in sé.64 La scoperta
dell'inconscio, comunque, compensa la perdita di queste care illusioni
aprendoci davanti un immenso e inesplorato campo di realizzazioni, in
direzione del quale l'oggettività dell'indagine scientifica si
compenetra stranamente con la personale ricerca etica.
Ma, come del resto ho già detto, è praticamente
impossibile rendere conto dell'intera realtà dell'esperienza che si può
realizzare in questo nuovo campo. Gran parte di essa ha carattere di
irripetibilità, e può venire espressa solo parzialmente per mezzo del
linguaggio. Ecco, ancora, un'altra porta chiusa: questa volta, nei
confronti dell'illusione che sia possibile comprendere integralmente un
soggetto, e consigliargli quello che deve e quello che non deve fare.
Ma, di nuovo, la perdita di tale illusione è compensata, in questo nuovo
territorio sperimentale, dalla scoperta della funzione sociale del sé,
che opera misteriosamente per fare incontrare quegli individui che,
arcanamente, tendono l'uno verso l'altro.
Così, le divagazioni intellettuali sono sostituite
dal concreto verificarsi di avvenimenti reali nel mondo della psiche. In
tal modo, affrontare seriamente il processo di individuazione secondo
gli schemi che abbiamo tracciato, significa, per l'individuo, assumere
un atteggiamento completamente diverso nei confronti della propria vita.
Per gli scienziati, significa anche un nuovo e diverso metodo per
affrontare i fatti del mondo esteriore. Le conseguenze di questo
fenomeno nel campo della conoscenza umana e della vita sociale, non
possono certo venire attualmente previste. Ma, in quanto a me, mi sembra
certo che la scoperta jungiana del processo di individuazione
costituisce un fatto del quale le generazioni future dovranno tenere il
debito conto, se vorranno evitare un generale ristagnamento, o
addirittura il pericolo di un regresso.
Note:
1 Un esame approfondito degli schemi labirintici
dei sogni è contenuto in Jung, Collected Works, voi. xu, parte I. Si
veda anche Gerhard Adler, Studies in Analytical Psychology, London,
1948.
2 Per la nozione jungiana del Sé, si vedano
Collected Works, vol. tx, parte H, pagg. 5 e segg., 23 e segg.; e voi.
xu, pagg. 18 e segg., 41 e segg., 174, 193.
3 Dei Naskapi parla Franck G. Speck in Naskapi:
The Savage Hunter of the Labrador Peninsula. University of Oklahoma
Press, 1935.
4 11 concetto della globalità psichica è espresso
in Jung, Collected Works, voi. xiv, pag. 117, e voi. ix, parte il, pagg.
6, 190. Si veda anche Collected Works, voi. ix, parte i, pagg. 275 e
segg., e pagg. 290 e segg.
5 II racconto della quercia è tradotto da Richard
Wilhelm. Dschuang- Dsi; Das wahre Buch vom südlichen Blütenland, Jena,
1923, pagg. 33-34.
6 Jung parla dell'albero come simbolo del processo
di individuazione in Der philosophische Baum, in Von der Wurzeln des
Bewusstseins, Zürich, 1954.
7 II «dio locale» al quale si sacrificava
sull'altare campestre di pietra corrisponde, per molti aspetti,
all'antico genius loci. Si veda Henri Maspéro, La Chine antique, Paris,
1955, pagg. 140 e segg. (Questa citazione è dovuta alla gentilezza di
Miss Ariane Rump.)
8 Jung sottolinea la difficoltà di descrivere il
processo d'individuazione in Collected Works, voi. xvii, pag. 179.
9 Questo breve cenno alla importanza dei sogni
infantili deriva soprattutto da fung, Interpretazione psicologica dei
sogni infantili, note e lezioni, E.T.H., Zürich, edizione privata.
L'esempio riferito nel testo è tratto da un corso non ancora tradotto,
Psychologische Interpretation von Kinderträumen, 1939-40, pagg. 76 e
segg. Si veda anche, di Jung, Lo sviluppo della personalità, in
Collected Works, voi. xvii; di Michael Fordham, The Life of Childhood,
London, 1944 (specialmente pag. 104); di Erich Neumann, The Origins and
History of Consciousness; di Frances Wiekes, The Inner World of
Consciousness, New York-London, 1927; e, di Eleanor Bertine, Human
Relationships, London, 1958.
10 Jung esamina il nucleo psichico in Lo sviluppo
della personalità. Collected Works, voi. xvn, pag. 175, e voi. xiv,
pagg. 9 e segg.
11 Per motivi fiabeschi corrispondenti a quello del re malato, cfr.
Johannes Boite e Georg Polivka, Anmerkungen zu den
Kinder- und Hausmärchen der Brüder Grimm, vol. I, 1913-32, pagg. 503 e
segg. - cioè, tutte le variazioni del racconto di Grimm L'uccello d'oro.
12 Approfonditi esami del concetto di ombra
possono trovarsi anche in Jung, Collected Works, voi. ix, parte il, cap.
2, e voi. xn, pagg. 29 e segg., e in The Undiscovered Self, London,
1958 pagg. 8-9. Vedasi anche Frances Wiekes, The Inner World of Man, New
York- Toronto, 1938. Un buon esempio della realizzazione dell'ombra è
contenuto in G. Schmalz, Komplexe Psychologie und Körperliches Symptom,
Stuttgart, 1955.
13 Particolari sulla concezione egizia del mondo
sotterraneo possono trovarsi in The Tomb of Rameses VI, Bollingen
Series, xl, parti 1 e 2, Pantheon Books, 1954.
14 Jung parla della natura della proiezione in
Opere, voi. vi, «Definizioni», pag. 582; e voi. vili, pag. 272 e segg.
15 II Corano (Qur'an) è stato tradotto da E.H.
Palmer, Oxford University Press, 1949 [tr. it.: Il Corano, Sansoni,
Firenze, 1961]. Per la interpretazione jungiana della storia di Mosè e
di Khidr, si veda Collected Works, voi. ix, pag. 135 e segg.
16 II racconto indiano Somadeva:
Vetalapanchavimsati, è stato tradotto da C.H. Tawney, Jaico-Book,
Bombay, 1956. Si veda anche l'eccellente interpretazione psicologica di
tïenry Zimmer riguardo a The King and the Corpse, Bollingen Series, xi,
Pantheon, New York, 1948.
17 11 riferimento al maestro Zen è tratto da Der
Ochs und sein Hirte (trad, di Koichi Tsujimura), Pfullingen. 1958. pag.
95.
18 Per ulteriori analisi del concetto di anima, si
vedano: Jung, Collected Works, voi. ix, parte 2, pagg. 11-12, e cap. 3;
vol. xvn, pagg. 198 e segg.; vol. vin, pag 345; voi. xi, pagg. 29-31,
41 e segg., 476 ecc.; voi. xn, parte i. Si veda anche, di Emma Jung,
Animus and Anima, Two Essays, The Analytical Club of New York, 1957;
Eleanor Bertine, Human Relationships, parte 2; Esther Harding, Psychic
Energy, New York, passim, e altri.
19 Lo sciamanesimo presso gli Eschimesi è stato
descritto da Mircea Eliade in Der Schamanismus, Zürich, 1947,
specialmente pag. 49 e segg. [tr. it.: Lo sciamanesimo, Bocca, Milano], e
da Knud Ras- mussen, in Thulefahrt, Frankfurt, 1926, passim.
20 II racconto del cacciatore siberiano è tratto
da Rasmussen, Die Gabe des Adlers, Frankfurt am/Mein 1926, pag. 172.
21 Un esame della figura della «Signorina veleno» è
contenuto in W. Hertz, Die Sage vom Giftmädchen. Abh. der k. bayr.
Akad. der Wiss., i Cl. xx Bd. i Abt., München, 1893.
22 La figura della principessa omicida è esaminata
da Chr. Hahn, in Griekische und Albanesische Märchen, vol. i,
München-Berlin, 1918, pag. 301: Der (äger und der Spiegel der alles
sieht.
23 La «pazzia d'amore», causata da una proiezione
dell'anima è esaminata in Eleanor Bertine, Human Relationships, pag.
113. Si veda anche l'eccellente scritto del dottor H. Strauss, Die Anima
als Projektions-Erlebnis, manoscritto non pubblicato, Heidelberg, 1959.
24 Jung esamina la possibilità della integrazione
psichica tramite un'anima negativa in Collected Works, voi. xi, pag. 164
e segg.; vol. ix, pagg. 224 e segg.; voi. xn, pagg. 25, 110 e segg.,
128.
25 Per quanto riguarda i quattro stadi AeW'anima, si veda Jung, Collected Works, vol. xvi, pag. 174.
26 L'Hypnerotomachia di Francesco Colonna è stata analizzata da
Linda Fierz-David in Der Liebestraum des
Poliphilo, Zürich, 1947 [cfr. Hypnerotomachia Poliphili, edizione
critica e commento a cura di G. Pozzi e L.A. Ciapponi, 2 voli.,
Antenore, Padova, 1964].
27 La citazione, ove si definisce il ruolo dell
'anima è tratta da Aurora Consurgens I, tradotta da E.A. Glover.
L'edizione tedesca, a cura di M.-L. von Franz si trova in Jung,
Mysterium Coniunctionis, voi. in, 1958.
28 Jung ha esaminato il mito cavalleresco della
dama in Collected Works, voi. vi, pagg. 274, 290 e segg. Si veda anche
Emma Jung e M.-L. von Franz, Die Graalslegende in psychologischer Sicht,
Zürich, 1960.
29 Per quanto concerne l'aspetto con cui l'animus
si presenta come «convinzione sacra», si veda Jung, Two Essays in
Analytical Psi- chology, London, 1928, pag. 127 e segg.; Collected
Works, voi. ix, cap. 3. Si veda anche Emma Jung, Animus and Anima,
passim; Esther Harding, Woman's Mysteries, New York, 1955; Eleanor
Bertine, Human Relationships, pag. 128 e segg.; Toni Wolff, Studien zu
C.G. Jungs Psychologie, Zürich, 1959, pag. 257 e segg.; Erich Neumann,
Zur Psychologie des Weiblichen, Zürich, 1953.
30 II racconto zingaresco può trovarsi in Der Tod
als Geliebter, Zigeuner-Märchen. Die Märchen der Weltliteratur, a cura
di F. von der Leyen e P. Zaunert, Jena, 1926, pag. 117 e segg.
31 L'animus quale fonte di positive qualità
maschili è esaminato da C.G. Jung in Collected Works, voi. ix, pag. 182 e
segg., e in Two Essays, cap. 4.
32 Per il racconto austriaco della principessa
nera, si veda «Die schwarze Koenigstochter», Märchen der Weltliteratur,
Jena, 1926.
33 II racconto eschimese dello spirito della luna e
tratto da Von einer Frau die zur Spinne wurde, tradotto dall'opera di
K. Rasmussen, Die Gabe des Adlers, cit.
34 Un esame delle personificazioni del Sé (in
vesti di giovani o di vecchi) è contenuto in Jung, Collected Works, voi.
ix, pag. 151 e segg.
35 Per quanto riguarda il mito di P'an Ku, si veda
Donald A. Mac Kenzie, Myths of China and Japan, London, pag. 260, e H.
Ma- spéro, Le Taoisme, Paris, 1950, pag. 109. V. anche J.J.M. de Groot,
Ùniversismus, Berlin, 1918, pagg. 130-31; H. Koestler, Simbolik der
Chinesischen Universismus, Stuttgart, 1958, pag. 40; e Jung, Mysterium
Coniunctionis, voi. n, pagg. 160-61.
36 Per la simbologia di Adamo quale Uomo Cosmico,
si veda August Wünsche, Schöpfung und Sündenfall des ersten Menschen,
Leipzig, 1906, pagg. 8-9, e pag. 14; Hans Leisegang, Die Gnosis,
Leipzig, Kroenersche Taschenausgabe. Per una interpretazione
psicologica, cfr. Jung, Mysterium Coniunctionis, vol. n, pagg. 160-61; e
Collected Works, vol. xn, pag. 346 e segg. Possono esistere anche
connessioni storiche fra il cinese P'an Ku, il persiano Gayomart, e le
leggende di Adamo; si veda, al riguardo, Sven S. Hartmann, Gayomart,
Uppsala, 1953, pagg. 46, 115.
37 II concetto di Adamo come di una «super-anima»
che origina da una palma, è esaminato da E. S. Drower, in The Secret
Adam, A Study of Nasoraean Gnosis, Oxford, 1960, pagg. 23, 26, 27, 37.
38 La citazione di Meister Eckhart è tratta da F.
Pfeiffer, Meister Eckhart, tradotto da C.B. de Evans, London, 1924, voi.
n, pag. 80.
39 Per l'esame jungiano del simbolo dell'Uomo
Cosmico, si veda da Collected Works, voi. ix, parte 2, pagg. 36 e segg.;
Answer to fob, Collected Works, vol. XI, e Mysterium Coniunctionis,
vol. ll, pag.
215 e segg. Cfr. anche Esther Harding, Journey into Self, London,
1956, passim.
40 La figura di Adam Kadmon è oggetto di analisi
in Gershom Scholem, Major Trends in Jewish Mysticism, 1941 [tr. it.: Le
grandi correnti della mistica ebraica, Il Saggiatore, Milano]; e in
Jung, Mysterium Coniunctionis, voi. il, pag. 182 e segg.
41 II simbolo della coppia regale è esaminato in
Jung, Collected Works, voi. xvi, pag. 313, e in Mysterium Coniunctionis,
vol. i, pagg. 143, 179; voi. il, pagg. 86, 90, 140, 285. Si consideri
anche il Simposio di Platone, e la figura gnostica dell'uomo-Dio,
l'anthropos.
42 Per quanto riguarda la pietra simbolo del Sé,
si veda Jung, Von den Wurzeln des Bewussteins, Zürich, 1954, pag. 200 e
segg., 415 e segg., 449 e segg.
43 II momento in cui viene consciamente avvertita
l'esigenza dell'individuazione è studiato in Jung, Collected Works, voi.
xn, passim; Von den Wurzeln des Bewussteins, pagg. 200 e segg.;
Collected Works, vol. ix, parte 2, pagg. 139 e segg., 236, 247 e segg.;
268; Collected Works, vol. xvi, pag. 164 e segg. Si veda anche Collected
Works, vol. vin, pag. 253 e segg.; e Toni Wolff, Studien zu C.G. Jungs
Psychologie, pag. 43. Si veda, soprattutto, Jung, Mysterium
Coniunctionis, vol. Ii, pag. 318 e segg.
44 Jung, The Trascendent Function, in Collected Works, vol. vm.
45 Lo zoologo Adolf Portmann descrive
1'«interiorità» degli animali in Das Tier als soziales Wesen, Zürich,
1953, pag. 366.
46 Le credenze degli antichi Germani in relazione
alle pietre tombali vengono esaminate in Paul Herrmann, Das Alt
germanische Priesterwesen, Jena, 1929, pag. 52; e in Jung, Von den
Wurzeln des Bewust- seins, pag. 198 e segg.
47 La definizione di Morieno della pietra
filosofale è riportata in Jung, Collected Works, voi xn, pag. 300, nota
45.
48 Che la sofferenza sia necessaria per il
reperimento della pietra è un principio alchimistico; cfr. Jung,
Collected Works, voi. xn, pag. 280.
49 Per una approfondita esposizione del concetto
di sincronicità, si veda Jung, Synchronicity: an Acausai Connecting
Principle, in Collected Works, vol. vili, pag. 419 e segg.
50 Sull'opinione di Jung relativamente alla
necessità di accostarsi alle religioni orientali per entrare in contatto
con l'inconscio, si veda Concerning Mandala Symbolism, Collected Works,
vol. ix, parte i, pag. 335 e segg., e voi. xn, pag. 212 e segg.
(dell'ultimo, si vedano anche le pagg. 19, 42, 91 e segg., 101, 119 e
segg., 159, 162).
51 II testo cinese è tratto da Lu K'uan Yii, Charles Luck, Ch'an and Zen Teaching, London, pag. 27.
52 II racconto di Bath Bâdgerd è tratto da Märchen
aus Iran, Die Märchen der Weltliteratur, Jena, 1959, pag. 150 e segg.
53 Jung esamina il sentimento, tipicamente
moderno, dell'uomo che si sente un «numero statistico» in The
Undiscovered Self, pagg. 14, 109.
54 L'interpretazione dei sogni a livello
soggettivo è discussa da Jung in Collected Works, voi. xvi, pag. 243, e
voi. vili, pag. 266.
55 Che l'uomo sia istintivamente «in armonia» con
l'ambiente è idea esaminata in A. Portmann, Das Tier als soziales Wesen,
pag. 65 e segg., e passim. Si veda anche N. Tinbergen, A Study of
Instinct, Oxford, 1955, pagg. 151 e segg., 207 e segg.
56 El. E.E. Hartley esamina l'inconscio di massa
in Fundamentals of Social Psychology, New York, 1952. Si veda anche Th.
Janwitz e R.
Schulze, Neue Richtungen in der
Massenkommunikationforschung, Rundfunk und Fernsehen, 1960, pagg. 7, 8 e
passim. Anche, ibid. pagg. 1-20, e Unterschwellige Kommunication, ibid.
1960, quaderno 3/4, pagg. 283 e 306. (L'informazione è dovuta alla
gentilezza di Mr. René Malamud.)
57 II valore della libertà (in vista della
creazione di qualche cosa di utile) è sottolineato da Jung, in The
Undiscovered Self, pag. 9.
58 Per quanto concerne le figure religiose che
simboleggiano il processo di individuazione, si veda Jung, Collected
Works, voi. xi, pag. 273 e passim, e ibid. parte 2, e pag. 164 e segg.
59 Jung esamina il simbolismo religioso nei sogni
moderni in Collected Works, voi. xu, pag. 92. Si veda anche ibid. pagg.
28, 169 e segg. 207 ecc.
60 L'aggiunta di un quarto elemento alla Trinità è
esaminata da Jung in Mysterium Coniunctionis, voi. n, pagg. 112 e
segg., 117 e segg., 123 e segg. e in Collected Works, voi. vili, pag.
136 e segg., e 160-62.
61 La visione di Alce Nero è tratta da Black Elk
Speaks, a cura di John G. Neihardt, New York, 1922. Edizione italiana:
Alce Nero parla, Mondadori, Milano, 1973 ', 1977 J.
62 II racconto relativo al festival eschimese
dell'aquila è tratto da Knud Rasmussen, Die Gabe des Adlers, pag. 23 e
segg., 29 e segg.
63 Jung esamina le modificazioni dell'originale
materiale mitologico in Collected Works, voi. xi, pag. 20 e segg., e
voi. xu, Introduzione.
64 II fisico W. Pauli ha descritto gli effetti di
moderne scoperte scientifiche, come quelle di Heisenberg, in Die
Philosophische Bedeutung der Idee der Komplementarität, «Experientia»,
vol. vi/2, pag. 72 e segg.; e in Wahrscheinlichkeit und Physik
«Dialectica», vm/2, pag. 117.
QUINTA ED ULTIMA PARTE DI:
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